La fortuna aiuta le menti preparate

a tutti i nati oggi, per il loro futuro
Premessa
Speranza e aspettativa sono due cose diverse. In altre occasioni su queste pagine (qui e qui, ma anche qui) si è messo in evidenza come il cambiamento climatico in atto porti, oltre ad una serie di interrogativi tuttora irrisolti, ad alcune conseguenze che possono essere definite certezze, nonostante il futuro possa presentarsi sotto forma di alternative tra scenari probabili, plausibili o possibili, con linee di confine ben poco nette. 

Uno dei paradossi più inquietanti e sgradevoli che emerge è che, considerando che le prime regioni a sperimentare già da ora il riscaldamento globale su base annua sono quelle tropicali ed equatoriali, esse includono le nazioni che meno hanno contribuito alle cause scatenanti: Nicaragua, Ghana, Kenya, Bangladesh, Zambia, Gambia, Madagascar, Etiopia, Mali, Cambogia, Ciad e India tra i tanti, tutti paesi da emissioni annuali zero virgola. E sono quelle meno in grado di attenuare gli effetti del riscaldamento globale.

Se vi sorprende l’aver inserito l’India date un’occhiata al grafico interattivo seguente. Indubbiamente è la Cina il paese ad emettere la maggior parte di quelle circa 36 miliardi di tonnellate l’anno di CO2, ma ha iniziato da pochissimo tempo, e quindi, dal punto di vista delle responsabilità, gli USA sono al primo posto come maggior responsabile  individuale, considerando il totale delle emissioni nel tempo. Spesso poi si sente parlare dell'India come paese tra i più preoccupanti ma delle due l'una: o ha appena iniziato o, nonostante sia popoloso quanto la Cina, ha ancora un substrato economico in maggioranza tutt'altro che industrializzato. 

Di conseguenza il suo contributo alle emissioni è scarso e pressoché nullo in confronto ai danni diretti che subirà dal cambiamento climatico.

Osservate per tutti la flessione del 2020: effetto COVID.

Nella mappa interattiva successiva ci sono invece le emissioni pro capite, con dati aggiornati al 2022. E’ cromaticamente evidente che i paesi individuati nella fascia equatoriale e tropicale, soprattutto l’Africa subsahariana, sono quelli che meno emettono in termini di CO2 (e altri gas serra), ma che saranno quelli che più soffriranno: il cosiddetto mondo occidentale dovrà necessariamente prepararsi all’accoglienza. Nella stessa mappa lasciano piuttosto perplessi i tassi pro capite superiori alle 20 t annue di paesi come gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait o…il Brunei!

Può essere utile visualizzare anche il grafico (cliccare su chart) per avere la visione di come le emissioni pro capite siano cambiate nel tempo, paese per paese, con alcuni andamenti controtendenza. Dal menu a tendina in alto a destra è possibile selezionare e visualizzare i dati dei singoli continenti.

Località…globali
Così come speranza e aspettativa anche meteo e clima sono due cose completamente diverse, e lo si è ribadito spesso. Il famoso matematico e meteorologo Edward Lorenz diceva che “Il clima è ciò che ti aspetti, il meteo è ciò che ottieni[1].

Gli eventi meteorologici sono localizzati nel tempo e nello spazio: una nevicata in giugno non significa che si sta andando verso un’era glaciale, né una giornata particolarmente calda a fine gennaio è prova di riscaldamento globale. In altre parole è come un’analisi sociologica in grado di mediare su grandi numeri di esseri umani pur sapendo che, presi singolarmente, potrebbero comportarsi imprevedibilmente.

Ma persino un qualche tipo di evento meteorologico, come la temperatura in una determinata ora del giorno, la quantità di millimetri di pioggia caduta o il valore della pressione atmosferica, se cumulati a formare una base di dati sufficientemente grande da poter applicare la cosiddetta legge dei grandi numeri, sono stati in grado di fornire un’evidenza statisticamente significativa del cambiamento climatico in atto, a partire da dati giornalieri.

La cosa più difficile da realizzare in questi casi, allo scopo di ottenere un segnale chiaro che dimostri una determinata tendenza, è isolare il rumore. Negli eventi meteo di una singola località, ad esempio, la temperatura può variare di decine di gradi rispetto alla media misurata in un intervallo temporale sufficientemente lungo.


La figura precedente (lo studio completo, del 2020, è disponibile su Nature) illustra in modo evidente quanto è venuto fuori da studi di questo tipo. Sono stati utilizzati due modelli e due metodi di analisi statistica basati su altrettanti archivi di dati diversi, ma è chiaro che sia il primo che il secondo abbiano fornito risultati sovrapponibili (gli istogrammi in a,b e in c,d rispettivamente).

Nella colonna di sinistra ci sono le registrazioni della variazione di temperatura giornaliera in una località e confrontata con la temperatura giornaliera media, mentre a destra ci sono i risultati dei dati raccolti per un intervallo di molti giorni, allo scopo di ottenere una buona statistica per la distribuzione media delle variazioni giornaliere della temperatura locale.

Il fatto che in entrambi i grafici, indipendentemente dal modello, ci siano distribuzioni tipicamente normali è atteso, a significare qualità dell’analisi e inoltre, come ci si aspetta, la distribuzione delle variazioni di temperatura media in un singolo giorno per una singola località è molto più ampia della distribuzione delle variazioni registrate nello stesso giorno ma mediate globalmente.

Insomma, il vecchio proverbio inglese che dice che la Gran Bretagna ha un tempo orribile ma un clima fantastico torna ancora.

I risultati sono evidenti. Le distribuzioni di temperatura media giornaliera dei periodi 1951-1980 e 2009-2018, confrontate con i dati del periodo 1979-2005, sono tali da dimostrare che un giorno medio nel periodo 1951-1980 è stato più freddo che non nel periodo 1979-2005, mentre tra il 2009 e il 2018 il giorno medio è stato più caldo del medesimo periodo di riferimento.

Ci sono studi analoghi per regioni della Terra e per periodi diversi, ma i risultati sono i medesimi. Da questo punto di vista assumono grande valore quelli condotti nelle regioni citate in precedenza, tropicali o equatoriali, che godono di un rapporto segnale/rumore molto alto, ovvero hanno variabilità molto contenute rispetto ad altre aree del pianeta: non a caso durante la stagione calda ai tropici le previsioni meteo sono sempre le stesse.

Ed ecco che torna il messaggio citato all’inizio: le prime regioni a sperimentare fin d’ora il riscaldamento globale su base annuale sono quelle equatoriali e tropicali: il rapporto segnale/rumore per il riscaldamento globale sembra essere, e lo è, in relazione inversa con il livello di sviluppo di un paese.

La situazione non può che peggiorare. Entro il secolo, per quanto in media farà complessivamente più caldo ovunque, in queste regioni, che stanno già oggi sperimentando gli effetti del cambiamento climatico, rispetto al resto del pianeta, la temperatura media estiva sarà più alta per quasi il 100% del tempo rispetto all’estate più calda mai registrata.

Ci stiamo riferendo alle regioni con la più alta percentuale di malnutrizione, dipendenti fortemente dall’agricoltura, e che subiranno gli effetti più devastanti.

Sarebbe, sarà. Potrebbe, potrà.

In numerosi post su queste pagine ho messo più o meno direttamente in evidenza come, nonostante le famose risposte non lineari, che possono terrorizzare l’analista numerico, una simulazione può essere ridotta a piccolissimi intervalli di tempo durante i quali le risposte sono generalmente lineari, tenendo quindi sotto controllo il famigerato effetto farfalla, come ebbe a dire appunto il già citato Lorenz. Ma alla Natura i modellisti interessano poco: esistono senza dubbio meccanismi di risposta che influenzano il clima e sono difficili da modellare a causa delle variazioni improvvise che possono apportare. La chiave per risolvere tutto questo è saper riconoscere le incertezze. Le affermazioni fisiche che contengono incertezze sono quelle più virtuose.

Le predizioni fondamentali della climatologia sono basate su principi fisici ben consolidati: ciò basti a convincere che questa scienza non è una specie di vudù né che per comprenderne i significati e le conseguenze occorrano supercomputer. Cause, effetti e rischi di tali predizioni sono alla portata di tutti, e a tutti deve essere chiaro che la causa primaria è l’attività umana.

Nel già citato post precedente abbiamo visto come esistano dei già ben conosciuti “punti di non ritorno”, a cui possiamo aggiungere gli effetti su ecosistemi su vasta scala, quali ad esempio quelli dovuti all'acidificazione degli oceani, la fusione del permafrost, la deforestazione e molto altro ancora. Per quanto alcuni possano portare a disastri sul breve termine, mentre altri, come il potenziale scioglimento dei ghiacci della Groenlandia, richiederebbero forse secoli se non millenni, è la loro interazione che ha conseguenze spesso incerte. Un esempio viene da alcuni studi che dimostrano come, nella metà dei casi, il raggiungimento di un punto di non ritorno in un’area del pianeta innescherebbe un aumento del rischio in un’altra.

Pur essendo questi relativi al futuro come potrebbe, derivanti da scenari non direttamente modellabili, non possiamo trascurare l’impatto sul breve termine e, ancora una volta, emerge la necessità di un’azione politica globale perché globale è il problema.

Azione di cui non c’è traccia evidente.

Strategia

La Natura non fa piani, ed è indifferente sia alla nostra esistenza che a quella dell’intero pianeta. Ma noi umani sappiamo pianificare strategie per il futuro, capacità unica tra tutte le forme di vita. E soprattutto sappiamo sviluppare strumenti scientifici in grado di predire l’esito delle nostre azioni, oltre che strumenti tecnologici che ci danno un controllo senza precedenti sull’ambiente. Anche se è a causa delle nostre azioni se ci troviamo a questo punto non è detto che si sia sull’orlo di un precipizio: crisi è anche opportunità.

Per una frazione significativa degli esseri umani l’impatto del cambiamento climatico sarà devastante, già a breve termine. Ma ciò non deve farci assumere inutili e controproducenti posizioni catastrofiste, spesso strumentalizzate ora dall’una ora dall’altra corrente politica, né deve indurci all’inazione. Lo abbiamo visto durante la recente pandemia globale, in cui l’interconnessione dell’umanità si è manifestata pienamente e l’importanza di agire con urgenza di fronte all’evidenza è stata chiarissima. Possiamo avere maggiore o minore fiducia nei politici ma le persone razionali non hanno mai perso la fiducia nei confronti dei medici e degli scienziati che furono e sono in grado di stilare linee di azione per metterci in sicurezza.

Sono certo che scienza e tecnologica forniranno le risposte e i mezzi opportuni per mitigare gli impatti a breve termine e soprattutto per favorire l’adattamento al cambiamento. Anche se il futuro ci sta arrivando addosso come un treno fuori controllo lo fa su binari da noi costruiti. Se non si inizia davvero non sapremo mai se siamo ancora in tempo. Sono certo che scienza e tecnologia forniranno le risposte e i mezzi opportuni per mitigare gli impatti a breve termine e soprattutto per favorire l’adattamento al cambiamento. Anche se il futuro ci sta arrivando addosso come un treno fuori controllo lo fa su binari da noi costruiti. Se non si inizia davvero non sapremo mai se siamo ancora in tempo. Gli australiani, preoccupati per il flusso migratorio di qualche barchetta ogni tanto in arrivo dall’Indonesia, dovrebbero prendere coscienza seriamente del flusso di milioni di potenziali rifugiati climatici che, con le navi da crociera o con i mercantili, arriverà sulle loro coste, e sbarcheranno, fuori controllo. Lo stesso si può dire per l’opulento nord America nei confronti dei centroamericani, o per Europa, Turchia o repubbliche caucasiche nei confronti dei magrebini e delle popolazioni subsahariane. Perché saranno le regioni più povere ad essere maggiormente colpite, soprattutto se prive di aiuti e di accesso ad eventuali nuove tecnologie.

Diceva Pasteur: «la fortuna aiuta le menti preparate» (in questo post c'è un approfondimento su questo tema) e ciò, pur non essendo una garanzia offre solo maggiori probabilità che si arrivi ad avere risposte ed azioni concrete.

Capire la scienza del cambiamento climatico e i suoi effetti, ancorché probabili, è il primo passo per ottenere questa preparazione

Note bibliografiche:
Lawrence M. Krauss - La fisica del cambiamento climatico
Susan Solomon - Irreversible climate change due to carbon dioxide emissions
Our World in Data - CO₂ and Greenhouse Gas Emissions Data Explorer


[1] E’ lo stesso Lorenz che coniò la storica citazione: “Può un battito d'ali di una farfalla in Brasile causare un tornado in Texas?”

Il futuro è già qui - Tipping Point

Premessa

«E’ difficile fare delle previsioni, soprattutto sul futuro». Questa ironica affermazione, quasi paradossale, che l’abbia o meno davvero pronunciata Niels Bohr, uno dei padri fondatori della moderna fisica atomica (pare sia apocrifa), apre comunque a degli scenari da non sottovalutare affatto, anche se forse sarebbe opportuno fare previsioni solo su quel che accadrà tra dozzine di miliardi di anni, quando il cosmo sarà buio e freddo, e soprattutto senza nessuno a controllare la qualità del predetto.

Ma ci sono delle previsioni che, con altissima probabilità di accadimento, sono come affermazioni scolpite nella pietra. E queste generano a loro volta degli assunti che gli anglosassoni chiamano tipping point. Punti di non ritorno. Eccone alcuni relativi ad uno dei tanti effetti collaterali inequivocabili del cambiamento climatico: la fusione dei ghiacci[1].

Il ghiaccio galleggiante della banchisa fonde a causa del cambiamento climatico. Ma questo espone le acque sottostanti più scure, che quindi riflettono meno luce solare e ne assorbono di più, causando un ulteriore scioglimento del ghiaccio, e così via.
Sta succedendo nell'Artico.

Il ghiaccio delle calotte fonde e riduce l'altezza della calotta, ma la temperatura a quote più basse è più alta, dunque la sommità del ghiaccio scende di livello, si riscalda ancora di più e si scioglie più velocemente.
Sta succedendo in Groenlandia.

Le acque calde causano l'erosione delle piattaforme glaciali galleggianti e le frantumano, ma queste ultime facevano da contrafforte a enormi ghiacciai, che ora sono liberi di riversarsi in mare destabilizzando ulteriormente la calotta retrostante.
Sta succedendo in Antartide.

Quale futuro?

clip_image002Nel conosciutissimo racconto “Canto di Natale” di Charles Dickens è il Natale Futuro lo scenario più inquietante di tutti, perché prospetta a Scrooge le possibili conseguenze future, chiedendogli di impegnarsi affinché non accadano, col Natale Presente che lo invita da immaginare a ciò che potrebbero portare le scelte di quel giorno. Il Natale Passato è intoccabile, ciò che è stato è stato e nulla potrà cambiarlo, né sarebbe possibile cambiare alcune delle attuali e future conseguenze delle azioni compiute in passato.

Per quanto riguarda il futuro del riscaldamento globale siamo divisi tra scenari probabili, plausibili o possibili, spesso con linee di confine ben poco nette: ma la differenza tra ciò che sarà e ciò che potrebbe essere, come disse Dickens, è abissale.

Cosa accadrebbe se smettessimo di emettere gas serra adesso? Indipendentemente dalle considerazioni fatte in altri post, soprattutto in questo, sappiamo che la temperatura superficiale è aumentata di un grado nel secolo scorso, a causa dell’emissione di circa 450 Gt di carbonio in atmosfera; anche qualora smettessimo immediatamente, la maggior parte di quanto emesso resterà in atmosfera per lo meno fino al 3000. Salvo inventare nuove tecnologie, o perfezionare e rendere efficienti le tecniche di cattura e stoccaggio tuttora pressoché sperimentali. C’è un enorme inerzia planetaria che è coinvolta nel ciclo, soprattutto per quanto riguarda l’assorbimento da parte degli oceani, con cicli che superano i 1000 anni.

Nel mio precedente post abbiamo visto, dalla curva di Keeling, un aumento nel tenore di CO2 in atmosfera, di circa il 30 percento in 60 anni: lo 0,5% l’anno.

Certezze

Ma questo accadeva. Ci sono studi che dimostrano che, a partire dal 2008, i tassi annuali sono passati al 2% raggiungendo concentrazioni, tra il 2050 e il 2100 (praticamente domani…), tra le 450 e le 1200 ppm. Il grafico riassuntivo seguente è chiaro (in ascissa l’anno di riferimento): che ci si fermi subito (2050) a 450 ppm o si continui imperterriti fino a 1200 ppm (2100) si ha dapprima una rapida diminuzione di CO2 del 20 percento in circa un secolo, dovuta all’assorbimento da parte della biosfera, e che la restituirà circa un altro secolo dopo, ma passato questo periodo iniziale avremo comunque, dopo circa altri 1000 anni, il valore iniziale di 280 ppm (livello preindustriale) maggiorato di circa un 40% in eccesso. Studi simili dimostrano scenari analoghi pur partendo da ipotesi diverse. Ed ecco che il Natale Passato si affaccia per lo meno sulle prime due curve in basso, con picchi a 450 e 550 ppm, di un futuro che, in pratica, sembra essere già qui.

Passare da questi dati di concentrazione di CO2 pressoché certa, a scenari di aumenti di temperatura non è cosa semplice, ma assumere più che plausibile lo scenario riportato nel grafico seguente non è affatto sbagliato. Osservate le prime due curve, i soliti scenari a 450 e 550 ppm, con aumenti tra 1,5 e 2 °C (in ordinata le temperature sono espresse in gradi Kelvin, equivalenti ai centigradi). Vi ricorda qualcosa? E già, proprio quello, il famoso “Accordo di Parigi” della COP21 del 2015, accordo che, con il condizionale voluto, impegnerebbe a mantenere l’innalzamento della temperatura sotto i 2° e – se possibile – sotto 1,5° rispetto ai livelli preindustriali.

clip_image006

clip_image008Il messaggio è chiaro: l’aumento di temperatura relativamente recente coincide con le emissioni continue di CO2 degli ultimi 50 anni, ma si arresterà se queste cesseranno, prima possibile. Questo però non significa che la temperatura inizierà a diminuire in modo apprezzabile, anche qualora i livelli di biossido di carbonio dovessero diminuire lentamente nel corso del prossimo millennio. E questo perché gli oceani continueranno a scaldarsi impiegando molto tempo per rimescolare ed equilibrare il calore aggiuntivo accumulato dal pianeta. Per molte centinaia di anni dopo che il calore in eccesso sarà scomparso gli oceani continueranno a scaldarsi mentre le masse continentali si raffredderanno più rapidamente. Fatte le debite distinzioni, chi conosce il fenomeno dell’alternanza lungo le coste della brezza di mare alla brezza di Terra, avrà certamente compreso come il mare possa trattenere calore latente.

La figura illustra il fenomeno di questa sorta di inerzia planetaria, proprio e ancora una volta, a dimostrazione che la Terra non è soltanto un sasso al sole. Molto sarà dovuto alla distribuzione delle terre emerse rispetto agli oceani, e l’emisfero australe contiene molto più oceano e molta meno terra del boreale. Nella parte superiore della figura le variazioni relative di temperatura tra il 1850 e il 2105, da uno scenario di emissioni continue fino al 2100, mentre nella parte superiore tra il 2015 e il 2995. Inizialmente il riscaldamento avrà un impatto maggiore nell’emisfero boreale, molto più ricco in terre emerse, e soprattutto nell’Artico, dove un oceano poco profondo è circondato da terre emerse; ma centinaia di anni dopo (figura in basso) l’Artico avrà già iniziato a raffreddarsi mentre l’Antartide e l’oceano che lo circonda continueranno a scaldarsi ancora molto dopo che il biossido di carbonio avrà cessato di aumentare.

Nelle profondità oceaniche è trattenuto un enorme calore latente e si stima che se le emissioni non cesseranno prima del 2100 la temperatura media delle acque aumenterà fino a 3 °C.

E sale e salirà...

Ma c’è uno scenario certo. Quello in cui le emissioni cessavano nel 2010, col futuro che sarà, anzi peggio, visto che nel frattempo dal 2010 le emissioni sono proseguite. Un aumento di temperatura media degli oceani di 0,5 °C è scolpito nella roccia visto che questo calore è stato depositato nel corso dell’ultimo secolo.

Non amo essere plateale ma la differenza di temperatura misurata (ribadisco, mi-su-ra-ta) e confrontata tra il 2019 e la media 1981-2010, pari a 0,075 °C, corrisponde al calore prodotto da 3,6 miliardi di atomiche come quella di Hiroshima fatte esplodere nell’oceano: 5 esplosioni al secondo, 24 ore al giorno per 365 giorni negli ultimi 25 anni!

C’è un altro effetto scolpito nella roccia: l’espansione termica dell’acqua all’aumentare della temperatura.

Ogni volta che si parla aumento del livello medio dei mari a causa del cambiamento climatico si fa spesso riferimento solo alla fusione dei ghiacciai continentali, delle calotte polari e della Groenlandia. In realtà la causa principale dell’innalzamento del livello del mare in tempi recenti è dovuto all’espansione termica seguita all’aumento della temperatura degli oceani.

Ed ecco gli scenari, in analogia con i due grafici precedenti. Più tardi si smette più alta sarà la crescita del livello. E se 1 m o 1,5 m vi sembrano pochi vi ricordo quel che ho scritto in questo post, prendendo ad esempio il delta del Mekong.

Più della metà dell’effetto di innalzamento registrato ad oggi è causato dall’espansione termica e, mentre possiamo avere incertezze sulle modalità e le tempistiche che riguardano la fusione dei ghiacci, non ce ne sono in questo caso. Anche molto tempo dopo la cessazione delle emissioni di gas serra il livello del mare continuerà a salire.

clip_image010

Last but not least, come effetto indiretto causato dalla modifica delle correnti oceaniche, in parte dovuta alla variazione differenziale[2] della temperatura globale, dal rimescolamento termico di profondità e dall’aumento di acqua fredda proveniente dalla fusione dei ghiacci, si avrà inoltre una variazione della distribuzione geografica e temporale delle precipitazioni, con impatto significativo su varie regioni della Terra: pioggia e neve, siccità, inondazioni, stagioni monsoniche modificate o abolite, tutto rimescolato e cambiato.

Quaranta generazioni
E tutto ciò perché la CO2 resterà in atmosfera molto tempo dopo che le sue emissioni saranno cessate. Almeno 1000 anni.

La fonte dei grafici è tratta da un lavoro disponibile qui.

clip_image012La COP21 auspicava come minimo un tetto a 1,5 °C. Siamo già al 90% del percorso da fare per arrivarci e restano meno di 10 anni. E’ estremamente probabile che l’obiettivo resti utopia. La stessa COP più realisticamente parlava di 2 °C. Indipendentemente dai pretestuosi messaggi che dichiarano inapplicabile economicamente tale obiettivo se continuiamo a rimandare di anno in anno i tentativi di limitare l’aumento di temperatura dovuto all’effetto serra, diventerà sempre più difficile, e sempre più costoso, raggiungere l’obiettivo.

Lasciamo, ancora una volta, la parola ai grafici, implacabili.

clip_image014

Il diagramma precedente è detto a “pista da sci” (un approfondimento qui).

Se vogliamo restare entro i 2 °C di aumento rispetto ai livelli preindustriali con una probabilità del 66% abbiamo che: se avessimo iniziato nel 2011 (pista da principianti) avremmo dovuto tagliare le emissioni del 3,7% l’anno, nel 2015 (intermedia) del 5,3% l’anno e infine, nel 2020 (esperti) del 9% in meno ogni anno! Inesorabilmente siamo già al 9%.

Ed ecco la situazione simile con proiezioni fino al 2035. Più si aspetta più la pista da sci si trasforma, continuando ad usare il linguaggio di questo sport, in un difficilissimo muro insuperabile.

Anche qualora le emissioni si stabilizzassero, senza aumentare né diminuire, dovremo fermarle del tutto, cosa ovviamente del tutto impossibile.

clip_image016

Una di quelle curve è il futuro e tanto minore sarà l’impegno politico nei confronti del cambiamento climatico tanto peggiore saranno gli scenari futuri, dal mantenere tutto così com’è fino all’attuale e forse irrealizzabile obiettivo di sostenere un aumento di 3,6 °C!

clip_image018

clip_image020I numeri dimostrano in maniera inequivocabilmente convincente che le emissioni di gas serra di origine antropica non sono insignificanti su scala geologica globale. Nel giro di 200 anni gli esseri umani avranno emesso un quantitativo di CO2 doppio rispetto a quello presente in atmosfera per gran parte dell’arco temporale coperto dai dati geologici.

I due grafici successivi, tratti da “Climate Action Tracker” riassumono i concetti espressi.

Se, parafrasando il famoso film, a qualcuno piace caldo, non è questo il caso, nemmeno di riderci su.

 

clip_image022

clip_image024

Note bibliografiche:
Lawrence M. Krauss - La fisica del cambiamento climatico
Susan Solomon - Irreversible climate change due to carbon dioxide emissions
Our World in Data - CO₂ and Greenhouse Gas Emissions Data Explorer


[1] Nel testo e in questo blog si usa a volte il verbo “sciogliere” per indicare la fusione del ghiaccio. Tempo fa un "negazionista", volendo dimostrare di saperne più di me, ha tentato di deridermi facendomi notare che avevo usato il verbo sciogliere, o il sostantivo scioglimento, in alternativa a fondere o fuso, per parlare di fusione dei ghiacci. Sappiamo tutti che (di)sciogliere non è un passaggio di stato quel è invece fondere, ma non stiamo tanto a cavillarci su e accettiamone di buon grado l’uso comune. Anche in inglese si usa melt sia per sciolto che per fuso.

[2] Parti diverse del pianeta si scaldano e reagiscono diversamente nei modi e nei tempi.