La posizione degli elementi di inversione climatica nella criosfera (blu), nella biosfera (verde) e nell'oceano/atmosfera (arancione) e i livelli di riscaldamento globale ai quali i loro punti di non ritorno saranno probabilmente innescati (Science, 2022)
Ho avuto già modo di parlare dei
cosiddetti tipping points (innanzi tutto qui, oppure con una generica ricerca del tag),
ovvero i punti di non ritorno; considerando che quello
scientifico è comunque un percorso in continuo cambiamento sarà il caso di
tornarci su brevemente perché, quello dei punti di non ritorno, man mano che
gli impatti ambientali dei cambiamenti climatici (il plurale è d’obbligo)
diventano sempre più evidenti, rappresentano un ambito di interesse crescente.
Rapporto tra aumento
della temperatura media dell'atmosfera e raggiungimento di determinati punti di
non ritorno.
In evidenza il valore di 1,5 °C stabilito dall'Accordo di Parigi (The Guardian)
Il grafico precedente è
autoesplicativo: mostra una serie di punti di non ritorno che rischiano di
essere raggiunti o violati anche nel caso in cui gli aumenti della temperatura globale vengano
mantenuti entro i limiti dell'obiettivo del famoso “Accordo di Parigi” che, ripetiamolo, ha un obiettivo a lungo termine di mantenere
l'aumento della temperatura media globale «ben al di
sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per
limitare l'aumento della temperatura a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali».
I punti di svolta più a rischio
sono discussi di seguito (con ulteriore discussione in un rapporto su Science.
Per chi volesse approfondire qui c’è un
articolo pubblicato su Science nel settembre 2023.
Collasso e fusione della
calotta glaciale della Groenlandia
Gli scienziati ritengono che la
calotta glaciale della Groenlandia si scioglierà inevitabilmente, anche se l’utilizzo
di combustibili fossili cessasse adesso. Il riscaldamento globale raggiunto ad
oggi porterà a un innalzamento del livello causato dalla fusione di qualcosa
come 1014 tonnellate di ghiaccio. Se il fenomeno dovesse interessare
le altre calotte glaciali l’innalzamento del livello del mare sarebbe di diversi
metri. Ricordate quanto scrivevo
sul delta del Mekong? Così, giusto per fare un esempio.
Il solo riscaldamento causerebbe
un aumento minimo di 27 cm perché si tiene conto
solo del riscaldamento globale attuale e non di quello futuro; altri fattori
che determinano la perdita di ghiaccio sono dovuti alla conformazione dei
margini della calotta glaciale. Il sollevamento pari a 27 cm si verificherà
inevitabilmente nel tempo, in quanto è dovuto al riscaldamento globale già
verificatosi, come illustrato nel grafico precedente: si è superato il punto da
cui non si può più tornare indietro.
Tutti i dati, da qualsiasi punto
di vista li si voglia guardare, indicano che la fusione dei ghiacci
groenlandesi procede in modo accelerato, dovuto non solo al riscaldamento dell’atmosfera,
ma anche al crollo dei ghiacciai in corrispondenza della costa, a contatto con
le acque sempre più calde e ad una sorta di effetto lubrificante alla base dei
ghiacciai, osservato di recente, dovuto alla fusione delle superfici di base a
contatto con la roccia, in grado di accelerare lo spostamento dei ghiacciai verso
il mare.
Miliardi di persone vivono nelle regioni costiere, il che rende le inondazioni dovute all'innalzamento del livello del mare uno dei maggiori impatti a lungo termine della crisi climatica. Se gli anni record di fusione che interessano la Groenlandia diventeranno un evento di routine entro la fine di questo secolo, allora la calotta glaciale produrrà un aumento del livello del mare di 78 cm.
Un aumento anche solo di una decina di centimetri ha effetti importanti in
termini di aree costiere soggette ad inondazione ed erosione costiera.
Infine, ci sono prove del fatto che, circa 400.000 anni fa, con temperature più alte di 2-4 °C rispetto ad oggi, la calotta glaciale groenlandese scomparve del tutto, e il livello del mare aumentò di ben 7 metri! Circa 100.000 anni fa, con temperature che raggiunsero quei livelli sono per breve tempo, la fusione causò un innalzamento di 3,5 metri. Anche se le incertezze restano grandi non c’è motivo di sentirsi sollevati.
L'acqua di disgelo
scorre dalla calotta glaciale nella baia di Baffin vicino a Pituffik, nel nord
della Groenlandia. (Kerem Yücel/AFP/Getty Images)
Collasso e fusione della calotta
glaciale dell'Antartide occidentale
A marzo 2022 è crollata la banchisa
Conger nell'Antartide orientale. Le piattaforme di ghiaccio che costituiscono
le banchise agiscono come tappi che controllano i flussi di ghiaccio dalla
terra al mare. Il ghiacciaio Thwaites agisce in modo simile, come un collo di
bottiglia che protegge la calotta glaciale dell'Antartide occidentale. Se
questa calotta glaciale dovesse sciogliersi completamente, aumenterebbe i
livelli del mare di circa tre metri.
A dicembre 2021 la piattaforma di ghiaccio di
fronte al ghiacciaio Thwaites mostrava enormi crepe, il che indicava che la
piattaforma di ghiaccio antistante avrebbe potuto disintegrarsi entro un
decennio, lasciando il ghiacciaio senza protezione. Il ghiacciaio Thwaites ha
un'area delle dimensioni della Florida e contiene abbastanza ghiaccio da
innalzare da solo il livello del mare di circa 60 cm.
La tendenza al riscaldamento ha
sicuramente accelerato il fenomeno in Antartide, maggiormente nell’area occidentale,
ma gli effetti maggiori che causano la perdita complessiva di massa vengono
dalle correnti d’acqua più calde e che agiscono sulle piattaforme glaciali.
La piattaforma galleggiante viene
indebolita dalle acque calde che fondono il ghiaccio in basso e questo, insieme
ad altri effetti di superficie, rende instabile la piattaforma che si
frammenta. A questo punto le correnti oceaniche possono continuare ad erodere
il ghiaccio restante e i contrafforti, forniti dalla piattaforma di ghiaccio,
che trattenevano il ghiacciaio retrostante, scompaiono. E il ghiacciaio può
riversarsi completamente in mare, accelerando proprio perché non più trattenuto
dal ghiaccio antistante.
Anche in questo caso, numerosi
studi riportano che se anche le temperature tornassero ai livelli degli anni
Settanta e Ottanta grazie a qualche effetto finora ignoto, non solo la
destabilizzazione dei ghiacciai proseguirebbe, ma l’intera calotta dell’Antartide
occidentale si destabilizzerebbe. Nel corso di secoli o millenni si avrebbe un
ulteriore innalzamento del livello del mare di ulteriori tre metri.
Moria delle barriere coralline
tropicali
Come sanno gli australiani, lo sbiancamento dei coralli si sta verificando nella Grande Barriera Corallina. Le ricerche più recenti suggeriscono che il 90% della barriera corallina mostra segni di sbiancamento e un recente campionamento esteso su 911 aree nella Grande Barriera Corallina ha indicato che solo quattro di queste non mostravano segni di sbiancamento.
Lo sbiancamento dei coralli si
sta verificando anche in altre barriere coralline in tutto il mondo: tra gli
altri siti esaminati grande sofferenza si ha nelle barriere delle isole Cayman.
Le barriere coralline occupano
circa lo 0,2% del fondale marino, ma ospitano il 25% delle specie marine e
4.000 specie di pesci. Forniscono riparo dai predatori, dalle tempeste e dalle
onde, oltre a fornire cibo o lavoro a 500 milioni di persone in tutto il mondo.
La Grande Barriera Corallina sostiene un'industria da 5 miliardi di dollari
all'anno.
Solo negli ultimi 7 anni si sono
registrati ben 3 eventi massivi di sbiancamento e morte dei coralli, il
peggiore dei quali risalente al periodo 2016-2017. Nel 2017, infatti, si è
abbattuto sulle coste del Queensland (Australia) il ciclone Debbie, una tempesta
tropicale di categoria 4 con venti a 263 km/h che, insieme all'invasione
corallivora dell’echinoderma Acanthaster planci (o stella corona di spine) e
alle alte temperature dell’acqua, ha avuto un duro impatto sul 49% dei coralli
della zona.
Che sia l’aumento delle temperature delle acque o una delle sue conseguenze, l’acidificazione degli oceani, a provocare lo sbiancamento dei coralli è da appurare, ma è evidente che la causa originale è, ancora una volta, il cambiamento climatico.
Disgelo del
permafrost settentrionale
Le prove dimostrano che il permafrost
nella regione artica sta cambiando e degradando molto rapidamente. A prescindere
dai danni diretti che causa in molte regioni urbanizzate della regione, che
hanno costruito posando le fondamenta su pali direttamente nel permafrost, la
modellazione indica che ciò porterà a grandi aumenti di metano, anche se il
fenomeno non è ancora stato quantificato od osservato con certezza.
Ad ogni modo il risultato
principale della fusione del ghiaccio del permafrost è la formazione di aree
lacustri e paludose che agiscono come grandi emettitori di gas serra, metano in
particolare.
L'Alaska, che fino a non molti
anni fa aveva un bilancio tra emissioni e assorbimento pressoché pari a zero, è
invece diventata un emettitore netto di gas serra a causa degli effetti dello
scioglimento del permafrost.
A titolo di esempio si osservi il
grafico qui sotto e relativo all’Australia, un paese tutto sommato che
contribuisce in maniera irrisoria al cambiamento climatico (meno di 400 Mton di
biossido di carbonio nel 2023, a fronte delle 35 Gton/anno complessive del mondo!)
Il grafico indica che la
riduzione minima del 43% delle emissioni di gas serra auspicata dal governo
australiano entro il 2030 (cioè adesso in pratica) non contribuisce a mantenere
la di 1,5 °C, e c'è ancora molto da fare.
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