Ricostruzione della temperatura media globale e della concentrazione di CO2 in atmosfera per gli ultimi 68 milioni di anni. Nel grafico è riportata per confronto la proiezione per i futuri 100 anni nel caso di diversi scenari di emissione di gas serra in futuro. Sull’asse di sinistra la differenza con la media termodinamica del pianeta pari a 15 °C. Si notino i cambi di scala nell’asse dei tempi. (fonte) |
L’elenco di ciò che viene ancora definito come
“evento estremo” e che dovrebbe invece essere coniugato come nuova normalità climatica (cronache dall’Italia) è vasto e ce n’è d’ogni sorta. Le alluvioni che hanno travolto
la Spagna, con un bilancio di morti, dispersi e danni enorme, sono state
purtroppo uno degli ultimi di una lunga serie di eventi catastrofici di origine
climatica che hanno avuto un impatto spaventoso non solo a livello ambientale,
ma soprattutto umano, economico e politico. Pochi giorni prima dell’inondazione
spagnola avevamo assistito alla furia devastatrice dell’uragano Milton, alle
piogge torrenziali e alle esondazioni che avevano nuovamente colpito l’Emila
Romagna, e prima ancora erano stati colpiti da fenomeni simili i paesi
dell’Europa orientale e centrale, Polonia e Repubblica Ceca in primo luogo. Siamo
soltanto a metà dell’anno in corso e, non da adesso, l’Italia è di
nuovo in testa ai paesi più colpiti dalla crisi climatica secondo il Climate
Risk Index 2025 curato dall’associazione ambientalista Germanwatch. In una classifica che ci
vede subito dopo il Pakistan e il Belize e prima di Stati
Uniti, Spagna e Grecia, siamo il paese europeo
che ha maggiormente sofferto degli impatti di eventi meteorologici estremi nel
2022. Allargando lo sguardo al resto del mondo, oltre Europa e Stati
Uniti, osserviamo come da anni, ormai, si siano moltiplicati gli effetti spesso
catastrofici di eventi associati all’ambiente o in particolare al cambiamento
climatico. Ondate di temperature sempre più alte, lunghi periodi di siccità,
alluvioni inattese legate a manifestazioni atmosferiche sempre più improvvise,
imprevedibili, violente e che scaricano sul terreno in poche ore il
quantitativo di pioggia di mesi; fino ad incendi di dimensioni sempre più vaste,
come i devastanti roghi che negli anni hanno sconvolto l’Amazzonia,
l’Australia, la Russia, gli Stati Uniti, i paesi del Mediterraneo, dalla
penisola iberica ai Balcani e alla Grecia. Non va dimenticato il tema, sempre
più importante per i suoi possibili effetti, della fusione dei ghiacci polari e dei ghiacciai continentali, collegato all’aumento delle temperature atmosferiche, con il
conseguente aumento del livello dei mari, a cui aggiungere la fusione del
permafrost. Il recente episodio che ha colpito l’abitato di Blatten in Svizzera
ha avuto come causa primaria questo fenomeno, perché il permafrost si forma (meglio
dire si formava?) anche sulle montagne, alle nostre latitudini a quote
superiori ai 2.600 metri.
Questi argomenti sono spesso trascurati, ma potrebbero
avere conseguenze significative. L'aumento del livello del mare potrebbe
influire su porti, città costiere, comunità marittime, isole oceaniche e
numerose infrastrutture strategiche come quelle industriali, commerciali,
energetiche e militari situate lungo le coste o negli oceani. E non si creda
che occorrano innalzamenti dell’ordine di grandezza del metro: bastano anche
pochi centimetri di innalzamento medio per avere mareggiate con onde più alte e
quindi più penetranti e distruttive di quanto esiste ad oggi sulle linee di
costa. O ancora, leggete quanto scrivevo qui a proposito del Delta del Mekong, perché anche
quel che non vediamo ci riguarda.
Il cambiamento climatico può influenzare le attività militari, richiedendo una ridefinizione delle infrastrutture, delle basi e degli strumenti di difesa, oltre a minacciare la sicurezza delle città, dei territori e delle coste. Di fronte a queste minacce legate al clima, è necessario definire strategie di intervento, prevenzione e contrasto, e utilizzare la ricerca scientifica e le nuove tecnologie per affrontarle.
Il tema ha dunque assunto, nel corso degli ultimi anni, una
dimensione di rilevanza strategica fondamentale per il nostro futuro,
nonostante si basi su un breve elenco di questioni: la sicurezza, collegata a
molti temi, che vanno dall’economia all’energia, dalla rivoluzione digitale
allo spazio, è diventata oggetto non solo di un sempre più acceso confronto
diplomatico, ma ha assunto anche una sua dimensione di natura geopolitica.
Del resto, e cercherò di occuparmene in un prossimo post, la
storia ci riporta molti esempi del passato in cui proprio gli effetti del cambiamento
climatico avevano prodotto conseguenze gravi sulle popolazioni, sugli stati,
sugli imperi, fin dall’epoca antica.
Un filo rosso legato al clima e all’ambiente attraversa la
storia umana fin dalle prime migrazioni Out of Africa del genere umano, dai primi Homo abilis circa due milioni di anni fa, ai neanderthalensis
e fino a noi, i sapiens, a partire da circa 130.000 anni fa. Fino ai
nostri giorni, passando attraverso grandi eventi catastrofici, che hanno spesso
cambiato la storia: e che è affatto indipendente dalla nostra impronta
ecologica.
La storia d’Europa, in periodi tutto sommato recenti e
minuziosamente ben documentati, come scrivono tra i tanti anche Philipp Blom
nel suo “Il primo inverno” e Wolfgang Behringer in “Storia culturale del clima”, racconta di come la cosiddetta “piccola era glaciale” abbia avuto conseguenze quasi rivoluzionarie su
politica, società, rapporti di forza e ideologie nel vecchio continente, oltre
che in qualche modo influenzare l’infinità di eventi contingenti che hanno
portato alla nascita dell’Illuminismo.
Sarebbe assurdo parlare di nessi
causali semplici, come se quelle novità fossero state una diretta
conseguenza dei mutati fattori atmosferici: più corretto è affermare che la
crisi di un’agricoltura fondamentalmente cerealicola, indotta da un calo delle
temperature che abbreviava il periodo vegetativo delle piante, ha fortemente
sollecitato le strutture socioeconomiche dell’Europa moderna, favorendo l’innovazione e dando spazio ai
portatori di pratiche originali, nuovi saperi e nuove scoperte, cioè agli esponenti
di una classe media istruita in rapida ascesa, lasciando libero corso a
possibilità fino ad allora insospettate. Pur sapendo che tutto ciò avvenne a
scapito di milioni di europei privi dei mezzi necessari a superare la crisi e
soprattutto a danno dei milioni di essere umani coinvolti nello schiavismo
dilagante, non solo quello delle nascenti colonie ma anche quello dei disperati
della servitù della gleba della Russia imperiale.
Ma se da un lato i cambiamenti che interessano l’Europa negli anni della piccola era glaciale non ammettono correlazioni dirette con il raffreddamento climatico in quanto tale, né in senso causale né se intesi come una risposta deliberata a quest’ultimo, dall’altro è vero che quelle novità contribuirono in misura decisiva al superamento della crisi.
Cambiamento climatico e rivoluzione tecnologica sono quindi le due grandi sfide del nostro presente e del nostro futuro immediato. Affrontare la riflessione intorno a questi temi, sia per la loro portata generale che per gli effetti che possono produrre sulle attività umane è indispensabile, poiché determineranno gli assetti industriali, economici, sociali del futuro. Plasmeranno la vita nel pianeta nei prossimi anni e contribuiranno a ridefinire gli assetti politici del mondo.
I prossimi anni
potrebbero purtroppo portarci sempre più di frequente di fronte ai rischi e
alle conseguenze dirette dei fenomeni legati al cambiamento climatico. Non solo
a livello di sicurezza ambientale. Aumentare il livello di consapevolezza, sulla complessità del tema ma
anche sulle diverse ricadute che può avere è a dir poco indispensabile, al fine non solo di aumentare la coscienza
della sua importanza nell’opinione pubblica ma anche per poter sviluppare
misure di mitigazione degli effetti o di prevenzione dei rischi sempre più efficaci. Questo
argomento rappresenta oggi un tema di grande attualità, che attraversa diverse
discipline e coinvolge molteplici interessi, mostrando un impatto significativo
su scala globale. Con un’attenzione particolare sul Mediterraneo, emerge come
un'opportunità per sviluppare nuovi progetti di collaborazione e iniziative di
cooperazione tra le coste di questa regione.
Ad oggi, le nostre risposte, di fatto, non sono molto più efficienti di quelle dei nostri antenati europei, che pure non capivano la situazione: sono caotiche, improvvisate, imbastite di malavoglia a ridosso di catastrofi sempre più frequenti, immancabilmente viziate dall’obiettivo a breve termine della crescita economica e della conservazione dell’attuale grado di benessere. Perdiamo di vista la necessità di adattarci al nostro ambiente naturale, come tutti gli organismi viventi, specialmente quando alcune tipologie di risorse alimentari iniziano a scarseggiare, e il fatto che il processo di adattamento porta necessariamente con sé trasformazioni supplementari destinate a influire su tutti gli aspetti della nostra esistenza e del nostro pensiero. Ci attendono rivolgimenti importanti, per cui faremmo meglio a sfruttare fin da ora il privilegio evolutivo che ci è stato concesso, cioè la capacità di progettare.
Oggi come allora la crisi colpisce innanzitutto i
presupposti economici della nostra esistenza materiale. Alla fine del XVI
secolo, quando iniziarono i primi effetti della piccola era glaciale, si
trattava della produttività della cerealicoltura, oggi dello sfruttamento delle
risorse naturali, condotto al limite estremo, e forse già molto oltre. I costi
ecologici e i rischi connaturati alla produzione e alla promozione delle fonti
di energia fossili e delle relative materie prime aumentano vertiginosamente,
mentre le prime vittime del riscaldamento globale della crosta terrestre sono
già costrette ad abbandonare le loro terre d’origine. Il rischio di depauperare
il pianeta al punto da non poter più sopravvivere (e da trascinare con noi
nell’estinzione anche le altre specie viventi, processo in corso!) si è fatto oggi concreto. La soluzione che in età moderna ci ha
permesso di sopravvivere alla precedente crisi climatica, la crescita economica
fondata sullo sfruttamento, si è trasformata in una minaccia per la nostra
esistenza.
Anche se fiduciosi
nel progresso e nella tecnologia il rischio di fallire, o comunque di adattarsi
a danno di centinaia di milioni di esseri umani, è altissimo. Ma anche le
previsioni più caute, quelle che parlano di un aumento delle temperature
mondiali pari a circa due gradi, votano le nostre società a trasformazioni ancora inimmaginabili.
Tutto cambia. I flussi migratori, le lotte per la ridistribuzione, le guerre e
gli scontri che ci attendono nei prossimi decenni sconvolgeranno le nostre
società e le trasformeranno. Solo una minima parte di quei conflitti, però,
verrà combattuta con le armi in pugno, perché il fulcro di quelle tensioni a
venire è la rivalità tra due sogni, espressione di gruppi di interesse in
contrasto.
La posta in gioco? L’umanità.
Ricordando un antico proverbio Navaho che recita che «noi non ereditiamo la terra dai nostri padri ma la prendiamo in prestito dai nostri figli» ribadisco che siamo la prima generazione nella storia del genere umano ad avere un’idea piuttosto precisa dell’eredità che toccherà in sorte ai nostri posteri.
Usiamo queste informazioni per lasciare loro un pianeta diverso.
____________________________
Segnalo inoltre un interessante articolo del Ten. Col. Gianfranco Pino dell'Arma dei Carabinieri, e che di recente ha frequentato il corso “Climate Security & Defence”, tenuto dal NATO CCASCoE.
[1]
Anche se numerose sono le fonti che utilizzano il concetto di “cambiamenti
climatici” al plurale, perché ritenuto più inclusivo e accurato a sottolineare
la complessità del fenomeno, personalmente preferisco il singolare “cambiamento
climatico”, dall’originale Climate Change introdotto nel 1992
con la nascita di UNFCCC. In origine utilizzato come riferimento
al riscaldamento globale è mia opinione che il cambiamento, per quanto
complesso, sia unico come causale di molteplici conseguenze.
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