Parigi o cara!

No, non sono passato alla cinematografia d’autore, con una recensione di questo bel film con la straordinaria e sempre troppo poco apprezzata
Franca Valeri.

È solo l’ennesimo richiamo a quanto fu sancito durante la COP21, tenutasi a Parigi nel 2015: in quell’occasione l'Unione Europea ed altri 195 paesi si impegnarono, siglando il cosiddetto “Accordo di Parigi”, ad attuare dei piani concreti volti a limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius. L'accordo è entrato in vigore il 4 novembre 2016, dopo l'adempimento della condizione di una sua ratifica da parte di almeno 55 paesi che rappresentassero almeno il 55% delle emissioni globali di gas serra. In esso è delineato un piano d’azione per limitare il riscaldamento globale e ha come obiettivo a lungo termine che la temperatura media globale non deve superare 1,5° C, rispetto ai livelli di fine Ottocento, entro la fine del secolo, nella massima trasparenza sui risultati raggiunti da ciascun paese.

Negli scenari previsti per mantenere l’aumento delle temperature globali sotto 1,5 °C si prevede una forte riduzione nell’uso dei combustibili fossili. Entro il 2050 bisognerebbe ridurre il consumo di carbone del 95%, di petrolio del 60% e di gas del 45%, ma questi obiettivi sono in contrasto con le politiche realmente messe in atto. Salvo rare eccezioni nella riduzione del consumo di queste risorse, se le temperature del 2024 non hanno avuto precedenti, non c’è da sorprendersene.

Come mostra uno dei rapporti di Global Carbon Budget, il sistema energetico globale è tuttora fortemente dipendente dai combustibili fossili, e le rinnovabili, nonostante i passi avanti, non hanno ancora un ruolo sufficiente.

Un nutrito gruppo di ben 60 scienziati avverte e ribadisce: con gli attuali livelli di emissioni di biossido di carbonio, che recentemente ha superato le 430 ppm, la Terra potrebbe essere destinata a superare il limite simbolico di riscaldamento di 1,5 °C nel giro di appena tre anni, e qualche avvisaglia l’abbiamo già avuta in periodi recenti, soprattutto perché molti paesi hanno continuato a bruciare quantità record di carbone, petrolio e gas oltre che abbattere foreste ricche di carbonio, mettendo a repentaglio questo obiettivo internazionale.

Il cambiamento climatico ha già peggiorato molti eventi meteorologici estremi , e ha rapidamente innalzato i livelli globali del mare , minacciando le comunità costiere.

Tutto si muove nella direzione sbagliata e si assiste a cambiamenti senza precedenti, un’accelerazione del riscaldamento della Terra e l'innalzamento del livello del mare. Scatenando i famigerati punti di non ritorno.

Se 2,5 cm vi sembrano pochi ricordo, ancora una volta come uno tra i moltissimi esempi, l’insegnamento che ci viene dal Delta del Mekong, perché anche quel che non vediamo ci riguarda; e senza dimenticare che pochi millimetri di innalzamento del livello medio del mare significa onde più alte e più potenti durante le mareggiate.

Questi cambiamenti furono previsti moltissimo tempo fa, ed è inequivocabile che siano direttamente riconducibili al livello di emissioni di gas serra. All'inizio del 2020, gli scienziati avevano stimato che l'umanità avrebbe potuto emettere solo 500 miliardi di tonnellate in più di CO2, il gas che più di ogni altro contribuisce al riscaldamento del pianeta, per avere il 50% di possibilità di contenere il riscaldamento globale a 1,5 °C. Ma secondo un nuovo studio, all'inizio del 2025 questo cosiddetto bilancio di carbonio si è ridotto a 130 miliardi di tonnellate. Secondo i tassi attuali, pari a circa 35 Gton/anno di CO2, significa altri tre anni, considerando il contributo che viene da parte degli altri gas serra. E la conferma viene anche dai notevoli miglioramenti delle stime effettuate.

Questo significa una cosa sola: violare l'obiettivo fissato dall'accordo di Parigi nel giro di qualche anno.


L'anno scorso è stato il primo nella storia in cui le temperature medie globali dell'aria hanno superato di oltre 1,5 °C quelle della fine del 1800.

Anche se un singolo periodo di dodici mesi non è considerato una violazione dell'accordo di Parigi, è indubbio che il riscaldamento globale causato dall'uomo è stato di gran lunga la causa principale delle elevate temperature registrate lo scorso anno, che hanno raggiunto 1,36 °C in più rispetto ai livelli preindustriali con brevi periodi, come si è scritto, di superamento del limite di 1,5 °C.

L'attuale tasso di riscaldamento è di circa 0,27 °C per decennio, molto più veloce di qualsiasi altro dato registrato nelle registrazioni geologiche. E se le emissioni rimangono elevate, il pianeta è sulla buona strada per raggiungere la soglia di 1,5 °C entro il 2030.

A questo punto il riscaldamento a lungo termine potrebbe, in teoria, essere ridotto riassorbendo grandi quantità di CO2 dall'atmosfera. Ma in questo campo ci vuole molta cautela, affidarsi a queste ambiziose tecnologie ha ancora moltissime incognite e c’è chi sostiene che potrebbe essere inutile rimuovere CO2 per invertire la tendenza nel caso la media delle temperature superi 1,5 °C.

Forse il fenomeno più notevole è la velocità con cui si accumula calore in eccesso nel sistema climatico della Terra, generando uno squilibrio energetico nel bilancio termico del pianeta.

Negli ultimi dieci anni circa, questo tasso di riscaldamento è stato più che doppio rispetto a quello degli anni '70 e '80 del XX secolo e si stima che sia stato il 25% superiore rispetto a quello del primo decennio del XXI secolo. Per un così breve periodo di tempo le cifre sono molto preoccupanti.


Il recente aumento è dovuto fondamentalmente alle emissioni di gas serra, ma un ruolo non secondario ha avuto anche l’effetto della riduzione del raffreddamento causato dalla riduzione della nuvolosità, dovuta a sua volta alla riduzione delle particelle di aggregazione.

Conosciamo fin dai tempi della scuola il primo principio della termodinamica sulla trasformazione dell’energia: l’energia in eccesso in parte contribuisce a riscaldare il pianeta, e in parte a fondere ghiacciai e calotte polari. Ma circa il 90% del calore in eccesso viene assorbito dagli oceani. Le conseguenze? Ne abbiamo parlato, senza dimenticare gli effetti catastrofici sulla biodiversità.

Il tasso di innalzamento del livello del mare a livello globale è raddoppiato dagli anni '90, aumentando il rischio di inondazioni per milioni di persone che vivono nelle zone costiere di tutto il mondo.

Nonostante tutto ciò dipinga un quadro desolante, gli autori dello studio hanno anche notato che il tasso di aumento delle emissioni sembra rallentare, man mano che si diffondono tecnologie pulite. Quindi i tagli rapidi e rigorosi alle emissioni sono più importanti che mai.

Spesso si è semplificato eccessivamente il concetto, affermando che un riscaldamento inferiore a 1,5 °C è sicuro e uno superiore a 1,5 °C è pericoloso.

L'obiettivo di Parigi si basa su solide prove scientifiche secondo cui gli impatti del cambiamento climatico sarebbero molto maggiori con un riscaldamento di 2 °C rispetto a 1,5 °C: sembra impossibile ma quegli appena 0,5 °C in più, il 3 percento della temperatura termodinamica media del pianeta, possono fare una grande differenza.

Ogni ulteriore riscaldamento aumenta la gravità di molti eventi meteorologici estremi, la fusione dei ghiacci e l'innalzamento del livello del mare.

La riduzione delle emissioni nel prossimo decennio può modificare radicalmente il tasso di riscaldamento.

Ogni frazione di riscaldamento che possiamo evitare si tradurrà in meno danni e meno sofferenze per le popolazioni particolarmente povere e vulnerabili e meno sfide per le nostre società nel vivere la vita che desideriamo.

Fonte: Climate Change Tracker al 25 giugno 2025

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Riferimenti bibliografici

Indicators of Global Climate Change 2024
IPCC report timeline still undecided
Indicators of Global Climate Change


Maturità 2025: sulle tracce dell'Antropocene

No, non è il mio tema di maturità. Stavolta mi prendo una pausa, e vorrei dilettarmi in tematiche generali, amplificate ovviamente dai social. Un’analisi su quanto è successo intorno ad una delle tracce proposte per lo svolgimento dell’elaborato sottoforma di testo argomentativo. Scusate la complicazione ma ciò che un tempo lontano era
il tema d’italiano adesso è quella roba lì!

Ecco la traccia. Direi che una buona mezzora ogni maturando diligente l’avrà spesa per capire per bene il contenuto.

«I nostri successori studieranno l'Antropocene e capiranno il vicolo cieco in cui ci siamo infilati. […] Le firme sedimentarie dell'attività umana negli ultimi decenni del Novecento sono tali e tante che anche il più tonto dei geologi del futuro non potrà non vederle. […] Quanto pesano tutti gli oggetti del mondo? Sembra la domanda disarmante di un bambino e invece adesso è diventata, grazie ai big data, una curiosità scientifica piena di significati. […] Immaginate tutto ciò che l’umanità ha prodotto e costruito: tutti gli edifici sulla Terra, tutte le strade, treni aerei navi auto camion moto biciclette e ogni altro mezzo di trasporto, le fabbriche, le macchine. Ora aggiungete le suppellettili e gli arredi, gli strumenti, i telefonini, i computer, le stoviglie, i vetri, gli infissi, la carta di questa rivista. Insomma, prendete la tecnosfera materiale nella sua globalità, costituita da ogni artefatto umano distribuito sulla superficie terrestre, e mettetela su una bilancia. Vi verrà fuori un numero, stratosferico. L’unità di misura adatta all’impresa è la teratonnellata, cioè mille miliardi di tonnellate. Ed ecco il numero fatidico: tutte le cose umane, dai grattacieli agli apriscatole, ed esclusi i rifiuti, nel 2020 hanno raggiunto il ragguardevole peso di 1,1 teratonnellate, ovvero mille e cento miliardi di tonnellate. Questa è la dimensione dell’immane flusso materiale che sta alla base del metabolismo attraverso il quale l’umanità incessantemente trasforma in prodotti ed energia le materie prime presenti in natura. Se scomponiamo l’insieme di tutti i manufatti umani e vediamo di cosa sono fatti, scopriamo che il calcestruzzo e gli aggregati di ghiaie e sabbie la fanno da padrone, seguiti dai mattoni, poi dall'asfalto, dai metalli e infine da plastiche, vetro e legno usato in industria. I ricercatori hanno anche calcolato gli andamenti della massa antropogenica dall'anno 1900 in poi. La curva si impenna dopo la fine del Secondo conflitto mondiale, appunto, quando la “grande accelerazione” della ricostruzione gettò le basi del benessere dei paesi industrializzati, ma al prezzo di un enorme consumo di suolo e di risorse. […] Con tecniche analoghe si può calcolare anche la massa complessiva degli esseri viventi sulla Terra, cioè la biomassa. Ebbene, il valore complessivo di quest'ultima è 1,1 teratonnellate, millecento miliardi di tonnellate: esattamente come la massa antropogenica! Ciò significa che proprio nel 2020 la somma degli oggetti umani ha eguagliato tutto il resto della vita messo insieme. E pensare che agli inizi del Novecento le cose umane valevano il 3 per cento rispetto al peso degli esseri viventi. […] Quindi noi umani, che contribuiamo solo per lo 0,01 per cento alla biomassa globale, abbiamo riempito il mondo di 1,1 teratonnellate di cose. Questa è l'impronta schiacciante dell'Antropocene. Senza una rapida transizione del sistema economico mondiale verso modelli circolari, la massa antropogenica continuerà a raddoppiare ogni vent'anni, sfuggendo al controllo. Nel nostro geologico quarto d'ora di celebrità, ci siamo fatti notare.» (Telmo Pievani, Un quarto d’era (geologica) di celebrità, in Sotto il vulcano, Feltrinelli, Milano, aprile-giugno 2022, pp. 30-31.)

Tanta roba! C’è spazio per sbizzarrirsi tra narrazioni di ogni tipo, dall’impronta ecologica all’economia circolare, la crescita demografica, la distruzione degli habitat naturali; e ancora l’impatto predatorio e per alcuni catastrofico del genere umano sul pianeta, nonostante siamo gli ultimi arrivati. Insomma ce n’è per ognuno dei tag che normalmente uso nelle pagine di questo blog. Argomenti a me carissimi!
Soprattutto, e cito l'autore stesso: «una traccia sull'ambiente e sull'Antropocene in questa temperie politica e culturale io proprio non me l'aspettavo!».

E allora, dove sta il problema? Antropocene e biomassa, ma il primo termine innanzi tutto, e che te lo dico a fare, che appare tra i primi tag del mio blog: apriti cielo per i puristi che, tra le tante, additano i redattori ministeriali di questa traccia di aver dato per scontato qualcosa che, ufficialmente, non esiste! E lo scandalo monta perché, addirittura nelle richieste per lo svolgimento viene chiesto «il punto di vista dell’autore sull'Antropocene (…)».

Ora, che il sottoscritto abbia un debole per l’autore, filosofo (della scienza!) e divulgatore, è dimostrato non solo dalla quindicina di suoi libri ben allineati in uno scaffale della mia libreria, dall’averlo citato (e usato…) più volte su queste pagine, ma soprattutto dall’avermi fatto rinascere passioni sopite da tempo, quali quelle per la biologia, la paleoantropologia, l’evoluzionismo! Quindi, ben sapendo della sua onestà intellettuale e ben conoscendo la preparazione del nostro, lo ammetto, mi hanno dato fastidio queste polemiche piuttosto sterili e spesso errate.

I grafici sulla biomassa dell'articolo su PNAS

Smarchiamo subito il secondo punto: la biomassa e il suo valore. Sono sorte numerose polemiche sui numeri forniti. Probabilmente frutto di frettolose ricerche in rete, in molti si sono scatenati presentando un grafico del Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) che indica in 550 miliardi di tonnellate equivalenti di carbonio la biomassa del pianeta Terra (0,55 teratonnellate, per usare l’unità di misura del testo della traccia, dove 1 Tton=1012 tonnellate); biomassa secca, senza considerare l’apporto dell’acqua che è estremamente variabile da vivente a vivente, e che fa schizzare il valore a 2.200 tonnellate di carbonio. Qui potete leggere voi stessi l’articolo.
I grafici comparati su biomassa e massa antropogenica nell'articolo di Nature

Pievani invece riporta 1,1 Tton, il doppio, e qui sta l’aspetto ambientale preoccupante ed uno degli argomenti fulcro della traccia: questo valore è pari alla massa delle robe prodotte dall’uomo, ovvero di qualsiasi cosa fosse assente sul pianeta prima della sua comparsa. Numeri da brivido che, per associazione di idee, mi fanno pensare subito al concetto del Overshoot Day di cui ho scritto tempo fa. E la sua fonte è la prestigiosa rivista Nature, da qui potete accedere all’articolo.

L’articolo sul PNAS è del 2017-18, con un ampio paragrafo dedicato al ruolo delle stime e dell’incertezza statistica, quello di Nature è del 2020. Fate voi, io sto con Pievani: se non altro perché ha utilizzato fonti più recenti e il progresso scientifico, con pochissime eccezioni, segue la freccia del tempo.

Certamente quando si parla di scienza occorre rigore, ma in quest’ambito e nel contesto dell’elaborato l’aver fatto questioni intorno al reale (reale?) valore della biomassa è piuttosto artificioso.


E torniamo all'era in questione che poi non è un'era (geologica) ma un'epoca (idem). Innanzi tutto va notato che nel titolo dell’articolo apparso sulla rivista “Sotto il vulcano” l’autore chiosa con il lapsus era/ora, termine quest’ultimo utilizzato in una delle domande di svolgimento: «A cosa si riferisce l’autore quando usa l’espressione ‘geologico quarto d’ora di celebrità’?». La cosa deve aver generato parecchie incomprensioni, dovute al fatto che occorre aver avuto dimestichezza (in “Scienze della Terra”, argomento di scienze del quinto anno dei licei classico e scientifico, quasi tutti i docenti si divertono a disegnare il famoso quadrante che rapporta l’età della Terra ad un anno o, in altri casi, addirittura a 24 ore! Usando la prima proporzione, con un giorno intero del calendario che corrisponde a più o meno 12 milioni di anni  (e un’ora del calendario vale 500.000 anni!), i dinosauri compaiono a metà dicembre (230 milioni di anni fa) e gli esseri, umani (che salto!) fanno la loro comparsa sulla Terra soltanto nelle ultime ore del 31 dicembre. La mattina del 31 dicembre, circa 4 milioni di anni fa, compaiono i primi australopitechi che, per strade diverse, porteranno ad Homo sapiens verso sera, intorno a 200 mila anni fa (300 mila secondo recenti ritrovamenti). Verso le 23:58 la rivoluzione del Neolitico e l’invenzione dell’agricoltura, per lo meno quella della Mezzaluna Fertile, e a partire dalle 23:59 e 56 secondi (!) abbiamo sviluppato gran parte delle conoscenze, delle discipline e delle tecnologie che ci consentono oggi di essere la specie dominante del nostro pianeta. E abbiamo prodotto tutte quelle robe che hanno creato la tecnosfera.

Ma se un’ora, in questa proporzione, corrisponde a 500.000 anni, quel “quarto d’ora” sono 125.000 anni fa, e Homo sapiens inizia a uscire dall’Africa poco dopo la sua comparsa, con le ondate migratorie principali tra 70.000 e 50.000 anni fa. Ecco servito l’Antropocene? Magari. Cioè, non ufficialmente. Misteri del Tempo Profondo.

La polemica nasce soprattutto da questo: gli esperti della International Commission on Stratigraphy non si sono messi d’accordo né sulla necessità di decretare l’esistenza di una nuova epoca, né su quando questa (geologicamente parlando sempre) sarebbe nata, ben distinta dall’Olocene, che è l'epoca geologica attuale, la più recente del periodo Quaternario, iniziata circa 11.700 anni fa con la fine dell'ultima era glaciale. Ogni epoca deve inoltre essere distinta dalla precedente e dalla successiva da un vero e proprio marcatore. I geologi lo chiamano chiodo d’oro (golden spike): un punto di riferimento geologico globale, chiamato anche GSSP (Global Stratotype Section and Point), che definisce precisamente il limite tra due unità di tempo geologico nella scala dei tempi geologici. Questi punti sono scelti per la loro importanza internazionale e sono usati per definire e correlare le età degli strati rocciosi in tutto il mondo.  In altre parole, un chiodo d'oro è un punto specifico in una sezione rocciosa che segna il confine tra due periodi, epoche o ere geologiche. Questi punti sono scelti per la loro rappresentatività, la presenza di fossili utili per la datazione e la loro stabilità geologica. Userò questo esempio. E preciso che con questo non voglio togliere nulla a chi sostiene che l’estinzione di massa del Cretaceo-Paleocene fu scatenata da altre cause e che l’asteroide diede una sorta di colpo di grazia ad un pianeta già agonizzante. Estinzione che fece fuori anche i dinosauri non aviani. Sto divagando nel Tempo Profondo.

Antropocene allora. Quando inizia? Nel 1945 con i risultati delle ricerche di Oppenheimer ed i suoi 10.000 scienziati riuniti nel deserto del New Mexico e l’inizio della produzione di radionuclidi (ottimi come GSSP) che si sono sparpagliati dappertutto sul pianeta, a causa delle centinaia di test con ordigni nucleari da parte di numerose nazioni? O sarebbe meglio spostare ancora più indietro lo spartiacque geocronologico? Senza arrivare ai tempi del controllo del fuoco o della diffusione delle pratiche agricole a me piace collocarlo nella seconda metà del XVIII secolo. Quando, nel 1765, un ingegnere scozzese, James Watt, potenzia e migliora, col suo regolatore centrifugo ed altre modifiche sostanziali, il motore a vapore, figlio di tanti ingegni che vi si erano applicati in precedenza.

Fatto sta che da allora la produzione energetica è cresciuta a ritmi esponenziali, e più se ne aveva più se ne produceva, con un ciclo a feedback positivo che sembrava non avesse fine. Bruciare, produrre, produrre, bruciare.


Curva di Keeling dal 1700

C’è addirittura qualcuno che ha coniato un termine per una nuova nuova epoca…il Pirocene. Non esageriamo. Ma se vi andasse di approfondire qui c’è qualcosa.

E quale potrebbe essere allora il marcatore, il GSSP, non presente in strati di roccia, ma in atmosfera, con buona pace dei geologi: ovvio, il biossido di carbonio e la sua impennata proprio a partire dall’inizio della rivoluzione industriale. E motore vuol dire automazione, energia facilmente disponibile sotto forma di combustibili fossili vuol dire aumento della produzione industriale, miglioramento delle società, fabbricazione di robe che prima dell’uomo non c’erano. Ecco a voi servita la tecnosfera che Pievani cita, e pesa, quelle 1,1 Tton stimate al 2020.

Si diceva all’inizio che i puristi si sono scatenati gridando allo scandalo. Ma come, nella traccia di un elaborato scientifico si inseriscono termini dati per scontati, che sembrano approvati dalla comunità scientifica quando così non è? Ma si sbagliano. Non è nemmeno vero che «i geologi hanno detto di no»: non esattamente. Nella giustificazione ufficiale della citata Commissione si scrive chiaramente che, anche se a livello stratigrafico il termine Antropocene non viene accettato, il concetto di Antropocene potrà essere usato in altri contesti in maniera informale, come peraltro ha fatto Pievani.

Sul sito della International Union of Geological Sciences (IUGS) si scrive: «Sebbene la loro proposta sia stata decisamente respinta, l'AWG [Anthropocene Working Group, NdA] ha svolto un importante servizio alla comunità scientifica assemblando un ampio corpus di dati sugli impatti umani sui sistemi globali, e questo database sarà una fonte di riferimento essenziale anche in futuro. Inoltre, l'Antropocene come concetto continuerà ad essere ampiamente utilizzato non solo dagli scienziati della Terra e dell'ambiente, ma anche dagli scienziati sociali, politici ed economisti, nonché dal pubblico in generale. In quanto tale, rimarrà un descrittore inestimabile nelle interazioni uomo-ambiente. Ma non sarà riconosciuto come un termine geologico formale, ma sarà più utilizzato in modo informale nelle future discussioni sugli impatti antropogenici sui sistemi climatici e ambientali della Terra.». Qui la fonte.

Ed ecco servito il golden spike della discussione!

«I nostri successori studieranno l’Antropocene e capiranno il vicolo cieco in cui ci siamo infilati...» si legge fin dal subito nella traccia. Cosa c'è di scandaloso? Non si parla forse di geologi del futuro? Non è forse lecito ipotizzare che magari allora sarà stato ufficializzato? Ma anche no, il concetto resta.

Pievani è un divulgatore serio e preparato e le incomprensioni, o le polemiche, sono dipese non tanto da chi lo ha scritto, quanto da chi lo ha letto forse frettolosamente e conoscendolo poco, o interpretando male, spesso con prevenzione. O per puro spirito di contraddizione tipico di molti (troppi) utenti dei social afflitti da diversi preoccupanti bias.

In nessuno dei suoi libri o in nessuno dei suoi interventi in voce o video, Pievani ha mai affermato che l'Antropocene sia una realtà definita e convalidata dalla Commissione, e non ha difficoltà a ribadirlo. L'unico suo libro che usa il termine in modo esplicito nel titolo è "Viaggio nell'Italia dell'Antropocene", uscito da poco e da me recensito lo scorso anno.

Non va infine dimenticato che Pievani è innanzi tutto un filosofo della scienza, soprattutto della biologia, e lo stesso Paul Crutzen quando coniò il termine “Antropocene” lo fece in modo filosofico più che scientifico. Ricordo inoltre che le discussioni filosofiche, che ai più sembrano così inutili, sono quelle che hanno spesso messo in moto la ricerca scientifica, o che hanno generato le scoperte successive.

Mi accorgo adesso di non aver scritto un rigo su costui: un pioniere in molti modi. È stato il primo a mostrare come l’attività umana danneggi lo strato di ozono. Le sue scoperte sono alla base del divieto mondiale di usare le sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono. Fu nel 2000 che Crutzen introdusse il termine Antropocene, riferito all’attuale epoca geologica, la prima nella quale le attività dell’uomo hanno influsso diretto sul clima. Credo basti.

Che sia stato sancito o meno resta l'innegabile realtà che una transizione da un'era all'altra, in termini di cambiamento, c'è stata e, a prescindere da Paul Crutzen, in tantissimi lo hanno usato.

Ma che ci sia una transizione netta e tangibile costituita dall'impronta ecologica umana è indiscutibile.

Insomma, come si dice, tanto rumore per nulla e poi, secondo me, il brivido vero di studenti e docenti è arrivato su «firme sedimentarie». Si scherza…

Fuor di polemica, e scrivo per esperienza, mi sto seriamente chiedendo non solo quanto pochi siano gli studenti in grado di comprendere e affrontare questa traccia, ma soprattutto quanto pochi siano i docenti in grado di correggerla, sintassi e grammatica a parte! Tra quelli di letteratura italiana saranno pochi sparuti pressoché introvabili. Nelle scuole, solo i licei comunque, dove c'è scienze tra le materie, dove sarà presente anche il commissario di scienze questi potrà, anzi dovrà, dare una mano ai colleghi di italiano. Ripongo speranze anche in qualche docente di filosofia che abbia, si spera, trascurato un po’ di greci e raccontato un altro po’ di filosofia della scienza.

[Aneddoto. Sempre che non accada quanto successe a me. Ero commissario esterno di scienze: la collega di italiano mi chiamò a leggere insieme gli elaborati di natura scientifica. Una ragazza aveva scritto una vagonata di fesserie (immaginate un tema sulla Terra svolto da un terrapiattista), che io contestavo punto per punto. Ma la collega di italiano, senza alcun ripensamento e convintissima, pretese comunque più che la sufficienza, perché...ben scritto!]

Tra l’altro, coloro i quali hanno definito la traccia addirittura ridicola, perché l’Antropocene non è una categoria geologica ufficiale, significa confondere il piano scientifico con quello culturale e politico. La scuola non deve limitarsi a nozioni codificate, ma può e deve aprire a questioni complesse e in discussione, stimolando il pensiero critico. Quindi no, la traccia non è ridicola, ma un’utile provocazione. E il fatto che susciti dibattito è già, di per sé, un buon segno.

Anche se scientificamente non ci sono ancora gli elementi per una realtà fisica questo che per ora è forse solo un concetto, non può essere frainteso col suo senso più ampio: cambiamento climatico, estinzioni di massa, inquinamento, plastica ovunque, alterazione dei cicli, consumo del suolo, tutti argomenti a me cari e trattati più volte. E questi sono effetti misurabili, osservabili e documentati da anni di ricerca dedicati al periodo: l’Antropocene! Quella traccia non era, dopo tutto, un esame di geologia!

Gli studenti potrebbero anche non sapere se esiste e quando è cominciato l’Antropocene, ma certamente devono avere la capacità di comprendere perché nel mondo scientifico si è proposto un dibattito in merito.

In altri termini l'Antropocene è una realtà sociale e ambientale incontrovertibile. Che non sia anche un'epoca geologica è pressoché irrilevante. Inoltre, l'interesse geologico rispetto ad un tema di maturità sarebbe irrisorio rispetto ai risvolti ambientali, sociali e culturali nella misura in cui quella infinitesimale percentuale di biomassa sta condizionando in maniera coatta tutta la restante ad un ritmo non più sostenibile!

Quindi, per quel che mi riguarda, promossi sia Pievani che la commissione che ha realizzato la traccia!

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Nota: riporto inoltre quanto mi è stato suggerito da una docente di lettere. Ai più sfugge che la traccia era di tipo B3, quindi un testo argomentativo. Questo tipo di traccia ha una formula ben precisa e si può affrontare anche senza necessariamente conoscere l'argomento, basandosi solo su quanto afferma il testo proposto. Questo tipo di traccia richiede allo studente la comprensione, l'esposizione della tesi dell'autore, la costruzione di un'antitesi, mostrando capacità di ragionamento in base alle proprie competenze, e infine una conclusione che metta in accordo o meno tesi e antitesi. Insomma è richiesta comprensione e ragionamento, indipendentemente dall'argomento.

Cambiamento climatico. Sfida strategica per il futuro

Ricostruzione della temperatura media globale e della concentrazione di CO2 in atmosfera per gli ultimi 68 milioni di anni. Nel grafico è riportata  per confronto la proiezione per i futuri 100 anni nel caso di diversi scenari di emissione di gas serra in futuro. Sull’asse di sinistra la differenza con la media termodinamica del pianeta pari a 15 °C. Si notino i cambi di scala nell’asse dei tempi. (fonte)

Il clima è da sempre un elemento variabile, ma fondamentale, per la vita del pianeta Terra. Più volte è cambiato, anche per effetto del mutare di condizioni di tipo geologico, fisico, chimico nel pianeta. Il cambiamento climatico[1], così come indicato dal punto 2 dell’Art. 1 della costituzione della UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), è uno dei processi che può condizionare fortemente la rivalità e la competizione tra le grandi potenze del pianeta, oltre ai nuovi equilibri che gli assetti geopolitici globali stanno vedendo nascere.
Questo può essere considerato una sorta di seguito al mio precedente post in cui, in breve, ho confutato punto per punto gli aspetti salienti e ricorrenti del negazionismo climatico.

Le cronache sono purtroppo ricche di episodi drammatici che rappresentano la gravità della sfida posta dal cambiamento climatico in atto e degli eventi calamitosi ad essi sempre più frequentemente associati.

L’elenco di ciò che viene ancora definito come “evento estremo” e che dovrebbe invece essere coniugato come nuova normalità climatica (cronache dall’Italia) è vasto e ce n’è d’ogni sorta. Le alluvioni che hanno travolto la Spagna, con un bilancio di morti, dispersi e danni enorme, sono state purtroppo uno degli ultimi di una lunga serie di eventi catastrofici di origine climatica che hanno avuto un impatto spaventoso non solo a livello ambientale, ma soprattutto umano, economico e politico. Pochi giorni prima dell’inondazione spagnola avevamo assistito alla furia devastatrice dell’uragano Milton, alle piogge torrenziali e alle esondazioni che avevano nuovamente colpito l’Emila Romagna, e prima ancora erano stati colpiti da fenomeni simili i paesi dell’Europa orientale e centrale, Polonia e Repubblica Ceca in primo luogo. Siamo soltanto a metà dell’anno in corso e, non da adesso, l’Italia è di nuovo in testa ai paesi più colpiti dalla crisi climatica secondo il Climate Risk Index 2025 curato dall’associazione ambientalista Germanwatch. In una classifica che ci vede subito dopo il Pakistan e il Belize e prima di Stati Uniti, Spagna e Grecia, siamo il paese europeo che ha maggiormente sofferto degli impatti di eventi meteorologici estremi nel 2022. Allargando lo sguardo al resto del mondo, oltre Europa e Stati Uniti, osserviamo come da anni, ormai, si siano moltiplicati gli effetti spesso catastrofici di eventi associati all’ambiente o in particolare al cambiamento climatico. Ondate di temperature sempre più alte, lunghi periodi di siccità, alluvioni inattese legate a manifestazioni atmosferiche sempre più improvvise, imprevedibili, violente e che scaricano sul terreno in poche ore il quantitativo di pioggia di mesi; fino ad incendi di dimensioni sempre più vaste, come i devastanti roghi che negli anni hanno sconvolto l’Amazzonia, l’Australia, la Russia, gli Stati Uniti, i paesi del Mediterraneo, dalla penisola iberica ai Balcani e alla Grecia. Non va dimenticato il tema, sempre più importante per i suoi possibili effetti, della fusione dei ghiacci polari e dei ghiacciai continentali, collegato all’aumento delle temperature atmosferiche, con il conseguente aumento del livello dei mari, a cui aggiungere la fusione del permafrost. Il recente episodio che ha colpito l’abitato di Blatten in Svizzera ha avuto come causa primaria questo fenomeno, perché il permafrost si forma (meglio dire si formava?) anche sulle montagne, alle nostre latitudini a quote superiori ai 2.600 metri.

 

Questi argomenti sono spesso trascurati, ma potrebbero avere conseguenze significative. L'aumento del livello del mare potrebbe influire su porti, città costiere, comunità marittime, isole oceaniche e numerose infrastrutture strategiche come quelle industriali, commerciali, energetiche e militari situate lungo le coste o negli oceani. E non si creda che occorrano innalzamenti dell’ordine di grandezza del metro: bastano anche pochi centimetri di innalzamento medio per avere mareggiate con onde più alte e quindi più penetranti e distruttive di quanto esiste ad oggi sulle linee di costa. O ancora, leggete quanto scrivevo qui a proposito del Delta del Mekong, perché anche quel che non vediamo ci riguarda.


È sempre più evidente, che gli eventi catastrofici di origine atmosferica, e più in generale gli argomenti legati al cambiamento climatico, siano un tema centrale per la sicurezza dei paesi. E che abbiano anche conseguenze importanti che impattano l’economia, la politica e le relazioni tra gli stati, arrivando a rappresentare un potenziale elemento di nuova tensione o di conflitto, in particolare per quanto riguarda il controllo di risorse, che proprio il cambiamento climatico e ambientali in corso potrebbe mettere in discussione: un esempio per tutti, l’acqua. Ma si disvelano anche scenari possibili di competizione geopolitica e geoeconomica legata sia al controllo di territori strategici, o relativi a riserve di minerali critici, fondamentali anche per lo sviluppo delle tecnologie indispensabili per affrontare la transizione a superare la dipendenza dalle fonti di energia fossile, origine dell’emissione dei gas serra direttamente collegati all’aumento delle temperature atmosferiche del pianeta.

 

Gli effetti del cambiamento climatico possono produrre ripercussioni in ambiti anche molto diversi tra loro, tutti riconducibili al più vasto tema della sicurezza globale, e di quella che viene oggi definita sicurezza umana. A partire dalle ondate migratorie indotte dalle situazioni climatiche, diventate un’autentica sfida per le organizzazioni internazionali, con milioni di persone ogni anno costrette a lasciare i propri territori di origine, soprattutto in alcune regioni del pianeta più povere, al tema delle conseguenze sanitarie del cambiamento climatico, fino alle minacce per la sicurezza alimentare o per la sicurezza delle catene di approvvigionamento minacciate dalle calamità naturali. Gli analisti hanno stimato che c’è un miliardo e mezzo di persone pronte a migrare dal sud verso il nord del mondo, e questo siamo noi, il cosiddetto Occidente. Entro la fine del secolo il cambiamento climatico potrebbe portare, tra siccità da un lato e paradossalmente inondazioni dall’altro, qualcosa come tre miliardi e mezzo di persone, a migrare o cercare di farlo. Un quinto della superficie terrestre potrà subire un incremento significativo di gravi inondazioni della durata di settimane, costringendo gli abitanti a spostarsi; e in opposizione all’abbondanza d’acqua centinaia di milioni di persone che dipendono dall’acqua dei ghiacciai resteranno letteralmente a bocca asciutta.

Il cambiamento climatico può influenzare le attività militari, richiedendo una ridefinizione delle infrastrutture, delle basi e degli strumenti di difesa, oltre a minacciare la sicurezza delle città, dei territori e delle coste. Di fronte a queste minacce legate al clima, è necessario definire strategie di intervento, prevenzione e contrasto, e utilizzare la ricerca scientifica e le nuove tecnologie per affrontarle.

 

Il tema ha dunque assunto, nel corso degli ultimi anni, una dimensione di rilevanza strategica fondamentale per il nostro futuro, nonostante si basi su un breve elenco di questioni: la sicurezza, collegata a molti temi, che vanno dall’economia all’energia, dalla rivoluzione digitale allo spazio, è diventata oggetto non solo di un sempre più acceso confronto diplomatico, ma ha assunto anche una sua dimensione di natura geopolitica.

Del resto, e cercherò di occuparmene in un prossimo post, la storia ci riporta molti esempi del passato in cui proprio gli effetti del cambiamento climatico avevano prodotto conseguenze gravi sulle popolazioni, sugli stati, sugli imperi, fin dall’epoca antica.

Un filo rosso legato al clima e all’ambiente attraversa la storia umana fin dalle prime migrazioni Out of Africa del genere umano, dai primi Homo abilis circa due milioni di anni fa, ai neanderthalensis e fino a noi, i sapiens, a partire da circa 130.000 anni fa. Fino ai nostri giorni, passando attraverso grandi eventi catastrofici, che hanno spesso cambiato la storia: e che è affatto indipendente dalla nostra impronta ecologica.

Hendrick Avercamp (1585-1634) – “Paesaggio invernale con pattinatori” 1608 circa. Allegoria di un’intera società squadernata su uno strato di ghiaccio, con i suoi ricchi e i suoi pezzenti, gli uomini e le donne, i bambini e gli anziani, i signori e i servi, resi tutti uguali dal gelo e dal freddo, che pure sembrano lasciarli indifferenti.

La storia d’Europa, in periodi tutto sommato recenti e minuziosamente ben documentati, come scrivono tra i tanti anche Philipp Blom nel suo “Il primo inverno” e Wolfgang Behringer in “Storia culturale del clima”, racconta di come la cosiddetta “piccola era glaciale” abbia avuto conseguenze quasi rivoluzionarie su politica, società, rapporti di forza e ideologie nel vecchio continente, oltre che in qualche modo influenzare l’infinità di eventi contingenti che hanno portato alla nascita dell’Illuminismo.

Sarebbe assurdo parlare di nessi causali semplici, come se quelle novità fossero state una diretta conseguenza dei mutati fattori atmosferici: più corretto è affermare che la crisi di un’agricoltura fondamentalmente cerealicola, indotta da un calo delle temperature che abbreviava il periodo vegetativo delle piante, ha fortemente sollecitato le strutture socioeconomiche dell’Europa moderna, favorendo l’innovazione e dando spazio ai portatori di pratiche originali, nuovi saperi e nuove scoperte, cioè agli esponenti di una classe media istruita in rapida ascesa, lasciando libero corso a possibilità fino ad allora insospettate. Pur sapendo che tutto ciò avvenne a scapito di milioni di europei privi dei mezzi necessari a superare la crisi e soprattutto a danno dei milioni di essere umani coinvolti nello schiavismo dilagante, non solo quello delle nascenti colonie ma anche quello dei disperati della servitù della gleba della Russia imperiale.

Ma se da un lato i cambiamenti che interessano l’Europa negli anni della piccola era glaciale non ammettono correlazioni dirette con il raffreddamento climatico in quanto tale, né in senso causale né se intesi come una risposta deliberata a quest’ultimo, dall’altro è vero che quelle novità contribuirono in misura decisiva al superamento della crisi. 

Cambiamento climatico e rivoluzione tecnologica sono quindi le due grandi sfide del nostro presente e del nostro futuro immediato. Affrontare la riflessione intorno a questi temi, sia per la loro portata generale che per gli effetti che possono produrre sulle attività umane è indispensabile, poiché determineranno gli assetti industriali, economici, sociali del futuro. Plasmeranno la vita nel pianeta nei prossimi anni e contribuiranno a ridefinire gli assetti politici del mondo.


Si rende indispensabile affrontare una nuova valutazione, sul tema degli effetti del cambiamento climatico, con duplice prospettiva: innanzi tutto con maggior attenzione alla nostra area geografica, il Mediterraneo, in cui proiettare gli scenari possibili. Una regione del globo, peraltro, particolarmente sensibile agli effetti del cambiamento climatico, ed esposta ad alcune dele minacce più gravi ad essi collegate. La seconda deve inoltre concentrarsi sulla dimensione del loro impatto a livello economico, politico e di sicurezza. Gestione della crisi e nuove tecnologie dovranno procedere di pari passo, integrate, esattamente sulla linea di mitigazione e adattamento di cui ho recentemente trattato.

I prossimi anni potrebbero purtroppo portarci sempre più di frequente di fronte ai rischi e alle conseguenze dirette dei fenomeni legati al cambiamento climatico. Non solo a livello di sicurezza ambientale. Aumentare il livello di consapevolezza, sulla complessità del tema ma anche sulle diverse ricadute che può avere è a dir poco indispensabile, al fine non solo di aumentare la coscienza della sua importanza nell’opinione pubblica ma anche per poter sviluppare misure di mitigazione degli effetti o di prevenzione dei rischi sempre più efficaci. Questo argomento rappresenta oggi un tema di grande attualità, che attraversa diverse discipline e coinvolge molteplici interessi, mostrando un impatto significativo su scala globale. Con un’attenzione particolare sul Mediterraneo, emerge come un'opportunità per sviluppare nuovi progetti di collaborazione e iniziative di cooperazione tra le coste di questa regione.

Ad oggi, le nostre risposte, di fatto, non sono molto più efficienti di quelle dei nostri antenati europei, che pure non capivano la situazione: sono caotiche, improvvisate, imbastite di malavoglia a ridosso di catastrofi sempre più frequenti, immancabilmente viziate dall’obiettivo a breve termine della crescita economica e della conservazione dell’attuale grado di benessere. Perdiamo di vista la necessità di adattarci al nostro ambiente naturale, come tutti gli organismi viventi, specialmente quando alcune tipologie di risorse alimentari iniziano a scarseggiare, e il fatto che il processo di adattamento porta necessariamente con sé trasformazioni supplementari destinate a influire su tutti gli aspetti della nostra esistenza e del nostro pensiero. Ci attendono rivolgimenti importanti, per cui faremmo meglio a sfruttare fin da ora il privilegio evolutivo che ci è stato concesso, cioè la capacità di progettare.

Oggi come allora la crisi colpisce innanzitutto i presupposti economici della nostra esistenza materiale. Alla fine del XVI secolo, quando iniziarono i primi effetti della piccola era glaciale, si trattava della produttività della cerealicoltura, oggi dello sfruttamento delle risorse naturali, condotto al limite estremo, e forse già molto oltre. I costi ecologici e i rischi connaturati alla produzione e alla promozione delle fonti di energia fossili e delle relative materie prime aumentano vertiginosamente, mentre le prime vittime del riscaldamento globale della crosta terrestre sono già costrette ad abbandonare le loro terre d’origine. Il rischio di depauperare il pianeta al punto da non poter più sopravvivere (e da trascinare con noi nell’estinzione anche le altre specie viventi, processo in corso!) si è fatto oggi concreto. La soluzione che in età moderna ci ha permesso di sopravvivere alla precedente crisi climatica, la crescita economica fondata sullo sfruttamento, si è trasformata in una minaccia per la nostra esistenza.

Anche se fiduciosi nel progresso e nella tecnologia il rischio di fallire, o comunque di adattarsi a danno di centinaia di milioni di esseri umani, è altissimo. Ma anche le previsioni più caute, quelle che parlano di un aumento delle temperature mondiali pari a circa due gradi, votano le nostre società a trasformazioni ancora inimmaginabili. Tutto cambia. I flussi migratori, le lotte per la ridistribuzione, le guerre e gli scontri che ci attendono nei prossimi decenni sconvolgeranno le nostre società e le trasformeranno. Solo una minima parte di quei conflitti, però, verrà combattuta con le armi in pugno, perché il fulcro di quelle tensioni a venire è la rivalità tra due sogni, espressione di gruppi di interesse in contrasto.

Il cambiamento climatico inasprirà il conflitto tra le due grandi metafore politiche più in voga, i due sogni. Quello liberale ispirato dagli ideali illuministi (che hanno comunque saputo ottimamente convivere con schiavismo e sfruttamento) o quello autoritario, sempre più diffuso, che accomuna uno spettro quanto mai eterogeneo di soggetti, dal momento che il suo carattere distintivo è la retorica del noi e gli altri. È la fazione dei delusi, di chi è rimasto travolto, degli sradicati, di quelli che hanno già perso qualcosa e di chi teme di perderlo (specialmente nel mondo del benessere). Persone che non appartengono agli strati dell’élite e diffidano delle élite e dei processi politici, della democrazia, dei media. Si considerano vittime di un complotto, si sentono umiliate. Riescono a fare chiarezza sul mondo solo a partire da una distinzione netta tra sé e certi altri gruppi. Si sentono minacciate e reagiscono di conseguenza: per questo hanno bisogno innanzitutto di un nemico. Gli sviluppi dei prossimi decenni e il clima di instabilità politica che li accompagnerà spingeranno sempre più persone nel campo del sogno autoritario. Il cambiamento climatico e l’automatizzazione renderanno ancora più penalizzanti le pressioni che gravano sulle nostre società, spingendole al cambiamento. Al tempo stesso lo scenario politico non offre opzioni risolutive, né gli elettori sembrano disposti ad appoggiare il nuovo. Al contrario, aspirano alla conservazione dello statu quo. Il conflitto tra il sogno liberale e il contro-sogno autoritario è destinato a farsi sempre più intenso, più radicale, più violento. I valori dell’uguaglianza e della libertà intesi come prerogative innate di tutti gli esseri umani verranno sempre più duramente contestati e messi in dubbio.

La posta in gioco? L’umanità.

Ricordando un antico proverbio Navaho che recita che «noi non ereditiamo la terra dai nostri padri ma la prendiamo in prestito dai nostri figli» ribadisco che siamo la prima generazione nella storia del genere umano ad avere un’idea piuttosto precisa dell’eredità che toccherà in sorte ai nostri posteri.

Usiamo queste informazioni per lasciare loro un pianeta diverso. 

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Segnalo inoltre un interessante articolo del Ten. Col. Gianfranco Pino dell'Arma dei Carabinieri, e che di recente ha frequentato il corso “Climate Security & Defence”, tenuto dal NATO CCASCoE.


[1] Anche se numerose sono le fonti che utilizzano il concetto di “cambiamenti climatici” al plurale, perché ritenuto più inclusivo e accurato a sottolineare la complessità del fenomeno, personalmente preferisco il singolare “cambiamento climatico”, dall’originale Climate Change introdotto nel 1992 con la nascita di UNFCCC. In origine utilizzato come riferimento al riscaldamento globale è mia opinione che il cambiamento, per quanto complesso, sia unico come causale di molteplici conseguenze.

 


Smascherare la negazione del cambiamento climatico: una confutazione punto per punto

 

Sulle pagine di questo blog ho affrontato l’argomento del negazionismo talmente tante volte da non averne quasi più memoria. Eppure ancora una volta, dopo essermi imbattuto nei sostenitori dei soliti luoghi comuni, ripetuti come in un disco rotto,  mi è sembrato opportuno realizzare questo post che, come una sorta di vademecum, possa aiutare e soprattutto aiutarmi, ogni qual volta debba fornire risposte sintetiche ma argomentate. Anche come semplice divulgatore, dedicandomi ad una chiara comunicazione ambientale, mi imbatto dunque spesso in miti persistenti e affermazioni fuorvianti sul cambiamento climatico. Questi argomenti, anche se spesso smentiti da solide prove scientifiche, continuano a seminare dubbi e a ostacolare un'azione urgente, generando soprattutto inazione, pericolo direttamente derivato dai tentativi di deviazione dalla realtà scientificamente dimostrata. È fondamentale affrontare direttamente queste idee sbagliate, armandoci di fatti e comprensione per promuovere una discussione informata e accelerare la nostra risposta collettiva alla crisi climatica. Questo post mira quindi a smantellare sistematicamente le argomentazioni più comuni sulla negazione del cambiamento climatico con confutazioni chiare e scientificamente supportate.

Ho inoltre aggiunto numerosi richiami a miei post precedenti od a siti esterni su cui verificare dati ed affermazioni; allo scopo di approfondire la tematica riassunta, più o meno direttamente e per mettere ordine, in maniera ortodossa, al caos e alle banalizzazioni. Ah! Ovviamente il sottoscritto e tutti gli autori delle fonti esterne siamo in combutta!

Argomento 1: "Il cambiamento climatico è naturale: la Terra è sempre cambiata"

Confutazione: mentre è vero che il clima della Terra ha sempre sperimentato cicli naturali di riscaldamento e raffreddamento nel corso della sua storia, l'attuale tasso e l'entità del riscaldamento non hanno precedenti nella storia umana. I cambiamenti climatici del passato sono stati principalmente guidati da fattori come le variazioni dell'orbita terrestre (cicli di Milankovitch), l'attività solare o le grandi eruzioni vulcaniche, che si sviluppano nel corso dei millenni.

L'attuale riscaldamento non può essere spiegato da questi fattori naturali. Le prove scientifiche lo collegano inequivocabilmente al drammatico aumento dei gas serra nell'atmosfera, in particolare del biossido di carbonio (CO2), a partire dalla rivoluzione industriale. I dati delle carote di ghiaccio mostrano che le concentrazioni atmosferiche di CO2 sono aumentate da circa 280 parti per milione (ppm) preindustriali a oltre 420 ppm oggi (anzi, di recente si è superata la soglia delle 430 ppm), un livello che non si vedeva da almeno 800.000 anni e il tasso di aumento più rapido mai registrato (National Oceanic and Atmospheric Administration, NOAA). L'analisi isotopica di questo CO2 atmosferico conferma la sua origine nella combustione di antichi combustibili fossili, distinguendolo dal CO2 presente in natura.


Affermare quindi che il clima è sempre cambiato, con modalità del tutto naturali, è corretto. Non lo è invece fare questa affermazione per giustificare il cambiamento climatico in atto.


Argomento 2: "I modelli climatici sono inaffidabili e non possono prevedere il futuro"

Confutazione: i modelli climatici sono sofisticati strumenti computazionali costruiti su leggi fondamentali della fisica, della chimica e della biologia, sul concetto generico di modello scientifico si veda qui. Non sono sfere di cristallo perfette, ma sono incredibilmente potenti per comprendere sistemi complessi. Questi modelli hanno una solida esperienza:
  • Successo dell'hindcasting: hanno "retroceduto" con successo i cambiamenti climatici del passato, riproducendo i record storici di temperatura osservati, la fusione dei ghiacci e l'innalzamento del livello del mare. Anche i modelli delle previsioni meteorologiche funzionano così: elaborare un modello e applicarlo ad una serie di fatti accaduti nel passato per vedere se i dati previsti dal modello coincidono con le misure. Se così, da quel momento in poi quel modello sarà applicato ogni qual volta i dati derivanti dalle misurazioni assumono quella determinata condizione, prevedendo quanto accadrà.
  • Accuratezza predittiva: molte delle prime previsioni dei modelli climatici, fatte decenni fa, sono state in gran parte confermate da osservazioni successive, tra cui l'andamento generale della temperatura globale. Così procede la scienza, che si nutre inoltre dei suoi stessi errori.
  • Miglioramento continuo: i modelli vengono continuamente perfezionati con più dati, una maggiore potenza di calcolo e una comprensione più profonda dei sistemi terrestri. Mentre i singoli modelli possono avere lievi variazioni, il consenso su un insieme di modelli indipendenti prevede costantemente un riscaldamento significativo in presenza di continue emissioni di gas serra. Questi modelli non si limitano a prevedere la temperatura ma proiettano inoltre cambiamenti nei modelli di precipitazione, eventi meteorologici estremi, acidificazione degli oceani e altro ancora.

Argomento 3: "Gli scienziati stanno fabbricando dati: è una cospirazione, un falso"

Confutazione: questa è un'accusa grave e infondata che ignora la natura rigorosa dell'indagine scientifica. Il consenso scientifico sui cambiamenti climatici causati dall'uomo non si basa su un singolo studio o su un piccolo gruppo di scienziati, ma su decenni di ricerca indipendente condotta da migliaia di scienziati in centinaia di istituzioni in tutto il mondo. La rete di misurazione ed analisi è composta da migliaia di componenti sparsi in tutto il mondo, spesso indipendenti l’uno dall’altro: un controllo in malafede di tutto ciò è impensabile. La ricerca scientifica moderna, da diversi decenni a questa parte e ancor di più a partire dalla nascita del web, è fatta da una intricata rete di relazioni all’interno e tra gruppi di lavoro, pubblicazioni sottoposte a verifica. Se davvero, come pensano molti negazionisti, esistessero questi cosiddetti scienziati disonesti, verrebbero smascherati pressoché immediatamente. 

  • Peer Review: i risultati scientifici sono sottoposti a un rigoroso processo di revisione e controllo, in cui altri esperti esaminano metodi, dati e conclusioni, prima della pubblicazione.
  • Verifica indipendente: le principali tendenze climatiche (ad esempio, l'aumento delle temperature, la fusione dei ghiacci, l'innalzamento del livello del mare) sono confermate da più set di dati indipendenti provenienti da satelliti, stazioni di terra, boe oceaniche e altre fonti. Sarebbe logisticamente impossibile per una cospirazione globale di questa portata fabbricare dati in modo coerente attraverso così tante misurazioni indipendenti e diverse discipline scientifiche.
  • Trasparenza: la moderna scienza del clima enfatizza la trasparenza dei dati, con set di dati spesso disponibili al pubblico per il controllo e la rianalisi.

Argomento 4: "Dove sono fa freddo: il riscaldamento globale non sta accadendo"

Confutazione: questo argomento confonde il tempo con il clima.
  • Il tempo si riferisce alle condizioni atmosferiche in brevi periodi (da ore a giorni) in un luogo specifico (ad esempio, "Il tempo di oggi è freddo e nevoso").
  • Il clima si riferisce ai modelli a lungo termine e alle medie delle condizioni meteorologiche nel corso di decenni o secoli in una regione o nel globo (ad esempio, "Il clima dell'Artico si sta riscaldando rapidamente").

Così come speranza e aspettativa anche meteo e clima sono due cose completamente diverse, e lo si è ribadito spesso. Il famoso matematico e meteorologo Edward Lorenz diceva che “Il clima è ciò che ti aspetti, il meteo è ciò che ottieni”. Una singola ondata di freddo o un inverno particolarmente nevoso non annullano la tendenza generale a lungo termine del riscaldamento globale. In effetti, alcuni studi suggeriscono che un Artico in riscaldamento può interrompere il vortice polare, portando a focolai di freddo più estremi nelle regioni a media latitudine. La temperatura media globale continua ad aumentare, con il 2023 e il 2024 che sono stati gli anni più caldi mai registrati, e l'ultimo decennio che è stato il decennio più caldo mai registrato (Organizzazione meteorologica mondiale, WMO).

Argomento 5: "Il CO2 è un gas in traccia: non può avere un impatto significativo"

Confutazione: sebbene il biossido di carbonio costituisca una piccola percentuale dell'atmosfera terrestre (circa lo 0,04%), la sua struttura molecolare lo rende un potente gas serra. Anche in tracce, gas come CO2, metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) sono incredibilmente efficaci nell'assorbire e riemettere la radiazione infrarossa, intrappolando così il calore nell'atmosfera, un processo essenziale per rendere la Terra abitabile. Qui un approfondimento.

Anche se un componente irrisorio del complesso sistema atmosfera ha un ruolo cruciale. Pur essendo il vapore acqueo il gas serra più abbondante, la sua concentrazione risponde in gran parte ai cambiamenti di temperatura. Il CO2 funge da manopola di controllo primaria per la temperatura terrestre; un aumento relativamente piccolo di CO2 può portare a un significativo effetto di riscaldamento, che innesca una retroazione (feedback) consentendo all’atmosfera di trattenere un quantitativo maggiore di vapore acqueo, amplificando ulteriormente il riscaldamento. Storicamente, anche piccoli cambiamenti nelle concentrazioni di CO2 sono stati associati a cambiamenti sostanziali nel clima terrestre. E, dal punto di vista della moderna ricerca scientifica, questa cosa era già nota nel XIX secolo.

Argomento 6: “Il CO2 non è inquinante: aumentando ci sta regalando un pianeta più verde”

Confutazione: si noti innanzi tutto il paradosso che emerge cercando di mettere insieme questa cosa con la precedente. Il CO2 è certamente il gas naturale più importante dopo l’ossigeno, carburante della fotosintesi clorofilliana e vederlo come elemento negativo è difficile anche da parte di chi ritiene vero il cambiamento climatico. In quantità non eccessive può tranquillamente essere respirato senza danni ma la sua concentrazione e il ritmo con cui cresce nel tempo sono problematici. Ovviamente è un gas necessario: agisce sia come cibo per i vegetali che come coperta che trattiene nella parte bassa dell’atmosfera parte del calore riemesso dalla superficie. Senza CO2 tutte le forme di vita vegetali morirebbero, venendo meno la base della catena alimentare e in brevissimo tempo la Terra diverrebbe una landa desolata, con una temperatura media del pianeta di circa -20 °C, anziché gli attuali +15 °C. Ed è su questo paradosso che si basa l’argomento: non possiamo vivere senza e nemmeno senza l’effetto serra da questo prodotto, ma contemporaneamente si rischia di mettere in pericolo l’intera umanità a causa del suo aumento rapido ed indiscriminato. Indipendentemente dalla composizione e dal comportamento di ogni singolo componente con effetto serra presente in atmosfera ad un aumento del CO2 non corrisponde una Terra più verde. La superficie di territorio ricoperta da foreste a livello globale si è ridotta del 10 percento in appena un decennio, e il 96 percento della deforestazione interessa le foreste tropicali (fonte Our World in Data) e così continuando in meno di 20 anni la foresta amazzonica emetterà più CO2 di quanta ne assorbe. Per concludere, è vero che in Europa, Nord America, Cina e Russia si è assistito negli ultimi anni ad un aumento della copertura boschiva e forestale: ma ciò è dovuto all’abbandono delle zone rurali e non all’aumento del CO2. Tagliare le emissioni di origine antropica significa ridurre l’eccesso di questo gas che, proprio a causa del suo aumento rapido, non riesce a rientrare nel normale ciclo del carbonio e non lasciare alberi e fitoplancton privi di nutrimento.


Argomento 7: "I vulcani emettono più CO2 degli esseri umani"
Confutazione: questo è un malinteso comune ed è di fatto errato. Sebbene i vulcani rilascino CO2, le loro emissioni sono una frazione molto piccola rispetto a quanto dovuto alle attività umane.

  • Emissioni antropiche: la combustione di combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) per l'energia, i trasporti e l'industria, insieme alla deforestazione, rilascia circa 35-40 miliardi di tonnellate di COall'anno (Global Carbon Project).
  • Emissioni vulcaniche: l'US Geological Survey (USGS) stima che tutti i vulcani del mondo, in media, rilasciano da 0,13 a 0,38 miliardi di tonnellate di CO2 all'anno. Considerando i valori maggiori siamo ad appena lo 0,01%. Ciò significa che le attività umane rilasciano almeno 100 volte più CO2 all'anno di tutti i vulcani messi insieme. Le principali eruzioni vulcaniche possono avere effetti di raffreddamento a breve termine a causa del rilascio di aerosol (anidride solforosa) e ceneri che bloccano la luce solare, ma il loro contributo a lungo termine al CO2 atmosferico e al riscaldamento globale è trascurabile rispetto alle emissioni causate dall'uomo.


Argomento 8: "Sono solo i cicli solari"
Confutazione: il Sole è la principale fonte di energia della Terra e le variazioni nella sua produzione possono certamente influenzare il clima. Tuttavia, l'attività solare è stata monitorata attentamente per decenni dai satelliti. Queste misurazioni mostrano che:

  • Produzione solare stabile: negli ultimi 40 anni, mentre le temperature globali sono aumentate drasticamente, la produzione di energia del sole è rimasta relativamente costante o addirittura ha mostrato una leggera diminuzione (NASA, NOAA).
  • Se l'aumento della produzione solare fosse la causa principale dell'attuale riscaldamento, ci aspetteremmo di vedere un riscaldamento in tutta l'atmosfera, compresa l'atmosfera superiore (stratosfera). Invece, le osservazioni mostrano il riscaldamento nella bassa atmosfera (troposfera) e il raffreddamento nella parte superiore dell'atmosfera. A comprovare quindi il riscaldamento dovuto ai gas serra, in cui il calore è intrappolato più vicino alla superficie terrestre, mentre la stratosfera, che in genere irradia calore, si raffredda a causa della minore fuoriuscita di calore dal basso.

Conclusione
Le prove scientifiche del cambiamento climatico causato dall'uomo sono schiaccianti e provengono da molteplici linee di indagine indipendenti. Gli argomenti presentati dai negazionisti del cambiamento climatico sono costantemente confutati da una rigorosa ricerca scientifica. Accettare la scienza del clima non è una questione di convinzioni politiche, ma un riconoscimento di fatti empirici. Comprendere questi fatti è il primo passo per promuovere un discorso pubblico informato e potenziare un'azione efficace per il clima. Andiamo oltre la negazione e lavoriamo in modo collaborativo per mitigare gli impatti del cambiamento climatico e costruire un futuro sostenibile per tutti.

A breve cercherò di dedicare un post specifico all'argomento della supposta manipolazione complottista, approfondendo molte delle tematiche trattate qui e fornendo ulteriore materiale.
Nel frattempo nel post successivo ho cercato di mettere in evidenza gli aspetti dedicati alla sfida strategica che ci attende e alle indicazioni che ci vengono dal passato.