Inazione - Origini e contromisure

Nel post precedente abbiamo visto come vada diffondendosi, in gergo social si direbbe virale, una forma di pessimismo climatico, diffusa soprattutto tra i giovani. E come occorre mettere in campo una serie di iniziative in grado di sfidare la sfiducia, la disillusione, la perdita di ogni speranza che si possa invertire la rotta, diventa giorno dopo giorno fondamentale. Qui non si tratta di controbattere posizioni antiscientifiche o pseudoscientifiche, ma di convincere gli sfiduciati convinti che sia troppo tardi che non è vero. Opporsi al catastrofismo climatico quindi. Ma da dove nasce questa sorta di pessimismo che porta quasi automaticamente a tirare i remi in barca e smettere di agire?

Diamoci una mossa!

Che cosa porta un essere umano, ancorché raziocinante ed in grado di capire, all’inazione, a quell’apatia, direi piuttosto ignavia, che lo affligge in determinate condizioni? Autodifesa. Qualcosa di atavico, legato ai tempi in cui eravamo più facilmente prede che predatori, e dove ciò che contava erano risposte e azioni immediate, spesso istintive, quelle che ti salvavano la vita.

Origini
Il sociologo norvegese Per Espen Stoknes, esperto di economia e comunicazione ambientale, riassume questi ostacoli all’azione, in cinque D. Distance, Doom, Dissonance, Denial iDentity.


Innanzi tutto i problemi del clima appaiono distanti, in senso spaziale e cronologico. Chi ci parla di gigatonnellate (miliardi di tonnellate) e misurazioni con relativi dati, annotati per decenni, secoli o millenni, non si rende sempre conto che il nostro cervello non è fatto per comprendere certi ordini di grandezza. E restando lontano da quanto siamo in grado di percepire ci fanno sentire del tutto irrilevanti. La nostra realtà è molto più limitata e ristretta ai problemi quotidiani. La questione climatica rimane quindi remota per la maggior parte di noi, per diversi motivi. Non possiamo vedere il cambiamento climatico. I ghiacciai che si sciolgono sono solitamente lontani, così come i luoghi sulla Terra che ora stanno subendo l'innalzamento del livello del mare, inondazioni più gravi, siccità, incendi e altri sconvolgimenti climatici. Potrebbe colpire altri, non me o i miei parenti. E gli impatti più gravi sono lontani nel tempo: nel prossimo secolo o più lontano. Nonostante alcuni affermino che il riscaldamento globale sia già in atto, sembra ancora lontano dalle preoccupazioni quotidiane.

Il catastrofismo, approfondito nel post precedenteè un’altra azione di difesa del cervello, ci fa apparire gli effetti caotici del cambiamento climatico come un insieme di catastrofi, generando assuefazione e la convinzione che qualsiasi cosa accadrà sarà inevitabile, qualunque sia l’azione che potremmo intraprendere, sarà stato inutile. Sui social gli hanno assegnato nome e hashtag: doomism e, come non bastasse, spopola tra gli attivisti un novello «Ok Doomer!». Quando il cambiamento climatico viene inquadrato come un disastro incombente che può essere affrontato solo con perdite, costi e sacrifici, si crea il desiderio di evitare l'argomento. Siamo prevedibilmente avversi alle perdite. In mancanza di soluzioni pratiche, l'impotenza cresce e il messaggio di paura si ritorce contro di noi. Abbiamo sentito dire «la fine è vicina» così tante volte che ormai non ci rendiamo più conto di questo.

Un’altra difesa spontanea è quella che tende ad evitare di farci sentire in dissonanza: la discordanza tipica del predicatore che razzola male. Crediamo nella rivoluzione ambientale, conosciamo gli effetti del cambiamento climatico a lungo termine e ci preoccupiamo di figli e soprattutto nipoti, ma continuiamo ad agire come se non ci fosse un domani. E allora accettiamo tutto questo per evitare di sentirci a disagio cercando giustificazioni: cosa vuoi che conti il singolo gesto della singola persona? Il clima è sempre cambiato (qui un approfondimento, e anche qui). Narrazioni che ci gratificano e di fatto orientano le nostre azioni. Se ciò che sappiamo (ad esempio, il nostro consumo di energia fossile contribuisce al riscaldamento globale) è in conflitto con ciò che facciamo (guidare, volare, mangiare carne di manzo o riscaldarci con combustibili fossili), allora si instaura una dissonanza. Lo stesso accade se i miei atteggiamenti sono in conflitto con quelli delle persone importanti per me. In entrambi i casi, la mancanza di comportamenti appropriati e di sostegno sociale indebolisce gli atteggiamenti climatici nel tempo. Ma mettendo in dubbio o minimizzando ciò che sappiamo (i fatti), possiamo sentirci meglio riguardo al nostro modo di vivere. Pertanto, il comportamento effettivo e le relazioni sociali determinano l'atteggiamento a lungo termine.

Di errore in errore si arriva infine alla negazione, anche inconscia. Razionalmente si conosce la gravità di ciò che sappiamo, ma facciamo finta di non saperlo, selezionando solo le informazioni (lo chiamano cherry picking, ne scrissi qui) che fanno comodo (bias della conferma), ignorando, e controbattendo all’occorrenza, tutto ciò e tutti coloro che la smentiscono. Fino, come sappiamo, a creare anche teorie complottiste, millantando presunte manipolazioni di scienziati o tecnici, e insinuando l’esistenza di piani occulti dietro alle politiche per il clima. Quando neghiamo, ignoriamo o evitiamo in qualche modo di riconoscere i fatti inquietanti sul cambiamento climatico, troviamo rifugio dalla paura e dal senso di colpa. Unendoci al negazionismo e alla presa in giro espliciti, possiamo vendicarci di coloro che, a nostro avviso, criticano il nostro stile di vita, credono di saperne di più e cercano di dirci come vivere. La negazione si basa sull'autodifesa, non sull'ignoranza, sull'intelligenza o sulla mancanza di informazioni.

Persino lidentità culturale di ciascuno di noi genera autodifesa: nei più conservatori genera minor disponibilità ad accettare norme stringenti da parte delle istituzioni governative, a ridicolizzare gli attivisti del clima. Il rifiuto di subirle porta costoro a seppellire o calpestare la realtà. Filtriamo le notizie attraverso la nostra identità professionale e culturale. Cerchiamo informazioni che confermino i nostri valori e le nostre idee, escludendo ciò che li mette in discussione. Se, ad esempio, chi ha valori conservatori sente da un progressista che il clima sta cambiando, è meno propenso a credere al messaggio. L'identità culturale prevale sui fatti. Se una nuova informazione ci impone di cambiare noi stessi, è probabile che l'informazione venga persa. Incontriamo resistenza alle richieste di cambiamento della nostra identità.

Se a tutto ciò aggiungiamo due nuovi fenomeni, il free riding e l’ansia climatica (ecoansia) la situazione si aggrava.

Nel primo caso, se sappiamo che qualcuno fa o sta facendo qualcosa, possiamo stare tranquilli, se ne occuperà qualcun altro di salvare il mondo! E, a quanto pare, a nulla sembra siano valsi finora gli sforzi di costruire politiche collaborative in grado di ridurre gli egoismi umani costruendo un’architettura di scelta in grado di limitare tale rischio.

L’ansia climatica che colpisce e tocca in varie forme adulti e giovani, soprattutto questi ultimi, se si esclude quella a breve termine che colpisce gli anziani che si apprestano all’arrivo dell’estate seriamente preoccupati. Per quanto non sia ancora riconosciuta come condizione diagnosticabile, ci sono chiare evidenze tali per cui avere a che fare con gli effetti del cambiamento climatico aumenti il rischio di depressione, fiacchezza e, per chi ha già problemi o è affetto da malattie mentali, anche profonda angoscia, disagio mentale, disturbo post traumatico da stress, propensione al suicidio e ulteriore deterioramento.

Nel 2020 un sondaggio in Inghilterra ha evidenziato come il 57% tra giovani e bambini si definiscano angosciati per la crisi climatica e lo stato di degrado dell’ambiente. Il fenomeno poi, sia per adulti che ragazzi, si appesantisce anche perché tocca sempre più il portafoglio: difendersi da un clima cattivo, significa dover progressivamente spendere più soldi (mezzi privati da sostituire via via, case da efficientare e certificare), oltre che patire limitazioni.

Contromisure
Al fine di superare questi cinque ostacoli e soprattutto la dissonanza cognitiva, Espen Stoknes offre altrettante soluzioni, le cinque S, che sono le sue cinque soluzioni: Social network, Supportive framings, Simple Actions, Storytelling, Signals.

Social network. Dobbiamo usare il potere dei social network per far arrivare i messaggi sul clima. La pressione dei pari è uno strumento potente. In uno studio classico, i ricercatori hanno testato l'installazione di un cartello in una camera d'albergo che informava che il 75% degli ospiti di quella stanza aveva riutilizzato gli asciugamani. Il tasso di riutilizzo è aumentato drasticamente, sebbene un cartello simile, che invitava le persone a riutilizzare gli asciugamani per risparmiare acqua, abbia avuto scarso effetto. Gli esseri umani vogliono essere come coloro che ci circondano. Pertanto, dovremmo dare risalto alle persone popolari che stanno facendo la cosa giusta, come ad esempio sta facendo la Green Sports Alliance. I pari sono anche i migliori messaggeri per cambiare l'atteggiamento nei confronti del cambiamento climatico attraverso conversazioni faccia a faccia.

Supportive framings (inquadramenti di supporto). La maggior parte dei messaggi sul clima è racchiusa in concetti di catastrofe, costi e sacrifici. Gli studi hanno individuato inquadramenti che generano maggiore supporto per i temi climatici. Tra questi, i più importanti sono quelli relativi a salute, assicurazione e opportunità. Quindi: il clima è in realtà una questione di salute, non di sacrifici. È ricco di opportunità piuttosto che di costi. E dovrebbe essere considerato come una questione di gestione del rischio e di assicurazione, più che come una catastrofe imminente.

Simple Actions (azioni semplici).   Prendere decisioni rispettose del clima nella vita di tutti i giorni può essere difficile: siamo vincolati ad automobili, centri commerciali e prodotti alimentari ad alta intensità di combustibili fossili. Ma possiamo rendere le decisioni rispettose del clima per energia, alimenti ed elettrodomestici la scelta più semplice e predefinita. Disponibilità, rilevanza e promemoria tempestivi rendono le opzioni climatiche convenienti. Rendendo più semplice per tutti vivere e fare acquisti green, invertiamo la dissonanza e generiamo sostegno per le politiche.

Storytelling (narrazione). Siamo stanchi della storia dell'apocalisse climatica, con orsi polari che annegano e ci viene detto che abbiamo torto. L'inferno non vende. Servono storie di imprenditori e scienziati che hanno successo con nuove soluzioni. Le visioni e le narrazioni che dobbiamo raccontare descrivono una società in crescita verde con migliori mezzi di sussistenza, città più intelligenti attorno alle quali la natura si sta rinaturalizzando in modo resiliente.

 

 

Signals (Segnali). Infine, meno attenzione agli indicatori globali sulla velocità con cui la CO2 si accumula nell'atmosfera o sulla velocità con cui l'Antartide si sta sciogliendo. Piuttosto, abbiamo bisogno di nuovi segnali e indicatori per sapere che la nostra società sta facendo progressi nella risposta alla crisi. Segnali personalizzati, che misurino quanto aziende, città, stati, amici e noi stessi stiamo contribuendo – mensilmente o quotidianamente – alla grande svolta ecologica.

Fortunatamente, esiste una cornucopia di alternative e iniziative simili a queste cinque strategie, che vengono sperimentate e testate oggi. Si tratta di strategie più positive, poiché si collegano meglio ai bisogni umani di benessere e fluidità.




Riassumendo

  • Social, riuscire cioè a portare nella nostra quotidianità le norme sociali per diffondere le buone azioni creando comunicazioni che evidenziano i buoni comportamenti dei nostri vicini. Quanto più si diffondono tanto più, per imitazione e desiderio di essere come gli altri, le perseguiremo.
  • Supporto o Sostegno delle buone azioni in modo che le scelte giuste siano valorizzate come sane per ciascuno di noi, per la salute di ognuno ed anche di tutti.
  • Semplicità, rendere le scelte virtuose facili, accessibili, congegnate con cura.
  • Signal, fornire feedback che motivano e generano anche attenzione diffusa intorno ai comportamenti virtuosi.
  • Storie, raccontare storie positive di chi è riuscito a cambiare, di chi per esempio ha compiuto scelte con soddisfazione e senza pentimento. Le storie positive sono infatti contagiose, la nostra innata preferenza per le storie a lieto fine le rende memorabili, diventano fatti degni di essere condivisi anche sui social: e torniamo così alla prima S.

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Riferimenti:
https://www.stoknes.com/
https://sigea-aps.it/scienza-tecnica/la-cerniera-irene-ivoi/


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