Un antico proverbio Navajo dice: «non ereditiamo la terra dai nostri antenati, ma la prendiamo in prestito dai nostri figli».
La Global Footprint Network, società
senza scopo di lucro, dal 2003 svolte innumerevoli attività in campo ecologico,
a cominciare dal calcolo e dalle valutazioni dell’impronta ecologica che l’umanità lascia, con tutte le sue attività, sul nostro
pianeta; tra le tante cose si occupa anche di calcolare un curioso parametro,
il cosiddetto “Earth Overshoot Day”.
Immaginate che abbiate vinto alla lotteria o, visto come la penso, che abbiate ricevuto una cospicua eredità che vi fornisca un budget annuale con gli interessi che matura. Però ai primi di maggio lo avete già speso tutto e vi tocca andare a lavorare oppure intaccare il capitale, o dovrete fare debiti. L’anno successivo accadrà lo stesso, e i debiti si accumuleranno inesorabili, debiti che a un certo punto qualcuno dovrà saldare, e anno dopo anno quella data si avvicina sempre più all’inizio dell’anno finché, uno di questi a venire, sarete già indebitati al 1° gennaio.
E’ quanto sta accadendo in Italia e nel mondo nel rapporto tra le attività umane e le risorse naturali.
Al passaggio di quella data si
inizia ad andare oltre, a fare debiti che graveranno soprattutto sulle
generazioni successive; da quel giorno viviamo al di sopra delle nostre
possibilità. E siccome la mente umana è scarsamente preparata a gestire sistemi complessi, in senso metaforico e matematico, e non è affatto facile
valutare l’impatto di tutte le attività umane, le retroazioni e gli effetti
moltiplicativi del consumo e della distruzione delle risorse, c’è qualcuno che
sostiene che quei calcoli siano addirittura sottostimati. E tutto questo
nonostante il produrre per uno e consumare per quasi due possa essere
squilibrato dal fatto che ci sono paesi che consumano fino a dieci volte più di
altri.
E che questo parametro sia
concreto è dimostrato dalla retrocessione del 2020, causata dalla pandemia di
Covid-19, quando fu risospinto in avanti fino al 22 agosto, tre settimane dopo
rispetto al 2019. Per soddisfare le nostre esigenze è stato calcolato che
avremmo bisogno di 1,7 pianeti Terra e prima del 2050 saremo a 2 pianeti
interi. Ma ne abbiamo uno solo, e le colonizzazioni marziane lasciamole agli
scrittori di fantascienza come Bradbury o Weir.
Ovviamente sono medie, come il famoso un pollo e mezzo a testa in cui una delle teste si chiede che fine abbia fatto il mezzo pollo non pervenuto affatto sulla sua tavola.
All’insicurezza climatica se ne
aggiunge una anche più pericolosa: l’insicurezza strutturale. Le maggiori
riviste scientifiche mondiali, da quando è scattata l’infame guerra di
aggressione contro l’Ucraina, stanno segnalando che il consumo crescente di risorse
non rinnovabili aumenta la dipendenza da paesi inaffidabili, destabilizza
intere regioni, genera conflitti e, ovviamente, fa aumentare i prezzi.
Il ritardo ormai trentennale
nella transizione verso risorse rinnovabili, verso la riduzione dei consumi
evitando gli sprechi dovuti all’apparente sontuosità del budget, dovrebbe
condurci a rimarcare di più nel dibattito pubblico le gravi responsabilità di
chi per tutto questo tempo, in buona o cattiva fede, ha contribuito a tale
lentezza con argomenti speciosi e confusivi.
A quanto pare il dibattito pubblico in tal senso è amaramente assente. Forse perché argomenti come questo comportano scenari di processi troppo vasti e complicati per la nostra mente, tra l’altro per nulla abituata a ragionare in termini di benefici futuri lontani nel tempo, avidamente attaccata all’egoismo dell’oggi e subito. Dovremmo ripensare chi siamo e non vogliamo farlo, soprattutto in alcuni paesi estremamente ricchi di risorse naturali al punto da poterne sprecare a scapito del resto del mondo. Ed è proprio in questi contesti che si lascia la strada aperta ai negazionisti, ai complottisti, agli scettici del no a tutto che sbandierano i loro «va tutto bene!».
Certo, e ne scrissi qui, non deve mancare la speranza nel progresso, nel miglioramento delle capacità della Terra di rigenerare risorse, con nuove tecnologie in grado di moltiplicare l’efficienza di sfruttamento delle energie rinnovabili, nel perfezionamento di specie vegetali e animali e soprattutto nella ridistribuzione della ricchezza e nella drastica riduzione degli sprechi.
O forse ha ragione il grande naturalista David Attenborough, che con pessimismo disse: «chi crede nella crescita infinita su un pianeta fisicamente finito o è un pazzo o è un economista».
Personalmente resto ottimista, la creatività umana riuscirà prima o poi a trovare la soluzione che consentirà ad Homo sapiens di soggiornare ancora un po’ sulla Terra. Purché non si arrivi a quel punto già piuttosto malridotti come un ottantenne che potrà vivere fino a cento anni grazie ai progressi della medicina e della farmacologia…ma completamente rimbambito.
Ripeto, «non ereditiamo la terra dai nostri antenati, ma la prendiamo in prestito dai nostri figli».
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