Recentemente il Dipartimento dell’Energia (DoE) degli Stati Uniti ha pubblicato un documento intitolato “A Critical Review of Impacts of Greenhouse Gas Emissions on the U.S. Climate”. Un rapporto che rivede radicalmente il cosiddetto consenso scientifico in tema di cambiamento climatico; un documento ostentatamente contrapposto a quanto, pressoché quotidianamente, viene confermato dalle sintesi di migliaia di pubblicazioni scientifiche, e soprattutto al contenuto del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC (AR6), la sintesi più autorevole, completa e condivisa della letteratura scientifica sul clima.
La pubblicazione del DoE è volta
a sostenere la recente iniziativa dell’EPA (Environmental Protection Agency) nata
per confutare la “Endangerment Finding” del 2009 (rilevamento del
pericolo), ossia il riconoscimento ufficiale da
parte dell’EPA che la CO₂ e altri gas serra rappresentano una minaccia
per la salute e il benessere pubblico, e che ha costituito, finora?, la base
legale per tutte le successive politiche federali di mitigazione del
cambiamento climatico negli Stati Uniti. Il rapporto del DoE rappresenta quindi
il tentativo di giustificare, dal punto di vista scientifico, l’abbandono di
qualsiasi politica di contenimento delle emissioni di gas serra, usando vecchi
argomenti del negazionismo climatico degli ultimi 20 anni, come i presunti
benefici della CO₂ per l’agricoltura, l’incertezza dei modelli climatici e le
presunte esagerazioni dei danni stimati per i cambiamenti climatici. Una
vera e propria manna per i negazionisti e gli scettici radicali.
Non entriamo nel merito di quel
che è stato scritto, rimandandolo a quest’ottimo post
apparso su Climalteranti.it. Le
differenze tra AR6 e il rapporto del DoE sono emblematiche fin dal principio: a
fronte delle centinaia di autori, decine di migliaia (migliaia, sì!) di
revisori del processo di peer review e delle indiscusse competenze di ognuno di questi, il rapporto DoE
non solo seleziona con cura gli argomenti a loro favore (cherry picking) e presenta solo quelli, ma il gruppo di autori è una
manciata di nomi noti, senza competenze specifiche nei temi trattati, che
rappresentano bene i negazionisti a tavolino, direttamente stipendiati
dall’industria e dagli imprenditori del settore fossile. È una delle tante
conseguenze del secondo mandato Trump.
E andando anche solo a confrontare gli argomenti principali, quanto il DoE
cerca di ammantare di veridicità scientifica si scopre infine essere i soliti argomenti
ripetuti fino alla nausea e facilmente confutabili.
Un ulteriore approfondimento sul rapporto del DoE è disponibile in quest'altro mio post.
E soprattutto, perché la gente
comune riceve le menzogne dei negazionisti da innumerevoli fonti mediatiche,
amplificate dai social, mentre le smentite e le posizioni scientifiche sono
lette dai soliti pochi convertiti perché diffuse su poche testate
specialistiche?
Quanti leggono Nature o National
Geographic a fronte dei miliardi che leggono Facebook o X?
Con l’uso della radio, della
televisione, e ora di Internet, si ha l’impressione che ciascuno possa far
sentire la propria voce e possa essere sicuro che sarà riferita e citata, che
dica il vero o il falso, cose sensate o ridicole, ben intenzionate o malevole. Internet
ha creato un’informazione che assomiglia a una sala degli specchi, in cui ogni
affermazione non importa quanto assurda, può essere moltiplicata
all’infinito. E su Internet la disinformazione non muore mai, una vera e
propria barbarie elettronica, un ambiente in cui tutti navigano e
non esiste un porto sicuro. Un pluralismo impazzito.
Ma perché gli scienziati non protestano?
Ci sono alcune eccezioni, come la
presa di posizione del climatologo Michael Mann su questo caso, che ha dichiarato
trattarsi di «una narrazione antiscientifica,
basata su argomentazioni ingannevoli e dati travisati» o, in
passato, la totalità dei climatologi che difese un loro notissimo rappresentante;
ma i casi di scienziati che combatterono sono davvero pochi. Sono voci,
sfortunatamente, isolate.
Ci fu persino chi vide rovinata
la propria vita e la propria carriera perché non aveva i mezzi per affrontare
cause giudiziali a seguito di querele ricevute da potenti esponenti dell’industria
o scienziati corrotti al soldo di questa.
Ovviamente, gli scienziati sanno, e sapevano, che molte delle affermazioni dei negazionisti erano false. Perché non hanno fatto di più per respingerle? Perché gli scienziati non hanno cercato di smantellare l’artificiosa falsità dell’industria della menzogna?
Le società scientifiche hanno cercato di risolvere questo problema preparando delle dichiarazioni formali sul cambiamento climatico che riflettono il sapere collettivo dei loro membri. Queste dichiarazioni, per usare un eufemismo, tendono a essere molto asciutte e risultano spesso indecifrabili per una persona normale. Chi di noi ha letto o leggerebbe centinaia di pagine di sommario, men che mai le migliaia di pagine del rapporto completo? Se pochissimi sanno dell’esistenza di enti come UNFCCC o il WMO, l’EPA o il DoE è già grasso che cola. Sulle pagine dei loro siti web ci si può già fare un’idea delle loro posizioni sul cambiamento climatico.
Occorre inoltre tener conto che gli scienziati lavorano per produrre conoscenze in ambiti molto specifici, ma di solito non sono preparati a comunicarle, specie al pubblico più vasto, e sono ancor meno preparati a difendere i loro lavori scientifici contro avversari determinati e ben finanziati. Spesso, non hanno né la predisposizione né la voglia di farlo. Fino a poco tempo fa la maggior parte degli scienziati non era particolarmente desiderosa di comunicare. Pensavano che il loro lavoro fosse quello di produrre conoscenza, non quello di divulgarla, e molti considerano queste attività come inconciliabili tra loro. Non sono stati pochi i casi di scienziati che hanno preso in giro dei colleghi che facevano divulgazione.
La dedizione degli scienziati nei
confronti della competenza e dell’obiettività li pone in una posizione delicata
quando si tratta di respingere affermazioni palesemente false. Devono
inoltre evitare di entrare in discussioni che li portino su argomenti politici,
per non rischiare di essere accusati di politicizzare la scienza e di mancare
di obiettività. Si crea un paradosso comunicativo: la richiesta di essere
obiettivi suggerirebbe di tenersi fuori da argomenti controversi ma, se lo
fanno, nessuno potrebbe conoscere qual è la versione obiettiva e scientifica
dell’argomento in questione. E ancora, amaramente, evitano come la peste di vedersi invitati a confrontarsi col tuttologo di turno, del tutto ignorante in materia, nel tentativo mediatico di creare l'illusione che esista un dibattito.
Gli scienziati temono di essere
coinvolti perché hanno visto che cosa può succedere loro, come nel caso del già
citato climatologo. Nel 2005, Michael Mann, ricercatore presso la
Pennsylvania State University, ha subito un attacco furibondo da parte di un membro
del Congresso americano, Joe Barton del Texas, che chiedeva che Mann fornisse
informazioni dettagliate sulle fonti di supporto alle sue ricerche, sui server
dove erano memorizzati tutti i suoi dati e molto altro: nonostante i lavori
scientifici oggetto dell’indagine erano già stati pubblicati in riviste peer
review, e non c’erano prove che Mann avesse fatto qualcosa di sbagliato, fornendo
una delle prove inoppugnabili che la Terra si stava riscaldando rapidamente.
Attacchi come questi hanno un effetto paralizzante. Alcuni scienziati, durante le discussioni che si tengono nelle sessioni dell’IPCC, sono riluttanti a presentare affermazioni troppo nette sulle evidenze scientifiche disponibili per paura che i negazionisti possano attaccarli. In un articolo comparso su «Scientific American» si evidenzia come i climatologi sottovalutino la gravità e la velocità dell’emergenza climatica per evitare di sbagliare ed essere messi alla berlina dai negazionisti e spesso i rapporti ufficiali tendono a sottovalutare i potenziali pericoli climatici: è eccesso di prudenza o uno dei pilastri del metodo scientifico, non un sinonimo di ignoranza? Altri preferiscono riportare stime per difetto perché ciò li fa sentire più sicuri.
Le campagne di intimidazione, evidentemente, funzionano.
L’incertezza c’è, va detto con chiarezza, ma riguarda solo alcuni aspetti della scienza del clima. Non riguarda le cause – ormai largamente comprese – ma piuttosto gli scenari futuri, influenzati dalla grande complessità del sistema climatico. È per questo motivo che i rapporti IPCC si basano su decine migliaia di studi scientifici, dando molta importanza alla interconnessione tra vari elementi, all’esplorazione di scenari poco probabili e alla comunicazione delle incertezze.Ma l’incertezza non dovrebbe spingerci all’immobilità, al contrario dovrebbe stimolarci all’azione su ciò che possiamo controllare, ovvero le nostre emissioni di gas serra. Perché è proprio sulla strumentalizzazione dell'incertezza, motore primo del metodo scientifico, che i costruttori della menzogna, i mercanti di dubbi come li definirono Oreskes e Conway nel loro libro del 2010, basano le loro strategie,
Forse il motivo più comprensibile per cui gli scienziati non vogliono essere coinvolti nelle polemiche è perché amano la scienza, e pensano che la verità alla fine avrà il sopravvento. È il loro lavoro, un lavoro davvero eccezionale, quello di capire quale sia la verità. Qualcun altro è senz’altro più bravo a divulgarla ed a comunicarla con maggiore efficacia. E se c’è chi va in giro a seminare spazzatura, che se ne occupi qualcun altro. È comprensibile che gli scienziati trovino anomalo perdere tempo per occuparsi di questioni del genere. Fin dal 1983, in tema di cambiamento climatico, o di numerosi altri temi d'interesse universale, gli scienziati sapevano che i tentativi di negazione erano spazzatura, e per questo li ignorarono. Disgraziatamente, la spazzatura non se ne va da sola e qualcuno deve occuparsene: i giornalisti in primo luogo, coloro che danno notizia delle scoperte scientifiche, supportati dagli organi professionali che rappresentano i diversi campi della scienza, e infine ognuno di noi può e deve contribuire a lasciare il giusto messaggio, opponendosi allo scetticismo radicale, alla negazione e soprattutto all’idiozia.
Non è vero, come da tempo
immemore sostiene la propaganda
negazionista, che il problema del riscaldamento globale non può essere risolto
e possiamo solamente adattarci. Le soluzioni esistono. Il riscaldamento
globale è un problema enorme, ma per risolverlo dobbiamo per prima cosa
smettere di prestare ascolto alla disinformazione e di trastullarci in attesa
di chissà cosa. Personalmente non posso fare molto, e considero questi miei
post in tema di cambiamento climatico, il mio contributo minimo alla
confutazione della negazione.
Abbiamo bisogno di una conoscenza più precisa di ciò che è la scienza, dobbiamo sapere come riconoscere la vera scienza quando la incontriamo, e come dobbiamo fare per separarla dalla spazzatura.
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