17 dicembre 2025

Terno secco sulla ruota del mondo! Tre anni sopra 1,5 °C

[sarcasmo /on]
Ma che ve lo dico a fare? La cosa che mi preoccupa di più è la situazione neve in Trentino a metà gennaio, quando andrò in settimana bianca…
[sarcasmo /off]

Premessa.
Anche se i modelli alla base della climatologia e delle scienze economiche condividono numerosi aspetti matematici, soprattutto in termini di gestione della complessità c’è da fare una distinzione. Nessun economista serio affermerebbe di riuscire a fare delle previsioni sull’andamento anche di un singolo titolo azionario, nemmeno dopo mesi di tendenza certa al ribasso, oserebbe dire che scenderà ancora o che, come dicono, rimbalzerà…L’aleatorietà delle componenti del mercato, troppo legata alle influenze umane, sociali e psicologiche, glielo impedirebbe.

Per gli scienziati del clima le cose stanno diversamente. Se i modelli prevedono una certa tendenza ebbene, quella è praticamente certa, al di là di ogni ragionevole dubbio: e le analisi del passato eseguite a posteriori (hindcasting) lo dimostrano. Qui un approfondimento.

_________________________________________________________

Si è conclusa circa un mese fa la COP30, confermando alcune aspettative, e deludendone altre. Sul sito di Italian Climate Network è possibile accedere ad un’analisi dettagliata, realizzata osservando da vicino progressi, lacune e compromessi su tutti i principali filoni: dalla mitigazione all’adattamento, passando per giusta transizione, perdite e danni, questioni di genere.

L’auspicio per questa ennesima riunione al vertice era riuscire a spostare l'attenzione dal processo all'azione, all’impatto che questa dovrà avere: definire quindi non la solita dichiarazione d’intenti, le abituali linee guida che da anni stanno accompagnando senza efficacia le annuali conferenze delle parti. Il vertice di Belem avrebbe dovuto dare una risposta credibile per contrastare gli attacchi ai molteplici aspetti del cambiamento climatico, per silenziare le voci negazioniste e per promuovere azioni volte a ridurre le emissioni, a definire l'adattamento e la mitigazione, a contenere le perdite e i danni, definire le responsabilità, soprattutto in termini finanziari.

Non il solito vertice, ma una dichiarazione sulla nostra serietà nell'affrontare la crisi climatica.

L’importanza di tutto ciò è confermato ulteriormente dai dati climatici più recenti.

I dati forniti dall’Unione Europea mostrano che il 2025 sarà praticamente certo il secondo - o il terzo al massimo - anno più caldo mai registrato. Il collasso climatico continua ad allontanare il pianeta dalle condizioni stabili in cui l'umanità si è evoluta.

Il vicedirettore di Copernicus ha affermato che la media triennale dal 2023 al 2025 è sulla buona strada per superare per la prima volta i famigerati 1,5 °C di riscaldamento, il livello di contenimento dichiarato alla COP21 di Parigi del 2015.

Il mese scorso è stato il terzo novembre più caldo ed è stato caratterizzato da una serie di eventi meteorologici disastrosi, tra cui cicloni e inondazioni catastrofiche in Asia meridionale e sud-orientale

Il programma dell’UE di osservazione della Terra, ha registrato temperature globali da gennaio a novembre in media di 1,48 °C superiori ai livelli preindustriali. Le anomalie rilevate sono state finora identiche a quelle registrate nel 2023, il secondo anno più caldo mai registrato dopo il 2024.

La promessa di Parigi, impedire cioè al pianeta di riscaldarsi di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali entro la fine del secolo sta diventando sempre più vana. E non consola sapere l’obiettivo di temperatura deve essere interpretato e correlato su una media trentennale, lasciando un barlume di speranza di raggiungere l'obiettivo anche dopo un periodo di superamento, nonostante singoli mesi e anni inizino a superare la soglia. Purtroppo la Terra non è soltanto un sasso al sole, come ho ribadito più volte, che si raffredda non appena lo si mette in ombra.

Il mese di novembre 2025 ha registrato le temperature globali erano di 1,54 °C superiori ai livelli preindustriali, e la media triennale 2023-2025 sta decisamente puntando al superamento, per la prima volta per un periodo così lungo, del limite di 1,5 °C. La temperatura media globale è stata di 14,02 °C, pari a +0,65 °C rispetto alla media climatologica dell'ultimo trentennio 1991–2020. Rispetto al periodo preindustriale (1850–1900), l'anomalia globale sale a +1,54 °C.

I dieci anni più caldi sono stati gli ultimi dieci e la media dell'ultimo triennio sopra 1,5 °C è la soglia oltre la quale cominciano, scusate l’eufemismo, i casini grandi, (cit.) perché finora abbiamo visto solo casini medi.

Il bollettino mensile dell'agenzia ha rilevato che il mese scorso è stato il terzo novembre più caldo a livello globale, con temperature notevolmente più elevate registrate nel Canada settentrionale e nell'Oceano Artico. Il mese è stato caratterizzato da una serie di eventi meteorologici pericolosi, tra cui cicloni e inondazioni catastrofiche che hanno spazzato via vite e case in tutto il sud e il sud-est asiatico.

Eventi che da noi, presi dalla famiglia del bosco e da altre forme di distrAzione di massa, sono passati inosservati. Ma, ribadisco, in termini climatici (e non) anche quel che non vediamo ci riguarda. Ripassino.

Le temperature medie sono aumentate drasticamente a causa della coltre di inquinamento da carbonio che ha ricoperto la Terra, intensificando gli eventi meteorologici estremi, dalle ondate di calore alle forti piogge; e queste continuano a variare di anno in anno in base a fattori naturali. Il riscaldamento dovuto a El Niño ha fatto aumentare le temperature globali nel 2023 e nel 2024, ma ha lasciato il posto a un leggero raffreddamento dovuto a La Niña nel 2025.

Copernicus ha rilevato che il 2025 è stato, a pari merito con il 2023, il secondo anno più caldo mai registrato. Non sono traguardi astratti: riflettono il ritmo accelerato del cambiamento climatico e l'unico modo per mitigare il futuro aumento delle temperature è ridurre rapidamente le emissioni di gas serra. Punti di non ritorno, si dice.

Dall'accordo di Parigi sul clima del 2015, le emissioni che riscaldano il pianeta hanno continuato ad aumentare insieme alle temperature medie e all'intensità degli eventi meteorologici estremi. La crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili ha contribuito a frenarne parzialmente l'aumento, tenendo purtroppo conto che i nuovi impianti alimentati da rinnovabili spesso servono a rispondere a nuove richieste piuttosto che a sostituire il fossile.

In definitiva risultati di Copernicus hanno fatto da eco all'analisi condotta dal WMO (Organizzazione Meteorologica Mondiale) prima della COP30 del mese scorso. Il WMO mise infatti in evidenza che il periodo 2015-2025 ha racchiuso gli 11 anni più caldi mai registrati a partire dal 1850. Ribadisco: i più caldi sono gli ultimi, a confermare che la tendenza è comunque quella di un inquietante rialzo.

Non siamo affatto sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi e diversi altri indicatori climatici continuano a far suonare campanelli d'allarme, e i fenomeni meteorologici più estremi, non solo del 2025, hanno avuto e avranno ripercussioni globali gravi sulle economie e su tutti gli aspetti dello sviluppo sostenibile.

[sarcasmo /on]
E dopo la quaterna, pressoché certa, cosa ci riserverà la tombola?
Altro che giochi da festività natalizie...

[sarcasmo /off]

15 novembre 2025

Il mito dell'oggettività. Il debunking è una battaglia persa

«se provi a far cambiare idea a qualcuno che ha già deciso cosa pensare, non solo non ci riesci, spesso lo irriti pure» (Walter Quattrociocchi)

Potete saltare a piè pari le citazioni seguenti, magari rilette alla fine risuoneranno ancora più intensamente.

Per quasi 400 milioni di anni moltissime specie animali di grandi dimensioni (indicativamente dai 10 chilogrammi in su) si sono evolute sulla terraferma e hanno finito per estinguersi venendo rimpiazzati dai loro discendenti. Quante di queste specie sono comparse e quante si sono estinte? Proviamo a fare una stima plausibile. Se, come si deduce dalla documentazione fossile, la durata media della vita di una specie sommata a quella delle sue specie sorelle è nell'ordine di un milione di anni e se, con un calcolo prudenziale, supponiamo che nello stesso periodo sia esistito un migliaio di specie di tali dimensioni, allora (forse!) possiamo dire che nel corso dell'intera storia della Terra è vissuto nel complesso circa mezzo miliardo di specie con queste caratteristiche. Ma soltanto la nostra specie, tra tutte, ha raggiunto il livello di intelligenza e organizzazione sociale che oggi ci contraddistingue. Questo evento singolare cambiò ogni cosa sul pianeta. Da quel momento non ci fu nessun altro candidato e nessun'altra ulteriore contesa. La specie vincitrice straordinariamente fortunata fu quella di un primate del Vecchio Mondo; il luogo d'origine l'Africa, orientale e meridionale; l'habitat una vasta fascia di savana tropicale, prateria e semideserto; il tempo da 300.000 a 200.000 anni fa.

Eccoci dunque qui a camminare e, qualche volta, a correre disordinatamente lungo una linea di discendenza lunga 3,8 miliardi di anni e priva di uno scopo certo al di là del continuare a portare avanti i capricci delle mutazioni e della selezione naturale, come fossimo grandi borse piene di acqua di mare, erette, bipedi, sostenute da ossa, guidate da sistemi la cui base ingegneristica risale all'età dei rettili. Molte delle sostanze chimiche e delle molecole che circolano nella nostra porzione liquida (che corrisponde all'80 percento in peso del corpo) sono indicativamente le stesse che esistevano nel mare primordiale. La nostra capacità di ragionare e di scrivere ciò che pensiamo però continua a trarre energia dalla convinzione diffusa per cui ogni tappa della Preistoria e della storia, inclusa ogni grande transizione, in qualche modo sia servita a metterci sulla Terra. Tutto, è stato affermato, fin dall'origine della vita 3,8 miliardi di anni fa, venne pensato per noi. La diffusione di Homo sapiens fuori dall'Africa e in tutto il mondo abitabile fu in qualche modo preordinata. Ogni cosa venne intesa per stabilire il nostro dominio sul pianeta con l'inalienabile diritto di trattarlo come più ci piace.


Questo è l'errore, sintesi perfetta della condizione umana. 
(Edward O. Wilson, 2019)



Ma il debunking serve davvero a fermare la diffusione delle fake news?

Forse un po’ col senno di poi, ma i risultati delle ricerche che Walter Quattrociocchi racconta in un suo post recente, non mi sorprendono più di tanto. Per esperienza diretta sostengo spesso che ci si ritrova a predicare ai convertiti, e che in una sorta di cherry picking al contrario, le persone che frequentiamo e che ci seguono sono quelle disposte non solo ad ascoltarci quanto a cambiare idea. Tutto sommato, anche la nostra, una tribù.

In un commento a quel post ho citato Edward O. Wilson, un gigante della biologia e dell'evoluzionismo, i cui lavori hanno contribuito a ridurre questa sorpresa. Ed ecco perché.

Uno dei suoi contributi maggiori è stato fornire una spiegazione biologica, condivisa dagli scienziati e di larghissimo consenso, dell'evoluzione della socialità, a partire dal concetto di specie eusociale (letteralmente che hanno una buona condizione sociale), a comprendere innanzi tutto chi lo è da decine se non centinaia di milioni di anni, come termiti, formiche, api e vespe (ma non solo!), fino ovviamente a noi, Homo sapiens, da appena qualche milione di anni se proprio vogliamo arrivare alla linea evolutiva che divise "homo" da gorilla, scimpanzé, oranghi e bonobo.

I membri di un gruppo eusociale appartengono a generazioni multiple e si dividono il lavoro in un modo che, almeno esteriormente, sembra altruistico. Occorre che una serie di eventi dominati da percorsi contingenti si verifichi affinché ciò possa verificarsi, ecco perché i processi che hanno portato alla comparsa di specie eusociali sono avvenuti dopo moltissimo tempo e sono estremamente rari. Uno di questi è dato dalla comparsa di caratteristiche tali da favorire la condivisione di luoghi e/o risorse. Un nido, ad esempio, quale potrebbe essere un alveare o un formicaio per api, vespe e formiche o un accampamento, una grotta, magari intorno ad un fuoco, per i primati ominini già a partire da almeno un milione di anni.

Il tribalismo è un tratto umano fondamentale. Formare gruppi, ricavandone conforto viscerale e orgoglio dallo spirito cameratesco che s’instaura, e difendere a spada tratta il proprio gruppo dal gruppo di rivali. Sono tratti universali della natura umana, e quindi della cultura.
Psicologicamente i gruppi moderni equivalgono alle tribù della storia antica e della preistoria e in questo senso discendono in linea diretta dalle bande dei pre-umani primitivi. L’istinto che li unisce è il prodotto della selezione di gruppo.

La gente deve avere una tribù. In un mondo caotico la tribù le assegna un nome in aggiunta al proprio e le assegna un ruolo sociale. L’umano moderno vive in un sistema di tribù interdipendenti. Moderni esperimenti sociali hanno dimostrato che le persone si dividono rapidamente e decisamente in gruppi, e poi parteggiano per quello che scelgono. Persino quando i ricercatori creavano gruppi arbitrari e con interazioni prescritte banali il pregiudizio prende piede in fretta. Addirittura quando i soggetti venivano informati che il gruppo “esterno” e quello “interno” erano stati scelti arbitrariamente, che si giocasse a tombola o si parteggiasse per un pittore piuttosto che un altro!

La tendenza potente e universale a formare gruppi ha il marchio dell’istinto. E “istinto” è biologia, frutto di evoluzione per selezione naturale. Apprendimento predisposto, come il linguaggio, l’acquisizione di talune fobie e il tabù dell’incesto.

La pulsione elementare a modellare un’appartenenza di gruppo e a ricavarne piacere si trasforma facilmente a livello superiore in tribalismo. La gente è naturalmente portata al cosiddetto “etnocentrismo”. È sconsolante, ma anche quando possono scegliere senza sentirsi in colpa gli individui preferiscono la compagnia di altri individui della stessa razza, nazione, tribù, religione. Si fidano di più, si accompagnano più volentieri a loro sul lavoro e nel tempo libero e li preferiscono quasi sempre come sposi. Si arrabbiano più facilmente quando è evidente che un gruppo esterno si comporta slealmente o riceve vantaggi immeritati, e osteggiano ogni gruppo esterno che sconfini nel territorio del proprio gruppo d'appartenenza o ne insidi le risorse. Letteratura e storia sono piene di esempi.

Sintetizzando parecchio, ciò è avvenuto grazie all’opera della selezione naturale a più livelli, selezione multilivello, e già lo stesso Darwin lo aveva genialmente intuito. La selezione multilivello è fatta dall’interazione fra le forze selettive che prendono di mira i tratti dei singoli membri di una popolazione e quelle che riguardano i tratti di tutto il gruppo. Una teoria che ha rimpiazzato quella basata sulla parentela o su una sorta di “egoismo” del gene e che ha dimostrato, anche con modelli matematici oltre che osservazioni sul campo, che nei gruppi la parentela stretta non precede, ma segue, la formazione del gruppo, ne è conseguenza.

Già i nostri precursori formavano gruppi ben organizzati che si disputavano a vicenda territori e risorse. La competizione tra gruppi diversi ma formati da elementi della propria stessa specie, influenza l’adattamento genetico di ogni membro del gruppo, interagendo con la competizione che questi ha con coloro i quali formano il suo stesso gruppo.
Il risultato della competizione tra gruppi sarà in gran parte determinato di volta in volta dai dettagli del comportamento sociale in ogni gruppo. A cominciare dalla grandezza e dalla coesione del gruppo, dalla qualità della comunicazione e dalla divisione del lavoro fra i suoi membri.
Se per assurdo un gruppo fosse formato da soli egoisti e furbacchioni la competizione tra loro potrebbe paradossalmente permetterne la sopravvivenza a ranghi ridotti ma sarebbe certamente perdente nei confronti di altri gruppi socialmente cooperativi. La bontà della prestazione di un gruppo dipende dalla coesione dei suoi membri, indipendentemente dal grado in cui ogni membro del gruppo è individualmente sfavorito o favorito.

Anche se è la selezione naturale a livello individuale che ha prevalso e prevale in tutta la storia della vita, occorre tenere presente che l’adattamento genetico di un essere umano (o di qualsiasi altro appartenente a specie eusociali) dev’essere una conseguenza sia della selezione individuale sia di quella di gruppo. Ma l’unità ultima interessata è l’intero codice genetico dell’individuo. Se il vantaggio adattativo di appartenere a un gruppo è inferiore a quello di una vita solitaria, l’evoluzione favorirà l’allontanamento o il tradimento da parte di un individuo. Estremizzando, la società si disgregherà. Negli esseri umani, tutti potenzialmente in grado di riprodursi, c’è un eterno conflitto tra selezione naturale a livello di gruppo e selezione naturale a livello individuale.

Ma la competizione fra gruppi favorisce la permanenza nel proprio. L’uomo è così diventato un animale sociale, tribale, con un senso di appartenenza forte, sempre teso a distinguere il “noi” da “altro da noi”, rafforzato dalla diffusione di miti, soprattutto della creazione, credenze, imposizioni e adesioni di tipo religioso, di leggende o tabù di inviolabilità. In un continuo tumulto endemico radicato nei processi evolutivi che ci hanno portato ad essere ciò che siamo. Il peggio della nostra natura convive con il meglio, e sarà sempre così. Cancellare il lato peggiore, ammesso che sia possibile, ci renderebbe meno umani.

Le ricerche del team di Walter Quattrociocchi hanno dimostrato, forti della generalizzazione dei risultati, basata su modelli matematici alimentati da miliardi di dati (due spunti di lettura in tema potete trovarli qui e qui), che le informazioni non si diffondono in base a criteri di verità o di plausibilità, perché sono vere o false, ma solo perché sono in linea col credo delle tribù e delle loro degenerazioni, le cosiddette echo chambers. Il tribalismo, ancora una volta agisce come fa da centinaia di migliaia di anni, e determina la traiettoria di un contenuto, non il suo valore. Generando pregiudizi pronti a collidere, anche ferocemente, con quelli altrui.

Ricerche che hanno inoltre dimostrato che anche i modelli matematici di Wilson e di chi ha voluto verificarli adottandoli, corroborati da ricerche sul campo, avessero ragione.  Quanto oggi la recentissima data science mette a disposizione scientificamente, indica che i motivi per cui fare debunking, tutto sommato, sono una colossale perdita di tempo quando diretti a chi sostiene la menzogna, e si unisce a quanto la moderna biologia dimostra e indica da anni.

Ancora una volta, è la prova che le strade della ricerca scientifica, qualunque sia il settore da cui si parte, si ritroveranno sempre a incrociarsi da qualche parte.
___________________________________
Il paragrafo a seguire, in chiusura, è solo un commento personale; forse stato meglio metterlo all’inizio. Se non l’ho fatto è per non distrarre dall’obiettivo che spero di aver centrato.

Come ho avuto modo di scrivere tempo fa, non mi rassegno comunque, a non confrontarmi nel solito stancante dibattito con taluni laddove dibattito non c’è. Citando me stessofluctuat nec mergitur, non mollo, e continuerò incaponito, a cercare di contrastare le voci del dissenso ignorante, anche se il risultato fosse ricondurre sulla via della ragione, uno solo delle dozzine di inutili idioti che si incontrano quotidianamente.

14 novembre 2025

Il gioco d'azzardo. Povertà ed esclusione veicolati dallo stato


La Caritas ha recentemente presentato la ventinovesima edizione del Rapporto sulla povertà in Italia, che ancora una volta fa luce sulle fragilità che restano ai margini: disuguaglianze, povertà multidimensionale, azzardo, violenza sulle donne, povertà energetica. Uno sguardo che nasce dall’ascolto e rimette al centro la dignità di ogni persona. Qui la sintesi.

Attenzione particolare è stata dedicata al tema del gioco d'azzardo nel nostro paese, che ha raggiunto dimensioni e volume monetario che definirei mostruosi, colpendo proprio le fasce più povere illuse da possibilità di riscatto grazie a facili vincite.

A partire dalla fine degli anni 90, l’offerta dell’azzardo si è arricchita di oltre una cinquantina di modalità di gioco, sia online che in presenza, con oltre 150.000 locali, disseminati in tutte le province italiane. Il volume monetario del gioco d’azzardo mostra una crescita inarrestabile: dai 35 miliardi di euro giocati nel 2006 siamo giunti ai 157 miliardi giocati nel 2024 (+349%). A fronte di tale incremento, l’incasso dell’erario è aumentato solamente dell'83% (da 6 a 11 miliardi), a tutto favore delle grandi società produttrici. La densità dell'offerta, la velocità di gioco e soprattutto l’accesso digitale hanno determinato effetti sociali che non compaiono nei totali monetari. La curva economica delle giocate andrebbe integrata con la contabilità del tempo di vita delle persone consumata nelle pratiche dell’azzardo: ore sottratte a relazioni, studio, lavoro. Solo per le slot, si stimano 38 milioni di ore impegnate nel gioco. Oltre 22 milioni di ore impegnate per 1 miliardo e 358 mila giocate. Ma sono soprattutto le modalità tradizionali ad impegnare tempo di vita: oltre 388 milioni di ore impegnate dalla popolazione per lotto, scommesse, superenalotto. In totale, le giornate lavorative assorbite dal gioco sono oltre 104 milioni. L’altra faccia della medaglia è costituita dalle perdite: nel 2024, il totale delle perdite è stato pari a 20 miliardi di euro. I dati mostrano una correlazione inversa tra reddito medio per contribuente e perdita media al gioco, con un peso percentuale più alto nelle regioni più povere. Dieci regioni sono sopra la soglia della media nazionale (493 euro) e di esse, cinque sono meridionali e isole, due del centro-sud (Abruzzo e Molise) seguite da Lazio e Lombardia. L’azzardo costa di più a chi ha meno: non solo perché perde più euro, ma perché quegli euro valgono di più nel bilancio familiare. È il punto da cui far partire qualunque discussione seria su prevenzione, regolazione e responsabilità pubblica.

Dieci anni fa avevo dedicato al tema del gioco d'azzardo un post dal sarcastico titolo "Giocate! Giocate!" che, in quest'occasione, vista la drammaticità sociale e culturale che comporta, ho preferito non mantenere. 

Il ruolo dello stato e delle sue normative, che sostiene e approva la diffusione spesso incontrollata, è paradossale e micidiale allo stesso tempo. Con implicazioni etiche non dissimili dalle tasse che un tempo lo stato incassava da bordelli e casinitasse sulla prostituzione. 

A seguire, rielaborato, il contenuto del mio vecchio post del giugno 2015. Sono passati dieci anni e la situazione è peggiorata.

Tempo fa, pur a conoscenza dell’argomento, feci mio un passaggio del bel libro di divulgazione matematica “
Chiamalo X! Ovvero cosa fanno i matematici?” di Emiliano Cristiani che, nel capitolo dedicato a probabilità e statistica, esordiva più o meno così: “La statistica andrebbe insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado…perché la statistica non conosciuta può anche uccidere”. Si riferiva ovviamente al gioco d’azzardo ed all’accanimento che diventa anche patologico in moltissimi casi.

Per quanto trasmissone di infotainment più che d'informazione, e quindi non del tutto priva di parzialità, ci fu comunque anche un bel servizio de “Le jene”, che si è occupata del tema in diverse occasioni: un servizio da vedere e rivedere è certamente questo, dedicato proprio alla statistica, in cui con l'aiuto di un matematico e di un fisico, si spiega come la statistica può dimostrare che tutti i giochi d’azzardo sono cosiddetti giochi iniquiovvero con regole ben scritte sì, ma scritte per far vincere (quasi) esclusivamente il banco. Compresi ovviamente i giochi avallati con bollino di stato ufficiale quali quello del Lotto e tutti i suoi derivati similari, i gratta & vinci di ogni tipo e così via.

Per motivi che non sto qui a raccontare conosco quelli che sono gli utili degli enti autorizzati a far giocare i nostri concittadini in maniera ufficiale (non tutto...emerge), e sorrido amaramente pensando che una volta un funzionario di uno di questi enti mi disse che senza di noi prolifererebbe il gioco clandestino in mano alla criminalità…”. Sappiamo bene invece che questo prolifera comunque, con o senza di loro; si veda ad esempio come epidodi tipo le cosiddette calciopoli ricorrano periodicamente, nelle serie minori o a livello della FIFA!

Un nostro ministro dell’economia una volta inoltre disse: “Le entrate da gioco sono entrate come tutte le altre”. Se allora, sarcasticamente, concordavo col ministro e auspicavo un incremento del gioco d'azzardo a rimpiguare l'erario, oggi, considerando i magri utili (in proporzione alla spesa) e la drammatica situazione sociale, oggi sarei decisamente propenso ad eliminarlo completamente!

Ad ogni modo, volendo restare opportunisticamente a favore (della tassazione) abbiamo che, al contrario dei fumatori, che da contribuenti extra anch’essi, sarebbe meglio che smettano di fumare, viste le spese che ogni stato sostiene ogni anno per le malattie da tabagismo, che aumentino invece i giocatori ossessivo-compulsivi! Mi sovviene ora che il giocatore fumatore, accoppiata frequente visto il nervosismo indotto da perdite frequenti, direi continue, è quindi doppiamente ignaro del prelievo fiscale a suo danno!

Le entrate da gioco sono quindi ben altro che entrate qualsiasi! Sono le entrate più nobili perché “possiamo plaudire alla lotteria pubblica come un sussidio pubblico per l’intelligenza” (lo diceva nientepopodimeno che W. Quine, filosofo americano del ‘900): altro che cercare di spiegare al popolo, tenuto molto saggiamente nell’ignoranza che giocare al Lotto[1] è estremamente irrazionale, che si continui così e lo si lasci al suo destino!


Dedicata al gioco del Lotto, gestito dallo Stato, c'è una pagina specifica. E c'era, con altro nome, anche 10 anni fa.

Collegandosi si trova, e si trovava, tanto per cominciare, in bella vista la sezione dedicata ai numeri ritardatari. La cosa tragicamente illustrante l’ignoranza statistica - ma che secondo me è malafede - è che alcuni numeri sono talmente in ritardo che lo Stato si preoccupa affinché non vengano giocati con troppa ostinazione! È noto (a chi la statistica la conosce!) che giocare un qualsiasi numero o un numero ritardatario hanno la stessa probabilità di sorteggio. Un po’ più sotto poi si scadeva nel patetico: istruzioni su come giocare ispirandosi alla Smorfia, ai sogni, al contenuto del frigorifero! Non ho appurato se esista tuttora una sezione simile.

Anche la moderna versione del sito di Lottomatica la dice lunga.

Utilissimo! Tutte cose che distolgono l’attenzione dalla verità, dal paradosso della lotteria:

- benché ci siano dei vincitori, la probabilità di essere tra questi è talmente bassa da essere praticamente nulla

E che distraggono anche da una fondamentale, ed elementare, legge della statistica:

- le probabilità di estrazione di un numero sono sempre identiche ad ogni giocata, indipendentemente dal fatto che esso sia già uscito o meno

Insomma che ci crediate o no anche se il 31 non esce a Bari da 127 settimane (sto inventando) la probabilità che esca è sempre la stessa ed è identica a qualsiasi altro numero e persino a qualsiasi numero fosse anche uscito 127 volte di seguito in altrettante estrazioni!

Se non fosse, ripeto, per le drammatiche implicazioni sociali che colpiscono le fasce già provate da problemi di sussistenza e sopravvivenza, dovrei dire di lasciar perdere istruzioni e ritardi e correte a giocare! Giocate, giocate, giocate!!! 

Il Lotto, per dirla sempre con Quine, “produce entrate pubbliche calcolate che contribuiscono ad alleggerire il fardello di esazioni, tasse e balzelli che grava su ognuno di noi, noi avveduti ed attenti cittadini che ci guardiamo bene dal giocare, ci asteniamo dal farlo a spese della massa incauta ed ottenebrata…”, di chi spera nella botta di culo.

Sia lodata questa deliziosa “tassa sull’imbecillità” (lo disse un famoso matematico). A patto che noi, minoranza esigua di razionali intelligenti, ne traiamo davvero qualche vantaggio. Statisticamente parlando, i vantaggi sono garantiti anche dal fatto che chi non gioca trae beneficio dalla riduzione indiretta del carico fiscale dovuto alle entrate delle lotterie, mentre chi gioca no…quel minimo vantaggio…se lo gioca!

Sarcasmo a parte, regolamentare il gioco d'azzardo è inutile, una cosa è una lotteria nazionale un paio di volte l'anno, ben altra è mettere a disposizione di chiunque mezzi che possono distruggere completamente il controllo e la volontà, che evolvono spesso in vere e proprie malattie (hanno loro dato un nome: ludopatie) con ulteriore aggravio di spese sociali di sostegno.

Un paese moderno dovrebbe abolire il gioco d'azzardo targato "stato". Completamente.



[1] Oltre al Lotto, ci mettiamo tutti i vari giochi sponsorizzati e sostenuti dai nostri Monopoli di Stato e facenti capo al gruppo Lottomatica (oggi gruppo internazionale) e vari altri concessionari di gaming, anch’essi rispondenti ai Monopoli, quali Codere, B!Win, William Hill e tanti altri.