Opporsi alla negazione del tempo

 

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In un paio di occasioni ho avuto modo di ricordare un antico proverbio Navaho che dice, più o meno «noi non ereditiamo la terra dai nostri padri ma la prendiamo in prestito dai nostri figli». A questo aggiungo che, non so dirvi quale gruppo etnico, c’è un antichissimo popolo africano che il passato lo vede davanti a sé, ed è il futuro ad essere, ignoto, alle proprie spalle. Notevoli visioni del tempo. Una visione del mondo comprensiva del tempo e politemporale. Capire come le cose sono diventate così come sono, cosa è scomparso e cosa no, consente di riconoscere la differenza tra l’effimero e l’eterno, così come capire che una città giunge fino a noi anche grazie alle modifiche, talvolta distruttive, e non nonostante. Non esiste una sola versione del mondo e questo lo si capisce meglio invecchiando: forse è per questo che i geologi, che siano professionisti o ricercatori, migliorano e danno il massimo invecchiando maturando gradualmente, al contrario di altri scienziati di eminenti settori che danno il massimo a vent’anni. Convinti, erroneamente, che la Natura sia qualcosa di estraneo, muta ed immutabile rispetto a noi, non riusciamo a comunicare, ad ascoltare i messaggi che continuamente manda.

E continuiamo ad agire come se non ci fosse un domani
Ho di recente letto e recensito il bel libro di Marcia Bjornerud, una geologa. “Il tempo della Terra. Come pensare da geologo può aiutare a salvare il mondo”, e indipendentemente dal sottotitolo, non a caso, ho rafforzato la convinzione, ottimamente e splendidamente raccontato dall’autrice (leggete la recensione!), che davvero la geologia può aiutare a sviluppare la consapevolezza che il passato e il futuro sono importanti tanto quanto il presente. E qualcosa su questo ho già scritto nel mio post precedente, sempre ispirato da questa lettura.

È come si avesse il potere di sfogliare a caso un qualsiasi libro e nonostante ciò si riesca a comprenderne l’intero contenuto, mettendo insieme i pezzi in un continuum esso stesso fatto di tempo. Raccogliere quindi la saggezza e l'intuizione che derivano da un radicale cambiamento di prospettiva. Un'acuta consapevolezza di come il mondo sia fatto da, anzi, fatto di, tempo, la capacità sensoriale che il passato e il futuro siano importanti e presenti tanto quanto, scusate il gioco di parole, il presente. Non ci vuole molto: basta una base, anche essenziale, di pensiero geologico.

Purtroppo, nonostante coltivare questo senso del tempo sia fondamentale, la nostra cultura è afflitta da quella che lei chiama «un'analfabetismo temporale pervasivo, ostinato e pericoloso» insistendo sul momento presente, qui ed ora, imponendo che sia più importante di qualsiasi altro momento nel tempo. E, per dimostrarlo, inizia fin dalla prima pagina con una sezione dove racconta la negazione del tempo. Intere industrie che sono costruite sulla nostra paura di invecchiare o apparire vecchi. Negazionisti del tempo, credenti nel mito della creazione e che non riescono ad accettare che la Terra sia molto più vecchia di quanto insistono che sia. Ma nessuno di noi è immune perché la nostra società è praticamente costruita sul momento presente: politica ed economia, con la fissa dei piani al massimo biennali o dell’anno fiscale, e delle crescite anno su anno, incoraggiano il pensiero a breve termine, senza considerare affatto il valore del processo, dello sviluppo e della maturazione, sminuendo persino il valore dell’istruzione, esempio illustre di investimento a lungo termine. E la tecnologia digitale, che agisce così istantaneamente che indebolisce la nostra presa sulla struttura del tempo. I social! Un diluvio di post, feed, rilanci e tag il cui valore temporale è immediato, notizie non mediate svolte in tempo reale, leggere qualcosa che duri più di cinque minuti diventa addirittura insopportabile.

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Abbiamo bisogno invece di comprendere la Terra più intimamente che mai ora, e per questo una visione del tempo che sia in grado di vedere e integrare il Tempo Profondo della Terra, mentre la cambiamo in modi senza precedenti. E quanto più si conosce la lunga storia della Terra quanto più terrificante appare quel che l’umanità è riuscita a combinare, sia da quando è parte integrante del pianeta, 300.000 anni stando alle conoscenze attuali, sia nel giro di un paio di secoli o poco più (qui un punto di partenza)! Una visione più concreta del tempo, che si allontana e guarda l'intera vita della Terra da una posizione distante, porta naturalmente ad adottare processi decisionale più sani e a lungo termine per il futuro, persino nel caso in cui, cosa aborrita dalla maggioranza dell’umanità, quando non se conosca se e quando ci sarà un tornaconto.

Persino le rappresentazioni comparative, come quella precedente, per quanto corrette, non consentono una vera comprensione del nostro posto nel tempo. Come quelle che rapportano i 4,5 miliardi di anni di storia della Terra a 24 ore, con tutta la storia dell’umanità sviluppatasi nell’ultima frazione di secondo prima della mezzanotte. Una proporzione concettualmente sbagliata e addirittura irresponsabile. Primo perché comunica un certo livello di insignificanza e di perdita di valore che non solo è psicologicamente alienante, ma che ci consente anche di ignorare l’entità dei nostri effetti sul pianeta in quella frazione di secondo, anzi, nonostante quella sola frazione di tempo! Oltre che negare le nostre profonde radici e il nostro legame con la storia della Terra. Cosa accadrà dopo la mezzanotte?

La vera prospettiva è qualcosa che possiamo ottenere solo familiarizzando con la geologia, afferma la Bjornerud, perché «sondare il tempo profondo è probabilmente il più grande contributo della geologia all'umanità».

Nel mio caso, ovviamente, sta predicando ai convertiti. Sono quello che si potrebbe definire un geologo mancato; ma non ho mai perso la passione per la materia e adesso, da pensionato con tanto tempo libero, ho preso a coltivarla di nuovo. C’è sempre qualcosa di magico nell'idea di scansionare una formazione rocciosa o un paesaggio e leggerlo per scoprire quali cose grandiose erano accadute nel suo passato. Bjornerud scrive che «Le rocce non sono nomi, ma verbi» e ancora, bellissimo «Per i geologi ogni affioramento è un portale verso un mondo precedente».

Purtroppo, come ebbe a dire decenni fa un compagno di studi, i geologi, nella migliore delle ipotesi? Ci scambiano per archeologi.

Affrontare la natura del tempo geologico significa quindi affrontare il fatto che l'umanità è incredibilmente fragile. Ciò che ci insegna il pensiero sul Tempo Profondo ci spinge come specie a comprendere le nostre azioni, ad assumerci la responsabilità di esse, a pianificare saggiamente il futuro e ad affrontare la mortalità: non sono questi indicatori di un’età adulta matura?

«Come conducenti inesperti ma troppo sicuri di sé, acceleriamo in paesaggi ed ecosistemi senza avere idea dei loro consolidati schemi di traffico, e poi reagiamo con sorpresa e indignazione quando affrontiamo le sanzioni per aver ignorato le leggi naturali».

Sono state scritte molte biografie geologiche del nostro pianeta, ma quest’interpretazione è decisamente unica.

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Riferimento bibliografico:
Marcia Bjornerud "Timefulness: How Thinking Like a Geologist Can Help Save the World", 2018

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