Cambiamento climatico e global warming: c'è ancora chi sostiene che non tutto il male viene per nuocere? Direi che dopo lo scarso risultato (oserei dire un fiasco, nonostante le entusiastiche dichiarazioni, capolavoro di bizantinismo) ottenuto col documento di accordo dell'ultima COP, una trattazione del genere potrebbe anche diventare interessante.
Introduzione
Le voci
negazioniste hanno forme molteplici, le forme della bugia, dell’imbroglio,
della malafede e del complottismo. Senza ardire a proclamarne la verità
assoluta per non incomodare lo spirito di Popper, di contro la voce
scientifica, è una, chiarissima. La voce dei fatti incontrovertibili, delle
evidenze sperimentali, dei risultati matematici della modellizzazione, dei
confronti tra posizioni fino al consenso scientifico. Fortunatamente le prime sembrano avviarsi infine ad essere
sempre più flebili e arroccate sulle loro posizioni sbagliate tanto quanto e
tanto per iniziare, quanto quelle degli astrologi che credono che ancora oggi
tra gennaio e febbraio la Terra sia in Acquario[1].
Proprio grazie
al convincimento che è in atto un cambiamento climatico, in questo post, arriverò al paradosso della negazione o peggio,
dell’accettazione che tutto sommato non è così grave,
indirizziamo i nostri sforzi altrove, i problemi sono
altri! Dopotutto, di paradossi ne ho già trattato.
Con cambiamento climatico intendo quanto ribadito nel
documento UNFCCC, Art. 1, punto 2, cambiamento con forzante antropogenica, distinguendolo
dalla naturale variabilità climatica che ha segnato da sempre la storia della
Terra, di cui ad esempio ho trattato qui.
Le certezze hanno origini antiche
Si andava quindi alla ricerca
delle prove che potessero giustificare un simile cambiamento climatico.
Entro le prime decadi del XIX secolo, Jean-Baptiste Fourier, notissimo, e il meno noto Claude Pouillet, erano giunti a comprendere a sufficienza i meccanismi della termodinamica dell’atmosfera, su basi analitiche, ed i relativi processi di irraggiamento, nel 1822 il primo e nel 1838 il secondo. Fourier arriverà a sviluppare strumenti matematici potentissimi, lo sviluppo in serie per le funzioni periodiche, e la trasformata che porta il suo nome, per normalizzare le funzioni non periodiche: strumenti che nascono proprio per rispondere ad una questione termodinamica relativa al clima terrestre, proprio come Newton, in lite con Leibnitz, inventò il calcolo infinitesimale per supportare la sua visione del mondo[3].
Pouillet va oltre: riprendendo l’opera
di Fourier scopre che la temperatura superficiale della Terra è influenzata dal
diverso grado di assorbimento che l’atmosfera ha nei confronti delle due fonti
di calore, ovvero quello che viene essenzialmente dal Sole e quello che arriva
invece dalla superficie stessa; allo scopo di comprendere i motivi di questa
differenza si spinge a fare delle ipotesi sul ruolo che hanno il biossido di
carbonio o il vapore acqueo.
Verso la fine del XIX secolo, John Tyndall e Svante Arrhenius, rispettivamente nel 1861 e nel 1896, vanno oltre ed iniziano a misurare gli effetti concreti di alcuni componenti dell’atmosfera, componenti che Tyndall chiama radiativamente attivi e che da soli bastano a giustificare i cambiamenti climatici del passato della Terra. Rifà i calcoli centinaia di volte ma deve arrendersi di fronte all’evidenza: anche piccolissime quantità di biossido di carbonio hanno un fortissimo potere riscaldante.
Arrhenius, che era svedese e
temeva particolarmente gli effetti di un periodo glaciale sul suo paese, già
naturalmente esposto a climi freddi, riesce a calcolare gli effetti
proporzionali tra presenza di biossido di carbonio e tasso di riscaldamento e
si sofferma in particolare sugli aumenti della concentrazione di CO2
derivante dalle attività umane, sia come emissione diretta insieme ad altri
cosiddetti “gas serra”
(come vapore acqueo o metano) capendo che persino attività quali la
deforestazione hanno l’effetto di incrementare il tasso di biossido di carbonio
e ovviamente deducendone un aumento crescente delle temperature medie.
Guarda il lato positivo…
Ma quello che colpisce di più è
ciò che emerge in Arrhenius a seguito delle sue ricerche: una visione tutto
sommato positiva del futuro dell’umanità a seguito del
riscaldamento dell’atmosfera. Se l’obiettivo è evitare un ritorno a periodi
glaciali allora ben venga non tanto il ruolo naturale del CO2 in
atmosfera ma soprattutto il ruolo dell’umanità nell’emetterne notevoli quantità
addizionali, causare quindi un innalzamento globale delle temperature. Scrive:
«Spesso sentiamo lamentarci che il carbone immagazzinato nella terra è sprecato dalla generazione presente senza alcun pensiero per il futuro, e siamo terrorizzati dalla terribile distruzione di vite e proprietà che ha seguito le eruzioni vulcaniche dei nostri giorni. Possiamo trovare una sorta di consolazione nella considerazione che qui, come in ogni altro caso, c'è del bene mescolato al male. Per l'influenza della crescente percentuale di acido carbonico nell'atmosfera, possiamo sperare di godere di epoche con climi più equi e migliori, specialmente per quanto riguarda le regioni più fredde della Terra, epoche in cui la terra produrrà raccolti molto più abbondanti che nel presente, a beneficio di una rapida propagazione dell'umanità»
E ancora:
«Benché il mare, assorbendo l'acido carbonico, agisca come regolatore di grandi capacità, incorporando fino a 5/6 dell'acido carbonico prodotto dobbiamo riconoscere che la piccola percentuale di acido carbonico in atmosfera potrebbe, con l'avanzamento dell'industria, cambiare notevolmente nel corso di pochi secoli.»
Questa visione, molto comune e piuttosto diffusa fino ai primi decenni del XX secolo è, ribadiamolo, figlia del suo tempo, del timore del ritorno delle grandi glaciazioni.
In maniera non dissimile nel 1938 Guy Callendar calcola molto accuratamente gli effetti del riscaldamento. Con delle proiezioni fino al 2200 (!) l’ingegnere ed inventore inglese stima le emissioni umane di biossido di carbonio pari a circa 5 miliardi di tonnellate l’anno (Gt); siamo in realtà quasi a 40! Calcola per l’anno 2000 335 parti per milione (ppm) di CO2 e per il 2100 fino a 400 ppm; siamo a 420 (anno 2023), in anticipo di quasi un secolo. E, considerando inequivocabile il rapporto causa-effetto della concentrazione di CO2 sul riscaldamento, scrive:
«Si può supporre che la produzione artificiale di questo gas incrementerà considerevolmente nei prossimi secoli. E’ probabile che si dimostrerà benefico per l'umanità in molti modi, oltre che per la produzione di calore elettricità. Ma in ogni caso, grazie all'incremento delle temperature, il ritorno dei mortali ghiacciai dovrebbe essere ritardato indefinitamente.»
Ma torniamo a quella visione benevola, quella di Arrhenius che appunto da buon svedese, era oltremodo preoccupato da un ritorno di climi freddi, anzi freddissimi. Visione condivisa da molti suoi contemporanei.
Con riferimento alle popolazioni
che vivono in quella fascia del pianeta che ricade nella cosiddetta “zona
temperata boreale”, o poco più a nord, (più o meno la fascia verde
nell’immagine), questo ragionamento potrebbe anche andar bene. E a ben vedere è
quella fascia del pianeta che ha assistito per prima alla nascita
dell’agricoltura e delle prime civiltà, spandendosi in seguito a macchia d’olio
ed impiegando per farlo qualche millennio, restando sempre più o meno alle
stesse latitudini, dai territori della Mezzaluna Fertile fino agli estremi occidentali
dell’Europa e a quelli orientali del continente asiatico, come ci racconta
Jared Diamond nel suo bel libro “Armi, acciaio e malattie”. Tuttavia, quando si tratta di civiltà umane, non ci si
può accontentare delle sole cause climatiche per giustificare determinate
evoluzioni. L’esempio dell’ascesa e del declino dei vichinghi in Groenlandia
tra X e XIII secolo è uno dei tanti; quando il clima si fece più freddo la cosa
non diede particolarmente fastidio alle popolazioni indigene degli inuit, che
provenivano da nord. Questi traevano sussistenza da una cultura basata su
caccia e pesca, ed erano usi a vestire di pelliccia; i vichinghi erano agricoltori
e pastori, non abbandonarono mai la tradizione di vestire di stoffe, inadatte
al clima artico. Un altro esempio di imprevedibilità dovuta all’adattamento
umano ci viene da un recente studio del CNR.
Secondo i ricercatori, le
comunità archeologiche della Mezzaluna Fertile erano molto più versatili di
quanto si potesse immaginare; la variabilità climatica, che porta a un aumento
dello stress o al miglioramento delle condizioni ambientali di fondo, sembra
solo modulare le dinamiche culturali e di sussistenza esistenti, che tuttavia
non sono direttamente attribuibili al cambiamento climatico stesso. Le
variazioni climatiche giocano un ruolo limitato nel governare le dinamiche
delle comunità complesse, che dimostrano capacità di adattamento e di reazione
ai cambiamenti e con grandi abilità di resistere a condizioni apparentemente
avverse. In altre parole, le variazioni climatiche agirebbero solo come spinta
per accelerare processi culturali già in atto.
Alla via così…
Non facciamo dunque nulla perché tanto non c'è nessuna emergenza e al massimo andremo a star meglio (…).
Pronti all’accoglienza?
E’ di queste ore la notizia che
un miliardo e mezzo di persone sono pronte a migrare dal sud del mondo
verso il nord del mondo, e questo siamo noi: l’Occidente di cui scrivevo. Anzi,
entro la fine del secolo il cambiamento climatico potrebbe portare, tra siccità
da un lato e paradossalmente inondazioni dall’altro, qualcosa come tre miliardi e mezzo di persone a migrare o cercare di farlo. Un quinto della
superficie terrestre potrà subire un incremento significativo di gravi
inondazioni della durata di settimane, costringendo gli abitanti a spostarsi; e
in opposizione all’abbondanza d’acqua centinaia di milioni di persone che
dipendono dall’acqua dei ghiacciai resteranno letteralmente a bocca asciutta.
Quindi, se tutto sommato il nord del mondo potrebbe adattarsi ad un cambiamento climatico così come già fecero le popolazioni europee durante la piccola era glaciale, con una bella sfoltita[12] dovuta a carestie, epidemie, malattie e chi più ne ha più ne metta, va ancora bene.
Ma è pronto il nord del mondo a
riconoscere ed accettare le conseguenze di un cambiamento climatico di tale
portata? Centinaia di milioni se non miliardi di esseri umani destinati a
morire e miliardi di altri esseri umani in migrazione continua dal sud del
mondo che diventerà sempre più arido e invivibile, verso il nord del mondo,
ovvero noi.
L’atteggiamento che paesi come gli Stati Uniti e la pressoché totale compagine europea hanno nei confronti dei flussi migratori non promettono né premettono nulla di positivo; e proprio in questi giorni le richieste di essere accoglienti vengono respinte al mittente inequivocabilmente.
Siete disposti ad accettare uno scenario del genere? Se sì, accomodatevi perché il futuro è già qui.
Dimenticavo, l’Europa si scalda
al doppio
della velocità con cui lo fa il resto del mondo (…)
Bibliografia:
Gianluca Lentini. La Groenlandia non era tutta verde
Jared Diamond. Armi acciaio e
malattie
Ian Stewart. Le 17 equazioni che
hanno cambiato il mondo
Wolfgang Behringer. Storia
culturale del clima
[1] E ci
fanno persino calcoli!
[2] Già a
metà Ottocento lo svizzero Louis Agassiz ne aveva fornito prove.
[3] Vedi qui.
[4]
Un paio di tubi di vetro per contenere aria o suoi miscugli, una pompa per fare
il vuoto, un giardino assolato od ombreggiato, un paio di termometri. E tanto
ingegno.
[5]
Acido carbonico era il nome dato allora al biossido di carbonio, CO2,
(noto anche come anidride carbonica, definizione comunque non in linea con la
nomenclatura chimica ufficiale).
[6] Si veda
anche un mio precedente post.
[7] Essere
così definito non gli fu mai cosa gradita. Personalmente non amo questa terminologia, quel warm potrebbe anche ricordare qualcosa di gradevole, un caminetto acceso, scene romantiche.
[8] Su
questo blog ho scritto numerosi post in relazione alle evidenze del cambiamento
climatico in atto: oltre a quanto indicato nella nota 4 ad esempio qui,
e qui.
[9] Si pensi
agli affetti de El Niño. Ne ho scritto qui.
[10] (…)
indica ironia e paradosso.
[11] Il già
citato Behringer lo racconta chiaramente: dato che col freddo ci si veste di
più e l’igiene tende a scarseggiare, pulci e pidocchi stanno invece benissimo.
I tedeschi il pidocchio del corpo umano lo chiamano Kleiderlaus,
pidocchio dei vestiti.
[12] Nella
tabella il grande collasso demografico a cavallo del XIV ha le sue origini
dirette nelle epidemie e nella catastrofica carestia di quel periodo. Entrambi
causati in parte anche dalle pessime condizioni climatiche.
(*) Il riferimento ironico è a quanto dichiarato dall'emiro Sultan Al Jaber, leader degli Emirati Arabi Uniti, paese ospitante la COP28.
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