Dopo tanto scrivere sul
cambiamento climatico una pausa ci vuole, e me la prendo scrivendo ancora
una volta sull’origine dell’umanità, una delle mie passioni.
Dallo stupore alieno
all'ascesa di Homo sapiens: il viaggio imprevedibile dell'evoluzione
umana
Se degli scienziati
extraterrestri fossero sbarcati sulla terra tre milioni di anni fa, si
sarebbero stupiti per le colonie di api domestiche, i termitai e l’operato
delle formiche tagliafoglie; già allora le loro colonie rappresentavano i superorganismi
supremi del mondo degli insetti, e i sistemi sociali di gran lunga più
complessi ed ecologicamente di successo sul nostro pianeta.
I visitatori avrebbero anche
studiato le australopitecine
africane, una rara specie bipede di primati con cervelli a misura delle scimmie antropomorfe e
avrebbero preconizzato che fra i vertebrati, in questo caso come in altri, il
potenziale non era granché, in fondo, altre creature di quella grandezza
calpestavano il terreno da più di 300 milioni di anni, e dal punto di vista
sociale non era accaduto niente di che. Gli insetti sociali sembravano il
meglio di cui il pianeta fosse capace.
 |
| Generata con AI dall'Autore |
Gli extraterrestri sarebbero
ripartiti con la convinzione che la biosfera della Terra si era stabilizzata, e
che verosimilmente non sarebbe accaduto niente di particolare nei 100 milioni
di anni a venire, visto che c’era voluto altrettanto tempo per gli insetti
sociali a raggiungere ciò che sembrava il culmine dell’evoluzione.
Invece accadde qualcosa di
straordinario. Il cervello delle australopitecine cominciò a crescere
rapidamente (per i dettagli sull’evoluzione umana si veda questo
mio post). All'epoca della visita degli extraterrestri, misurava 500-700 cm3.
Due milioni di anni dopo era arrivato a circa 1000 cm3 e in un tempo
successivo addirittura minore raggiunse i 1200-1500 cm3 circa: il
doppio di quello delle prime australopitecine.
Era Arrivato Homo sapiens,
e la sua conquista sociale della Terra era
imminente.
Se oggi i discendenti degli
extraterrestri tornassero a farci visita, dopo aver dedicato il loro tempo a
galassie più interessanti della nostra, di sicuro resterebbero basiti. È accaduto ciò che era quasi impossibile: imprevedibilmente.
Una specie bipede di primati scoperta allora, non soltanto era sopravvissuta,
ma ha creato una primitiva cultura basata sul linguaggio. E, fatto ancora più
sorprendente e inquietante, questa specie di primati sta distruggendo la
biosfera (per approfondire qui
e qui).
Pur avendo una biomassa totale piccolissima
- tutti i suoi 8 miliardi e più di individui potrebbero essere accatastati come
tronchi in un cubo di meno di 2 km per lato - la nuova specie è diventata una
forza geofisica: ha imbrigliato l'energia del sole e dei combustibili fossili,
deviato una buona parte dell'acqua dolce per suo uso e consumo, acidificato gli
oceani e trasformato l'atmosfera al punto di aver direttamente causato un
cambiamento climatico di scala planetaria, distrutto e consumato risorse ad un
ritmo insostenibile. E, non ultimo, arrivando al punto di produrre
un quantitativo tale di manufatti (1,1 teratonnellate) da aver eguagliato o
forse superato, in termini di massa, quello dell'intera biomassa del pianeta. Gli
extraterrestri la definirebbero un'opera di ingegneria raffazzonata e mal
riuscita, e se avessero potuto tornare indietro avrebbero impedito in tutti i
modi questa tragedia.
Tanto per non farci sentire
troppo soli in questa metafora del cubo si è calcolato che le formiche che
vivono oggi sulla Terra siano qualcosa come 1016 insetti. Se ogni
insetto pesa circa un milionesimo di un essere umano e considerando che ci sono
un milione di volte più formiche che esseri umani (arrotondando a 1010,
valore
che sarà raggiunto entro il secolo), allora tutte le formiche della Terra
pesano come gli esseri umani; e anche queste potrebbero essere accatastate in
un cubo avente lato pari a meno di 2 km. Sia questo che quello dell’umanità
potrebbero essere nascosti in una piccolissima sezione del Grand Canyon
del Colorado.
L'avvento
del genere umano è stato per un po’ un colpo di fortuna per la nostra specie, e
per sempre una sfortuna per quasi tutto il resto della vita sulla Terra.
Tra poco vedremo come una serie
di eventi contingenti, indicati come altrettanti gradini evoluzionistici sulla
strada verso l'umanità, se nella giusta sequenza, hanno avuto il potenziale di
condurre una specie di grossi animali sull'orlo dell'eusocialità, qualcosa
di veramente speciale. Ognuno di questi eventi, definito preadattamento (exaptation), è
stato indicato, da un qualche scienziato, come l'avvenimento chiave che ha
catapultato i primi ominidi verso l'attuale condizione umana. Molto
sinteticamente, possiamo vedere l’eusocialità come una condizione in cui vi
sono generazioni multiple che convivono e che sono organizzate in gruppi grazie
a una divisione altruistica del lavoro. È stata una delle maggiori invenzioni
nella storia della vita, apparsa raramente e ogni volta impiegando tempi
lunghissimi.
Il bricolage dell’evoluzione: tra
preadattamenti, contingenza e selezione saturale
L’evoluzione
non parte mai da zero, ma dal materiale, o dalle soluzioni, che già sono a
disposizione, e che vengono dal passato, portandosi quindi dietro tutti i loro limiti
e vincoli; ma con quel materiale si può costruire o realizzare qualcosa di
nuovo o diverso, a volte cambiando funzione ad una struttura o ad una soluzione
evolutasi nel passato per certe ragioni e riutilizzandola per altre (ecco il
perché del prefisso “pre”). In questo modo il risultato finale non sarà mai
perfetto, ma una sorta di compromesso tra il materiale a disposizione e le
nuove funzioni, qualcosa destinato a svolgere nel migliore dei modi compiti
particolari: come ebbe a dire Jacques Monod, in una sorta di bricolage, purché funzioni insomma.
Ma in nessun modo, anche se quasi
tutte le congetture sono parzialmente corrette, nessun preadattamento da solo ha
senso, ma solo come parte di una sequenza, una delle tante possibili sequenze.
L'aspetto fondamentale è
identificare la causa. Qual è stata allora questa causa, in quella antica
congiuntura ambientale, a pilotare la specie attraverso la giusta sequenza di
cambiamenti genetici?
I creazionisti, o le persone più
religiose risponderebbero che è stata la mano di Dio. Ma quel risultato sarebbe
stato assai improbabile persino per un potere soprannaturale. Per far emergere
la condizione umana, un divino creatore avrebbe dovuto spargere un numero
astronomico di mutazioni genetiche nel genoma e progettare l'ambiente fisico e vivente
per milioni di anni per tenere in pista i primi preumani. E avrebbe dovuto fare
lo stesso con una fila di generatori di numeri casuali.
La forza che ha infilato il
cammello nella cruna dell’ago è la selezione
naturale! Una serie di eventi contingenti - contingenti ripeto,
alimentati dalla casualità delle mutazioni. Nell'evoluzione
l'opportunità nasce dalla diversità.
Per approfondire rimando a questo
post.
Nessun percorso individuale
dell'evoluzione di ogni tipo può essere previsto, né all'inizio e neppure verso
la fine della sua traiettoria. La selezione naturale può condurre una specie
sull'orlo di un cambiamento rivoluzionario, soltanto per sviarla dalla sua
meta. Tuttavia, almeno su questo pianeta, alcune traiettorie dell'evoluzione
possono essere giudicate possibili o impossibili. Un insetto può evolvere fino
a diventare microscopico, ma non potrà mai diventare grande come un elefante; i
maiali potrebbero diventare acquatici, ma i loro discendenti non voleranno mai.

La possibile evoluzione di una
specie può essere visualizzata come un viaggio in
un labirinto, ma un viaggio visto col senno di poi, perché il viaggio
stesso si può modificare in corso d’opera. Quando si intraprende un avanzamento
significativo come la transizione da animale acquatico a terrestre, o l'origine
dell'eusocialità, ogni cambiamento genetico, cioè ogni svolta nel labirinto, può
rendere il raggiungimento di quel livello meno probabile o persino impossibile
o, al contrario, tiene la porta aperta fino alla svolta successiva.
Come ebbe a dire il biologo Stephen
J. Gould, se potessimo riavvolgere il nastro di una qualunque linea
evolutiva, e ripartire da capo, la catena di eventi contingenti e il loro
risultato finale sarebbero diversi ogni volta. E soprattutto, la selezione
naturale non predice il futuro.
Nei primissimi stadi che tengono
aperte le altre opzioni, rimane una strada lunga da fare e il risultato ultimo,
molto lontano e meno probabile. Negli ultimi stadi la distanza che resta da
superare è breve e il risultato diventa più probabile. Il
labirinto stesso tende a evolvere lungo il tragitto: vecchi corridoi (nicchie
ecologiche) possono chiudersi mentre altri si aprono. La struttura del
labirinto dipende inoltre in parte da chi ci viaggia, compresa ciascuna specie.

L’improbabile viaggio
evolutivo verso l’unicità umana
Per quasi 400 milioni di anni moltissime specie animali di grandi dimensioni (indicativamente dai 10 chilogrammi in su) si sono evolute sulla terraferma e hanno finito per estinguersi venendo rimpiazzati dai loro discendenti. Quante di queste specie sono comparse e quante si sono estinte? Proviamo a fare una stima plausibile. Se, come si deduce dalla documentazione fossile, la durata media della vita di una specie sommata a quella delle sue specie sorelle è nell'ordine di un milione di anni e se, con un calcolo prudenziale, supponiamo che nello stesso periodo sia esistito un migliaio di specie di tali dimensioni, allora (forse!) possiamo dire che nel corso dell'intera storia della Terra è vissuto nel complesso circa mezzo miliardo di specie con queste caratteristiche.
Ma soltanto la nostra specie, tra tutte, ha raggiunto il livello di intelligenza e organizzazione sociale che oggi ci contraddistingue. Questo evento singolare cambiò ogni cosa sul pianeta. Da quel momento non ci fu nessun altro candidato e nessun'altra ulteriore contesa. La specie vincitrice straordinariamente fortunata fu quella di un primate del Vecchio Mondo; il luogo d'origine l'Africa, orientale e meridionale; l'habitat una vasta fascia di savana tropicale, prateria e semideserto; il tempo da 300.000 a 200.000 anni fa.
In ogni partita dell'azzardo evoluzionistico, giocata di generazione di
generazione, un numero enorme di individui deve vivere e morire. Il numero,
tuttavia, non è infinito e può essere calcolato approssimativamente, fornendo
almeno un'idea plausibile dell'ordine di grandezza per l'intero corso
dell'evoluzione che ha portato dai nostri
progenitori mammiferi di 100 milioni di anni fa, alla discendenza che si
fece largo fino a diventare il primo Homo sapiens, il numero totale di individui
richiesti potrebbe aggirarsi intorno ai 100
miliardi. A loro insaputa, vissero e morirono tutti per noi.
Molti giocatori, fra le altre
specie in evoluzione, ognuna con in media alcune decine di migliaia di
individui fertili per ogni generazione, spesso pure deperirono e sparirono. Se ciò
fosse capitato a uno qualsiasi della lunga linea di progenitori che hanno
portato a Homo sapiens, l'epopea umana sarebbe finita da un istante
all'altro. I nostri antenati preumani non furono scelti, né erano dei giganti.
Hanno
avuto soltanto fortuna.
I nostri progenitori furono una tra due dozzine circa di linee di animali che hanno sviluppato l'eusocialità, il livello più importante di organizzazione biologica superiore a quello di organismo.
Le ricerche più recenti in
parecchie discipline scientifiche convergono nel ricostruire gli stadi
evolutivi che hanno portato alla condizione umana offrendo una soluzione almeno
parziale del “problema dell'unicità umana”, che ha così angustiato
scienziati e filosofi. Come abbiamo visto, se collocato nel tempo dall'inizio
al raggiungimento della condizione umana, ogni gradino può essere interpretato
come un preadattamento. Attenzione! Ciò non
significa che l’evoluzione delle specie che ha portato alla nostra è stata in
qualche modo guidata verso questo esito. Bensì, ogni gradino è stato un
adattamento in sé e per sé: la risposta della selezione naturale alle
condizioni prevalenti intorno a quella specie in un dato luogo e momento.
Indiscutibilmente l’organismo
vivente più complesso che si conosca è Homo sapiens (complesso, non
migliore o più adatto). Anche in questo caso la sua evoluzione non è stata
diversa, almeno fino ad un certo punto, da quella di qualsiasi altro vivente. Come
in tutti i grandi problemi scientifici, l'origine evolutiva del genere umano
inizialmente si presentò come un coacervo di entità e processi in parte visti, in
parte immaginati, con alcuni di questi elementi che risalgono molto indietro
nel tempo geologico e forse non saranno mai compresi con certezza.
In generale, ormai sembra
possibile fornire una spiegazione plausibile del perché la condizione umana sia
una singolarità e perché qualcosa di simile
sia accaduto una sola volta e ci abbia messo così
tanto a capitare. La ragione è semplice, ed è l'estrema improbabilità
dei preadattamenti necessari perché si verificasse. Ognuno di questi gradini
evolutivi è stato in sé e per sé un adattamento a tutti gli effetti e ha
richiesto una particolare sequenza di uno o più preadottato precedenti. Homo
sapiens è l'unica specie di grande mammifero - quindi abbastanza grande da
sviluppare un cervello a misura d'uomo - ad avere intrapreso tutte le fortunate
svolte necessarie nel labirinto evoluzionistico.
Sintetizzando al massimo il primo preadattamento fu la sua esistenza sulla terraferma. Il progresso tecnologico, le pietre scheggiate e le aste in legno, hanno bisogno del fuoco, nessun animale marino, nemmeno l'intelligentissimo polpo, saprà mai inventare un mantice o una fornace, o generare una cultura che costruisca un microscopio, derivi la chimica ossidativa della fotosintesi clorofilliana o fotografi le lune di Saturno.

Il
secondo preadattamento fu avere una corporatura massiccia, di una grandezza
raggiunta nella storia della terra soltanto da una piccola percentuale di
specie animali terrestri. Un animale maturo che pesi meno di un chilo avrà una
grandezza del cervello troppo limitata per una cultura di livello superiore, e
persino sulla terraferma, il suo corpo non riuscirebbe a domare ed attizzare il
fuoco. Le formiche tagliafoglie, pur essendo la specie più complessa dopo gli
esseri umani e pur praticando una sorta di agricoltura in città climatizzate da
loro escogitate istintivamente, non hanno mai fatto progressi di una certa
importanza: quel che fanno oggi è identico a quel che hanno finora fatto, nei
20 milioni di anni della loro esistenza.
A seguire, nella linea dei
preadattamenti fu la comparsa di mani prensili con morbide dita a spatola che
si svilupparono per afferrare e manipolare oggetti liberi. Questa è la
caratteristica dei primati che li differenzia da tutti gli altri mammiferi
terrestri. Per quanto gli scrittori di fantascienza amanti delle invasioni
della Terra, si ostinino adottare i loro alieni di artigli e zanne, questi sono
inadatti allo sviluppo di una tecnologia. Il bipedismo dipese da tutto ciò.
La svolta successiva nel
labirinto evoluzionistico fu il passaggio a una dieta con una quantità
significativa di carne ricavata dalle carcasse macellate o dagli animali vivi
cacciati e uccisi, o da tutte e due le fonti. Un grammo di carne fornisce
un'energia maggiore di un grammo di vegetali. Una volta che un carnivoro,
evolvendosi, si ricava una nicchia, l'energia necessaria per occuparla sarà
minore.
I vantaggi della cooperazione
nella raccolta della carne portarono quindi alla formazione di gruppi molto
organizzati. Le primissime società erano composte da famiglie allargate ma
anche da adottati e alleati, e raggiunsero una popolazione sostenibile
dall'ambiente locale. Una popolazione numerosa era un vantaggio negli
inevitabili conflitti fra gruppi diversi.

Circa un milione di anni fa arrivò
l'uso
controllato
del fuoco, una conquista unica degli ominidi. I tizzoni provocati dai fulmini
trasportati altrove procurarono enormi vantaggi in tutti gli aspetti della vita
dei nostri progenitori. Questo controllo aumentò la disponibilità di carne,
permettendo di snidare e intrappolare un numero maggiore di animali. Il
diffondersi di un incendio era l'equivalente oggi di una muta di cani da caccia.
Spesso gli animali erano non soltanto uccisi ma anche cotti dal fuoco. E
persino nei primordi di
Homo carnivoro, il vantaggio della carne,
dei muscoli e delle ossa resi così più facilmente assimilabili e digeribili ebbe
importanti conseguenze.
Il fuoco trasportato da un luogo
all'altro era una risorsa come la carne, la frutta e le armi. I grossi rami e
le fascine di ramoscelli possono bruciare lentamente per ore. Con la carne, il
fuoco e la cottura, i bivacchi, che a volte duravano più di qualche giorno e
quindi erano abbastanza stabili per essere protetti come rifugi, segnarono il
passo vitale successivo. Questi erano una sorta di nidi, come potremmo
chiamarli, e hanno sempre preceduto la conquista dell'eusocialità, anche quando
espressa al minimo, da parte di tutti gli altri animali, a cominciare dagli
insetti sociali.
Insieme con i fuochi di bivacco
arrivò la divisione del lavoro. E preesistevano anche differenze tra maschi e
femmine e fra giovani e vecchi. Infine, in ogni sottogruppo c'erano delle
disparità non solo nella capacità di leadership ma anche nella propensione a
rimanere nell'accampamento.
Il risultato inevitabile che
scaturì quasi subito da tutti questi preadattamenti fu una complessa divisione
del lavoro.
Terraferma, corporatura, mani, bipedismo,
cooperazione e gruppi, controllo del fuoco, bivacchi e divisione del lavoro: un
insieme di preadattamenti che presi singolarmente non hanno valore evolutivo
fondamentale, ma che in serie rappresentano la spinta fondamentale ad acquisire
la condizione umana. E, ovviamente, il linguaggio.
Ma forse la cosa che più colpisce,
è la conferma dell’incredibile intuizione di Charles Darwin, riportata nel suo
poco noto lavoro L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli altri
animali (1872): l’istinto si evolve per
selezione naturale, i tratti comportamentali che definiscono ogni specie,
così come quelli che ne definiscono anatomia e fisiologia, sono ereditari. Il
grande scienziato sosteneva che continuano ad esistere perché in passato
avevano favorito la sopravvivenza e la riproduzione. Questa intuizione è stata
verificata e convalidata più volte.
Nonostante una serie incredibile
di polemiche e tentativi di dimostrare che l’istinto umano non è un prodotto
delle mutazioni e della selezione naturale, che esiste un dualismo
mente-materia, decenni di studi hanno sconfitto la visione del cervello come
una sorta di tabula rasa su cui solo l’apprendimento poteva lasciare
segni. Molti scienziati, quasi esclusivamente di ambito sociale e
intellettuale, continuavano a insistere che la mente è il prodotto esclusivo
dell’ambiente e della sua storia passata. Sostenevano ad esempio che il libero arbitrio esiste ed è potente, e che la mente è sottoposta alla volontà e…al
destino! Concludevano sostenendo che tutto ciò che evolve nella mente è
esclusivamente culturale negando una natura umana (o animale che sia) basata
sulla genetica.
Oggi la quantità e il rigore
delle prove a favore dell’istinto e della natura umana determinate
geneticamente sono schiaccianti e nuove conferme si aggiungono continuamente.
Eccoci dunque qui a camminare e, qualche volta, a correre disordinatamente lungo una linea di discendenza lunga 3,8 miliardi di anni e priva di uno scopo certo al di là del continuare a portare avanti i capricci delle mutazioni e della selezione naturale, come fossimo grandi borse piene di acqua di mare, erette, bipedi, sostenute da ossa, guidate da sistemi la cui base ingegneristica risale all'età dei rettili. Molte delle sostanze chimiche e delle molecole che circolano nella nostra porzione liquida (che corrisponde all'80 percento in peso del corpo) sono indicativamente le stesse che esistevano nel mare primordiale. La nostra capacità di ragionare e di scrivere ciò che pensiamo però continua a trarre energia dalla convinzione diffusa per cui ogni tappa della Preistoria e della storia, inclusa ogni grande transizione, in qualche modo sia servita a metterci sulla Terra. Tutto, è stato affermato, fin dall'origine della vita 3,8 miliardi di anni fa, venne pensato per noi. La diffusione di Homo sapiens fuori dall'Africa e in tutto il mondo abitabile fu in qualche modo preordinata. Ogni cosa venne intesa per stabilire il nostro dominio sul pianeta con l'inalienabile diritto di trattarlo come più ci piace.
Questo è l'errore, sintesi perfetta della condizione umana.
Questa incredibile serie di
eventi
deve farci riflettere sull’unicità della nostra specie, un evento
apparentemente irripetibile, così come irripetibile è quello di qualsiasi altra
specie. Ma, dal punto di vista strettamente biologico, la comparsa della specie
umana non è stata diversa da quella di qualsiasi altra. Come il titolo di un
famoso libro del biologo evoluzionista Richard Dawkins…il
più grande spettacolo della Terra grazie a, citando ancora Charles
Darwin, infinite bellissime forme.