15 novembre 2025

Il mito dell'oggettività. Il debunking è una battaglia persa

«se provi a far cambiare idea a qualcuno che ha già deciso cosa pensare, non solo non ci riesci, spesso lo irriti pure» (Walter Quattrociocchi)

Potete saltare a piè pari le citazioni seguenti, magari rilette alla fine risuoneranno ancora più intensamente.

Per quasi 400 milioni di anni moltissime specie animali di grandi dimensioni (indicativamente dai 10 chilogrammi in su) si sono evolute sulla terraferma e hanno finito per estinguersi venendo rimpiazzati dai loro discendenti. Quante di queste specie sono comparse e quante si sono estinte? Proviamo a fare una stima plausibile. Se, come si deduce dalla documentazione fossile, la durata media della vita di una specie sommata a quella delle sue specie sorelle è nell'ordine di un milione di anni e se, con un calcolo prudenziale, supponiamo che nello stesso periodo sia esistito un migliaio di specie di tali dimensioni, allora (forse!) possiamo dire che nel corso dell'intera storia della Terra è vissuto nel complesso circa mezzo miliardo di specie con queste caratteristiche. Ma soltanto la nostra specie, tra tutte, ha raggiunto il livello di intelligenza e organizzazione sociale che oggi ci contraddistingue. Questo evento singolare cambiò ogni cosa sul pianeta. Da quel momento non ci fu nessun altro candidato e nessun'altra ulteriore contesa. La specie vincitrice straordinariamente fortunata fu quella di un primate del Vecchio Mondo; il luogo d'origine l'Africa, orientale e meridionale; l'habitat una vasta fascia di savana tropicale, prateria e semideserto; il tempo da 300.000 a 200.000 anni fa.

Eccoci dunque qui a camminare e, qualche volta, a correre disordinatamente lungo una linea di discendenza lunga 3,8 miliardi di anni e priva di uno scopo certo al di là del continuare a portare avanti i capricci delle mutazioni e della selezione naturale, come fossimo grandi borse piene di acqua di mare, erette, bipedi, sostenute da ossa, guidate da sistemi la cui base ingegneristica risale all'età dei rettili. Molte delle sostanze chimiche e delle molecole che circolano nella nostra porzione liquida (che corrisponde all'80 percento in peso del corpo) sono indicativamente le stesse che esistevano nel mare primordiale. La nostra capacità di ragionare e di scrivere ciò che pensiamo però continua a trarre energia dalla convinzione diffusa per cui ogni tappa della Preistoria e della storia, inclusa ogni grande transizione, in qualche modo sia servita a metterci sulla Terra. Tutto, è stato affermato, fin dall'origine della vita 3,8 miliardi di anni fa, venne pensato per noi. La diffusione di Homo sapiens fuori dall'Africa e in tutto il mondo abitabile fu in qualche modo preordinata. Ogni cosa venne intesa per stabilire il nostro dominio sul pianeta con l'inalienabile diritto di trattarlo come più ci piace.


Questo è l'errore, sintesi perfetta della condizione umana. 
(Edward O. Wilson, 2019)



Ma il debunking serve davvero a fermare la diffusione delle fake news?

Forse un po’ col senno di poi, ma i risultati delle ricerche che Walter Quattrociocchi racconta in un suo post recente, non mi sorprendono più di tanto. Per esperienza diretta sostengo spesso che ci si ritrova a predicare ai convertiti, e che in una sorta di cherry picking al contrario, le persone che frequentiamo e che ci seguono sono quelle disposte non solo ad ascoltarci quanto a cambiare idea. Tutto sommato, anche la nostra, una tribù.

In un commento a quel post ho citato Edward O. Wilson, un gigante della biologia e dell'evoluzionismo, i cui lavori hanno contribuito a ridurre questa sorpresa. Ed ecco perché.

Uno dei suoi contributi maggiori è stato fornire una spiegazione biologica, condivisa dagli scienziati e di larghissimo consenso, dell'evoluzione della socialità, a partire dal concetto di specie eusociale (letteralmente che hanno una buona condizione sociale), a comprendere innanzi tutto chi lo è da decine se non centinaia di milioni di anni, come termiti, formiche, api e vespe (ma non solo!), fino ovviamente a noi, Homo sapiens, da appena qualche milione di anni se proprio vogliamo arrivare alla linea evolutiva che divise "homo" da gorilla, scimpanzé, oranghi e bonobo.

I membri di un gruppo eusociale appartengono a generazioni multiple e si dividono il lavoro in un modo che, almeno esteriormente, sembra altruistico. Occorre che una serie di eventi dominati da percorsi contingenti si verifichi affinché ciò possa verificarsi, ecco perché i processi che hanno portato alla comparsa di specie eusociali sono avvenuti dopo moltissimo tempo e sono estremamente rari. Uno di questi è dato dalla comparsa di caratteristiche tali da favorire la condivisione di luoghi e/o risorse. Un nido, ad esempio, quale potrebbe essere un alveare o un formicaio per api, vespe e formiche o un accampamento, una grotta, magari intorno ad un fuoco, per i primati ominini già a partire da almeno un milione di anni.

Il tribalismo è un tratto umano fondamentale. Formare gruppi, ricavandone conforto viscerale e orgoglio dallo spirito cameratesco che s’instaura, e difendere a spada tratta il proprio gruppo dal gruppo di rivali. Sono tratti universali della natura umana, e quindi della cultura.
Psicologicamente i gruppi moderni equivalgono alle tribù della storia antica e della preistoria e in questo senso discendono in linea diretta dalle bande dei pre-umani primitivi. L’istinto che li unisce è il prodotto della selezione di gruppo.

La gente deve avere una tribù. In un mondo caotico la tribù le assegna un nome in aggiunta al proprio e le assegna un ruolo sociale. L’umano moderno vive in un sistema di tribù interdipendenti. Moderni esperimenti sociali hanno dimostrato che le persone si dividono rapidamente e decisamente in gruppi, e poi parteggiano per quello che scelgono. Persino quando i ricercatori creavano gruppi arbitrari e con interazioni prescritte banali il pregiudizio prende piede in fretta. Addirittura quando i soggetti venivano informati che il gruppo “esterno” e quello “interno” erano stati scelti arbitrariamente, che si giocasse a tombola o si parteggiasse per un pittore piuttosto che un altro!

La tendenza potente e universale a formare gruppi ha il marchio dell’istinto. E “istinto” è biologia, frutto di evoluzione per selezione naturale. Apprendimento predisposto, come il linguaggio, l’acquisizione di talune fobie e il tabù dell’incesto.

La pulsione elementare a modellare un’appartenenza di gruppo e a ricavarne piacere si trasforma facilmente a livello superiore in tribalismo. La gente è naturalmente portata al cosiddetto “etnocentrismo”. È sconsolante, ma anche quando possono scegliere senza sentirsi in colpa gli individui preferiscono la compagnia di altri individui della stessa razza, nazione, tribù, religione. Si fidano di più, si accompagnano più volentieri a loro sul lavoro e nel tempo libero e li preferiscono quasi sempre come sposi. Si arrabbiano più facilmente quando è evidente che un gruppo esterno si comporta slealmente o riceve vantaggi immeritati, e osteggiano ogni gruppo esterno che sconfini nel territorio del proprio gruppo d'appartenenza o ne insidi le risorse. Letteratura e storia sono piene di esempi.

Sintetizzando parecchio, ciò è avvenuto grazie all’opera della selezione naturale a più livelli, selezione multilivello, e già lo stesso Darwin lo aveva genialmente intuito. La selezione multilivello è fatta dall’interazione fra le forze selettive che prendono di mira i tratti dei singoli membri di una popolazione e quelle che riguardano i tratti di tutto il gruppo. Una teoria che ha rimpiazzato quella basata sulla parentela o su una sorta di “egoismo” del gene e che ha dimostrato, anche con modelli matematici oltre che osservazioni sul campo, che nei gruppi la parentela stretta non precede, ma segue, la formazione del gruppo, ne è conseguenza.

Già i nostri precursori formavano gruppi ben organizzati che si disputavano a vicenda territori e risorse. La competizione tra gruppi diversi ma formati da elementi della propria stessa specie, influenza l’adattamento genetico di ogni membro del gruppo, interagendo con la competizione che questi ha con coloro i quali formano il suo stesso gruppo.
Il risultato della competizione tra gruppi sarà in gran parte determinato di volta in volta dai dettagli del comportamento sociale in ogni gruppo. A cominciare dalla grandezza e dalla coesione del gruppo, dalla qualità della comunicazione e dalla divisione del lavoro fra i suoi membri.
Se per assurdo un gruppo fosse formato da soli egoisti e furbacchioni la competizione tra loro potrebbe paradossalmente permetterne la sopravvivenza a ranghi ridotti ma sarebbe certamente perdente nei confronti di altri gruppi socialmente cooperativi. La bontà della prestazione di un gruppo dipende dalla coesione dei suoi membri, indipendentemente dal grado in cui ogni membro del gruppo è individualmente sfavorito o favorito.

Anche se è la selezione naturale a livello individuale che ha prevalso e prevale in tutta la storia della vita, occorre tenere presente che l’adattamento genetico di un essere umano (o di qualsiasi altro appartenente a specie eusociali) dev’essere una conseguenza sia della selezione individuale sia di quella di gruppo. Ma l’unità ultima interessata è l’intero codice genetico dell’individuo. Se il vantaggio adattativo di appartenere a un gruppo è inferiore a quello di una vita solitaria, l’evoluzione favorirà l’allontanamento o il tradimento da parte di un individuo. Estremizzando, la società si disgregherà. Negli esseri umani, tutti potenzialmente in grado di riprodursi, c’è un eterno conflitto tra selezione naturale a livello di gruppo e selezione naturale a livello individuale.

Ma la competizione fra gruppi favorisce la permanenza nel proprio. L’uomo è così diventato un animale sociale, tribale, con un senso di appartenenza forte, sempre teso a distinguere il “noi” da “altro da noi”, rafforzato dalla diffusione di miti, soprattutto della creazione, credenze, imposizioni e adesioni di tipo religioso, di leggende o tabù di inviolabilità. In un continuo tumulto endemico radicato nei processi evolutivi che ci hanno portato ad essere ciò che siamo. Il peggio della nostra natura convive con il meglio, e sarà sempre così. Cancellare il lato peggiore, ammesso che sia possibile, ci renderebbe meno umani.

Le ricerche del team di Walter Quattrociocchi hanno dimostrato, forti della generalizzazione dei risultati, basata su modelli matematici alimentati da miliardi di dati (due spunti di lettura in tema potete trovarli qui e qui), che le informazioni non si diffondono in base a criteri di verità o di plausibilità, perché sono vere o false, ma solo perché sono in linea col credo delle tribù e delle loro degenerazioni, le cosiddette echo chambers. Il tribalismo, ancora una volta agisce come fa da centinaia di migliaia di anni, e determina la traiettoria di un contenuto, non il suo valore. Generando pregiudizi pronti a collidere, anche ferocemente, con quelli altrui.

Ricerche che hanno inoltre dimostrato che anche i modelli matematici di Wilson e di chi ha voluto verificarli adottandoli, corroborati da ricerche sul campo, avessero ragione.  Quanto oggi la recentissima data science mette a disposizione scientificamente, indica che i motivi per cui fare debunking, tutto sommato, sono una colossale perdita di tempo quando diretti a chi sostiene la menzogna, e si unisce a quanto la moderna biologia dimostra e indica da anni.

Ancora una volta, è la prova che le strade della ricerca scientifica, qualunque sia il settore da cui si parte, si ritroveranno sempre a incrociarsi da qualche parte.
___________________________________
Il paragrafo a seguire, in chiusura, è solo un commento personale; forse stato meglio metterlo all’inizio. Se non l’ho fatto è per non distrarre dall’obiettivo che spero di aver centrato.

Come ho avuto modo di scrivere tempo fa, non mi rassegno comunque, a non confrontarmi nel solito stancante dibattito con taluni laddove dibattito non c’è. Citando me stessofluctuat nec mergitur, non mollo, e continuerò incaponito, a cercare di contrastare le voci del dissenso ignorante, anche se il risultato fosse ricondurre sulla via della ragione, uno solo delle dozzine di inutili idioti che si incontrano quotidianamente.

14 novembre 2025

Il gioco d'azzardo. Povertà ed esclusione veicolati dallo stato


La Caritas ha recentemente presentato la ventinovesima edizione del Rapporto sulla povertà in Italia, che ancora una volta fa luce sulle fragilità che restano ai margini: disuguaglianze, povertà multidimensionale, azzardo, violenza sulle donne, povertà energetica. Uno sguardo che nasce dall’ascolto e rimette al centro la dignità di ogni persona. Qui la sintesi.

Attenzione particolare è stata dedicata al tema del gioco d'azzardo nel nostro paese, che ha raggiunto dimensioni e volume monetario che definirei mostruosi, colpendo proprio le fasce più povere illuse da possibilità di riscatto grazie a facili vincite.

A partire dalla fine degli anni 90, l’offerta dell’azzardo si è arricchita di oltre una cinquantina di modalità di gioco, sia online che in presenza, con oltre 150.000 locali, disseminati in tutte le province italiane. Il volume monetario del gioco d’azzardo mostra una crescita inarrestabile: dai 35 miliardi di euro giocati nel 2006 siamo giunti ai 157 miliardi giocati nel 2024 (+349%). A fronte di tale incremento, l’incasso dell’erario è aumentato solamente dell'83% (da 6 a 11 miliardi), a tutto favore delle grandi società produttrici. La densità dell'offerta, la velocità di gioco e soprattutto l’accesso digitale hanno determinato effetti sociali che non compaiono nei totali monetari. La curva economica delle giocate andrebbe integrata con la contabilità del tempo di vita delle persone consumata nelle pratiche dell’azzardo: ore sottratte a relazioni, studio, lavoro. Solo per le slot, si stimano 38 milioni di ore impegnate nel gioco. Oltre 22 milioni di ore impegnate per 1 miliardo e 358 mila giocate. Ma sono soprattutto le modalità tradizionali ad impegnare tempo di vita: oltre 388 milioni di ore impegnate dalla popolazione per lotto, scommesse, superenalotto. In totale, le giornate lavorative assorbite dal gioco sono oltre 104 milioni. L’altra faccia della medaglia è costituita dalle perdite: nel 2024, il totale delle perdite è stato pari a 20 miliardi di euro. I dati mostrano una correlazione inversa tra reddito medio per contribuente e perdita media al gioco, con un peso percentuale più alto nelle regioni più povere. Dieci regioni sono sopra la soglia della media nazionale (493 euro) e di esse, cinque sono meridionali e isole, due del centro-sud (Abruzzo e Molise) seguite da Lazio e Lombardia. L’azzardo costa di più a chi ha meno: non solo perché perde più euro, ma perché quegli euro valgono di più nel bilancio familiare. È il punto da cui far partire qualunque discussione seria su prevenzione, regolazione e responsabilità pubblica.

Dieci anni fa avevo dedicato al tema del gioco d'azzardo un post dal sarcastico titolo "Giocate! Giocate!" che, in quest'occasione, vista la drammaticità sociale e culturale che comporta, ho preferito non mantenere. 

Il ruolo dello stato e delle sue normative, che sostiene e approva la diffusione spesso incontrollata, è paradossale e micidiale allo stesso tempo. Con implicazioni etiche non dissimili dalle tasse che un tempo lo stato incassava da bordelli e casinitasse sulla prostituzione. 

A seguire, rielaborato, il contenuto del mio vecchio post del giugno 2015. Sono passati dieci anni e la situazione è peggiorata.

Tempo fa, pur a conoscenza dell’argomento, feci mio un passaggio del bel libro di divulgazione matematica “
Chiamalo X! Ovvero cosa fanno i matematici?” di Emiliano Cristiani che, nel capitolo dedicato a probabilità e statistica, esordiva più o meno così: “La statistica andrebbe insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado…perché la statistica non conosciuta può anche uccidere”. Si riferiva ovviamente al gioco d’azzardo ed all’accanimento che diventa anche patologico in moltissimi casi.

Per quanto trasmissone di infotainment più che d'informazione, e quindi non del tutto priva di parzialità, ci fu comunque anche un bel servizio de “Le jene”, che si è occupata del tema in diverse occasioni: un servizio da vedere e rivedere è certamente questo, dedicato proprio alla statistica, in cui con l'aiuto di un matematico e di un fisico, si spiega come la statistica può dimostrare che tutti i giochi d’azzardo sono cosiddetti giochi iniquiovvero con regole ben scritte sì, ma scritte per far vincere (quasi) esclusivamente il banco. Compresi ovviamente i giochi avallati con bollino di stato ufficiale quali quello del Lotto e tutti i suoi derivati similari, i gratta & vinci di ogni tipo e così via.

Per motivi che non sto qui a raccontare conosco quelli che sono gli utili degli enti autorizzati a far giocare i nostri concittadini in maniera ufficiale (non tutto...emerge), e sorrido amaramente pensando che una volta un funzionario di uno di questi enti mi disse che senza di noi prolifererebbe il gioco clandestino in mano alla criminalità…”. Sappiamo bene invece che questo prolifera comunque, con o senza di loro; si veda ad esempio come epidodi tipo le cosiddette calciopoli ricorrano periodicamente, nelle serie minori o a livello della FIFA!

Un nostro ministro dell’economia una volta inoltre disse: “Le entrate da gioco sono entrate come tutte le altre”. Se allora, sarcasticamente, concordavo col ministro e auspicavo un incremento del gioco d'azzardo a rimpiguare l'erario, oggi, considerando i magri utili (in proporzione alla spesa) e la drammatica situazione sociale, oggi sarei decisamente propenso ad eliminarlo completamente!

Ad ogni modo, volendo restare opportunisticamente a favore (della tassazione) abbiamo che, al contrario dei fumatori, che da contribuenti extra anch’essi, sarebbe meglio che smettano di fumare, viste le spese che ogni stato sostiene ogni anno per le malattie da tabagismo, che aumentino invece i giocatori ossessivo-compulsivi! Mi sovviene ora che il giocatore fumatore, accoppiata frequente visto il nervosismo indotto da perdite frequenti, direi continue, è quindi doppiamente ignaro del prelievo fiscale a suo danno!

Le entrate da gioco sono quindi ben altro che entrate qualsiasi! Sono le entrate più nobili perché “possiamo plaudire alla lotteria pubblica come un sussidio pubblico per l’intelligenza” (lo diceva nientepopodimeno che W. Quine, filosofo americano del ‘900): altro che cercare di spiegare al popolo, tenuto molto saggiamente nell’ignoranza che giocare al Lotto[1] è estremamente irrazionale, che si continui così e lo si lasci al suo destino!


Dedicata al gioco del Lotto, gestito dallo Stato, c'è una pagina specifica. E c'era, con altro nome, anche 10 anni fa.

Collegandosi si trova, e si trovava, tanto per cominciare, in bella vista la sezione dedicata ai numeri ritardatari. La cosa tragicamente illustrante l’ignoranza statistica - ma che secondo me è malafede - è che alcuni numeri sono talmente in ritardo che lo Stato si preoccupa affinché non vengano giocati con troppa ostinazione! È noto (a chi la statistica la conosce!) che giocare un qualsiasi numero o un numero ritardatario hanno la stessa probabilità di sorteggio. Un po’ più sotto poi si scadeva nel patetico: istruzioni su come giocare ispirandosi alla Smorfia, ai sogni, al contenuto del frigorifero! Non ho appurato se esista tuttora una sezione simile.

Anche la moderna versione del sito di Lottomatica la dice lunga.

Utilissimo! Tutte cose che distolgono l’attenzione dalla verità, dal paradosso della lotteria:

- benché ci siano dei vincitori, la probabilità di essere tra questi è talmente bassa da essere praticamente nulla

E che distraggono anche da una fondamentale, ed elementare, legge della statistica:

- le probabilità di estrazione di un numero sono sempre identiche ad ogni giocata, indipendentemente dal fatto che esso sia già uscito o meno

Insomma che ci crediate o no anche se il 31 non esce a Bari da 127 settimane (sto inventando) la probabilità che esca è sempre la stessa ed è identica a qualsiasi altro numero e persino a qualsiasi numero fosse anche uscito 127 volte di seguito in altrettante estrazioni!

Se non fosse, ripeto, per le drammatiche implicazioni sociali che colpiscono le fasce già provate da problemi di sussistenza e sopravvivenza, dovrei dire di lasciar perdere istruzioni e ritardi e correte a giocare! Giocate, giocate, giocate!!! 

Il Lotto, per dirla sempre con Quine, “produce entrate pubbliche calcolate che contribuiscono ad alleggerire il fardello di esazioni, tasse e balzelli che grava su ognuno di noi, noi avveduti ed attenti cittadini che ci guardiamo bene dal giocare, ci asteniamo dal farlo a spese della massa incauta ed ottenebrata…”, di chi spera nella botta di culo.

Sia lodata questa deliziosa “tassa sull’imbecillità” (lo disse un famoso matematico). A patto che noi, minoranza esigua di razionali intelligenti, ne traiamo davvero qualche vantaggio. Statisticamente parlando, i vantaggi sono garantiti anche dal fatto che chi non gioca trae beneficio dalla riduzione indiretta del carico fiscale dovuto alle entrate delle lotterie, mentre chi gioca no…quel minimo vantaggio…se lo gioca!

Sarcasmo a parte, regolamentare il gioco d'azzardo è inutile, una cosa è una lotteria nazionale un paio di volte l'anno, ben altra è mettere a disposizione di chiunque mezzi che possono distruggere completamente il controllo e la volontà, che evolvono spesso in vere e proprie malattie (hanno loro dato un nome: ludopatie) con ulteriore aggravio di spese sociali di sostegno.

Un paese moderno dovrebbe abolire il gioco d'azzardo targato "stato". Completamente.



[1] Oltre al Lotto, ci mettiamo tutti i vari giochi sponsorizzati e sostenuti dai nostri Monopoli di Stato e facenti capo al gruppo Lottomatica (oggi gruppo internazionale) e vari altri concessionari di gaming, anch’essi rispondenti ai Monopoli, quali Codere, B!Win, William Hill e tanti altri. 

06 novembre 2025

Ciò che tutti dovrebbero capire - Seconda parte

Nella prima parte si è cercato di mettere in evidenza che per quanto per decenni si siano misurati i progressi climatici in gradi di riscaldamento e tonnellate di carbonio, questi valori, indiscutibilmente importanti, però non ci dicono nulla sulla qualità della vita delle persone. Il cambiamento climatico è innanzi tutto un problema di ordine sociale, con implicazioni drammatiche per una parte gigantesca dell’umanità. Vediamo adesso come l'innovazione, grazie alla fortunata capacità degli esseri umani di inventare, è non solo inalterata ma migliorata, può fornire un po' di ottimismo alle intenzioni reali di cambiamento.

Altrettanto fortunatamente, si fa per dire, sono solo cinque le fonti principali delle emissioni di gas serra. 

Ridurre le emissioni alla fonte grazie all’innovazione

Qui una versione più dettagliata

Elettricità
La produzione di energia elettrica è la seconda fonte di emissioni (28%), ma è probabilmente la più importante: per decarbonizzare gli altri settori, andranno elettrificate molte attività che attualmente utilizzano combustibili fossili. Abbiamo bisogno di maggiore innovazione nelle energie rinnovabili, nella trasmissione e in altri modi di generare e immagazzinare energia elettrica e sappiamo bene che un altoforno di un’acciaieria non lo alimenti con l’eolico. Abbiamo già visto come studi mirati e seri abbiano ampiamente dimostrato che persino un paese come l’Italia, privo delle risorse territoriali necessarie al proprio fabbisogno, e strettamente legato a forniture da parte di terzi, può aspirare a rendersi indipendente decarbonizzando. Sarò un sognatore ma personalmente, a titolo di esempio, spero moltissimo su quanto promette la geotermia profonda con le tecnologie rivoluzionarie proposte da QuaiseEnergy, su cui ho scritto molto un anno fa. E, ovviamente, l’energia nucleare da fusione è quella che potrebbe azzerare il sovrapprezzo senza togliere valore a quelle da fissione di nuova generazione; peccato che il nucleare sia malvisto e osteggiato dalla maggioranza delle persone soprattutto a causa di pregiudizi infondati.

Industria
La produzione industriale (30%) deve innanzi tutto partire da questo assunto: che piani ci sono per la produzione di cemento e acciaio? Sono fondamentali per la vita moderna e sono difficili da decarbonizzare su scala globale perché è molto economico produrli con i combustibili fossili. L'acciaio a emissioni zero esiste già oggi. Viene prodotto utilizzando energia elettrica: quindi, se si riesce a ottenere energia pulita a un prezzo sufficientemente basso, si ottiene un acciaio pulito più economico di quello convenzionale. Ma questa tecnologia deve ancora diffondersi sui mercati e le aziende che producono acciaio pulito devono espandere la propria capacità produttiva. Anche il cemento pulito deve affrontare ostacoli simili. Diverse aziende hanno trovato il modo di produrlo senza sovrapprezzo, ma ci vogliono anni per affermarsi sul mercato globale e aumentare la capacità produttiva.

Una delle più grandi sorprese energetiche dell'ultimo decennio è la scoperta di fonti geologiche di idrogeno (idrogeno geologico, o bianco): anche se in teoria potrebbe essere utilizzata soltanto una frazione molto piccola di quanto presente Terra, ad esempio, 105 Mt, questa fornirebbe quanto necessario previsto per raggiungere emissioni nette di carbonio pari a zero per circa 200 anni!

In futuro, l'idrogeno sarà ampiamente utilizzato per produrre combustibili puliti e contribuirà alla produzione di acciaio e cemento puliti. Oggi è piuttosto costoso produrlo da combustibili fossili o per elettrolisi, ma l'idrogeno geologico è generato dalla Terra stessa. Le aziende hanno già dimostrato di poterlo trovare nel sottosuolo; ora la sfida è estrarlo in modo efficiente. Sono stati fatti anche molti progressi nella produzione di idrogeno tramite l'elettricità, a un costo molto più basso rispetto alla tecnologia attuale.

Non ultimo le aziende stanno iniziando a sviluppare metodi per catturare il carbonio dagli impianti che attualmente lo emettono, come cementifici e acciaierie, oppure per rimuoverlo direttamente dall'aria e immagazzinarlo in modo permanente. Se il carbonio catturato diventasse sufficientemente economico, potremmo persino utilizzarlo per produrre prodotti come il carburante sostenibile per l'aviazione. Finora però la questione è ancora molto aperta.

Agricoltura
Gran parte delle emissioni (19%) provenienti dall'agricoltura provengono da due sole fonti: la produzione e l'uso di fertilizzanti e il pascolo del bestiame che rilascia metano. Gli agricoltori possono già acquistare un sostituto del fertilizzante sintetico prodotto senza emissioni, e un altro che trasforma il metano presente nel letame in fertilizzante organico. Entrambi sono risultati complessivamente più economici del tradizionale. Ora la sfida è produrli in grandi quantità e convincere gli agricoltori a utilizzarli. Gli additivi per mangimi che impediscono al bestiame di produrre metano sono quasi sufficientemente economici da essere convenienti per gli allevatori, e un vaccino che produce lo stesso effetto ha dimostrato di funzionare ed è da poco entrato nella fase di sviluppo avanzata.

Un'altra fonte di metano deriva dalla coltivazione del riso, uno degli alimenti base più importanti al mondo ma anche qui, molte aziende stanno sviluppando soluzioni in grado di aiutare i coltivatori di riso di tutto il mondo ad adottare nuovi metodi che riducano le emissioni di metano e aumentino la resa dei raccolti.

Un aspetto complesso del problema è che parte dell'azoto presente nei fertilizzanti si diffonde nell'atmosfera sotto forma di protossido di azoto, un potente gas serra, difficile da catturare a causa della sua bassissima concentrazione.

Trasporti
Quasi un'auto su quattro venduta nel 2024 era elettrica e oltre il 10% di tutti i veicoli nel mondo è elettrico. Certo la loro praticità è ancora fortemente discutibile, presentando ancora molti svantaggi, costi elevati a meno che non intervengano gli stati con cospicui incentivi, scarsa autonomia, lunghi tempi di ricarica e scarsità di stazioni di ricarica pubbliche, impedendo loro di essere pratiche quanto le auto a benzina. Inoltre, automobili private e trasporto su gomma sono solo una parte di questo settore (16%), che comprende anche attività difficili da decarbonizzare come il trasporto marittimo e l'aviazione, settore quest’ultimo estremamente critico in termini di decarbonizzazione.

Edifici 
Oggi, il riscaldamento e il raffreddamento degli edifici rappresentano la quota più piccola (7%) delle emissioni globali, ma sono destinati a crescere vertiginosamente con l’incremento demografico, l'urbanizzazione e la crescente necessità di aria condizionata. Qualche soluzione c’è ma risultano essere ancora piuttosto costose rispetto a quelle tradizionali.

Un nuovo percorso d’azione

La temperatura globale non ci dice nulla sulla qualità della vita delle persone si è affermato in apertura. Se la siccità distrugge i raccolti, possiamo ancora permetterci il cibo? Nel caso di un’ondata di caldo estremo, possiamo usufruire di strutture pubbliche climatizzate, proprio come un palasport può ospitare le vittime di un alluvione o di un terremoto? Quando un'alluvione provoca un'epidemia, le strutture sanitare locali sono in grado di assistere tutti i malati?

La qualità della vita può sembrare un concetto vago, ma non lo è. Uno strumento utile per misurarla è lo Human Development Index - HDI delle Nazioni Unite, che fornisce un'istantanea della situazione delle persone in un determinato paese, con una scala da 0 a 1, dove numeri più alti indicano risultati migliori. Se si esamina un elenco dei punteggi HDI dei paesi del mondo, le disparità saltano all'occhio. A titolo di esempio Svizzera, Norvegia e Germania sono in testa, con indici prossimi a 1, Sud Sudan o Niger, in coda, con valori intorno a 0,33. I 30 paesi con i valori HDI più bassi ospitano una persona su otto sul pianeta, ma producono solo circa un terzo dell'1% del PIL globale. Hanno i tassi di povertà più elevati e, tragicamente, i peggiori risultati sanitari. Un bambino nato in Sud Sudan ha 40 volte più probabilità di morire prima del quinto compleanno rispetto a uno nato in Svezia.

Eppure anche da valori disarmanti come questi dal grafico complessivo emerge evidente, dal 1990, anno in cui si è iniziato a tener traccia dell’HDI, una tendenza al miglioramento complessivo. E anche solo pochi punti percentuali in più per molti paesi fanno una differenza enorme.

Questa disuguaglianza è la ragione principale, quasi unica, per cui le nostre strategie climatiche devono dare priorità al benessere umano. Per quanto possa sembrare ovvio che chiunque sia interessato al miglioramento della vita, al tempo stesso mette in secondo piano il benessere umano rispetto alla riduzione delle emissioni, con conseguenze negative. Per quanto possa sembrare anomalo sono la salute e la prosperità le migliori armi di difesa di fronte al cambiamento climatico, che non è la minaccia più grande per la vita e per la sussistenza delle persone nei paesi poveri, e non lo sarà in futuro. 

Uno studio del Climate Impact Lab dell’università di Chicago, qualche anno fa ha dimostrato che il numero di decessi stimato causati dal cambiamento climatico diminuisce di oltre il 50 percento se si tiene conto della crescita economica prevista nei paesi a basso reddito da qui alla fine del secolo.

Questa scoperta suggerisce una via da seguire. Poiché la crescita economica prevista per i paesi poveri dimezzerà i decessi dovuti al clima, ne consegue che una crescita più rapida e più ampia ridurrà i decessi ancora di più. E la crescita economica è strettamente legata alla salute pubblica. Quindi, più velocemente le persone diventano prospere e sane, più vite possiamo salvare.

Se si considera il problema in questo modo, diventa più facile trovare le soluzioni migliori nell'adattamento climatico: sono gli ambiti in cui la finanza può fare di più per combattere la povertà e migliorare la salute.

In cima alla lista ci sono i miglioramenti in agricoltura.

La maggior parte dei paesi poveri è ancora basata su un'economia prevalentemente agricola. Il piccolo agricoltore medio in questi paesi possiede da uno a due ettari scarsi di terreno e guadagna circa 2 dollari al giorno, ricavando relativamente poco dai suoi campi, circa l'80% in meno per ettaro rispetto a un agricoltore europeo. Una singola siccità o un'alluvione possono annientarlo per un'intera stagione.

Anche se un’auspicabile riduzione delle emissioni porterà a perdite meno devastanti, gli agricoltori di oggi non possono aspettare che il clima si stabilizzi: devono aumentare i loro redditi e sfamare le loro famiglie ora.

Anche qui, innovazione e nuove tecnologie stanno già facendo la differenza. Tanto per fare un esempio ormai alla portata di tutti, i telefoni cellulari sono utilizzati per ricevere consigli o avvisi sulle condizioni meteorologiche: in India durante lo scorso monsone estivo circa 40 milioni di agricoltori sono stati avvisati via SMS dell’andamento imprevisto delle piogge, salvando milioni di ettari di raccolti. Altrettanto si può dire sul miglioramento delle colture con lo sviluppo di varietà più produttive e resistenti o la selezione di razze animali più adatte a condizioni più difficili. E la nuova classe di fertilizzanti naturali a zero emissioni è stata adattata alle condizioni dei paesi a basso reddito. Sempre in India si è scoperto che l’utilizzo di biofertilizzanti da parte di piccoli coltivatori ha fatto aumentare la resa dei loro raccolti fino 20%.   

Salute
Miglioramenti come questi devono andare di pari passo con il miglioramento della salute.

Il caldo eccessivo causa ormai circa 500.000 morti ogni anno. Nonostante l'impressione che si possa avere leggendo i notiziari, però, il numero è in calo da tempo, soprattutto perché più persone possono permettersi l'aria condizionata. E, sorprendentemente, il freddo eccessivo è molto più letale, uccidendo quasi dieci volte più persone ogni anno rispetto al caldo. Per quanto riguarda ciò che accadrà in futuro, i decessi dovuti al caldo aumenteranno e quelli dovuti al freddo diminuiranno. Le migliori stime attuali suggeriscono che l'effetto netto sarà un aumento globale della mortalità correlata alla temperatura, e che la maggior parte dell'aumento si verificherà nei paesi in via di sviluppo.  

La situazione finora è simile per quanto riguarda i disastri naturali. Nel secolo scorso, i decessi diretti dovuti a disastri naturali, come l'annegamento durante un'alluvione, sono diminuiti del 90%, attestandosi tra le 40.000 e le 50.000 persone all'anno, grazie soprattutto a sistemi di allerta più efficienti e a edifici più resistenti.

Ma i decessi indiretti dovuti a calamità naturali non hanno seguito lo stesso schema di declino. Nella maggior parte dei casi, oggi, le persone colpite da tempeste e inondazioni hanno maggiori probabilità di morire per malattie trasmesse dall'acqua che per annegamento. Quando le acque alluvionali contaminano l'acqua potabile, creano terreni di coltura ideali virus e batteri patogeni, particolarmente letali per i bambini. Più inondazioni equivalgono a più decessi.

Ma i patogeni non aspettano tempeste o inondazioni per infettare le persone, spesso sono endemici. Le malattie diarroiche, ad esempio, uccidono più di un milione di persone all'anno e la stragrande maggioranza delle infezioni non si verifica sotto forma di episodi pandemici più o meno grandi. In un paese a basso reddito sono parte della vita. E, purtroppo, non sono l'unica minaccia per la salute.

Se si considerano le altre principali cause di morte nei paesi poveri (malaria, tubercolosi, HIV/AIDS, infezioni respiratorie e complicazioni del parto), i problemi di salute legati alla povertà uccidono circa 8 milioni di persone all'anno. È paradossale ma quest’anno, per la prima volta, a livello globale si sono registrati più bambini obesi che malnutriti (intesi come sottopeso). Un rapporto dell'UNICEF del settembre 2025 certifica che l'obesità ha superato il sottopeso come forma più comune di malnutrizione, colpendo circa 188 milioni di bambini e adolescenti. La cosa assume un aspetto ancora più drammatico perché questi bambini vivono in maggioranza in paesi che complessivamente rappresentano una piccola parte rispetto al resto del mondo.

Ancora più grave, infine, se si considerano i problemi di salute che non uccidono le persone, ma le rendono troppo malate per lavorare, andare a scuola o prendersi cura dei propri figli. Se una donna incinta è già malnutrita e poi si ritrova senza cibo a causa di un'alluvione, ha ancora più probabilità di partorire prematuramente e il suo bambino ha maggiori probabilità di iniziare la vita sottopeso. Ma se è ben nutrita fin dall'inizio, lei e il suo bambino hanno molte più probabilità di rimanere sani.

Ciò non significa che dovremmo ignorare i decessi legati alle alte temperature perché le malattie sono un problema più grande. Ma dovremmo affrontare le malattie e gli eventi meteorologici estremi in proporzione alla sofferenza che causano, e dovremmo intervenire sulle condizioni di base che rendono le persone vulnerabili. Se da un lato dobbiamo limitare il numero di giornate estremamente calde o fredde, dall'altro dobbiamo anche fare in modo che meno persone vivano in povertà e in cattive condizioni di salute, in modo che gli eventi meteorologici estremi non rappresentino una minaccia così grave per loro.

I benefici del miglioramento della salute e dell'agricoltura vanno oltre la resilienza climatica. Ad esempio, con l'aumento dei tassi di sopravvivenza infantile, si verifica qualcosa di inaspettato: le persone scelgono di avere famiglie più piccole, spesso contrastando un’atavica propensione culturale ad avere famiglie numerose. E con il calo demografico i governi dei paesi poveri possono investire di più in scuole e ospedali, infrastrutture di trasporto e commercio, sistemi igienico-sanitari e reti elettriche. Questi fattori, a loro volta, facilitano il miglioramento della salute e l'aumento del reddito. Si tratta di un circolo virtuoso straordinario, innescato da una migliore salute e da un'agricoltura più equilibrata.

Il successo va dunque misurato innanzi tutto in base al nostro impatto sul benessere umano più che in base al nostro impatto sulla temperatura globale, e questo successo si basa sulla capacità di porre l'energia, la salute e l'agricoltura al centro delle nostre strategie.

Lo sviluppo non dipende dall'aiutare le persone ad adattarsi a un clima più caldo: lo sviluppo È adattamento. Altro che quella montagna di fesserie della decrescita felice!

La speranza, e le premesse viste con le dichiarazioni della presidenza brasiliana, è che sotto la guida del Brasile, l'adattamento e lo sviluppo umano riceveranno finalmente maggiore attenzione alla COP30 che a quanto visto in qualsiasi altra COP.

Ogni sforzo nell'agenda climatica mondiale va misurato in base alla sua capacità di salvare e migliorare vite umane.

Con il quadro del sovrapprezzo climatico ben chiaro, il Green Premium, oltre agli impegni paese per paese, ogni COP dovrebbe prevedere discussioni e impegni di alto livello basati sui cinque settori esaminati prima. Le politiche e le innovazioni in ciascun settore devono ottenere maggiore visibilità. I ​​rappresentanti di ciascuno dei cinque settori dovrebbero riferire sui progressi verso innovazioni a zero emissioni di carbonio, accessibili e pratiche, utilizzando il Green Premium come parametro di riferimento.

Alcuni settori hanno tuttora dei sovrapprezzi molto costosi, se non proibitivi. Saranno quelli su cui si dovrà agire di più.

05 novembre 2025

L’improbabile viaggio dell’unicità umana

Dopo tanto scrivere sul cambiamento climatico una pausa ci vuole, e me la prendo scrivendo ancora una volta sull’origine dell’umanità, una delle mie passioni.

Dallo stupore alieno all'ascesa di Homo sapiens: il viaggio imprevedibile dell'evoluzione umana
Se degli scienziati extraterrestri fossero sbarcati sulla terra tre milioni di anni fa, si sarebbero stupiti per le colonie di api domestiche, i termitai e l’operato delle formiche tagliafoglie; già allora le loro colonie rappresentavano i superorganismi supremi del mondo degli insetti, e i sistemi sociali di gran lunga più complessi ed ecologicamente di successo sul nostro pianeta.

I visitatori avrebbero anche studiato le australopitecine africane, una rara specie bipede di primati con cervelli a misura delle scimmie antropomorfe e avrebbero preconizzato che fra i vertebrati, in questo caso come in altri, il potenziale non era granché, in fondo, altre creature di quella grandezza calpestavano il terreno da più di 300 milioni di anni, e dal punto di vista sociale non era accaduto niente di che. Gli insetti sociali sembravano il meglio di cui il pianeta fosse capace.

Generata con AI dall'Autore

Gli extraterrestri sarebbero ripartiti con la convinzione che la biosfera della Terra si era stabilizzata, e che verosimilmente non sarebbe accaduto niente di particolare nei 100 milioni di anni a venire, visto che c’era voluto altrettanto tempo per gli insetti sociali a raggiungere ciò che sembrava il culmine dell’evoluzione.

Invece accadde qualcosa di straordinario. Il cervello delle australopitecine cominciò a crescere rapidamente (per i dettagli sull’evoluzione umana si veda questo mio post). All'epoca della visita degli extraterrestri, misurava 500-700 cm3. Due milioni di anni dopo era arrivato a circa 1000 cm3 e in un tempo successivo addirittura minore raggiunse i 1200-1500 cm3 circa: il doppio di quello delle prime australopitecine.

Era Arrivato Homo sapiens, e la sua conquista sociale della Terra era imminente.

Se oggi i discendenti degli extraterrestri tornassero a farci visita, dopo aver dedicato il loro tempo a galassie più interessanti della nostra, di sicuro resterebbero basiti. È accaduto ciò che era quasi impossibile: imprevedibilmente. Una specie bipede di primati scoperta allora, non soltanto era sopravvissuta, ma ha creato una primitiva cultura basata sul linguaggio. E, fatto ancora più sorprendente e inquietante, questa specie di primati sta distruggendo la biosfera (per approfondire qui e qui).

Pur avendo una biomassa totale piccolissima - tutti i suoi 8 miliardi e più di individui potrebbero essere accatastati come tronchi in un cubo di meno di 2 km per lato - la nuova specie è diventata una forza geofisica: ha imbrigliato l'energia del sole e dei combustibili fossili, deviato una buona parte dell'acqua dolce per suo uso e consumo, acidificato gli oceani e trasformato l'atmosfera al punto di aver direttamente causato un cambiamento climatico di scala planetaria, distrutto e consumato risorse ad un ritmo insostenibile. E, non ultimo, arrivando al punto di produrre un quantitativo tale di manufatti (1,1 teratonnellate) da aver eguagliato o forse superato, in termini di massa, quello dell'intera biomassa del pianeta. Gli extraterrestri la definirebbero un'opera di ingegneria raffazzonata e mal riuscita, e se avessero potuto tornare indietro avrebbero impedito in tutti i modi questa tragedia.

Tanto per non farci sentire troppo soli in questa metafora del cubo si è calcolato che le formiche che vivono oggi sulla Terra siano qualcosa come 1016 insetti. Se ogni insetto pesa circa un milionesimo di un essere umano e considerando che ci sono un milione di volte più formiche che esseri umani (arrotondando a 1010, valore che sarà raggiunto entro il secolo), allora tutte le formiche della Terra pesano come gli esseri umani; e anche queste potrebbero essere accatastate in un cubo avente lato pari a meno di 2 km. Sia questo che quello dell’umanità potrebbero essere nascosti in una piccolissima sezione del Grand Canyon del Colorado.

L'avvento del genere umano è stato per un po’ un colpo di fortuna per la nostra specie, e per sempre una sfortuna per quasi tutto il resto della vita sulla Terra.

Tra poco vedremo come una serie di eventi contingenti, indicati come altrettanti gradini evoluzionistici sulla strada verso l'umanità, se nella giusta sequenza, hanno avuto il potenziale di condurre una specie di grossi animali sull'orlo dell'eusocialità, qualcosa di veramente speciale. Ognuno di questi eventi, definito preadattamento (exaptation), è stato indicato, da un qualche scienziato, come l'avvenimento chiave che ha catapultato i primi ominidi verso l'attuale condizione umana. Molto sinteticamente, possiamo vedere l’eusocialità come una condizione in cui vi sono generazioni multiple che convivono e che sono organizzate in gruppi grazie a una divisione altruistica del lavoro. È stata una delle maggiori invenzioni nella storia della vita, apparsa raramente e ogni volta impiegando tempi lunghissimi.

Il bricolage dell’evoluzione: tra preadattamenti, contingenza e selezione saturale
L’evoluzione non parte mai da zero, ma dal materiale, o dalle soluzioni, che già sono a disposizione, e che vengono dal passato, portandosi quindi dietro tutti i loro limiti e vincoli; ma con quel materiale si può costruire o realizzare qualcosa di nuovo o diverso, a volte cambiando funzione ad una struttura o ad una soluzione evolutasi nel passato per certe ragioni e riutilizzandola per altre (ecco il perché del prefisso “pre”). In questo modo il risultato finale non sarà mai perfetto, ma una sorta di compromesso tra il materiale a disposizione e le nuove funzioni, qualcosa destinato a svolgere nel migliore dei modi compiti particolari: come ebbe a dire Jacques Monod, in una sorta di bricolage, purché funzioni insomma.

Ma in nessun modo, anche se quasi tutte le congetture sono parzialmente corrette, nessun preadattamento da solo ha senso, ma solo come parte di una sequenza, una delle tante possibili sequenze.

L'aspetto fondamentale è identificare la causa. Qual è stata allora questa causa, in quella antica congiuntura ambientale, a pilotare la specie attraverso la giusta sequenza di cambiamenti genetici?

I creazionisti, o le persone più religiose risponderebbero che è stata la mano di Dio. Ma quel risultato sarebbe stato assai improbabile persino per un potere soprannaturale. Per far emergere la condizione umana, un divino creatore avrebbe dovuto spargere un numero astronomico di mutazioni genetiche nel genoma e progettare l'ambiente fisico e vivente per milioni di anni per tenere in pista i primi preumani. E avrebbe dovuto fare lo stesso con una fila di generatori di numeri casuali.

La forza che ha infilato il cammello nella cruna dell’ago è la selezione naturale! Una serie di eventi contingenti - contingenti ripeto, alimentati dalla casualità delle mutazioni. Nell'evoluzione l'opportunità nasce dalla diversità.

Per approfondire rimando a questo post.

Nessun percorso individuale dell'evoluzione di ogni tipo può essere previsto, né all'inizio e neppure verso la fine della sua traiettoria. La selezione naturale può condurre una specie sull'orlo di un cambiamento rivoluzionario, soltanto per sviarla dalla sua meta. Tuttavia, almeno su questo pianeta, alcune traiettorie dell'evoluzione possono essere giudicate possibili o impossibili. Un insetto può evolvere fino a diventare microscopico, ma non potrà mai diventare grande come un elefante; i maiali potrebbero diventare acquatici, ma i loro discendenti non voleranno mai.

La possibile evoluzione di una specie può essere visualizzata come un viaggio in un labirinto, ma un viaggio visto col senno di poi, perché il viaggio stesso si può modificare in corso d’opera. Quando si intraprende un avanzamento significativo come la transizione da animale acquatico a terrestre, o l'origine dell'eusocialità, ogni cambiamento genetico, cioè ogni svolta nel labirinto, può rendere il raggiungimento di quel livello meno probabile o persino impossibile o, al contrario, tiene la porta aperta fino alla svolta successiva.

Come ebbe a dire il biologo Stephen J. Gould, se potessimo riavvolgere il nastro di una qualunque linea evolutiva, e ripartire da capo, la catena di eventi contingenti e il loro risultato finale sarebbero diversi ogni volta. E soprattutto, la selezione naturale non predice il futuro.

Nei primissimi stadi che tengono aperte le altre opzioni, rimane una strada lunga da fare e il risultato ultimo, molto lontano e meno probabile. Negli ultimi stadi la distanza che resta da superare è breve e il risultato diventa più probabile. Il labirinto stesso tende a evolvere lungo il tragitto: vecchi corridoi (nicchie ecologiche) possono chiudersi mentre altri si aprono. La struttura del labirinto dipende inoltre in parte da chi ci viaggia, compresa ciascuna specie.


L’improbabile viaggio evolutivo verso l’unicità umana
Per quasi 400 milioni di anni moltissime specie animali di grandi dimensioni (indicativamente dai 10 chilogrammi in su) si sono evolute sulla terraferma e hanno finito per estinguersi venendo rimpiazzati dai loro discendenti. Quante di queste specie sono comparse e quante si sono estinte? Proviamo a fare una stima plausibile. Se, come si deduce dalla documentazione fossile, la durata media della vita di una specie sommata a quella delle sue specie sorelle è nell'ordine di un milione di anni e se, con un calcolo prudenziale, supponiamo che nello stesso periodo sia esistito un migliaio di specie di tali dimensioni, allora (forse!) possiamo dire che nel corso dell'intera storia della Terra è vissuto nel complesso circa mezzo miliardo di specie con queste caratteristiche.

Ma soltanto la nostra specie, tra tutte, ha raggiunto il livello di intelligenza e organizzazione sociale che oggi ci contraddistingue. Questo evento singolare cambiò ogni cosa sul pianeta. Da quel momento non ci fu nessun altro candidato e nessun'altra ulteriore contesa. La specie vincitrice straordinariamente fortunata fu quella di un primate del Vecchio Mondo; il luogo d'origine l'Africa, orientale e meridionale; l'habitat una vasta fascia di savana tropicale, prateria e semideserto; il tempo da 300.000 a 200.000 anni fa.

In ogni partita dell'azzardo evoluzionistico, giocata di generazione di generazione, un numero enorme di individui deve vivere e morire. Il numero, tuttavia, non è infinito e può essere calcolato approssimativamente, fornendo almeno un'idea plausibile dell'ordine di grandezza per l'intero corso dell'evoluzione che ha portato dai nostri progenitori mammiferi di 100 milioni di anni fa, alla discendenza che si fece largo fino a diventare il primo Homo sapiens, il numero totale di individui richiesti potrebbe aggirarsi intorno ai 100 miliardi. A loro insaputa, vissero e morirono tutti per noi.

Molti giocatori, fra le altre specie in evoluzione, ognuna con in media alcune decine di migliaia di individui fertili per ogni generazione, spesso pure deperirono e sparirono. Se ciò fosse capitato a uno qualsiasi della lunga linea di progenitori che hanno portato a Homo sapiens, l'epopea umana sarebbe finita da un istante all'altro. I nostri antenati preumani non furono scelti, né erano dei giganti.

Hanno avuto soltanto fortuna.

I nostri progenitori furono una tra due dozzine circa di linee di animali che hanno sviluppato l'eusocialità, il livello più importante di organizzazione biologica superiore a quello di organismo.

Le ricerche più recenti in parecchie discipline scientifiche convergono nel ricostruire gli stadi evolutivi che hanno portato alla condizione umana offrendo una soluzione almeno parziale del “problema dell'unicità umana”, che ha così angustiato scienziati e filosofi. Come abbiamo visto, se collocato nel tempo dall'inizio al raggiungimento della condizione umana, ogni gradino può essere interpretato come un preadattamento. Attenzione! Ciò non significa che l’evoluzione delle specie che ha portato alla nostra è stata in qualche modo guidata verso questo esito. Bensì, ogni gradino è stato un adattamento in sé e per sé: la risposta della selezione naturale alle condizioni prevalenti intorno a quella specie in un dato luogo e momento.

Indiscutibilmente l’organismo vivente più complesso che si conosca è Homo sapiens (complesso, non migliore o più adatto). Anche in questo caso la sua evoluzione non è stata diversa, almeno fino ad un certo punto, da quella di qualsiasi altro vivente. Come in tutti i grandi problemi scientifici, l'origine evolutiva del genere umano inizialmente si presentò come un coacervo di entità e processi in parte visti, in parte immaginati, con alcuni di questi elementi che risalgono molto indietro nel tempo geologico e forse non saranno mai compresi con certezza.

In generale, ormai sembra possibile fornire una spiegazione plausibile del perché la condizione umana sia una singolarità e perché qualcosa di simile sia accaduto una sola volta e ci abbia messo così tanto a capitare. La ragione è semplice, ed è l'estrema improbabilità dei preadattamenti necessari perché si verificasse. Ognuno di questi gradini evolutivi è stato in sé e per sé un adattamento a tutti gli effetti e ha richiesto una particolare sequenza di uno o più preadottato precedenti. Homo sapiens è l'unica specie di grande mammifero - quindi abbastanza grande da sviluppare un cervello a misura d'uomo - ad avere intrapreso tutte le fortunate svolte necessarie nel labirinto evoluzionistico.

Sintetizzando al massimo il primo preadattamento fu la sua esistenza sulla terraferma. Il progresso tecnologico, le pietre scheggiate e le aste in legno, hanno bisogno del fuoco, nessun animale marino, nemmeno l'intelligentissimo polpo, saprà mai inventare un mantice o una fornace, o generare una cultura che costruisca un microscopio, derivi la chimica ossidativa della fotosintesi clorofilliana o fotografi le lune di Saturno.

Il secondo preadattamento fu avere una corporatura massiccia, di una grandezza raggiunta nella storia della terra soltanto da una piccola percentuale di specie animali terrestri. Un animale maturo che pesi meno di un chilo avrà una grandezza del cervello troppo limitata per una cultura di livello superiore, e persino sulla terraferma, il suo corpo non riuscirebbe a domare ed attizzare il fuoco. Le formiche tagliafoglie, pur essendo la specie più complessa dopo gli esseri umani e pur praticando una sorta di agricoltura in città climatizzate da loro escogitate istintivamente, non hanno mai fatto progressi di una certa importanza: quel che fanno oggi è identico a quel che hanno finora fatto, nei 20 milioni di anni della loro esistenza.

A seguire, nella linea dei preadattamenti fu la comparsa di mani prensili con morbide dita a spatola che si svilupparono per afferrare e manipolare oggetti liberi. Questa è la caratteristica dei primati che li differenzia da tutti gli altri mammiferi terrestri. Per quanto gli scrittori di fantascienza amanti delle invasioni della Terra, si ostinino adottare i loro alieni di artigli e zanne, questi sono inadatti allo sviluppo di una tecnologia. Il bipedismo dipese da tutto ciò.

La svolta successiva nel labirinto evoluzionistico fu il passaggio a una dieta con una quantità significativa di carne ricavata dalle carcasse macellate o dagli animali vivi cacciati e uccisi, o da tutte e due le fonti. Un grammo di carne fornisce un'energia maggiore di un grammo di vegetali. Una volta che un carnivoro, evolvendosi, si ricava una nicchia, l'energia necessaria per occuparla sarà minore.

I vantaggi della cooperazione nella raccolta della carne portarono quindi alla formazione di gruppi molto organizzati. Le primissime società erano composte da famiglie allargate ma anche da adottati e alleati, e raggiunsero una popolazione sostenibile dall'ambiente locale. Una popolazione numerosa era un vantaggio negli inevitabili conflitti fra gruppi diversi.

Circa un milione di anni fa arrivò l'uso controllato del fuoco, una conquista unica degli ominidi. I tizzoni provocati dai fulmini trasportati altrove procurarono enormi vantaggi in tutti gli aspetti della vita dei nostri progenitori. Questo controllo aumentò la disponibilità di carne, permettendo di snidare e intrappolare un numero maggiore di animali. Il diffondersi di un incendio era l'equivalente oggi di una muta di cani da caccia. Spesso gli animali erano non soltanto uccisi ma anche cotti dal fuoco. E persino nei primordi di Homo carnivoro, il vantaggio della carne, dei muscoli e delle ossa resi così più facilmente assimilabili e digeribili ebbe importanti conseguenze.

Il fuoco trasportato da un luogo all'altro era una risorsa come la carne, la frutta e le armi. I grossi rami e le fascine di ramoscelli possono bruciare lentamente per ore. Con la carne, il fuoco e la cottura, i bivacchi, che a volte duravano più di qualche giorno e quindi erano abbastanza stabili per essere protetti come rifugi, segnarono il passo vitale successivo. Questi erano una sorta di nidi, come potremmo chiamarli, e hanno sempre preceduto la conquista dell'eusocialità, anche quando espressa al minimo, da parte di tutti gli altri animali, a cominciare dagli insetti sociali.

Insieme con i fuochi di bivacco arrivò la divisione del lavoro. E preesistevano anche differenze tra maschi e femmine e fra giovani e vecchi. Infine, in ogni sottogruppo c'erano delle disparità non solo nella capacità di leadership ma anche nella propensione a rimanere nell'accampamento.

Il risultato inevitabile che scaturì quasi subito da tutti questi preadattamenti fu una complessa divisione del lavoro.

Terraferma, corporatura, mani, bipedismo, cooperazione e gruppi, controllo del fuoco, bivacchi e divisione del lavoro: un insieme di preadattamenti che presi singolarmente non hanno valore evolutivo fondamentale, ma che in serie rappresentano la spinta fondamentale ad acquisire la condizione umana. E, ovviamente, il linguaggio.

Ma forse la cosa che più colpisce, è la conferma dell’incredibile intuizione di Charles Darwin, riportata nel suo poco noto lavoro L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli altri animali (1872): l’istinto si evolve per selezione naturale, i tratti comportamentali che definiscono ogni specie, così come quelli che ne definiscono anatomia e fisiologia, sono ereditari. Il grande scienziato sosteneva che continuano ad esistere perché in passato avevano favorito la sopravvivenza e la riproduzione. Questa intuizione è stata verificata e convalidata più volte.

Nonostante una serie incredibile di polemiche e tentativi di dimostrare che l’istinto umano non è un prodotto delle mutazioni e della selezione naturale, che esiste un dualismo mente-materia, decenni di studi hanno sconfitto la visione del cervello come una sorta di tabula rasa su cui solo l’apprendimento poteva lasciare segni. Molti scienziati, quasi esclusivamente di ambito sociale e intellettuale, continuavano a insistere che la mente è il prodotto esclusivo dell’ambiente e della sua storia passata. Sostenevano ad esempio che il libero arbitrio esiste ed è potente, e che la mente è sottoposta alla volontà e…al destino! Concludevano sostenendo che tutto ciò che evolve nella mente è esclusivamente culturale negando una natura umana (o animale che sia) basata sulla genetica.

Oggi la quantità e il rigore delle prove a favore dell’istinto e della natura umana determinate geneticamente sono schiaccianti e nuove conferme si aggiungono continuamente.

Eccoci dunque qui a camminare e, qualche volta, a correre disordinatamente lungo una linea di discendenza lunga 3,8 miliardi di anni e priva di uno scopo certo al di là del continuare a portare avanti i capricci delle mutazioni e della selezione naturale, come fossimo grandi borse piene di acqua di mare, erette, bipedi, sostenute da ossa, guidate da sistemi la cui base ingegneristica risale all'età dei rettili. Molte delle sostanze chimiche e delle molecole che circolano nella nostra porzione liquida (che corrisponde all'80 percento in peso del corpo) sono indicativamente le stesse che esistevano nel mare primordiale. La nostra capacità di ragionare e di scrivere ciò che pensiamo però continua a trarre energia dalla convinzione diffusa per cui ogni tappa della Preistoria e della storia, inclusa ogni grande transizione, in qualche modo sia servita a metterci sulla Terra. Tutto, è stato affermato, fin dall'origine della vita 3,8 miliardi di anni fa, venne pensato per noi. La diffusione di Homo sapiens fuori dall'Africa e in tutto il mondo abitabile fu in qualche modo preordinata. Ogni cosa venne intesa per stabilire il nostro dominio sul pianeta con l'inalienabile diritto di trattarlo come più ci piace.

Questo è l'errore, sintesi perfetta della condizione umana.

Questa incredibile serie di eventi[1] deve farci riflettere sull’unicità della nostra specie, un evento apparentemente irripetibile, così come irripetibile è quello di qualsiasi altra specie. Ma, dal punto di vista strettamente biologico, la comparsa della specie umana non è stata diversa da quella di qualsiasi altra. Come il titolo di un famoso libro del biologo evoluzionista Richard Dawkins…il più grande spettacolo della Terra grazie a, citando ancora Charles Darwin, infinite bellissime forme.



[1] È interessante notare come sia ormai accertato che questa incredibile serie di eventi, pietre miliari dell’evoluzione umana, non siano stati i primi motori. Sono stati passi preliminari, ognuno come un adattamento a sé stante, ognuno con le sue cause prossime e remote. Ma il passo finale fu la formazione del cervello del moderno Homo sapiens, l’evento che ha scatenato l’esplosione creativa tuttora in atto.