Cambiamento climatico. Sfida strategica per il futuro

Ricostruzione della temperatura media globale e della concentrazione di CO2 in atmosfera per gli ultimi 68 milioni di anni. Nel grafico è riportata  per confronto la proiezione per i futuri 100 anni nel caso di diversi scenari di emissione di gas serra in futuro. Sull’asse di sinistra la differenza con la media termodinamica del pianeta pari a 15 °C. Si notino i cambi di scala nell’asse dei tempi. (fonte)

Il clima è da sempre un elemento variabile, ma fondamentale, per la vita del pianeta Terra. Più volte è cambiato, anche per effetto del mutare di condizioni di tipo geologico, fisico, chimico nel pianeta. Il cambiamento climatico[1], così come indicato dal punto 2 dell’Art. 1 della costituzione della UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), è uno dei processi che può condizionare fortemente la rivalità e la competizione tra le grandi potenze del pianeta, oltre ai nuovi equilibri che gli assetti geopolitici globali stanno vedendo nascere.
Questo può essere considerato una sorta di seguito al mio precedente post in cui, in breve, ho confutato punto per punto gli aspetti salienti e ricorrenti del negazionismo climatico.

Le cronache sono purtroppo ricche di episodi drammatici che rappresentano la gravità della sfida posta dal cambiamento climatico in atto e degli eventi calamitosi ad essi sempre più frequentemente associati.

L’elenco di ciò che viene ancora definito come “evento estremo” e che dovrebbe invece essere coniugato come nuova normalità climatica (cronache dall’Italia) è vasto e ce n’è d’ogni sorta. Le alluvioni che hanno travolto la Spagna, con un bilancio di morti, dispersi e danni enorme, sono state purtroppo uno degli ultimi di una lunga serie di eventi catastrofici di origine climatica che hanno avuto un impatto spaventoso non solo a livello ambientale, ma soprattutto umano, economico e politico. Pochi giorni prima dell’inondazione spagnola avevamo assistito alla furia devastatrice dell’uragano Milton, alle piogge torrenziali e alle esondazioni che avevano nuovamente colpito l’Emila Romagna, e prima ancora erano stati colpiti da fenomeni simili i paesi dell’Europa orientale e centrale, Polonia e Repubblica Ceca in primo luogo. Siamo soltanto a metà dell’anno in corso e, non da adesso, l’Italia è di nuovo in testa ai paesi più colpiti dalla crisi climatica secondo il Climate Risk Index 2025 curato dall’associazione ambientalista Germanwatch. In una classifica che ci vede subito dopo il Pakistan e il Belize e prima di Stati Uniti, Spagna e Grecia, siamo il paese europeo che ha maggiormente sofferto degli impatti di eventi meteorologici estremi nel 2022. Allargando lo sguardo al resto del mondo, oltre Europa e Stati Uniti, osserviamo come da anni, ormai, si siano moltiplicati gli effetti spesso catastrofici di eventi associati all’ambiente o in particolare al cambiamento climatico. Ondate di temperature sempre più alte, lunghi periodi di siccità, alluvioni inattese legate a manifestazioni atmosferiche sempre più improvvise, imprevedibili, violente e che scaricano sul terreno in poche ore il quantitativo di pioggia di mesi; fino ad incendi di dimensioni sempre più vaste, come i devastanti roghi che negli anni hanno sconvolto l’Amazzonia, l’Australia, la Russia, gli Stati Uniti, i paesi del Mediterraneo, dalla penisola iberica ai Balcani e alla Grecia. Non va dimenticato il tema, sempre più importante per i suoi possibili effetti, della fusione dei ghiacci polari e dei ghiacciai continentali, collegato all’aumento delle temperature atmosferiche, con il conseguente aumento del livello dei mari, a cui aggiungere la fusione del permafrost. Il recente episodio che ha colpito l’abitato di Blatten in Svizzera ha avuto come causa primaria questo fenomeno, perché il permafrost si forma (meglio dire si formava?) anche sulle montagne, alle nostre latitudini a quote superiori ai 2.600 metri.

 

Questi argomenti sono spesso trascurati, ma potrebbero avere conseguenze significative. L'aumento del livello del mare potrebbe influire su porti, città costiere, comunità marittime, isole oceaniche e numerose infrastrutture strategiche come quelle industriali, commerciali, energetiche e militari situate lungo le coste o negli oceani. E non si creda che occorrano innalzamenti dell’ordine di grandezza del metro: bastano anche pochi centimetri di innalzamento medio per avere mareggiate con onde più alte e quindi più penetranti e distruttive di quanto esiste ad oggi sulle linee di costa. O ancora, leggete quanto scrivevo qui a proposito del Delta del Mekong, perché anche quel che non vediamo ci riguarda.


È sempre più evidente, che gli eventi catastrofici di origine atmosferica, e più in generale gli argomenti legati al cambiamento climatico, siano un tema centrale per la sicurezza dei paesi. E che abbiano anche conseguenze importanti che impattano l’economia, la politica e le relazioni tra gli stati, arrivando a rappresentare un potenziale elemento di nuova tensione o di conflitto, in particolare per quanto riguarda il controllo di risorse, che proprio il cambiamento climatico e ambientali in corso potrebbe mettere in discussione: un esempio per tutti, l’acqua. Ma si disvelano anche scenari possibili di competizione geopolitica e geoeconomica legata sia al controllo di territori strategici, o relativi a riserve di minerali critici, fondamentali anche per lo sviluppo delle tecnologie indispensabili per affrontare la transizione a superare la dipendenza dalle fonti di energia fossile, origine dell’emissione dei gas serra direttamente collegati all’aumento delle temperature atmosferiche del pianeta.

 

Gli effetti del cambiamento climatico possono produrre ripercussioni in ambiti anche molto diversi tra loro, tutti riconducibili al più vasto tema della sicurezza globale, e di quella che viene oggi definita sicurezza umana. A partire dalle ondate migratorie indotte dalle situazioni climatiche, diventate un’autentica sfida per le organizzazioni internazionali, con milioni di persone ogni anno costrette a lasciare i propri territori di origine, soprattutto in alcune regioni del pianeta più povere, al tema delle conseguenze sanitarie del cambiamento climatico, fino alle minacce per la sicurezza alimentare o per la sicurezza delle catene di approvvigionamento minacciate dalle calamità naturali. Gli analisti hanno stimato che c’è un miliardo e mezzo di persone pronte a migrare dal sud verso il nord del mondo, e questo siamo noi, il cosiddetto Occidente. Entro la fine del secolo il cambiamento climatico potrebbe portare, tra siccità da un lato e paradossalmente inondazioni dall’altro, qualcosa come tre miliardi e mezzo di persone, a migrare o cercare di farlo. Un quinto della superficie terrestre potrà subire un incremento significativo di gravi inondazioni della durata di settimane, costringendo gli abitanti a spostarsi; e in opposizione all’abbondanza d’acqua centinaia di milioni di persone che dipendono dall’acqua dei ghiacciai resteranno letteralmente a bocca asciutta.

Il cambiamento climatico può influenzare le attività militari, richiedendo una ridefinizione delle infrastrutture, delle basi e degli strumenti di difesa, oltre a minacciare la sicurezza delle città, dei territori e delle coste. Di fronte a queste minacce legate al clima, è necessario definire strategie di intervento, prevenzione e contrasto, e utilizzare la ricerca scientifica e le nuove tecnologie per affrontarle.

 

Il tema ha dunque assunto, nel corso degli ultimi anni, una dimensione di rilevanza strategica fondamentale per il nostro futuro, nonostante si basi su un breve elenco di questioni: la sicurezza, collegata a molti temi, che vanno dall’economia all’energia, dalla rivoluzione digitale allo spazio, è diventata oggetto non solo di un sempre più acceso confronto diplomatico, ma ha assunto anche una sua dimensione di natura geopolitica.

Del resto, e cercherò di occuparmene in un prossimo post, la storia ci riporta molti esempi del passato in cui proprio gli effetti del cambiamento climatico avevano prodotto conseguenze gravi sulle popolazioni, sugli stati, sugli imperi, fin dall’epoca antica.

Un filo rosso legato al clima e all’ambiente attraversa la storia umana fin dalle prime migrazioni Out of Africa del genere umano, dai primi Homo abilis circa due milioni di anni fa, ai neanderthalensis e fino a noi, i sapiens, a partire da circa 130.000 anni fa. Fino ai nostri giorni, passando attraverso grandi eventi catastrofici, che hanno spesso cambiato la storia: e che è affatto indipendente dalla nostra impronta ecologica.

Hendrick Avercamp (1585-1634) – “Paesaggio invernale con pattinatori” 1608 circa. Allegoria di un’intera società squadernata su uno strato di ghiaccio, con i suoi ricchi e i suoi pezzenti, gli uomini e le donne, i bambini e gli anziani, i signori e i servi, resi tutti uguali dal gelo e dal freddo, che pure sembrano lasciarli indifferenti.

La storia d’Europa, in periodi tutto sommato recenti e minuziosamente ben documentati, come scrivono tra i tanti anche Philipp Blom nel suo “Il primo inverno” e Wolfgang Behringer in “Storia culturale del clima”, racconta di come la cosiddetta “piccola era glaciale” abbia avuto conseguenze quasi rivoluzionarie su politica, società, rapporti di forza e ideologie nel vecchio continente, oltre che in qualche modo influenzare l’infinità di eventi contingenti che hanno portato alla nascita dell’Illuminismo.

Sarebbe assurdo parlare di nessi causali semplici, come se quelle novità fossero state una diretta conseguenza dei mutati fattori atmosferici: più corretto è affermare che la crisi di un’agricoltura fondamentalmente cerealicola, indotta da un calo delle temperature che abbreviava il periodo vegetativo delle piante, ha fortemente sollecitato le strutture socioeconomiche dell’Europa moderna, favorendo l’innovazione e dando spazio ai portatori di pratiche originali, nuovi saperi e nuove scoperte, cioè agli esponenti di una classe media istruita in rapida ascesa, lasciando libero corso a possibilità fino ad allora insospettate. Pur sapendo che tutto ciò avvenne a scapito di milioni di europei privi dei mezzi necessari a superare la crisi e soprattutto a danno dei milioni di essere umani coinvolti nello schiavismo dilagante, non solo quello delle nascenti colonie ma anche quello dei disperati della servitù della gleba della Russia imperiale.

Ma se da un lato i cambiamenti che interessano l’Europa negli anni della piccola era glaciale non ammettono correlazioni dirette con il raffreddamento climatico in quanto tale, né in senso causale né se intesi come una risposta deliberata a quest’ultimo, dall’altro è vero che quelle novità contribuirono in misura decisiva al superamento della crisi. 

Cambiamento climatico e rivoluzione tecnologica sono quindi le due grandi sfide del nostro presente e del nostro futuro immediato. Affrontare la riflessione intorno a questi temi, sia per la loro portata generale che per gli effetti che possono produrre sulle attività umane è indispensabile, poiché determineranno gli assetti industriali, economici, sociali del futuro. Plasmeranno la vita nel pianeta nei prossimi anni e contribuiranno a ridefinire gli assetti politici del mondo.


Si rende indispensabile affrontare una nuova valutazione, sul tema degli effetti del cambiamento climatico, con duplice prospettiva: innanzi tutto con maggior attenzione alla nostra area geografica, il Mediterraneo, in cui proiettare gli scenari possibili. Una regione del globo, peraltro, particolarmente sensibile agli effetti del cambiamento climatico, ed esposta ad alcune dele minacce più gravi ad essi collegate. La seconda deve inoltre concentrarsi sulla dimensione del loro impatto a livello economico, politico e di sicurezza. Gestione della crisi e nuove tecnologie dovranno procedere di pari passo, integrate, esattamente sulla linea di mitigazione e adattamento di cui ho recentemente trattato.

I prossimi anni potrebbero purtroppo portarci sempre più di frequente di fronte ai rischi e alle conseguenze dirette dei fenomeni legati al cambiamento climatico. Non solo a livello di sicurezza ambientale. Aumentare il livello di consapevolezza, sulla complessità del tema ma anche sulle diverse ricadute che può avere è a dir poco indispensabile, al fine non solo di aumentare la coscienza della sua importanza nell’opinione pubblica ma anche per poter sviluppare misure di mitigazione degli effetti o di prevenzione dei rischi sempre più efficaci. Questo argomento rappresenta oggi un tema di grande attualità, che attraversa diverse discipline e coinvolge molteplici interessi, mostrando un impatto significativo su scala globale. Con un’attenzione particolare sul Mediterraneo, emerge come un'opportunità per sviluppare nuovi progetti di collaborazione e iniziative di cooperazione tra le coste di questa regione.

Ad oggi, le nostre risposte, di fatto, non sono molto più efficienti di quelle dei nostri antenati europei, che pure non capivano la situazione: sono caotiche, improvvisate, imbastite di malavoglia a ridosso di catastrofi sempre più frequenti, immancabilmente viziate dall’obiettivo a breve termine della crescita economica e della conservazione dell’attuale grado di benessere. Perdiamo di vista la necessità di adattarci al nostro ambiente naturale, come tutti gli organismi viventi, specialmente quando alcune tipologie di risorse alimentari iniziano a scarseggiare, e il fatto che il processo di adattamento porta necessariamente con sé trasformazioni supplementari destinate a influire su tutti gli aspetti della nostra esistenza e del nostro pensiero. Ci attendono rivolgimenti importanti, per cui faremmo meglio a sfruttare fin da ora il privilegio evolutivo che ci è stato concesso, cioè la capacità di progettare.

Oggi come allora la crisi colpisce innanzitutto i presupposti economici della nostra esistenza materiale. Alla fine del XVI secolo, quando iniziarono i primi effetti della piccola era glaciale, si trattava della produttività della cerealicoltura, oggi dello sfruttamento delle risorse naturali, condotto al limite estremo, e forse già molto oltre. I costi ecologici e i rischi connaturati alla produzione e alla promozione delle fonti di energia fossili e delle relative materie prime aumentano vertiginosamente, mentre le prime vittime del riscaldamento globale della crosta terrestre sono già costrette ad abbandonare le loro terre d’origine. Il rischio di depauperare il pianeta al punto da non poter più sopravvivere (e da trascinare con noi nell’estinzione anche le altre specie viventi, processo in corso!) si è fatto oggi concreto. La soluzione che in età moderna ci ha permesso di sopravvivere alla precedente crisi climatica, la crescita economica fondata sullo sfruttamento, si è trasformata in una minaccia per la nostra esistenza.

Anche se fiduciosi nel progresso e nella tecnologia il rischio di fallire, o comunque di adattarsi a danno di centinaia di milioni di esseri umani, è altissimo. Ma anche le previsioni più caute, quelle che parlano di un aumento delle temperature mondiali pari a circa due gradi, votano le nostre società a trasformazioni ancora inimmaginabili. Tutto cambia. I flussi migratori, le lotte per la ridistribuzione, le guerre e gli scontri che ci attendono nei prossimi decenni sconvolgeranno le nostre società e le trasformeranno. Solo una minima parte di quei conflitti, però, verrà combattuta con le armi in pugno, perché il fulcro di quelle tensioni a venire è la rivalità tra due sogni, espressione di gruppi di interesse in contrasto.

Il cambiamento climatico inasprirà il conflitto tra le due grandi metafore politiche più in voga, i due sogni. Quello liberale ispirato dagli ideali illuministi (che hanno comunque saputo ottimamente convivere con schiavismo e sfruttamento) o quello autoritario, sempre più diffuso, che accomuna uno spettro quanto mai eterogeneo di soggetti, dal momento che il suo carattere distintivo è la retorica del noi e gli altri. È la fazione dei delusi, di chi è rimasto travolto, degli sradicati, di quelli che hanno già perso qualcosa e di chi teme di perderlo (specialmente nel mondo del benessere). Persone che non appartengono agli strati dell’élite e diffidano delle élite e dei processi politici, della democrazia, dei media. Si considerano vittime di un complotto, si sentono umiliate. Riescono a fare chiarezza sul mondo solo a partire da una distinzione netta tra sé e certi altri gruppi. Si sentono minacciate e reagiscono di conseguenza: per questo hanno bisogno innanzitutto di un nemico. Gli sviluppi dei prossimi decenni e il clima di instabilità politica che li accompagnerà spingeranno sempre più persone nel campo del sogno autoritario. Il cambiamento climatico e l’automatizzazione renderanno ancora più penalizzanti le pressioni che gravano sulle nostre società, spingendole al cambiamento. Al tempo stesso lo scenario politico non offre opzioni risolutive, né gli elettori sembrano disposti ad appoggiare il nuovo. Al contrario, aspirano alla conservazione dello statu quo. Il conflitto tra il sogno liberale e il contro-sogno autoritario è destinato a farsi sempre più intenso, più radicale, più violento. I valori dell’uguaglianza e della libertà intesi come prerogative innate di tutti gli esseri umani verranno sempre più duramente contestati e messi in dubbio.

La posta in gioco? L’umanità.

Ricordando un antico proverbio Navaho che recita che «noi non ereditiamo la terra dai nostri padri ma la prendiamo in prestito dai nostri figli» ribadisco che siamo la prima generazione nella storia del genere umano ad avere un’idea piuttosto precisa dell’eredità che toccherà in sorte ai nostri posteri.

Usiamo queste informazioni per lasciare loro un pianeta diverso. 

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Segnalo inoltre un interessante articolo del Ten. Col. Gianfranco Pino dell'Arma dei Carabinieri, e che di recente ha frequentato il corso “Climate Security & Defence”, tenuto dal NATO CCASCoE.


[1] Anche se numerose sono le fonti che utilizzano il concetto di “cambiamenti climatici” al plurale, perché ritenuto più inclusivo e accurato a sottolineare la complessità del fenomeno, personalmente preferisco il singolare “cambiamento climatico”, dall’originale Climate Change introdotto nel 1992 con la nascita di UNFCCC. In origine utilizzato come riferimento al riscaldamento globale è mia opinione che il cambiamento, per quanto complesso, sia unico come causale di molteplici conseguenze.

 


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