Trump libera tutti!

 


Nel linguaggio colorito a cui Trump ci ha abituato da molto tempo, nelle sue primissime dichiarazioni da neo-eletto presidente USA, definisce il green deal ridicolo e dispendioso, una truffa verde, mettendo una pietra tombale sulla transizione ecologica almeno per i prossimi quattro anni.

A seguito delle sue dichiarazioni, con una serie di ordini esecutivi scioccanti, nei giorni scorsi tutte le riviste scientifiche al mondo, con le più importanti come Nature e Science in testa, hanno pubblicato editoriali preoccupatissimi per quel che sta accadendo, forse perché Trump è andato anche oltre quello che aveva preannunciato: tutti sapevano che sarebbe uscito dall'Accordo di Parigi, così come ha sancito l’uscita dall’OMS, salvo in quest’ultimo caso, ripensarci 24 ore dopo!

Tra le molte una cosa poco nota è che ha silenziato e bloccato tutti i lavori del NHI, National Health Institutes, che rappresenta gli istituti nazionali statunitensi per la salute: non possono più comunicare, ha congelato i finanziamenti, non possono più fare convegni, e ha persino revocato la scorta a Tony Fauci, scelta particolarmente odiosa perché Fauci riceve minacce di morte, da prendere seriamente in considerazione, costantemente tutti i giorni. Ancora, le dichiarazioni sull’Alaska sono estremamente preoccupanti perché, cavalcando l’onda della retorica dell'emergenza energetica ha emanato un ordine esecutivo sull’Alaska che in breve afferma che, indipendentemente dai parchi, dalle riserve, dai diritti dei nativi, d'ora in poi quello stato sarà considerato né più né meno che una riserva di risorse per gli Stati Uniti, e le elenca tutte: petrolio, gas naturale, pesce dal mare e legno dalle foreste, annullando tutte le regolamentazioni verdi e, peggio ancora, sdoganando l'idea del liberi tutti nel devastare l'ambiente per le risorse di cui hanno bisogno gli americani: basta con gli accordi di qualunque tipo e con chiunque perché l’idea che deve passare è che tutto quel che è stato fin qui è sbagliato e dannoso per gli Stati Uniti. Anche a costo di incrementare la devastazione ambientale sul proprio territorio pur di ottenere la totale autonomia energetica. Cosa che Trump aveva già detto con estrema chiarezza in campagna elettorale: drill, baby drill! Diventato ormai una specie di ritornello, ma che significa che c'è un pezzo degli Stati Uniti nel quale succede e succederà che le perforazioni petrolifere saranno molto più diffuse, ma non soltanto, come ovvio, in Texas, New Mexico o nel Golfo del Messico e in Alaska, ma una liberatoria per tutti affinché possano aumentare l’attività estrattiva, a riguardare tutti. Compreso quegli stati dove erano state interrotte le tecniche di fracking a causa degli elevati e conclamati rischi ambientali, e che ora potranno riprendere.

L’uscita degli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi significa che non c'è praticamente più nessuna possibilità di stare sotto gli 1,5 °C di riscaldamento climatico, e la possibilità di arrivare ai 2 °C nei prossimi anni è pressoché certa. Tutto ciò che è stato raccontato in questi ultimi anni e si è sostanziale cancellato con una manciata di parole.

E agli stolti che pensano che da questa parte dell’Atlantico non ci interessa se gli Stati Uniti aumenteranno le perforazioni, riprenderanno con maggior intensità le tecnologie di fracking laddove erano state interrotte, che ci riguarda relativamente, ricordo che rimettere in discussione praticamente tutto quello che è stato fatto fin qui, ha dato il colpo di grazia a una situazione che già era in grande stallo (sia chiaro che non sto demonizzando la tecnologia del fracking, faccio solo dei distinguo su quanto effettivamente ha provocato in termini di danni ambientali). Le negoziazioni internazionali sul clima, lo abbiamo visto con le ultime COP fatte nei paesi petroliferi, hanno sostanzialmente partorito topolini, dichiarazioni d’intenti, che spesso restano tali, praticamente nulle: con l'uscita degli Stati Uniti dall'Accordo di Parigi saranno inoltre ridotti o azzerati molti finanziamenti a progetti ambientali, e vuol dire inoltre che altri paesi, come l’Argentina ad esempio, emuleranno gli USA, e molti altri che faranno la stessa cosa. Se già prima c'era una situazione di grande difficoltà nel prendere decisioni sul clima a livello internazionale, adesso sarà praticamente impossibile almeno per i prossimi quattro anni.

La cosa potrà anche riguardare l’Italia direttamente: anche per una serie di scelte politiche che andrebbero forse oggi rilette, siamo arrivati al punto che una buona parte dell’opinione pubblica pensa che la transizione ecologica come è stata pensata è una follia, che il ruolo dell’Italia e dell’Europa tutta è pressoché insignificante, vista la presenza dei soliti grandi inquinatori come Cina e India, e USA. La Cina sta guadagnando quantità di denaro enormi col green ma al tempo stesso continua a inquinare, e lo farà finché farà loro comodo, sfruttando al limite le loro risorse fossili,  pur dovendo ammettere che l’ambizioso piano di decarbonizzazione di quel paese sarà messo in atto quasi certamente. L'India continua a guardare all’Occidente con grande distacco. E l'Europa sta assumendo, agli occhi di molti, il ruolo del Don Chisciotte di turno, un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro. La lamentela comune è che l’Europa tutta (non solo la CE) produce il 12 percento delle emissioni totali di gas serra (CO2 e altri), in netto calo da oltre un ventennio grazie a comportamenti e scelte tutto sommato virtuosi, e deve sostenere una parte altissima dei costi di transizione, anche per gli altri.

La Cina si farà trovare pronta quando sarà necessario si diceva. Già ma quando sarà necessario? Quando proprio lo dovranno fare tutti, anche quelli che non vogliono crederci? Ovvero quando sarà, e forse lo è già, troppo tardi.

E qui stanno le novità degli ultimi due anni, di cui si è parlato troppo poco. Sui media finora si è sempre parlato di proiezioni, cioè di scenari di probabilità, come quelle famose dell’IPCC; adesso invece abbiamo i dati diretti, i valori veri ottenuti con miliardi di rilevazioni in tutto il mondo. Il riscaldamento medio registrato nel 2023 è prossimo ad 1,5 °C, il limite da non raggiungere, e nel 2024 di 1,6 °C, limite superato: oltre tutte le peggiori previsioni a certificare che la prima raccomandazione degli accordi di Parigi è già saltata, visto che indicava di stare sotto gli 1,5 °C e soprattutto imponeva di evitare di arrivare ai 2 °C. Ciò che ci si era posti come obiettivo in termini di incremento in realtà è andato nel segno esattamente opposto: se questa tendenza dovesse essere confermata, e non c'è ragione di pensare che non lo sarà già a partire dal 2025 o nei prossimi anni, significa che arriveremo a 2 °C molto velocemente, e quando ciò avverrà il processo di riscaldamento accelererà ulteriormente perché si sarà già innescato un ulteriore meccanismo di auto amplificazione (feedback positivo) a rinforzare i cosiddetti tipping point già superati. Soprattutto nel caso dei ghiacciai delle correnti oceaniche.


Ci stiamo arrivando più velocemente di quanto non pensassimo, le emissioni del 2024 sono aumentate anziché diminuire, dal 2020, cessata la diminuzione apparente causata dal rallentamento delle attività per la pandemia da Covid, le emissioni globali sono aumentate di circa 5 gton di CO2 equivalente.

Ecco perché quel che sta facendo adesso Trump è un'ulteriore colpo che rende inevitabile tutto ciò.

Quando si diceva, soprattutto in Europa e nel nostro paese, che avremmo potuto effettuare la cosiddetta transizione ecologica con una certa lentezza, un passo alla volta, eravamo in errore: ma lo scenario prospettato indica che oggi più la facciamo lentamente più pagheremo un costo alto in termini di adattamento.

Qualcosa è andato storto anche politicamente, soprattutto nel raccontare le urgenze e, come Europa, nel ritrovarci a pagare dei costi che andrebbero ridistribuiti a livello globale. Come ho avuto modo di scrivere in passato il cambiamento climatico è innanzi tutto un problema di ordine sociale, con implicazioni drammatiche per una parte gigantesca dell’umanità, parte che corrisponde soprattutto a coloro i quali non hanno pressoché responsabilità alcuna nella produzione di gas serra. C’è una parte di verità nelle lamentele delle persone che accusano i governi di scaricare sul singolo i costi della transizione.

Anche l'elezione di Trump ci deve far capire che se questo tipo di discorsi non riceve ascolto diventano mainstream, tendenza generale, perché certamente è una narrazione che sta avendo successo, perché è consolatoria, ci dice che in fondo possiamo continuare il nostro modo di vita e cavarcela. In realtà non è così. Anche se l'Europa conta solo per il 12 percento delle emissioni, ciò non impedisce di creare rancori sociali, che si riflettono sulle scelte elettorali, dovuti al dover pagare nonostante un comportamento virtuoso; ma in realtà questo dovrebbe diventare strategico.

Seguendo l’impegno cinese, apparentemente paradossale perché diviso tra convenienza e coscienza del cambiamento climatico, dovremmo prendere atto definitivamente che il processo sta avvenendo, lo dicono le leggi della fisica che non sono ideologiche, leggi che si può persino decidere di ignorare ma che comunque esistono e lavorano. Ed essendo sicuri che quegli scenari si manifesteranno dovremmo farci trovare pronti con l'innovazione tecnologica, la ricerca scientifica, la manifattura europea, le capacità intellettive esclusive del vecchio continente, in modo che, visto che questo cambiamento sta accelerando, in Europa e nel bacino mediterraneo più che altrove, che l’Europa sia allora la frontiera della ricerca, a condurre gli altri a venire da noi per adottare le soluzioni tecnologiche del futuro.


Persino quanto è successo a Los Angeles, per la proporzione, la devastazione, per la perdita in valore economico e in vite umane, e che ha riempito le cronache delle ultime settimane suscitando grandissima impressione, ha un legame indiretto col cambiamento climatico. Ma anche qui è passata l'idea che il riscaldamento climatico non c'entri nulla, a causa di un fraintendimento. Certo, le cause prossime di quello che è accaduto sono umane e molto banali, incidenti nella rete elettrica, fuochi d’artificio, anche piromani probabilmente, sono le cause specifiche di quegli incendi: ma lo scenario generale da capire ci dice che quegli incendi stanno diventando, un po’ dappertutto nel mondo, molto più probabili e molto più gravi, oltre che molto più devastanti, perché non ha piovuto quando avrebbe dovuto piovere per mesi, le piante che erano cresciute abbondantemente nel periodo precedente si sono per lo più seccate e inaridite a causa della siccità successiva, creando molta massa secca, con temperature molto più elevate, con venti più caldi e più potenti. Il riscaldamento climatico non è certamente la causa specifica di quegli incendi, ma è lo scenario globale che rende questi incendi molto più probabili, frequenti e gravi: e questo succederà anche nei prossimi anni quindi a sottolineare la tendenza complessiva che dobbiamo imparare a guardare, non il singolo evento specifico.

A proposito di tendenze complessive, di recente il New York Times ha dedicato un articolo alla situazione climatica del Mediterraneo usando un termine non usuale per quel quotidiano: tragedia. Il Mediterraneo si è scaldato anche più di quanto non prevedessero i modelli, si pensava intorno ai 2 °C ma già si sono registrati anche incrementi di 3 °C di riscaldamento complessivo. Durante le scorse estati nell’area italiana del bacino la temperatura di superficie ha superato i 30-31 °C, peggio di quel che succede nei Caraibi quando inizia lo sbiancamento delle barriere coralline, tanto per dare un'idea della gravità della situazione. E per cominciare ciò fa malissimo alla biodiversità perché favorisce incrementi di popolazioni di meduse, fioriture algali di specie tropicali che vanno a sostituire quelle autoctone. Ma le conseguenze peggiori di un mare così caldo non convengono soprattutto a noi: un mare così caldo è un mare ad altissima energia potenziale, un mare che scarica più vapore acqueo in atmosfera, e turbolento; quando poi dall'Atlantico del nord, e lo abbiamo visto a Valencia e in Romagna, arrivano delle perturbazioni fredde e umide, questo scontro con il Mediterraneo dà origine a precipitazioni violentissime difficili da prevedere, sia in termini spaziali che temporali. E questo tipo di precipitazioni sarà sempre più frequente.

Non è il caso di continuare a parlare di emergenze, men che mai di calamità, sarà meglio usare il termine normalità, una nuova normalità climatica. E da ciò ne consegua la presa di coscienza del necessario adattamento, possiamo fare tante cose che si possono annoverare nel tema dell’adattamento: censire le zone più a rischio di dissesto idrogeologico, realizzare i bacini di laminazione per l'acqua in modo da deviare l'acqua quando in poche ore si concentrano decine se non centinaia di millimetri di pioggia, ridurre il consumo di suolo.  Dobbiamo proteggere il nostro territorio perché la prevenzione costa molto meno del dover poi intervenire sull'emergenza: è stato calcolato con molta precisione che il costo del prevenire un disastro, ridurre cioè la probabilità che accada, è pari ad 1/20 di ciò che si dovrà spendere per affrontare il fatto compiuto. La prevenzione non è un costo ma un risparmio netto, un investimento sicuro per futuro, sottolineando che si parla di costi per investimenti e risparmi che coinvolgono la vita delle persone e le risorse di un territorio. A fronte di mancati investimenti, e quindi di mancate o sbagliate scelte politiche, abbiamo storie di famiglie, di imprenditori, di persone che vedono la loro vita distrutta per sempre.

Altro che la buffonata fantascientifica, ma da molti valutata seriamente, che tanto poi arriva un “Elon Musk” qualunque e salva l’umanità portandoci su Marte. Tecnologia a parte, quando mai noi umani siamo stati in grado di eseguire, nel corso di molti secoli o persino pochi decenni, un costruttivo progetto internazionale (o quantomeno qualcosa di diverso dalla devastazione di civiltà indigene, genocidi o tratta degli schiavi) che abbia richiesto spese immense senza immediato tornaconto? Come possiamo immaginare di poter prosperare su un corpo celeste con il quale non abbiamo nessuna connessione evolutiva? Non abbiamo nemmeno imparato a prenderci cura gli uni degli altri su questo vecchio, accogliente, ospitale pianeta.

Non esiste un pianeta né un piano “B”.

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