Perché il catastrofismo climatico sta diventando virale e chi lo combatte?

Un po’ di storia non guasta mai

All’inizio del XIX secolo la maggior parte dei geologi apparteneva ai catastrofisti. Molti naturalisti, in base alle evidenze fornite dalle rocce e più spesso dal loro contenuto fossile, si convinsero che la storia della Terra aveva alternato periodi di stabilità ad altri caratterizzati da episodi violenti, da cataclismi diffusi ovunque, e ogni cataclisma avrebbe portato a profondi cambiamenti nell’aspetto del pianeta e negli animali e vegetali che lo popolavano. I geologi allora erano convinti che ogni cambiamento di stratificazione geologica corrispondeva ad un evento catastrofico. Uno dei principali esponenti di questa visione della storia della Terra fu il grande naturalista francese George Cuvier (a sinistra nell’immagine precedente). In tal modo si potevano giustificare scientificamente anche i diversi miti del cataclisma universale, presenti in varie culture a cominciare dal racconto biblico del “diluvio universale”. Non pensate però che Cuvier fosse uno sprovveduto: fu colui che creò la moderna paleontologia, ed era in grado di ricostruire un intero animale a partire da pochi resti!

Tutto ciò venne messo in discussione da un giovane avvocato divenuto geologo, Charles Lyell (a destra), che diventò l’esponente principale del movimento opposto, l’uniformitarismo, detto anche attualismo, che in poche parole voleva sbarazzarsi, coraggiosamente per l’epoca,  dei cataclismi e della fede negli eventi soprannaturali come il diluvio biblico: affermando che le cose in passato si sono svolte più o meno come vediamo svolgerle adesso, nonostante l’attività geologica del pianeta anche intensa, con linearità e uniformità. Lo studioso inglese contribuì alla nascita della moderna geologia che aveva, tra i suoi principi fondanti, una visione della lunghissima storia della Terra, spiegabile con l’osservazione di quanto avviene tuttora[1]. Le sue teorie furono anche fonte di ispirazione per Charles Darwin, il fondatore della biologia evoluzionistica.

Lo straordinario disegno nella seconda di copertina dell'opera di Lyell "Principles of geology",
in cui si illustra schematicamente l’origine e la trasformazione dei tipi di roccia.

Come molte teorie scientifiche, anche l'uniformitarismo è stato soggetto a critiche e revisioni. Una delle principali critiche riguarda la visione radicale, che sostiene che i ritmi e l'intensità dei processi geologici sono costanti nel tempo. In realtà oggi sappiamo che sia i processi geologici superficiali, come l'erosione fluviale, sia quelli endogeni, come i movimenti delle placche tettoniche, variano in velocità e intensità attraverso le ere geologiche. Anche le fluttuazioni del livello del mare hanno avuto, nel passato, ritmi e intensità diverse da epoca ad epoca.

Altre critiche riguardano la mancanza di considerazione dell'impatto umano sui processi naturali nella formulazione originaria del principio dell'attualismo, nonché le difficoltà nel trovare corrispondenze moderne per tutti i processi geologici del passato. Tuttavia, l'uniformitarismo continua a essere uno dei fondamenti del pensiero e del metodo geologico contemporaneo. Attualmente, sappiamo con certezza che, sebbene i processi lenti e continui siano prevalenti nella modellazione della vita e della superficie terrestre, ci sono stati anche eventi rari, catastrofici e improvvisi, che ebbero un ruolo significativo, soprattutto in termini di distruzione pressoché istantanea, in termini di tempo geologico, della maggioranza, a volte la quasi totalità, delle specie animali e vegetali: le cosiddette estinzioni di massa.

Una visione sbagliata che va arginata
E, dopo questo preambolo ampolloso ma doveroso, di catastrofe in catastrofe si arriva ai giorni nostri, tempi in cui dilaga la visione catastrofica del cambiamento climatico (così come inteso dal punto 2 dell’art. 1 del documento UNFCCC). Visione portata avanti da catastrofisti, che sono convinti che il mondo abbia già perso la battaglia contro il riscaldamento globale.

Questa idea è figlia illegittima di un’altra posizione: l’adattamento. Fino ad una trentina di anni fa la priorità era la mitigazione, ridurre e contenere le emissioni di gas serra, decarbonizzare. Ma negli ultimi tempi sembra che adattarsi al cambiamento climatico sia la panacea di ogni male: ed è una posizione dettata da rassegnazione e opportunismo, che generano ignavia ed inazione.

Le persone che hanno adottato questa visione sono convinti che non si riuscirà mai a tagliare le emissioni di gas serra del quantitativo necessario per invertire la tendenza, o per lo meno per contenerla al di sotto dei limiti auspicati da IPCC, e allora tanto vale puntare sull’adattamento. Come se il sovrappeso dovuto ad ingordigia di cibo pessimo fosse curabile solo mettendosi a correre anziché farlo sì, ma contemporaneamente all’adottare un’alimentazione sana.

Mitigazione e adattamento devono andare di pari passo. Altrimenti sarà come un armiamoci e partite ordinato dai paesi occidentali, che in teoria possono permettersi e hanno i mezzi per adattarsi, a danno del resto del mondo abbandonato al suo destino, ignari degli effetti collaterali, a cominciare da ondate di migrazione massiva ad oggi inimmaginabili. E questo non è catastrofismo sociale.

Le soluzioni intelligenti affrontano i grandi problemi contemporaneamente.

Fermo restando quindi la mitigazione dobbiamo iniziare anche a prepararci, e dovremo farlo in fretta perché i tassi di cambiamento procedono rapidi, a ritmi ormai inferiori a quelli dei cambi generazionali.

Dobbiamo rispondere al cambiamento climatico con rapidità con una visione di medio-lungo periodo perché, per quanto virtuosi si possa essere perseguendo gli obiettivi più ambiziosi di riduzione delle emissioni, la temperatura media della Terra nei prossimi decenni continuerà ad aumentare: la Terra non è, soltanto un sasso al Sole, che si raffredda se messo all’ombra!

E infine, per quanto mitigazione e adattamento siano complementari e necessari, quest’ultimo dovrà essere visto in termini di contenimento dei costi economici, sociali e ambientali causati dal cambiamento climatico per mezzo di opere, infrastrutture, istituzioni e pratiche di comportamento corrette.

Il cambiamento climatico è innanzi tutto un problema di ordine sociale, con implicazioni drammatiche per una parte gigantesca dell’umanità.

Quella parte da sempre ignorata dell’umanità. Ciò che una volta veniva chiamato sud (globale) del Mondo e che ora, a comprendere minoranze che non necessariamente vivono a sud dell’Equatore ed altre comunità emarginate, è stato chiamato MAPA, Most Affected People and Areas.

Torniamo in tema

Anche se gli scienziati affermano che sia sbagliato, la convinzione che ci sia poco o nulla che si possa fare per invertire effettivamente il cambiamento climatico su scala globale, si va diffondendo online, da posizioni tutto sommato razionali e ragionevoli fino a punti di vista del tutto catastrofici che prevedono l’estinzione dell’umanità.

In molte testimonianze presenti sulle piattaforme social più diffuse ci sono posizioni di persone che si sentono sopraffatte, ansiose e addirittura depresse (c’è un termine specifico, ecoansia), e molte di queste contengono anche appelli agli attivisti ed agli scienziati affinché diano speranza. Alla domanda frequente «Convincetemi che c'è qualcosa là fuori per cui vale la pena lottare, che alla fine possiamo ottenere una vittoria, anche se solo temporanea.» c’è chi sa rispondere, e lo fa nel migliore dei modi.

Una tra i tanti è Alaina Wood, una scienziata specializzata in sostenibilità che vive in Tennessee. Su TikTok è conosciuta come thegarbagequeen,  e molti dei suoi interventi meritano di essere visti e ascoltati. Questa ragazza, da anni, fa comunicazione ambientale della miglior qualità. Il suo ruolo è soprattutto quello di dare speranza ad un numero enorme di giovani che, non solo per opportunismo e rassegnazione, si sentono sopraffatti dal cambiamento climatico, e arrivano a posizioni catastrofiste, convinti che non ci sia più nulla da fare. E' sbagliato. Ma va loro detto nel modo giusto.

La mission di Alaina è sfidare il pessimismo climatico, ruolo che ha abbracciato con un certo senso di urgenza perché in una parte consistente, e crescente, dell’opinione pubblica si rinuncia perché si è convinti che sia troppo tardi: perché comportarsi in un certo modo allora? E il pessimismo porta all'inazione sul clima, che è l'opposto di ciò che dovremmo fare.

La posizione «ormai è troppo tardi» è tra l’altro una delle caratteristiche posizioni negazioniste a cui arriva o cerca di arrivare il negazionista tipico, o chi esprime scetticismo radicale, qualunque sia la cosa che nega. L'ultima posizione, la più disperata dopo averle tentate tutte. I negazionisti, che sia clima o virus, prima negano, poi negano le responsabilità quando non possono più farlo con i fatti, scaricano colpe altrove, poi minimizzano; quando non riescono più a fare tutto questo cercano di salvaguardare il profitto il più possibile, se si parla di regole iniziano a dire questo no, quest'altro nemmeno, non potete fermare tutto ecc. E alla fine, disperati «tanto ormai è tardi» buttato lì. Il negazionismo in cinque mosse.


Ma le indicazioni per un’inversione della tendenza ci sono. Ancora una volta IPCC, nel suo rapporto più recente, ha delineato un piano dettagliato che potrebbe aiutare il mondo a evitare gli effetti peggiori dell'aumento delle temperature. Certo, i tagli delle emissioni di gas serra dovrebbero essere «rapidi, profondi e immediati». E nel rapporto emerge ancora una volta il binomio: adattamento & mitigazione.

Le origini dell’apatia

Un sondaggio, ancora molto attuale, condotto su migliaia di cittadini provenienti da 17 nazioni, ha messo in evidenza che la stragrande maggioranza degli intervistati è disposta a cambiare il proprio stile di vita per affrontare il problema del cambiamento climatico.

Ma, quando è stato chiesto loro quanto fossero sicuri che un'azione per il clima avrebbe ridotto significativamente gli effetti del riscaldamento globale, più della metà ha risposto di avere poca o nessuna fiducia.

Il grado di sfiducia inoltre, dato importante, cresce col diminuire dell'età del campione esaminato. Più si è giovani più si tende a manifestare preoccupazione per gli effetti del cambiamento climatico: c'è quindi convinzione e consapevolezza che questi saranno proporzionalmente più evidenti e intensi col passare degli anni.

Il pessimismo attinge a quel senso di mancanza di speranza, esagerandolo.

C’è un podcast della BBC che riassume queste posizioni, è intitolato "Il boom online della catastrofe climatica".

Non si tratta di avere a che fare o di confrontarsi con negazionisti del cambiamento climatico, o di qualsiasi altra forma di disinformazione diffusa sui social media, non si deve rispondere alla negazione, ad esempio, di chi dice che i combustibili fossili non causano il cambiamento climatico; si tratta invece di affrontare chi dice che sia troppo tardi.

Trattandosi del mondo dei social media occorre inoltre tenere conto che moltissimi video che creano disinformazione che può causare danni, con contenuti pseudo o antiscientifici, nonostante la dichiarazione d’intenti dei gestori delle varie piattaforme, non vengono rimossi perché, laconicamente non violano le regole di pubblicazione, e la cosa più paradossale è che piattaforme come TikTok o Facebook affermano di collaborare con fact-checker accreditati per   «limitare la diffusione di informazioni false o fuorvianti sul clima». Non pervenuto!

Il pessimismo è particolarmente diffuso tra i giovani, proprio la generazione che inizierà ad avvertire sensibilmente gli effetti peggiori del cambiamento climatico. Ci sono attivisti per il clima che sono molto preoccupati e pur volendo cambiare le cose, sentono il bisogno di diffondere contenuti basati sulla paura per riuscirci.

Poi ci sono persone che sanno che la paura in generale diventa virale e si limitano a seguire le tendenze, senza necessariamente capirne i contenuti scientifici.

E ciò conferma che la diffusione e il rilancio di contenuti come quelli di Alaina Wood diventa ancora più urgente e doveroso. Ad evitare sia le posizioni scettiche, che considerano le affermazioni dei climatologi delle esagerazioni grossolane, sia quelle catastrofiste che vivono il presente perché, secondo loro, a nulla serve pianificare qualcosa di diverso. E non aiuta nemmeno l’umorismo fatalista, piuttosto diffuso su quelle piattaforme.

E tutto ciò al netto della sistematica e programmata diffusione di notizie false e pessimismo preconfezionato, una vera e propria propaganda pro negazionisti.

Speranza
Ma la speranza, c’è?
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Non manca assolutamente nulla per agire, e non solo. Dal mondo arrivano dozzine di esempi grandi e piccoli, che dimostrano benefici concreti e tangibili, ambientali, sociali ed economici: è attraverso queste esperienze, ancora troppo poco note, che si alimenta e si amplifica la speranza per il futuro. Molte di queste esperienze sono raccontate sia sul libro di Lorenzo Colantoni “Lungo la corrente” che su quello di Giulio Betti “Ha sempre fatto caldo!”, entrambi da me recensiti sulla rubrica “La scienza e la tecnica raccontate” ospitata sulle pagine della Sigea. E, per gli amanti dei video brevi tipici dei social, per i giovani (!), la solita Alaina ne racconta a dozzine sul suo canale dedicato alle “Good Climate News” o, come punto di partenza, l’iniziativa di WWF e Nazioni Unite del “World Restoration Flagship”.

Segnalo anche la Nature Restoration Law, legge della Comunità Europea, recentemente approvata, di cui ho parlato in questo mio post.

La mitigazione e l’adattamento, i due modi per attenuare e poi risolvere il problema del cambiamento climatico, contengono numerose tecniche e indicazioni operative affinché diventino efficaci. Occorre quindi investire sia nella mitigazione che nell’adattamento, e quindi in un futuro dove la lotta al cambiamento climatico diventa un’opportunità irripetibile per costruire un mondo migliore.

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Nota: come seguito quasi naturale di questo post, nel successivo verranno esaminate le cause che portano dal pessimismo climatico, quasi automaticamente, a tirare i remi in barca e smettere di agire.


[1] Per dovere di cronaca va detto che Lyell estese ed ampliò i principi generali dell’uniformitarismo già dettati da un altro grande geologo del passato: James Hutton.

 


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