A volte fare storia è più divertente del solito, è come rileggere dopo anni un oroscopo all'epoca dato per certezza, e scoprire che l'astrologo o l'astrologa di turno aveva, come ovvio attendersi, scritto soltanto una montagna di fesserie.
In fondo, tutti vorremmo sperare
che i negazionisti climatici avessero ragione. Se per caso venisse fuori che,
veramente, è stato tutto un abbaglio, che il clima non sta cambiando così
velocemente come sembra o che, perlomeno, l’uomo non c’entra nulla…sarebbe come
risvegliarsi da un incubo: il mostro che ti stava rincorrendo non esiste.
Durante le ricerche che
puntualmente faccio a corredo di ogni mio articolo mi sono imbattuto in questo post,
pubblicato su pagine autorevoli e che analizza il punto di vista diverso di un
professore della Duke University, una persona con un curriculum scientifico a
tutta prova e che pubblica su riviste scientifiche internazionali, non il
solito negazionista arrogante.
Era l’anno 2009. A breve saranno
passati 15 anni. Tre lustri di smentite clamorose delle tesi opposte e di prove
concrete a sostegno che il cambiamento climatico in atto è indiscutibilmente
opera nostra. Ci sarà qualcosa di naturale, ma è davvero poca roba.
Ma soprattutto, è il sapere come sono
andate le cose in passato che rende evidente che la nuova normalità climatica è
conseguenza diretta delle nostre attività.
Premessa
Sono ormai decenni che diverse
fonti forniscono i dati che, oltre ogni ragionevole dubbio, ci raccontano come
sia cambiato il clima sulla Terra nel corso di tutta la sua lunghissima storia
geologica: sono le analisi stratigrafiche dei depositi sedimentari, i carotaggi di
sedimenti marini o di lunghe colonne di ghiaccio prelevate nell’Artide così
come in Antartide, o dai ghiacchiai[1] e la relativa analisi dei loro contenuti, compresa la composizione dell'aria "fossile" nelle micro bolle d'aria; lo studio dei depositi vegetali trasportati dal vento, le analisi palinologiche (dei
pollini), la distribuzione di organismi unicellulari dal guscio calcareo
(foraminiferi), quello del rapporto tra concentrazioni di isotopi diversi
dell’ossigeno o del carbonio e persino le analisi dei microsedimenti lasciati sui fondali marini del Nord Atlantico: sedimenti rilasciati da
giganteschi iceberg che andavano migrando e sciogliendosi, dopo essersi staccati
per crollo dal fronte delle inimmaginabili estese calotte glaciali presenti
nelle epoche più fredde del nostro pianeta. E questi ultimi studi sono quelli
tra i più coraggiosamente intuitivi e curiosi, che hanno messo in relazione
eventi tra loro apparentemente slegati quali la fusione di iceberg, normalmente
collegata a periodi di riscaldamento, e che invece ha apportato enormi quantità
di acqua dolce e fredda, talmente tanta da alterare lo schema della normale
circolazione delle correnti oceaniche che avviene, di solito, per differenze di
temperatura e salinità.
Tutti questi sono ciò che i
climatologi chiamano proxy data,
non potendo effettuare misurazioni dirette nel passato per ovvi motivi si
deducono alcuni fatti dall’analisi indiretta, per procura, di altri elementi.
Le
previsioni e le proiezioni che vengono quindi elaborate continuamente, o la
possibilità statistica concretamente molto alta che le cose vadano e potranno
andare proprio così è provato da come sono andate in passato.
Un esempio di correlazioni
Nel diagramma seguente sono riportati i cosiddetti eventi di Heinrich, il geologo marino tedesco che per primo ipotizzò che lo scioglimento di grandi masse glaciali a spasso nell’Oceano avrebbe lasciato una sorta di firma basata sul contenuto di sedimenti accumulati insieme alla neve che andava formando i ghiacci, tanto meno presenti quanto più lontani dalla zona glaciale. Oltre agli eventi, indicati con HS, è possibile seguire l’andamento del rapporto tra i due isotopi dell’ossigeno 18O e 16O, il cosiddetto δ18O (per approfondire qui) che, semplificando, viene utilizzato come indicatore di maggiori o minori temperature. Poichè 18O è più pesante dell'ossigeno comune occorre maggiore energia per far evaporare la molecola d'acqua: nel viaggio del vapore verso i poli gli isotopi più pesanti tenderanno, in caso di precipitazioni, a cadere sulla superficie più frequentemente e il tutto dipende dalla temperatura. Misurando quindi il rapporto δ18O nei carotaggi nei periodi più freddi troveremo sistematicamente meno isotopi pesanti, mentre nei periodi più caldi la diminuzione sarà meno marcata. I carotaggi sono un registro geologico non solo del tenore di gas serra ma anche delle temperature. L’andamento della curva in viola segue infine abbastanza fedelmente i dati di temperatura (curva arancione) ricavati dalle analisi del cosiddetto North Greenland Ice Core Project (NGRIP), un progetto finanziato dalla UE che ha effettuato carotaggi fino ad oltre 3.000 metri di profondità perforando la calotta glaciale groenlandese. Per confronto, la curva nera in basso, riporta i dati di un altro grandioso esperimento internazionale, European Project for Ice Coring in Antarctica (EPICA) con i dati δ18O ricavati da carotaggi record, 3.270 metri di profondità, estraendo ghiaccio sempre più vecchio, fino a quasi 800.000 anni fa. La sovrapponibilità delle curve ricavate da zone diverse della Terra nello stesso periodo è impressionante.
Ancora due parole sugli eventi di Heinrich. I
sedimenti presenti negli accumuli glaciali derivavano dall’intensificarsi delle
correnti atmosferiche nei periodi più freddi che trasportavano una maggior
quantità di detriti a loro volta derivanti dall’incremento dell’aridità tipica
dei periodi glaciali che favoriva la formazione di terreni più asciutti e
sabbiosi[2].
Lo scioglimento di queste masse di ghiaccio va quindi a giustificare i momenti
di brusca accelerazione del calo termico individuati con altri metodi.
Il clima della Terra si dice, è
sempre cambiato, e proprio perché se ne conoscono ormai abbastanza bene le
modalità e le cause, e soprattutto le tempistiche delle varie fasi, glaciali e
interglaciali, si è oggi in grado di affermare inequivocabilmente che il
cambiamento che stiamo misurando da almeno un paio di secoli se non prima, e
vivendo in prima persona, ha certamente delle cause antropogeniche dirette, scatenate
ovviamente dall’immissione in atmosfera di enormi quantità di gas serra ogni
anno, attualmente pari a 55 miliardi di tonnellate di CO2e[3].
Dire che il clima è sempre cambiato, con modalità del tutto naturali, è
corretto. Non lo è invece fare questa affermazione per giustificare il cambiamento climatico in atto, così come definito scientificamente e ormai appurato dal
vastissimo consenso
internazionale, al di là di ogni ragionevole dubbio. Per approfondire si veda
quest’altro mio post.
Oggi sappiamo con certezza, grazie soprattutto alle prospezioni polari ed oceaniche, che la Terra alterna ampi, in termini di tempo geologico, respiri di caldo e di freddo, ma che a volte sembra vada soggetta a periodi parossistici. In altre parole, durante le fasi progressive a fronte di una certa regolarità nell’aumento o nella diminuzione delle temperature medie, si possono notare intervalli di periodi in controtendenza o, durante ad esempio una discesa la tendenza può farsi più brusca, accelerata rispetto all’andamento medio.
Negli ultimi 800.000 anni le ricostruzioni ci mostrano un andamento generale relativamente regolare con il calo graduale della temperatura nel corso di 90-100.000 anni, accompagnato da un concordante aumento delle masse di ghiaccio, fino a raggiungere il massimo dello stadio glaciale. Poi la temperatura risale improvvisamente, sempre in termini di tempo geologico, e in poche migliaia di anni ritorna ai livelli caldi dell'interglaciale con una simultanea riduzione della massa dei ghiacci. Questo andamento coincide con i quantitativi di metano (ricavati dall'aria fossile contenuta nelle carote estratte dai ghiacci) che aumentano con l'aumentare del biossido di carbonio ma che, quando quest'ultimo ha raggiunto il massimo, fa un grande balzo e in poche migliaia di anni raggiunge il massimo dell'interglaciale. Si ricorda che ogni fase glaciale ed interglaciale è contemporaneamente accompagnata da estesi fenomeni di regressione od ingressione delle acque marine a causa dell’abbassamento o del sollevamento del livello medio: e non è un aspetto trascurabile dato che le variazioni di livello possono anche essere di decine di metri, superando anche i -100 come nell'ultimo picco freddo, circa 20.000 anni fa. Nel corso dell'ultima parte del Pleistocene questo saliscendi si è ripetuto per ben otto volte. Le ultime di queste glaciazioni sono state interrotte da fasi calde, che si sono manifestate rispettivamente 410.000, 300.000 240.000, 130.000 e, in termini di tempo geologico, appena, 10.000 anni fa, per una durata di poche migliaia di anni ciascuna. L'attuale interglaciale, iniziato poco più di 10.000 anni fa, è già uno dei più lunghi della serie.
Nel grafico successivo i risultati dei carotaggi antartici che indicano la lunghezza media dei cicli glaciali di 100.000 anni circa.
E nel seguente i
principali periodi glaciali e relativi interglaciali del medio e tardo
Pleistocene, con i primi della durata media di circa 100.000 anni ed i secondi
da circa 10.000 a circa 15.000 anni.
Spiegazioni
E tutto questo senza citare
l’assenza di evidenze di cambiamenti climatici ciclici in ere molto più antiche
del Pleistocene, in cui la circolazione oceanica e atmosferica era mediata,
quando non governata, da diverse conformazioni paleogeografiche, dalla durata diversa dei cicli di precessione della teoria del serbo e da altri fattori.
Le macchie solari
Centinaia di anni di
registrazione della numerosità delle macchie, dai tempi di Galileo in poi,
mostra un andamento marcato da alternanza di picchi (massimi) e avvallamenti
(minimi) con periodicità di circa 11 anni, testimoniando la grande variabilità
dell’attività solare nel tempo. E’ evidente la presenza del cosiddetto grande Minimo di Maunder,
un periodo di minimo prolungato tra il 1645 e il 1715 in cui il numero di
macchie solari osservate fu insolitamente basso, ed è altrettanto vero che
questo periodo coincise con quel che è chiamata “La piccola era glaciale”. Ma perché il raffreddamento interessò pressoché esclusivamente
l’emisfero boreale e in particolare l’Europa del Nord? E inoltre come mai la
ripresa del normale ciclo di macchie solari non ebbe effetti sul clima che
perdurò in uno stato di particolare rigidità fino alla metà del XIX secolo non
imputabile al successivo minimo? L’ultimo ciclo solare, il “ciclo solare 24”, è
terminato nel 2018 (è in corso la transizione al ciclo 25) ed è risultato
essere nettamente più basso dei precedenti, il più basso dal Minimo di Dalton.
Quest’ultimo ventennio è stato
caratterizzato da una scarsa attività solare, tanto che il ciclo solare 24
risulta essere il più basso da circa 200 anni. Per il ciclo successivo, quello
che ci apprestiamo ad affrontare, ci sono alcune previsioni secondo cui
anch’esso sarà molto debole. Andremo quindi incontro ad un periodo di
irrigidimento del clima?
Nel grafico seguente (NASA/IPCC) in alto c’è il confronto tra la variazione di temperatura media della Terra osservata (tratto nero) e il contributo dei fattori naturali, compreso l’attività solare (tratto verde). In basso il confronto tra la variazione di temperatura media della Terra osservata (tratto nero) e il contributo dei fattori antropici (tratto blu). La coincidenza di questi ultimi due è quasi imbarazzante per qualsiasi negazionista.
Complicato, molto complicato…
E questo sistema terribilmente
complesso che vuol dire la sua in tutta questa faccenda complica, tanto per
cominciare, gli effetti del forcing esterno di origine astronomica.
I fattori endogeni sono dati
essenzialmente dall'attività tettonica e dai movimenti dei fluidi, aria ed
acqua, sulla superficie terrestre. Sappiamo che le masse continentali si
generano per affioramento di parti del mantello che vanno alla deriva sospinte
dai movimenti convettivi della sottostante massa semi fluida[4].
La geometria della crosta terrestre è molto cambiata nel tempo da quando, fra
300 e 200 milioni di anni fa, esisteva una sola enorme massa continentale, la Pangea,
a quando iniziarono a separarsi i due supercontinente della Laurasia e del
Gondwana, che poi andarono ulteriormente a frazionarsi per assumere il
familiare aspetto attuale. Nel periodo che ci interessa di più, il Cenozoico, importanti fenomeni
di deriva hanno prodotto l'isolamento dell'Antartide dalle masse continentali
dell'emisfero australe a seguito dell'apertura del cosiddetto passaggio di
Drake, tra l'America Meridionale e l'Antartide, circa 40 milioni di anni fa, e
di quello di Tasmania, circa 30 milioni di anni fa. Un altro evento tettonico
con enormi conseguenze climatiche, la collisione della placca Indiana con
quella Asiatica, si è verificato nella prima parte del Cenozoico, e che portò
al sollevamento della catena himalayana. Anche l'istmo di Panama, che connette
l'America settentrionale a quella meridionale, si è formato definitivamente nel
Cenozoico, ma solo intorno a tre milioni di anni fa.
Il movimento delle correnti
oceaniche è prodotto dallo scorrimento dei venti sulla superficie dell'oceano e
dalle differenze di densità tra le masse d'acqua. Questi movimenti si
verificano in tutti gli oceani e in tutti i bacini marini minori. Sebbene su
scale molto diverse dal punto di vista macro climatico, ad interessare sono
soprattutto le grandi correnti oceaniche, come la Atlantic Meridional Overturning
Circulation (AMOC),
un complesso sistema di flussi caldi che dalle basse-medie latitudini si
spingono fino alla Groenlandia, e di correnti fredde che ridiscendono dalle
aree polari verso Sud. Le correnti atlantiche proseguono anche nell'emisfero
australe lungo le coste dell'America meridionale e dell'Africa, andando a
connettersi con un altro grande sistema, quello della Antarctic Circumpolar
Current (ACC).
L'importanza di questi enormi
movimenti è data dal fatto che funzionano da trasportatori di calore e di
umidità, quindi di energia, tra regioni molto diverse; formano quindi grandi
sistemi di raccordo, trasferimento e amplificazione degli effetti locali, veri
e propri meccanismi di telecomunicazione tra aree polari e tropicali e tra l'Antartide
e l'Artide. Una modificazione di questi sistemi può quindi avere ripercussioni
devastanti sul clima dell'intero pianeta. E’ per questo che i climatologi
stanno monitorando con attenzione e preoccupazione AMOC, per cercare di capire
come mai la sua intensità stia variando e se questo potrà sfociare in un
collasso del sistema di correnti oceaniche addirittura entro il XXI secolo.
I processi endogeni legati alle correnti aeree e oceaniche hanno avuto effetti molto importanti sul clima e sugli ecosistemi di specifiche aree della Terra, e tra queste l'Africa, che interessa da vicino l'infanzia dell'uomo.
Ma
l’effetto della vegetazione non si riflette soltanto sulla maggior o minore
quantità di biossido di carbonio gestibile o sul maggior o minore effetto albedo,
ma soprattutto sulle maggiori o minori capacità di adattamento e integrazione
con tutti gli altri componenti di un ecosistema. Alcuni antropologi hanno
dimostrato come i processi a cascata che hanno prodotto la riduzione delle
foreste tropicali, dovuti a climi che hanno favorito piante a fotosintesi C3
tipiche di climi più freschi rispetto alle C4, hanno di
conseguenza favorito l'espansione degli ecosistemi aridi nelle aree del Sahara,
provocando inoltre fenomeni di dispersione nelle faune africane, con notevoli
conseguenze paleoantropologiche. Il passaggio da ambienti tipicamente forestali
a savane erbose potrebbe aver spinto l’evoluzione a selezionare la postura
bipede, soprattutto per esporre al Sole una quantità inferiore di superficie
della pelle, potrebbe, come qualcuno ha scherzosamente detto, aver indotto
l’uomo…a scendere dagli alberi.
Una
piccola variazione di irraggiamento solare può generare una cascata di effetti
che vengono amplificati dai meccanismi endogeni producendo modificazioni
improvvise del clima che influenzano la struttura degli ecosistemi e la
dinamica delle comunità e delle singole popolazioni biotiche comprese quelle
umane: ciò che i paleoclimatologi e i paleoecologi intendono quando parlano di
sistemi a feedback e di risposte non lineari.
Una perversa catena di effetti non proprio positivi.
Una
complessa serie di eventi caotico-deterministici in un sistema altrettanto
complesso a sviluppo non lineare. Ma ciò non impedisce di ribadire che le
lezioni che possiamo trarre dal passato possono aiutarci ad accettare quanto la
comunità scientifica ci sta dicendo da anni.
E
concludo ribadendo la premessa. Ci piacerebbe tanto esserci sbagliati.
Quel
post
era del 2009.
Sono passati quasi 15 anni, anni di smentite clamorose delle tesi opposte e di prove concrete a sostegno che il cambiamento climatico in atto è indiscutibilmente opera nostra. Ci sarà qualcosa di naturale, ma è davvero poca roba.
Ma soprattutto, è il sapere come sono andate le cose in passato che rende evidente che la nuova normalità climatica è conseguenza diretta delle nostre attività.
[1]
Uno dei progetti più recenti è quello di ADA270, del carotaggio
in profondità, fino a 270 metri, del ghiacciaio dell’Adamello, il più esteso di
tutte le Alpi.
[2]
E’ controintuitivo ma presto spiegato. Più acqua viene intrappolata sottoforma
di ghiaccio meno ce n’è libera di circolare in atmosfera: di conseguenza le
condizioni complessive sono di maggiore aridità.
[4] Recentemente il modello originale è stato rivisto. L’amico Aldo Piombino riassume qui le novità principali.
[5] Senza entrare nei dettagli non si pensi però che questo ciclo sia compensativo delle emissioni antropogeniche.
[6] I meteorologi definiscono questo tipo di circolazione “di Walker”
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