La Terra non è soltanto un sasso al Sole



Sarà il caso di iniziare con una conclusione?

A volte fare storia è più divertente del solito, è come rileggere dopo anni un oroscopo all'epoca dato per certezza, e scoprire che l'astrologo o l'astrologa di turno aveva, come ovvio attendersi, scritto soltanto una montagna di fesserie.

In fondo, tutti vorremmo sperare che i negazionisti climatici avessero ragione. Se per caso venisse fuori che, veramente, è stato tutto un abbaglio, che il clima non sta cambiando così velocemente come sembra o che, perlomeno, l’uomo non c’entra nulla…sarebbe come risvegliarsi da un incubo: il mostro che ti stava rincorrendo non esiste.

Durante le ricerche che puntualmente faccio a corredo di ogni mio articolo mi sono imbattuto in questo post, pubblicato su pagine autorevoli e che analizza il punto di vista diverso di un professore della Duke University, una persona con un curriculum scientifico a tutta prova e che pubblica su riviste scientifiche internazionali, non il solito negazionista arrogante.

Era l’anno 2009. A breve saranno passati 15 anni. Tre lustri di smentite clamorose delle tesi opposte e di prove concrete a sostegno che il cambiamento climatico in atto è indiscutibilmente opera nostra. Ci sarà qualcosa di naturale, ma è davvero poca roba.

Ma soprattutto, è il sapere come sono andate le cose in passato che rende evidente che la nuova normalità climatica è conseguenza diretta delle nostre attività.

Premessa

Sono ormai decenni che diverse fonti forniscono i dati che, oltre ogni ragionevole dubbio, ci raccontano come sia cambiato il clima sulla Terra nel corso di tutta la sua lunghissima storia geologica: sono le analisi stratigrafiche dei depositi sedimentari, i carotaggi di sedimenti marini o di lunghe colonne di ghiaccio prelevate nell’Artide così come in Antartide, o dai ghiacchiai[1] e la relativa analisi dei loro contenuti, compresa la composizione dell'aria "fossile" nelle micro bolle d'aria; lo studio dei depositi vegetali trasportati dal vento, le analisi palinologiche (dei pollini), la distribuzione di organismi unicellulari dal guscio calcareo (foraminiferi), quello del rapporto tra concentrazioni di isotopi diversi dell’ossigeno o del carbonio e persino le analisi dei microsedimenti lasciati sui fondali marini del Nord Atlantico: sedimenti rilasciati da giganteschi iceberg che andavano migrando e sciogliendosi, dopo essersi staccati per crollo dal fronte delle inimmaginabili estese calotte glaciali presenti nelle epoche più fredde del nostro pianeta. E questi ultimi studi sono quelli tra i più coraggiosamente intuitivi e curiosi, che hanno messo in relazione eventi tra loro apparentemente slegati quali la fusione di iceberg, normalmente collegata a periodi di riscaldamento, e che invece ha apportato enormi quantità di acqua dolce e fredda, talmente tanta da alterare lo schema della normale circolazione delle correnti oceaniche che avviene, di solito, per differenze di temperatura e salinità.

Tutti questi sono ciò che i climatologi chiamano proxy data, non potendo effettuare misurazioni dirette nel passato per ovvi motivi si deducono alcuni fatti dall’analisi indiretta, per procura, di altri elementi.

Le previsioni e le proiezioni che vengono quindi elaborate continuamente, o la possibilità statistica concretamente molto alta che le cose vadano e potranno andare proprio così è provato da come sono andate in passato.

Un esempio di correlazioni

Nel diagramma seguente sono riportati i cosiddetti eventi di Heinrich, il geologo marino tedesco che per primo ipotizzò che lo scioglimento di grandi masse glaciali a spasso nell’Oceano avrebbe lasciato una sorta di firma basata sul contenuto di sedimenti accumulati insieme alla neve che andava formando i ghiacci, tanto meno presenti quanto più lontani dalla zona glaciale. Oltre agli eventi, indicati con HS, è possibile seguire l’andamento del rapporto tra i due isotopi dell’ossigeno 18O e 16O, il cosiddetto δ18O (per approfondire qui) che, semplificando, viene utilizzato come indicatore di maggiori o minori temperature. Poichè 18O è più pesante dell'ossigeno comune occorre maggiore energia per far evaporare la molecola d'acqua: nel viaggio del vapore verso i poli gli isotopi più pesanti tenderanno, in caso di precipitazioni, a cadere sulla superficie più frequentemente e il tutto dipende dalla temperatura. Misurando quindi il rapporto δ18O nei carotaggi nei periodi più freddi troveremo sistematicamente meno isotopi pesanti, mentre nei periodi più caldi la diminuzione sarà meno marcata. I carotaggi sono un registro geologico non solo del tenore di gas serra ma anche delle temperature. L’andamento della curva in viola segue infine abbastanza fedelmente i dati di temperatura (curva arancione) ricavati dalle analisi del cosiddetto North Greenland Ice Core Project (NGRIP), un progetto finanziato dalla UE che ha effettuato carotaggi fino ad oltre 3.000 metri di profondità perforando la calotta glaciale groenlandese. Per confronto, la curva nera in basso, riporta i dati di un altro grandioso esperimento internazionale, European Project for Ice Coring in Antarctica (EPICA) con i dati δ18O ricavati da carotaggi record, 3.270 metri di profondità, estraendo ghiaccio sempre più vecchio, fino a quasi 800.000 anni fa. La sovrapponibilità delle curve ricavate da zone diverse della Terra nello stesso periodo è impressionante.

Ancora due parole sugli eventi di Heinrich. I sedimenti presenti negli accumuli glaciali derivavano dall’intensificarsi delle correnti atmosferiche nei periodi più freddi che trasportavano una maggior quantità di detriti a loro volta derivanti dall’incremento dell’aridità tipica dei periodi glaciali che favoriva la formazione di terreni più asciutti e sabbiosi[2]. Lo scioglimento di queste masse di ghiaccio va quindi a giustificare i momenti di brusca accelerazione del calo termico individuati con altri metodi.



I cambiamenti nel passato recente

Il clima della Terra si dice, è sempre cambiato, e proprio perché se ne conoscono ormai abbastanza bene le modalità e le cause, e soprattutto le tempistiche delle varie fasi, glaciali e interglaciali, si è oggi in grado di affermare inequivocabilmente che il cambiamento che stiamo misurando da almeno un paio di secoli se non prima, e vivendo in prima persona, ha certamente delle cause antropogeniche dirette, scatenate ovviamente dall’immissione in atmosfera di enormi quantità di gas serra ogni anno, attualmente pari a 55 miliardi di tonnellate di CO2e[3]. Dire che il clima è sempre cambiato, con modalità del tutto naturali, è corretto. Non lo è invece fare questa affermazione per giustificare il cambiamento climatico in atto, così come definito scientificamente e ormai appurato dal vastissimo consenso internazionale, al di là di ogni ragionevole dubbio. Per approfondire si veda quest’altro mio post.

Oggi sappiamo con certezza, grazie soprattutto alle prospezioni polari ed oceaniche, che la Terra alterna ampi, in termini di tempo geologico, respiri di caldo e di freddo, ma che a volte sembra vada soggetta a periodi parossistici. In altre parole, durante le fasi progressive a fronte di una certa regolarità nell’aumento o nella diminuzione delle temperature medie, si possono notare intervalli di periodi in controtendenza o, durante ad esempio una discesa la tendenza può farsi più brusca, accelerata rispetto all’andamento medio.

Negli ultimi 800.000 anni le ricostruzioni ci mostrano un andamento generale relativamente regolare con il calo graduale della temperatura nel corso di 90-100.000 anni, accompagnato da un concordante aumento delle masse di ghiaccio, fino a raggiungere il massimo dello stadio glaciale. Poi la temperatura risale improvvisamente, sempre in termini di tempo geologico, e in poche migliaia di anni ritorna ai livelli caldi dell'interglaciale con una simultanea riduzione della massa dei ghiacci. Questo andamento coincide con i quantitativi di metano (ricavati dall'aria fossile contenuta nelle carote estratte dai ghiacci) che aumentano con l'aumentare del biossido di carbonio ma che, quando quest'ultimo ha raggiunto il massimo, fa un grande balzo e in poche migliaia di anni raggiunge il massimo dell'interglaciale. Si ricorda che ogni fase glaciale ed interglaciale è contemporaneamente accompagnata da estesi fenomeni di regressione od ingressione delle acque marine a causa dell’abbassamento o del sollevamento del livello medio: e non è un aspetto trascurabile dato che le variazioni di livello possono anche essere di decine di metri, superando anche i -100 come nell'ultimo picco freddo, circa 20.000 anni fa. Nel corso dell'ultima parte del Pleistocene questo saliscendi si è ripetuto per ben otto volte. Le ultime di queste glaciazioni sono state interrotte da fasi calde, che si sono manifestate rispettivamente 410.000, 300.000 240.000, 130.000 e, in termini di tempo geologico, appena, 10.000 anni fa, per una durata di poche migliaia di anni ciascuna. L'attuale interglaciale, iniziato poco più di 10.000 anni fa, è già uno dei più lunghi della serie.

Nel grafico successivo i risultati dei carotaggi antartici che indicano la lunghezza media dei cicli glaciali di 100.000 anni circa.


E nel seguente i principali periodi glaciali e relativi interglaciali del medio e tardo Pleistocene, con i primi della durata media di circa 100.000 anni ed i secondi da circa 10.000 a circa 15.000 anni.




E se ci interessa capire a fondo la storia del clima sulla Terra anche in tempi remoti, a maggior ragione dobbiamo farlo per tempi più recenti anche perché, una variazione tendente al raffreddamento, pur a cicli alterni, ha da sempre accompagnato l'evoluzione che ha portato fino a noi, all’uomo moderno.




Spiegazioni

Tra i molti e tra i primi che cercarono di mettere ordine tra quanto osservavano e le spiegazioni relative uno dei primi ad avere le idee chiare fu sicuramente l’ingegnere serbo Milutin Milanković. Nel tentativo di spiegare come mai le glaciazioni sembrano ripetersi con regolarità ciclica si concentrò sulla quantità di energia solare che raggiunge la Terra, sull’irraggiamento. Nel grafico seguente sono riportati gli andamenti dei vari parametri orbitali presi in considerazione rapportati agli stadi di glaciazione: come vedremo, un rapporto di causa-effetto ricavabile è piuttosto incerto. Non va tuttavia trascurato che, ad esempio, potrebbero quasi certamente essere state piccole variazioni nella radiazione solare, a causare deviazioni momentanee dalla tendenza generale al raffreddamento: nell'ultima glaciazione questo fenomeno si osserva ben 25 volte. Piccole variazioni di irraggiamento solare avrebbero innescato retroazioni positive legate allo scioglimento dei ghiacci artici, riduzione o interruzione momentanea delle correnti profonde dell'Atlantico settentrionale, cessione di biossido di carbonio con ulteriore aumento della temperatura, aumento del metano, finché l'irraggiamento solare non riprendeva a scendere in modo tale da invertire la tendenza.

La quantità totale di energia che ogni secondo investe la Terra, decurtata della parte riflessa (il 30% di quella incidente), è pari a 170.000 TW, ovvero 1,717 Joule/s; per fare un confronto la quantità totale che viene utilizzata a scopi energetici sul pianeta, per tutto, dal traffico aereo ai caricabatteria, è pari a 13 TW, l'umanità nel suo complesso circa 40 TW. Questa energia è funzione della potenza di emissione del Sole -che tra l’altro è aumentata di circa il 30 percento dall’origine della Terra- ma è anche funzione della distanza del pianeta dalla sua stella e soprattutto dell’inclinazione della superficie del suolo rispetto al Sole in ogni determinato punto di questa. Milanković ipotizzò che la regolarità dei cambiamenti climatici vada ricercata nelle variazioni cicliche che subisce l’orbita della Terra e più in generale i suoi movimenti nello spazio compresi quelli relativi alla rotazione ed alla variazione di posizione dell’asse terrestre. In un lavoro del 1939 elaborò una teoria secondo cui la combinazione tra i cicli di variazione dei principali parametri orbitali fosse la chiave per comprendere le alternanze glaciale-interglaciale.

I parametri orbitali fondamentali, infatti, oscillano con periodicità diverse. Per iniziare, l'inclinazione dell'asse di rotazione varia con un ciclo di 41.000 anni. La precessione, che determina lo spostamento nel tempo della data degli Equinozi, ha componenti ritmiche dominanti variabili da 19.000 a 25.000 anni, 21.000 oggi, e infine, l'orbita della Terra intorno al Sole passa da una forma ellittica ad una quasi circolare con un ritmo che ha varie componenti, da 100.000 a 400.000 anni. Modificando i parametri orbitali varia l'irraggiamento solare e quindi il bilancio termico della Terra. In base a queste ipotesi, alcuni paleoclimatologi sono convinti che questo componente, il cosiddetto forcing orbitale, sia un ingrediente importante delle variazioni. La rivoluzione climatica del Pleistocene Medio, marcata dal passaggio da un'oscillazione di 41.000 anni ad una di 100.000, sarebbe ad esempio il risultato di una accentuazione del peso relativo che hanno i cicli di eccentricità rispetto a quelli di obliquità. Inoltre molte oscillazioni climatiche che si registrano ai tropici, legate alle variabilità dei Monsoni presentano una ciclicità coerente con le variazioni della precessione di circa 20.000 anni.

Ma la Terra non è semplicemente un sasso esposto al Sole soggetto esclusivamente alle diverse condizioni di irraggiamento. Ci sono sicuramente delle relazioni tra i cicli climatici del pianeta e le variazioni cicliche dei parametri orbitali, tuttavia la teoria di Milanković non è ancora perfezionata: in particolare la risposta climatica più grande è relativa a una scala temporale di 400.000 anni, ma gli effetti su questi periodi, per quanto riguarda le glaciazioni, sono apparentemente lievi e non concordano con le previsioni. Le oscillazioni climatiche avvenute nel corso degli ultimi due milioni di anni circa sono "registrate" con buona risoluzione nel guscio dei foraminiferi planctonici accumulati nei fondali oceanici, o meglio nel parametro δ18O dell'ossigeno contenuto nei gusci, e questi sono ben correlabili, almeno per gli ultimi 400.000 anni, con i cicli astronomici proposti da Milanković. Restano comunque parecchie incertezze. Ad esempio, se fosse attribuibile soltanto alla quantità di radiazione solare che raggiunge il pianeta, variabile a seconda della posizione nello spazio o di un particolare momento orbitale, come spiegare l’assenza di correlazioni dirette tra la maggiore o minore quantità di macchie solari e le variazioni climatiche?

E tutto questo senza citare l’assenza di evidenze di cambiamenti climatici ciclici in ere molto più antiche del Pleistocene, in cui la circolazione oceanica e atmosferica era mediata, quando non governata, da diverse conformazioni paleogeografiche, dalla durata diversa dei cicli di precessione della teoria del serbo e da altri fattori.

Le macchie solari


Centinaia di anni di registrazione della numerosità delle macchie, dai tempi di Galileo in poi, mostra un andamento marcato da alternanza di picchi (massimi) e avvallamenti (minimi) con periodicità di circa 11 anni, testimoniando la grande variabilità dell’attività solare nel tempo. E’ evidente la presenza del cosiddetto grande Minimo di Maunder, un periodo di minimo prolungato tra il 1645 e il 1715 in cui il numero di macchie solari osservate fu insolitamente basso, ed è altrettanto vero che questo periodo coincise con quel che è chiamata “La piccola era glaciale”. Ma perché il raffreddamento interessò pressoché esclusivamente l’emisfero boreale e in particolare l’Europa del Nord? E inoltre come mai la ripresa del normale ciclo di macchie solari non ebbe effetti sul clima che perdurò in uno stato di particolare rigidità fino alla metà del XIX secolo non imputabile al successivo minimo? L’ultimo ciclo solare, il “ciclo solare 24”, è terminato nel 2018 (è in corso la transizione al ciclo 25) ed è risultato essere nettamente più basso dei precedenti, il più basso dal Minimo di Dalton.

Ciò nonostante qualcuno potrebbe concludere, in maniera un po’ grossolana, che le variazioni associate all’attività solare possano da sole pilotare le variazioni del clima terrestre. Ma sarebbe un grave errore basarsi esclusivamente su modelli di previsione dell’attività solare, poiché sono molteplici i fattori che contribuiscono alla variazione di temperatura del nostro pianeta. E di questi, l’attività solare è solo uno dei contributi.

Quest’ultimo ventennio è stato caratterizzato da una scarsa attività solare, tanto che il ciclo solare 24 risulta essere il più basso da circa 200 anni. Per il ciclo successivo, quello che ci apprestiamo ad affrontare, ci sono alcune previsioni secondo cui anch’esso sarà molto debole. Andremo quindi incontro ad un periodo di irrigidimento del clima? Così non sembra e anzi, le prove a conferma del riscaldamento in atto sono molteplici.

Nel grafico seguente (NASA/IPCC) in alto c’è il confronto tra la variazione di temperatura media della Terra osservata (tratto nero) e il contributo dei fattori naturali, compreso l’attività solare (tratto verde). In basso il confronto tra la variazione di temperatura media della Terra osservata (tratto nero) e il contributo dei fattori antropici (tratto blu). La coincidenza di questi ultimi due è quasi imbarazzante per qualsiasi negazionista.


Complicato, molto complicato…

Il clima della Terra è un sistema complesso relazionato ad un insieme di cause che, complessivamente, i climatologi chiamano «caos deterministico»: a definire le variazioni apparentemente casuali di un sistema, che sono invece determinate da relazioni causa-effetto precise ma molto complesse e non lineari. I fenomeni caotici sono molto sensibili alle variazioni: basta una minuscola variazione nelle condizioni di partenza per determinare traiettorie climatiche molto diverse. E una di queste differenze minime può essere data dai fattori che condizionano l’irraggiamento.

E questo sistema terribilmente complesso che vuol dire la sua in tutta questa faccenda complica, tanto per cominciare, gli effetti del forcing esterno di origine astronomica.

I fattori endogeni sono dati essenzialmente dall'attività tettonica e dai movimenti dei fluidi, aria ed acqua, sulla superficie terrestre. Sappiamo che le masse continentali si generano per affioramento di parti del mantello che vanno alla deriva sospinte dai movimenti convettivi della sottostante massa semi fluida[4]. La geometria della crosta terrestre è molto cambiata nel tempo da quando, fra 300 e 200 milioni di anni fa, esisteva una sola enorme massa continentale, la Pangea, a quando iniziarono a separarsi i due supercontinente della Laurasia e del Gondwana, che poi andarono ulteriormente a frazionarsi per assumere il familiare aspetto attuale. Nel periodo che ci interessa di più, il Cenozoico, importanti fenomeni di deriva hanno prodotto l'isolamento dell'Antartide dalle masse continentali dell'emisfero australe a seguito dell'apertura del cosiddetto passaggio di Drake, tra l'America Meridionale e l'Antartide, circa 40 milioni di anni fa, e di quello di Tasmania, circa 30 milioni di anni fa. Un altro evento tettonico con enormi conseguenze climatiche, la collisione della placca Indiana con quella Asiatica, si è verificato nella prima parte del Cenozoico, e che portò al sollevamento della catena himalayana. Anche l'istmo di Panama, che connette l'America settentrionale a quella meridionale, si è formato definitivamente nel Cenozoico, ma solo intorno a tre milioni di anni fa.

La creazione dell'Oceano Antartico, la chiusura del passaggio tra le due Americhe e la formazione della catena dell'Himalaya hanno prodotto grandiose modificazioni nella circolazione oceanica e atmosferica che hanno contribuito a loro volta a determinare il regime climatico del tardo Cenozoico, cioè del Plio-Pleistocene, quando si sono verificati i fatti che interessano l'origine e l'evoluzione dell'uomo.

Il movimento delle correnti oceaniche è prodotto dallo scorrimento dei venti sulla superficie dell'oceano e dalle differenze di densità tra le masse d'acqua. Questi movimenti si verificano in tutti gli oceani e in tutti i bacini marini minori. Sebbene su scale molto diverse dal punto di vista macro climatico, ad interessare sono soprattutto le grandi correnti oceaniche, come la Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC), un complesso sistema di flussi caldi che dalle basse-medie latitudini si spingono fino alla Groenlandia, e di correnti fredde che ridiscendono dalle aree polari verso Sud. Le correnti atlantiche proseguono anche nell'emisfero australe lungo le coste dell'America meridionale e dell'Africa, andando a connettersi con un altro grande sistema, quello della Antarctic Circumpolar Current (ACC).  

I flussi d'acqua non sono solo superficiali ma sprofondano anche negli abissi oceanici. Quando le acque profonde risalgono in superficie fanno affiorare i nutrienti che assicurano la produzione primaria dell'ecosistema oceanico. AMOC ha preso il suo aspetto attuale a seguito della chiusura dell’istmo di Panama e questo è un esempio di come la tettonica possa avere conseguenze grandissime sul clima. Lo stesso vale per ACC la cui nascita, determinata dall'apertura dei passaggi tra l'Antartide e le masse continentali australi, ha rivoluzionato il clima del pianeta nel corso del Cenozoico, consentendo le prime grandi formazioni di ghiaccio antartici e creando le premesse per l'assetto climatico attuale. 

L'importanza di questi enormi movimenti è data dal fatto che funzionano da trasportatori di calore e di umidità, quindi di energia, tra regioni molto diverse; formano quindi grandi sistemi di raccordo, trasferimento e amplificazione degli effetti locali, veri e propri meccanismi di telecomunicazione tra aree polari e tropicali e tra l'Antartide e l'Artide. Una modificazione di questi sistemi può quindi avere ripercussioni devastanti sul clima dell'intero pianeta. E’ per questo che i climatologi stanno monitorando con attenzione e preoccupazione AMOC, per cercare di capire come mai la sua intensità stia variando e se questo potrà sfociare in un collasso del sistema di correnti oceaniche addirittura entro il XXI secolo.

I processi endogeni legati alle correnti aeree e oceaniche hanno avuto effetti molto importanti sul clima e sugli ecosistemi di specifiche aree della Terra, e tra queste l'Africa, che interessa da vicino l'infanzia dell'uomo.

Ad esempio, in corrispondenza di alcuni Eventi di Heinrich degli ultimi 125.000 anni il distacco e lo scioglimento degli iceberg artici ha determinato modificazioni nelle correnti oceaniche atlantiche, che a loro volta hanno prodotto la variazione del regime degli Alisei e dei Monsoni che interessano l'Africa e conseguentemente la modificazione della struttura vegetazionale, con ovvie ripercussioni sulla composizione delle comunità biotiche locali, uomo compreso. 

Nel mio precedente post ho scritto di come la relazione tra tenore in biossido di carbonio e temperatura atmosferica influenzi lo sviluppo di vegetazione con processi fotosintetici diversi. La vegetazione è infatti protagonista di un importante feedback di natura biochimica, legato alla dipendenza che la fotosintesi ha in relazione alla concentrazione atmosferica questo gas. Ci sono piante estremamente sensibili alle variazioni di CO2 che riducono la loro capacità di fotosintesi quando la concentrazione di questo gas in atmosfera diminuisce e l’aumentano quando il quantitativo di questo gas sale: il tipo di fotosintesi di questo tipo di piante forma molecole a tre atomi di carbonio, e per questo vengono definite di tipo C3. Altre invece, che formano molecole a quattro atomi di carbonio, dette C4, sono relativamente insensibili alla quantità di CO2 in atmosfera. Accade quindi che, durante i periodi glaciali, quando la concentrazione di biossido di carbonio diminuisce, le piante C3 siano svantaggiate; al contrario, durante i periodi di riscaldamento interglaciale queste aumentano la loro diffusione sulla superficie terrestre perché la loro attività aumenta all'aumentare della temperatura, con un maggior consumo del CO2 ed una conseguente riduzione dell’effetto serra. In questo caso il feedback è negativo: quando fa più caldo la fotosintesi aumenta, il CO2 atmosferico diminuisce e quindi si riduce l'effetto serra, con conseguente raffreddamento[5].

Ma l’effetto della vegetazione non si riflette soltanto sulla maggior o minore quantità di biossido di carbonio gestibile o sul maggior o minore effetto albedo, ma soprattutto sulle maggiori o minori capacità di adattamento e integrazione con tutti gli altri componenti di un ecosistema. Alcuni antropologi hanno dimostrato come i processi a cascata che hanno prodotto la riduzione delle foreste tropicali, dovuti a climi che hanno favorito piante a fotosintesi C3 tipiche di climi più freschi rispetto alle C4, hanno di conseguenza favorito l'espansione degli ecosistemi aridi nelle aree del Sahara, provocando inoltre fenomeni di dispersione nelle faune africane, con notevoli conseguenze paleoantropologiche. Il passaggio da ambienti tipicamente forestali a savane erbose potrebbe aver spinto l’evoluzione a selezionare la postura bipede, soprattutto per esporre al Sole una quantità inferiore di superficie della pelle, potrebbe, come qualcuno ha scherzosamente detto, aver indotto l’uomo…a scendere dagli alberi.

Una piccola variazione di irraggiamento solare può generare una cascata di effetti che vengono amplificati dai meccanismi endogeni producendo modificazioni improvvise del clima che influenzano la struttura degli ecosistemi e la dinamica delle comunità e delle singole popolazioni biotiche comprese quelle umane: ciò che i paleoclimatologi e i paleoecologi intendono quando parlano di sistemi a feedback e di risposte non lineari.


Anche le correnti aeree partecipano a questi complessi meccanismi di trasferimento energetico e alla cascata di effetti che arrivano fino agli ecosistemi e all'uomo. Ne è un esempio la circolazione degli Alisei orientali che spirano sull'Oceano Pacifico, che si è sviluppata nel corso del Pleistocene, con conseguenze notevoli sugli ecosistemi tropicali, inclusi quelli africani. A causa delle differenze di temperatura fra l'Oceano Pacifico occidentale e quello orientale, si formano correnti convettive d'aria calda nel primo e correnti discendenti di aria fresca nel secondo. La circolazione si chiude nell'alta troposfera con correnti aeree verso est e, a livello del mare, con flussi d'aria verso ovest. Questa circolazione[6] influenza a sua volta le correnti marine superficiali, normalmente rivolte dalle coste dell'America del Sud alle zone centrali dell’Oceano Pacifico. E’ grazie a queste che vengono richiamate acque profonde, fredde e ricche di nutrienti, in prossimità delle coste del Perù e in parte del Cile. La risalita, garantendo un buon rifornimento di nutrienti al plancton fotosintetico che popola la fascia superiore ben illuminata dell'oceano -la cosiddetta zona eufotica- assicura un'elevata produzione primaria negli ecosistemi oceanici. La Circolazione di Walker non è costante ma subisce oscillazioni sia di intensità che di direzione a seguito della variazione delle zone calde e fredde della superficie oceanica, sulle quali incidono le variazioni di irraggiamento solare. Queste variazioni, note come Southern Oscillation, comportano lo stravolgimento delle correnti oceaniche, che possono anche invertirsi, portando sulle coste sudamericane acque calde e povere di nutrienti; quando questo accade, la produzione del fitoplacton crolla e con essa tutta la catena trofica subisce un degrado nutrizionale importante. E’ quel che accade con il fenomeno cosiddetto ENSO (El Niño Southern Oscillation), che si sviluppa irregolarmente nel corso del tempo e che si sta facendo più frequente ed ampio negli ultimi tempi, in connessione con il riscaldamento globale in atto. Quando arriva El Niño la pesca cola a picco e il problema ulteriore è che l'aumento dei costi delle proteine d'origine marina associato a questo crollo determina una spinta all'immissione sul mercato di altre proteine per far fronte alla richiesta, tra cui quelle di origine vegetale ricavate dalla coltivazione della soia. L'accresciuta domanda di questo legume provoca l'espansione delle sue aree di coltivazione, che viene ottenuta aumentando il ritmo della deforestazione

Ma questo a sua volta riduce la cattura di CO2 da parte delle foreste, con la conseguenza di un aumento di questo gas serra nell'atmosfera e quindi di un'ulteriore riscaldamento. Non solo, questi effetti non riguardano solo l'America del Sud e l'Oceano Pacifico centrale ed orientale, perché durante le fasi di inversione delle correnti si registra una marcata variazione delle precipitazioni anche in altre parti del mondo e particolarmente in Africa. E ancora, gli effetti del fenomeno ENSO sono tali da provocare profonde alterazioni climatiche a migliaia di chilometri di distanza come è stato ampiamente dimostrato anche in occasione del fenomeno nel 2010, che provocò eventi meteorologici estremi pressoché contemporaneamente negli Stati Uniti centro-occidentali e nel Pakistan.

Una perversa catena di effetti non proprio positivi.

 

Una complessa serie di eventi caotico-deterministici in un sistema altrettanto complesso a sviluppo non lineare. Ma ciò non impedisce di ribadire che le lezioni che possiamo trarre dal passato possono aiutarci ad accettare quanto la comunità scientifica ci sta dicendo da anni.

  

E concludo ribadendo la premessa. Ci piacerebbe tanto esserci sbagliati.

Quel post era del 2009.

Sono passati quasi 15 anni, anni di smentite clamorose delle tesi opposte e di prove concrete a sostegno che il cambiamento climatico in atto è indiscutibilmente opera nostra. Ci sarà qualcosa di naturale, ma è davvero poca roba.

Ma soprattutto, è il sapere come sono andate le cose in passato che rende evidente che la nuova normalità climatica è conseguenza diretta delle nostre attività.



[1] Uno dei progetti più recenti è quello di ADA270, del carotaggio in profondità, fino a 270 metri, del ghiacciaio dell’Adamello, il più esteso di tutte le Alpi.
[2] E’ controintuitivo ma presto spiegato. Più acqua viene intrappolata sottoforma di ghiaccio meno ce n’è libera di circolare in atmosfera: di conseguenza le condizioni complessive sono di maggiore aridità.

[3] “CO2 equivalente” a sommare gli effetti di tutti i gas serra di origine antropogenica.
[4] Recentemente il modello originale è stato rivisto. L’amico Aldo Piombino riassume qui le novità principali.
[5] Senza entrare nei dettagli non si pensi però che questo ciclo sia compensativo delle emissioni antropogeniche.
[6] I meteorologi definiscono questo tipo di circolazione “di Walker


Riferimenti bibliografici.

Gianluca Lentini. La Groenlandia non era tutta verde. Egea. 2023
Wolfgang Behringer. Storia culturale del clima. Bollati Boringhieri. 2016
Guido Chelazzi. L’impronta originale. Einaudi. 2013

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