Rapporto globale sul clima del 2024. Anticipazioni

Premessa
È dei giorni scorsi la notizia che l'agenzia incaricata da Trump di tagliare, soprattutto in termini di personale, ha deciso il licenziamento di centinaia di impiegati del NOOA, un'agenzia federale che da decenni ha come missione (cito dal loro sito) «comprendere meglio il nostro mondo naturale e  contribuire a proteggere le sue preziose risorse, esteso oltre i confini nazionali, monitorando il meteo e il clima a livello globale e collaborando con partner in tutto il mondo». 

Decisioni queste che ricordano ciò che chiamo scienza sovietica. Quanto accadeva nell'URSS decenni fa o dando ascolto a scienziati di comprovata fede politica, tipo Lysenko che prese una cantonata genetica clamorosa, o al contrario, non ascoltando scienziati e teorie valide perché non in linea con la filosofia del partito. La NOAA è stata uno dei bersagli principali degli ideologi conservatori che sostengono il Progetto 2025, un modello di governo che la nuova amministrazione del presidente Donald Trump sembra voler seguire. Il piano, elaborato dalla Heritage Foundation, descrive la NOAA come uno dei "principali motori dell'industria dell'allarme sui cambiamenti climatici" (sic) e chiede lo smantellamento dell'agenzia.

E mentre la nuova-vecchia amministrazione USA continua il lavoro iniziato nella precedente presidenza Trump è in arrivo il rapporto che ancora una volta metterà in evidenza quanto ormai noto e accettato dalla comunità scientifica internazionale. Sarà ancora una volta predicare ai convertiti?

Anticipazioni dal rapporto
Entro marzo 2025 dovrebbe uscire, come ogni anno, la versione definitiva del rapporto annuale sullo stato del clima globale per l’anno appena trascorso, realizzata dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM, WMO in inglese). Nel frattempo è possibile accedere alla sintesi di quanto verrà dettagliatamente riportato.

L’OMM fin dal 1993 produce annualmente un documento sullo stato del clima globale, esteso all’intero pianeta, per fornire sia una sintesi annuale che un aggiornamento dei principali indicatori climatici. Questi rapporti integrano la sintesi più dettagliata e che, con minore frequenza, viene rilasciata con i documenti di valutazione dell'IPCC. Dal 2016 l'OMM inoltre riporta anche i risultati preliminari sui principali indicatori climatici allo scopo di informare la Conferenza delle Parti dell'UNFCCC, prima della fine di ogni anno (COP, qui e qui le mie considerazioni su due recenti conferenze).

Nel luglio 2024, un workshop internazionale organizzato dall'OMM e ospitato dal Deutscher Wetterdienst (il servizio meteorologico tedesco), ha concordato un formato più condensato, incentrato soprattutto sui messaggi chiave per le esigenze dei responsabili politici alla COP. L'aggiornamento sullo stato del clima 2024 per la COP29 ha per esempio evidenziato gli indicatori climatici principali preliminari consolidando i set di dati più aggiornati disponibili al momento della stesura del documento, insieme a esempi di eventi estremi e progressi, nonché un sommario delle azioni atte a contrastare il cambiamento climatico così come definito appunto da UNFCCC: "attributed directly or indirectly to human activity that alters the composition of the global atmosphere and which is in addition to natural climate variability observed over comparable time periods".

I dati che emergono dallo stato dell'aggiornamento sul clima 2024 destano grande preoccupazione. Le concentrazioni di gas serra continuano ad aumentare costantemente, determinando ulteriori aumenti di temperatura a lungo termine, evidenziando i rapidi cambiamenti nel nostro sistema climatico nell'arco di una singola generazione. Il 2024 è stato l'anno più caldo mai registrato, e insieme al 2023 i due anni più caldi mai registrati, la tendenza 2025 ancorché basata su appena due mesi di misurazioni, promette un andamento al rialzo. I valori del contenuto di calore degli oceani hanno continuato a crescere nel 2023 e nel 2024, alimentandone gli effetti collaterali quali l'innalzamento del livello del mare per espansione termica e alimentando intense tempeste. L'estensione del ghiaccio marino antartico e artico nel 2024 è stata ben al di sotto della media.

Le piogge e le inondazioni record, i cicloni tropicali in rapida intensificazione, il caldo mortale, la siccità implacabile e gli incendi furiosi che abbiamo visto in diverse parti del mondo sono purtroppo la nostra nuova realtà e un assaggio del nostro futuro. Dobbiamo continuare a impegnarci per limitare il più possibile il riscaldamento, riconoscendo che rimanere ben al di sotto dei 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, e proseguire gli sforzi per limitare il riscaldamento a 1,5 °C rimane fondamentale per ridurre significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento climatico. Allo stesso tempo, dobbiamo intensificare il sostegno all'adattamento ai cambiamenti climatici attraverso enti dedicati ad erogare servizi correlati e guidati dalla climatologia ed in grado di generare allarmi rapidi a scopo preventivo.

Messaggi chiave

Nel 2023 i gas serra hanno raggiunto livelli record. I dati in tempo reale indicano che hanno continuato a crescere nel 2024. Il grafico sottostante è interattivo.

Nel 2023 le temperature hanno raggiunto livelli record. I dati in tempo reale indicano che hanno continuato a crescere nel 2024. Il grafico sottostante è interattivo.

L'estensione del ghiaccio marino antartico e artico nel 2024 è stata ben al di sotto della media. Nel 2023, a livello globale, i ghiacciai hanno perso una quantità di acqua equivalente a circa 5 volte la quantità di acqua del Mar Morto. L'animazione sottostante, relativa all'Artico e ricavata grazie a foto satellitari, indica chiaramente come la quantità di ghiaccio più vecchio vada diminuendo anno dopo anno, provocando quindi una perdita netta della copertura.

Il contenuto di calore dell'oceano e il livello del mare continuano a salire. Nel 2023, l'oceano ha assorbito circa 3,1 milioni di TWh di calore, pari a circa 18 volte il consumo totale di energia mondiale.
Variazioni del livello medio del mare. Stime, misure, proiezioni.

Negli ultimi cinque anni, ci sono stati progressi sostanziali nella capacità di analisi dei servizi climatici a livello globale. 108 paesi hanno riferito di disporre di un sistema di allerta precoce multirischio (Early Warning System).

Comprendere la variabilità e il cambiamento climatico è fondamentale per ottimizzare la produzione di energia rinnovabile.



Nel 2023 i gas serra hanno raggiunto livelli record. I dati in tempo reale indicano che hanno continuato a crescere nel 2024.

Le concentrazioni dei tre principali gas serra nell'atmosfera – biossido di carbonio, metano e protossido di azoto – hanno raggiunto i livelli record osservati nel 2023, l'ultimo anno per il quale esistono dati consolidati a livello globale. Le misurazioni effettuate in singole località, come Mauna Loa, nelle Hawaii (dove da oltre 60 anni si raccolgono i dati che contribuiscono a realizzare la famosa “Curva di Keeling”) e Kennaook/Cape Grim in Tasmania, suggerivano già nel settembre 2024 che le concentrazioni dei tre gas serra sarebbero di nuovo state più elevate nel 2024, e così è accaduto. La concentrazione atmosferica di CO2 è aumentata da circa 278 ppm nel 1750 al livello attuale di 420 ppm, con un aumento del 51% (in questo post c’è il paragrafo che spiega come si ottengono i dati dal passato). Il tasso medio di crescita del CO2 nell'ultimo decennio è stato di 2,4 ppm l'anno. Le emissioni da combustibili fossili sono state la principale fonte di emissioni umane dagli anni '50 del XX secolo. Le concentrazioni medie globali di metano (CH4) sono aumentate da 729 ppb durante il periodo preindustriale a 1934 ppb nel 2023, con un aumento del 165%. La concentrazione di protossido di azoto (N2O) è aumentata da 270 ppb nel 1750 a 336,9 ppb nel 2023, il che rappresenta un aumento del 24%.

Le anomalie annuali riferite alla Terra ricavate usando sei dataset diversi.
Il periodo gennaio-settembre 2024 ha registrato un’anomalia di 1,54±0,13 °C


Nel 2023 le temperature hanno raggiunto livelli record. I dati in tempo reale indicano che hanno continuato a crescere nel 2024.

Dopo una prolungata attività del fenomeno climatico noto come La Niña, che è tipicamente associata a una riduzione temporanea delle temperature globali, dalla fine del 2020 ai primi mesi del 2023, una attività legata al fenomeno noto come El Niño è stata particolarmente intensa, facendo salire la temperatura globale ai livelli record osservati nel corso del 2023 e fino a tutto il 2024. Per 16 mesi consecutivi (da giugno 2023 a settembre 2024), la media globale ha superato qualsiasi valore registrato prima del 2023 negli stessi periodi, e spesso con incrementi relativi notevoli. Il 2023 e il 2024 è ormai accertato che siano stati gli anni più caldi mai registrati, rendendo gli ultimi 10 anni, dal 2015 al 2024, i dieci anni più caldi nei 175 anni di osservazione.

Non c’è ancora consenso completo ma a quanto pare il 2024 ha visto superare il famoso limite di 1,5 °C, ovvero temperature mediamente più alte di 1,5 °C: ma come sapremo quando il riscaldamento avrà superato questo limite inferiore stabilito dall’Accordo di Parigi? Uno o più anni individuali che mostrino incrementi medi superiori a 1,5 °C non significano necessariamente che proseguire gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali sia ormai inutile o fuori portata. Il cambiamento climatico è tale che lo stato del clima deve persistere per un periodo prolungato, in genere decenni, o più, sebbene l'accordo stesso non fornisca una definizione specifica. Inoltre, la temperatura media globale non aumenta gradualmente di anno in anno a causa della notevole variabilità interannuale, dovuta alla mutevolezza climatica naturale (ad esempio causata da eventi come El Niño e La Niña, all’attività vulcanica ed ai cambiamenti nella circolazione oceanica), sovrapposta al riscaldamento a lungo termine causato principalmente dalle emissioni di gas serra in corso. Ciò sottolinea la necessità di concentrarsi su tendenze sostenute nel tempo. Tuttavia, poiché il mondo continua a riscaldarsi, c'è una crescente necessità di definire, misurare e monitorare chiaramente un indicatore per riferire a che punto sia il riscaldamento rispetto all'obiettivo specificato nell'Accordo di Parigi. L'ultimo rapporto di valutazione dell'IPCC ha definito i livelli di riscaldamento globale in termini di medie ventennali rispetto alla media del periodo 1850-1900. L'anno di superamento di un particolare livello, quale può essere quello di 1,5 o 2,0 °C, è tipicamente considerato il punto medio del periodo di 20 anni a quel livello. In base a questa definizione, 1,5 °C di riscaldamento sarebbero confermati una volta che l'aumento della temperatura osservato avesse raggiunto in media quel livello per un periodo di 20 anni, che sarebbe quindi possibile segnalare soltanto nel decennio successivo. E ciò significa un ritardo di 10 anni nel riconoscere il superamento a lungo termine e reagire. Anche considerando medie su almeno un quinquennio si ottiene comunque un ritardo di 5 anni. Diversi approcci alternativi sono allo studio dell'OMM e della comunità scientifica internazionale per consentire una segnalazione più tempestiva sull'anno di superamento dei livelli di temperatura globale. 

Questi approcci si dividono in tre categorie. La prima categoria combina il riscaldamento storico osservato con le proiezioni dei modelli climatici. La seconda categoria mira ad adattare una tendenza o una funzione, come il livellamento statistico stimato a livello locale, ai dati storici per stimare meglio dove si trova oggi il riscaldamento a lungo termine. La terza categoria mira a stimare il fattore umano nel cambiamento storico stimando il riscaldamento sottostante derivante dai cambiamenti storici nei principali fattori umani del sistema climatico, come i gas serra.

Tutti e tre questi approcci indicano che il riscaldamento globale fino al 2023 è di circa 1,3 °C rispetto al periodo 1850-1900. In confronto, prendendo la media degli ultimi 10 anni (2014-2023) seguendo l'approccio quinquennale, si ottiene un riscaldamento di circa 1,2 °C.  Prendendo infine la media per il periodo 2011-2020, come è stata utilizzata nel primo bilancio globale, si ottiene un riscaldamento di circa 1,1°C.  Per migliorare l'uso di questi approcci, e potenzialmente di altri, l'OMM ha istituito un gruppo internazionale di esperti definire la metrica migliore, oltre a proporre una metodologia per il monitoraggio allineata con quelle in uso all'IPCC: il tutto con lo scopo di garantire coerenza ed affidabilità delle proiezioni e delle interpolazioni degli aumenti della temperatura globale. In definitiva, è essenziale riconoscere che, indipendentemente dalla metodologia utilizzata per il monitoraggio, ogni frazione di grado di riscaldamento è importante. Che si trovi a un livello inferiore o superiore a 1,5 °C di riscaldamento, ogni ulteriore aumento del riscaldamento globale porta a cambiamenti negli estremi e rischia di diventare rapidamente più grande.

Non va infine dimenticato che gli scienziati per diversi motivi tendono a sottostimare l’entità del riscaldamento globale, come ricordato in questo articolo non molto tempo fa. Tra questi quello di evitare, visto il tema scottante e il diffuso negazionismo, di coprirsi di ridicolo, e per una innata prudenza altrettanto giustificabile.

I valori dell'anomalia in base ai diversi modelli o periodi adottati


Eestensione del ghiaccio.
L'estensione del ghiaccio marino antartico ha raggiunto il suo minimo annuale di 2,0 milioni di kmq il 20 febbraio 2024, la seconda estensione più bassa da quando si effettuano registrazioni satellitari (1979-2024); prima ancora, nel 2023, la copertura era persino minore, e nel 2020 era di circa 3,7 milioni di kmq. L'estensione massima annuale del ghiaccio marino antartico è stata raggiunta intorno al 19 settembre, con un'estensione di 17,2 milioni di kmq. Il massimo del 2024 è la seconda misura più bassa nella registrazione satellitare, il più basso è stato nel 2023. Non è vera la notizia che l’estensione attuale sia del 17% maggiore che nel 1979, come apparso di recente su un social.

L'estensione del ghiaccio marino artico ha raggiunto il suo massimo annuale di 15,01 milioni di kmq il 14 marzo, leggermente al di sotto della media a lungo termine (1991-2020) pari a 15,2 milioni di kmq. L'11 settembre, il ghiaccio marino artico ha probabilmente raggiunto la sua estensione minima annuale di 4,3 milioni di kmq. Il minimo del 2024 è il settimo più basso nella registrazione satellitare.
Per l'anno idrologico 2022/2023, i dati di un insieme di ghiacciai di riferimento monitorati dal World Glacier Monitoring Service (WGMS) indicano un bilancio di massa annuo globale di -1,2 m di acqua equivalente. Si tratta nominalmente della più grande perdita di ghiaccio mai registrata (1950-2023), guidata da un saldo estremamente negativo sia nel Nord America occidentale che in Europa.

In questo post c’è un paragrafo dedicato a spiegare alcuni meccanismi che determinano il collasso e la fusione del ghiaccio antartico, inteso soprattutto come perdita della copertura glaciale dalle aree continentali.

La perdita di massa dei ghiacciai nel 2022/2023 corrisponde a un volume d'acqua scaricato dal Rio delle Amazzoni in circa un mese, ovvero circa 5 volte più acqua di quella presente nel Mar Morto. In Svizzera, i ghiacciai hanno perso circa il 10% del loro volume residuo nel 2021/2022 e nel 2022/2023. Ed è solo un paese preso ad esempio per quel che riguarda l’arco alpino o i ghiacciai europei (si veda anche qui).

 



Il contenuto di calore dell'oceano e il livello del mare continuano a salire. Circa il 90% dell'energia che si accumulata nel sistema Terra è immagazzinata negli oceani e nei mari in generale. Man mano che l'energia si accumula la temperatura media delle acque sale e il contenuto globale di calore dell'oceano aumenta, così come aumenta la sua energia potenziale. Più calore vuol dire più evaporazione, più vapore acqueo. Un aumento termico che comporta un’enorme quantità di energia intrappolata nell’atmosfera, che a sua volta alimenta fenomeni meteorologici sempre più violenti e imprevedibili: per ogni incremento di 1 °C nella temperatura, l'atmosfera può contenere circa il 7% in più di vapore acqueo, con conseguente aumento della probabilità di eventi meteo estremi e, non ultimo, innescando inoltre un classico feedback di rinforzo, visto che il vapore acqueo è esso stesso un gas serra.

Di conseguenza, alluvioni che in passato si verificavano ogni 10 o 20 anni ora si ripresentano con una cadenza sempre maggiore. L’aumento di 1,5 °C da non superare in base a quanto sancito nel famoso Accordo di Parigi,  già da solo è sufficiente per far sì che le alluvioni considerate eccezionali diventino il 50% più frequenti. E con un aumento di 2 °C questa frequenza potrebbe crescere fino al 70%.

Si prevede che il riscaldamento degli oceani continuerà, un cambiamento irreversibile su scale centenarie e millenarie, perché l’inerzia termica delle acque è tale per cui anche smettendo ora di aumentare le temperature del pianeta gli effetti dell’aumento di calore ad oggi si verificheranno comunque. Il contenuto di calore dell'oceano nel 2023 è stato il valore annuale più alto mai registrato, superando il valore del 2022 di 13 ± 9 ZJ (Zetta Joule, Zetta = 1021). I dati preliminari dei primi mesi del 2024 indicavano già che il contenuto di calore degli oceani sarebbe proseguito fino a livelli paragonabili a quelli osservati nel 2023, e così è stato. I tassi di riscaldamento degli oceani hanno mostrato un aumento particolarmente forte negli ultimi due decenni. Il tasso di riscaldamento degli oceani per lo strato fino a 2.000 metri di profondità è stato in media di 0,7 ± 0,1 W/m2 dal 1971 al 2023, ma di 1,0 ± 0,1 W/m2 dal 2005 al 2023 . Questo tasso corrisponde a un assorbimento medio di circa 3,1 milioni di TWh di calore all'anno dal 2005 al 2023, più di 18 volte il consumo energetico mondiale nel 2023. Dal 2023 al 2024, l’aumento globale del contenuto di calore oceanico nei primi 2000 m è di 16 ZJ, circa 140 volte la produzione totale di elettricità del mondo nel 2023. [1]

Inoltre, quando l'acqua si riscalda, si espande. Questa espansione termica, combinata con lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte glaciali, contribuisce all'innalzamento del livello del mare. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare ciò non vale per quella artica: trattandosi in questo caso di ghiaccio galleggiante, in equilibrio tra quanto emerso e quanto sommerso, la sua fusione non contribuisce alla variazione del livello medio del mare se non in termini ininfluenti.

Il tasso di innalzamento a lungo termine del livello del mare è più che raddoppiato dall'inizio delle registrazioni satellitari, passando da 2,13 mm all'anno tra il 1993 e il 2002 a 4,77 mm all'anno tra il 2014 e il 2023. Ciò riflette il continuo riscaldamento degli oceani e l'espansione termica, nonché lo scioglimento dei ghiacciai continentali e delle calotte glaciali; in questo caso anche l’artico contribuisce perché la scomparsa del ghiaccio diminuisce il potere riflettente esponendo acque più scure che quindi esercitano un assorbimento maggiore. Il 2023 ha stabilito un nuovo record osservativo per il livello medio globale annuale del mare, con un rapido aumento probabilmente guidato in gran parte da El Niño. I dati preliminari del 2024 mostrano che il livello medio globale del mare è sceso a livelli coerenti con la tendenza all'aumento dal 2014 al 2022, dopo che El Niño si è attenuato, nella prima metà del 2024. Questo sarà riportato nel rapporto annuale definitivo sullo stato del clima globale 2024 che sarà prodotto più o meno a marzo 2025.

Se un innalzamento medio del livello del mare pari a pochi centimetri o qualche decimetro vi sembra poca cosa pensate al Delta del Mekong, più di 40.000 kmq di terreno di appena due metri più alto del livello medio del mare, o alle sconfinate pianure costiere del Bangladesh.

A tutto ciò si aggiungano quantità di precipitazioni inferiori alla media osservate nel Sud America settentrionale e centrale, nell'Africa nord-occidentale e nell'Africa centro-meridionale, nel nord-ovest e nord-est del Nord America, nell'Europa sud-orientale, nell'Asia settentrionale e nelle isole del Pacifico.

Di contro precipitazioni insolitamente elevate sono state registrate nella regione del Sahel, intorno al Grande Corno d'Africa e in alcune parti dell'Africa orientale. Inoltre, alcuni punti della costa orientale del Sud America, alcune delle isole dei Caraibi e alcune zone del Nord America hanno ricevuto eccezionalmente più pioggia rispetto alla media a lungo termine. Un insolito eccesso di precipitazioni è stato registrato anche nella penisola arabica, nella regione dei monsoni indiani e nell'Asia occidentale e centrale. Il continente marittimo e l'Australia settentrionale e centrale hanno ricevuto precipitazioni totali superiori al solito. Precipitazioni totali anomale sono state registrate anche nell'Europa centrale e sudoccidentale.

Eventi di precipitazioni estreme. Mentre lo scostamento dalle medie annuali fornisce un modello di distribuzione globale, gli eventi di precipitazioni estreme sono solitamente registrati su scale temporali giornaliere o mensili. Sono associati a forti eventi di pioggia che potrebbero portare a inondazioni. Alcuni di questi eventi di precipitazioni estreme sono raffigurati nella figura successiva.

Ciò nonostante i fiumi, a livello planetario, registrano l'anno più secco degli ultimi tre decenni. Il rapporto sullo stato delle risorse idriche globali per il 2023 fornisce una panoramica quantitativa dello stato di vari componenti del ciclo globale dell'acqua, come il flusso dei fiumi, le acque sotterranee, l'umidità del suolo, la neve e il ghiaccio, i laghi e i bacini idrici. Il rapporto rivela che il 2023 è stato l'anno più secco per i fiumi da almeno tre decenni, in coincidenza con le temperature record osservate. Gli ultimi cinque anni hanno visto alcune delle percentuali più basse di aree in condizioni normali di flusso fluviale, con afflussi di bacini idrici che seguono un modello simile, riducendo ulteriormente la disponibilità di acqua per le comunità e gli ecosistemi. Nonostante il predominio della siccità a livello globale, le inondazioni in connessione con eventi di precipitazioni estreme hanno continuato a causare gravi perdite e danni in molti luoghi del mondo. Nonostante i miglioramenti nella disponibilità e nell'accessibilità dei dati condivisi dai membri dell'OMM, permangono lacune significative, in particolare in Africa, Sud America e Asia. Il rapporto sottolinea il potenziale delle osservazioni satellitari e dei sistemi di modellazione per aiutare i paesi, in particolare quelli con capacità di monitoraggio limitate e grandi lacune nei dati, ad affrontare queste sfide e migliorare la raccolta dei dati idrologici.

Eventi estremi hanno causato ingenti danni in tutto il mondo: siccità, inondazioni, cicloni tropicali, ondate di calore e ondate di freddo causano danni significativi, perdita di vite umane e ostacolano lo sviluppo sostenibile. La mappa sottostante evidenzia alcuni degli eventi più importanti da gennaio a settembre 2024, con dati sugli impatti raccolti da varie agenzie delle Nazioni Unite.

L'effetto combinato degli shock, come l'intensificarsi dei conflitti, la siccità indotta da El Niño e gli alti prezzi alimentari interni, ha portato al peggioramento delle crisi alimentari in 18 paesi fin dalla metà del 2024. In Nigeria, Sudan, Myanmar, Etiopia, Zimbabwe, Malawi, Ciad e Yemen almeno un milione di persone in più che hanno affrontato alti livelli di insicurezza alimentare acuta rispetto al picco del 2023. I livelli globali di scarsità alimentare e fame sono aumentati bruscamente dal 2019 al 2021 restando allo stesso livello nel 2023. L'Africa ha registrato elevati tassi di denutrizione nel 2023 (20,4%), con livelli ancora più elevati (circa il 30%) lungo l'Africa centrale e orientale. La riduzione del raccolto di cereali in tutto il mondo è il risultato di una diffusa siccità legata a El Niño che ha causato cattivi raccolti, forti cali delle rese e riduzioni delle aree coltivate.

Migrazione e sfollamento. Gli eventi meteorologici estremi nella prima metà del 2024, tra cui inondazioni, siccità, cicloni, tifoni e uragani, hanno portato a nuovi, continui e prolungati sfollamenti di un numero significativo di persone in diversi luoghi in tutto il mondo. Oltre alla distruzione di abitazioni, infrastrutture critiche, foreste, terreni agricoli e perdita di biodiversità, tali eventi meteorologici estremi minano si trasformano in rischi significativi per la protezione delle persone in movimento e di coloro che già vivono in condizioni di sfollamento, spesso esclusi dai piani nazionali di preparazione e risposta.

Importanza della climatologia e dei suoi servizi. Con l'aggravarsi degli impatti dei cambiamenti climatici, i servizi e le organizzazioni dedicate alla climatologia e alle sue derivazioni sono sempre più necessari per il processo decisionale. Negli ultimi cinque anni sono stati compiuti notevoli progressi in termini di capacità dei servizi climatici. L'attuazione dei cosiddetti National Frameworks for Climate (NFCS) ha visto passare il numero dei paesi coinvolti da 36 nel 2019 a 98 nel 2024, con un aumento del 63%. Il rapporto sullo stato dei servizi climatici evidenzia che il numero di servizi meteorologici e idrologici nazionali (NMHS) che forniscono servizi climatici avanzati è quasi raddoppiato, passando da 8 nel 2019 a 15 nel 2024, e quelli che forniscono servizi a piena capacità sono aumentati da 11 a 17. Di conseguenza, il numero di NMHS in grado di fornire solo servizi climatici di base è stato quasi dimezzato, riflettendo una chiara tendenza verso servizi climatici più sofisticati. In particolare, l'Asia e l'Africa, che sono altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici, hanno compiuto notevoli progressi, sostenuti dalla maggior parte dei fondi per migliorare la loro capacità di servizio climatico. Interessante questo documento che illustra come i servizi nazionali, integrati in una rete di collaborazione e scambio dati, possano realizzare sistemi di Early Warning in vari scenari, compreso quello degli tsunami.

Progressi del sistema Early Warning for All. Da questo punto di vista la creazione di Early Warnings for All (EW4All) è un'iniziativa rivoluzionaria, volta a garantire che ogni individuo sulla Terra sia protetto da condizioni meteorologiche, acqua o eventi climatici pericolosi attraverso sistemi di allerta precoce salvavita entro la fine del 2027. I sistemi di allerta precoce hanno dimostrato di essere una soluzione economica e affidabile per proteggere le vite e i mezzi di sussistenza dai pericoli naturali. Dare un preavviso di sole 24 ore di un evento pericoloso imminente può ridurre i danni del 30%.

Stato attuale dei sistemi di allerta precoce multirischio (MHEWS). Nonostante i progressi, permangono numerose lacune: a marzo 2024 solo il 55% dei paesi segnala l'esistenza di un sistema di allerta precoce multirischio. Se, ad esempio, 98 paesi hanno dichiarato di essere in possesso di un sistema di diffusione e comunicazione degli allarmi, soltanto 53 paesi hanno segnalato di essere a conoscenza degli effettivi rischi di catastrofi. Le lacune, come atteso, sono più pronunciate nei paesi meno sviluppati e anche se esistono delle eccezioni la copertura è ancora carente soprattutto nei piccoli stati insulari. La copertura MHEWS è notevolmente bassa nelle Americhe e nella regione dei Caraibi, nonché in Africa. I piani nazionali di adattamento dei paesi (NAP) prevedono tutti la presenza di sistemi MHEWS come priorità. L'iniziativa EW4All mira quindi a incrementare ulteriormente gli sforzi in tal senso.

Conclusioni
Le informazioni sul clima sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi di energia rinnovabile, per individuare e mitigare le cause intervenendo quanto più possibile in maniera olistica e per sviluppare modelli di risposta, adattamento e prevenzione.

Comprendere la variabilità e il cambiamento climatico è fondamentale per ottimizzare la produzione di energia rinnovabile, garantire la resilienza del sistema energetico e analizzare i modelli di domanda di energia, in particolare per il riscaldamento e il raffreddamento.

È in corso di pubblicazione, a tale proposito, realizzato dall'OMM, dall'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA) e da Copernicus insieme, un documento che esaminerà i cambiamenti in relazione a quattro indicatori chiave dell'energia rinnovabile e della relativa domanda: eolico, solare, idroelettrico, allo scopo di individuare come questi siano estremamente sensibili alle condizioni climatiche non necessariamente legate ai soli aspetti geografici.


[1] Per un confronto sugli ordini di grandezza la quantità totale di energia che ogni secondo investe la Terra, decurtata della parte riflessa (il 30% di quella incidente), è pari a 170.000 TW.

Terre (non così) rare

 

In questi giorni, a causa delle recenti prese di posizione da parte della neo(ri)eletta amministrazione Trump, si sente spesso parlare delle cosiddette «terre rare». Trump ha dichiarato, senza mezzi termini, che vuole indietro i soldi degli aiuti all’Ucraina e li vuole (anche) sottoforma di diritto di accesso e sfruttamento, riguardante numerose risorse minerarie di quel martoriato paese.

Le terre rare, così come il litio (che come vedremo non è, chimicamente, una terra rara), sono elementi industriali fondamentali del XXI secolo. La loro rilevanza è tale da influenzare gli assetti geopolitici globali e, di conseguenza, avere un impatto sulle nostre vite quotidiane.

Riassumiamo cosa sono le terre rare, dove si estraggono, perché sono così importanti e soprattutto perché la Cina, da questo punto di vista, è così potente.


Terre rare: tipologia e diffusione
Le terre rare, spesso indicate con l'acronimo REE, Rare Earth Elements, corrispondono ad un gruppo di 17 elementi chimici che troviamo nella tavola periodica: ittrio, scandio, e i 15 elementi appartenenti ai lantanoidi (o lantanidi, come si diceva un tempo), in ordine di numero atomico: lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio, lutezio. Nomi difficilissimi da ricordare in vista di un’interrogazione di chimica!

Nell’immagine precedente, la “Tavola periodica degli elementi” ho evidenziato anche il litio, ma occorre fare subito una distinzione. Il nome del gruppo dei 17 elementi chimici citati in precedenza, le “terre rare” appunto, è il nome che fu dato loro al momento della classificazione. Il litio è un elemento chimico che invece appartiene al gruppo degli “alcalini” nella tavola periodica, non al gruppo delle terre rare. Le terre rare come abbiamo visto comprendono gli elementi del gruppo dei lantanoidi, oltre a scandio e ittrio, che hanno proprietà chimiche simili. Il litio, invece, oltre che in ambito farmaceutico, è noto per le sue applicazioni come quelle delle batterie agli ioni di litio, utilizzate in una vasta gamma di dispositivi elettronici, veicoli elettrici e sistemi di stoccaggio di energia. Nonostante, quindi, il litio condivida l'importanza strategica e alcune sfide di approvvigionamento con le terre rare, dal punto di vista chimico e classificativo appartiene a un gruppo differente di elementi. E ancora precisiamo: il nome del gruppo “terre rare” venne assegnato a questi speciali elementi chimici presenti in alcuni minerali non per la loro scarsa presenza sul pianeta, ma per via della loro difficile identificazione, oltre che per la complessità del processo di estrazione del singolo elemento dal minerale che lo incorpora.

Nel 1803 erano note solo due terre rare, l'ittrio e il cerio, e ci vollero altri 30 anni ai ricercatori per determinare gli altri elementi contenuti in un solo tipo di minerale scoperto in Svezia nel 1798, in quanto la loro separazione era molto difficile a causa delle proprietà chimiche molto simili. Dopo tutto la radice etimologica, lanthanein, significa «star nascosto». In altri termini le terre rare…non sono poi così rare, spesso molto meno rare di quanto possa esserlo l’oro di un filone aurifero[1], ma solo difficilissime da individuare con la loro estrazione che in genere è complicata e costosa. I processi di estrazione, inoltre, utilizzano sostanze particolarmente dannose per l’ambiente e si producono rifiuti altamente tossici.

Lo USGS, il servizio geologico nazionale USA, ha stimato che ci siano tra 120 e 150 milioni di tonnellate di riserve di terre rare, sufficienti per tre o quattro secoli. Il cerio è più comune del rame, mentre neodimio, lantanio, ittrio e scandio sono più abbondanti del piombo. Si ribadisce l’aspetto tipico della loro presenza: esistono giacimenti ricchissimi di terre rare ma sono molto dispersi, trovandosi per lo più in Cina, leader per quantità e tipologia, Russia, Stati Uniti, Australia, Brasile, India, Malesia, Tailandia, Vietnam, Canada e Sudafrica. Come si vede dalla mappa seguente il 37 percento circa è in Cina, Brasile e Vietnam hanno entrambi circa il 18 percento, la Russia il 15 e gli altri paesi si dividono il restante 12 percento.

Elementi chiave
Ma il punto principale è questo: elementi sconosciuti fino ad un centinaio di anni fa, oggi, invece, sono la chiave per le tecnologie più avanzate. Si è calcolato che il peso della transizione energetica, a cui si associano quelle digitale e culturale, ammonta ad appena 17 grammi: la quantità di terre rare consumata ogni anno da ciascun abitante del pianeta (che però in totale fa circa 136.000 tonnellate l’anno). Dai magneti delle pale eoliche ai motori elettrici delle automobili, passando per alcune componenti di smartphone e computer, il nostro presente e futuro dipendono da piccole ma essenziali frazioni di elementi chimici noti come metalli rari. Tra questi, i 17 membri che costituiscono la famiglia, caratterizzata da notevoli proprietà elettromagnetiche, ottiche, catalitiche e chimiche.

Dipendiamo da frazioni infinitesimali, una dipendenza a rischio innanzi tutto per  la loro difficoltà di estrazione, dispersi in percentuali minori, in mezzo alle altre rocce, presenti sul pianeta in maniera ampia, ma non in maniera omogenea. Ci sono luoghi in cui è possibile trovarne di più ed estrarli più facilmente e a più basso costo. E il controllo di tali risorse minerarie strategiche – e di altri elementi più o meno rari come il cobalto delle batterie ricaricabili o il tellurio delle celle fotovoltaiche – sta riscrivendo gli equilibri economici e geopolitici del pianeta.

Una delle peculiarità che rende questi elementi preziosi nell'industria di oggi è la loro capacità di esercitare un magnetismo resistente anche alle alte temperature. Indispensabili nei prodotti tecnologici di nuova generazione, sono componenti necessari per centinaia di prodotti, in particolare quelli di consumo high-tech, smartphone, tablet, personal computer, hard disk, batterie ricaricabili, veicoli elettrici e ibridi, monitor, luci a led, televisori a schermo piatto, e l’elenco potrebbe continuare.

Impiego
Già migliaia di anni fa la maggiore o minore presenza sul territorio del rame, molto più raro, rispetto a quella del ferro, insieme alla mutata distribuzione delle popolazioni, determinarono il passaggio da un'età storica alla successiva. Allo stesso modo così come il carbone ha permesso al Regno Unito di dominare il XIX secolo, e il petrolio ha sancito l’egemonia statunitense o dei paesi arabi in quello successivo, i colossali giacimenti di metalli rari di cui dispone ad esempio la Cina, la pongono in una posizione di forza nella corsa alle energie rinnovabili. E l’Ucraina in Europa, paese che più che i lantanoidi, o lantanidi che dir si voglia, abbonda in altri elementi di difficile reperimento, potrebbe avere un ruolo analogo, più o meno per gli stessi motivi.

In quest'ultima nazione ci sono metalli comunemente noti come il litio e il cobalto, ma anche materiali meno conosciuti come il gallio e il bismuto, e altri come la grafite naturale e il carbone metallurgico, utilizzato nella produzione dell'acciaio (elenco seguito anche dall'Italia). Altri paesi, come gli Stati Uniti, dividono la lista in due sottogruppi: i cosiddetti "18 elettrici", fondamentali per produrre, trasmettere e conservare energia elettrica ed altri 50 minerali critici.

I materiali elencati hanno svariati usi. Molti sono cruciali per la transizione energetica poiché impiegati nelle batterie, nei motori elettrici e negli impianti di energia rinnovabile. Tra questi ci sono il litio per le batterie, il neodimio per i magneti nei motori eolici e il silicio per i pannelli solari. Altri come gallio e germanio sono usati come semiconduttori nei chip avanzati, necessari per i sistemi di intelligenza artificiale.

Tuttavia, l'importanza strategica di questi elementi raggiunge probabilmente l'apice nel settore militare: elementi quali l'olmio e il neodimio sono fondamentali per la produzione della maggior parte delle armi più sofisticate e dei sistemi balistici delle forze armate di tutto il mondo. Il loro utilizzo in settori così importanti ne ha incrementato esponenzialmente la, di pari passo solo alla domanda dei metalli preziosi. La loro presenza in un dispositivo elettronico è insignificante in termini di volume o peso, ma è fondamentale: senza quella piccolissima quantità non funzionerebbe o avrebbe delle prestazioni insufficienti a competere con le moderne tecnologie.

Dal momento che le fonti di energia rinnovabile diventano sempre più importanti e diffuse in tutto il mondo ogni giorno, come abbiamo visto nel post precedente, la domanda globale di terre rare è in continuo aumento negli ultimi anni. Elementi come il neodimio e il praseodimio, che sono importanti proprio nelle applicazioni di energia rinnovabile e nelle industrie ad alta tecnologia, sono sotto i riflettori, in particolare da quando i veicoli elettrici e le auto ibride sono un business sempre più succoso. In un’auto elettrica si possono trovare qualcosa come un chilogrammo di terre rare; una turbina eolica da 5 MW contiene addirittura circa 800 kg di neodimio e 200 kg di disprosio, una tonnellata di terre rare.

Impatto ambientale
Si pensi che per ricavare appena un chilogrammo di vanadio vanno purificate 8,5 tonnellate di roccia, un chilo di cerio ne richiede il doppio, il gallio 50 e il lutezio ben 200!

E qui si apre una parentesi particolarmente importante. Con basse concentrazioni nei depositi, i costi di estrazione diventano insostenibili senza manodopera a basso costo o sussidi statali. La purificazione richiede molta acqua che si contamina con acidi e metalli pesanti, necessitando di trattamenti costosi. Per rendere redditizia una miniera di metalli rari, serve una protezione ambientale debole o inesistente.


In Cina, l'inquinamento da estrazione di terre rare ha reso il suolo sterile e contaminato le risorse idriche. Anche se i funzionari hanno chiuso molte miniere, comprese quelle illegali, persistono gravi minacce ambientali. Un rapporto del 2019 evidenzia che la Cina ha meno vincoli normativi e ambientali, mantenendo bassi i costi di estrazione e produzione. La Cina sta cercando di bonificare l'ambiente inquinato dalle miniere, ma il processo è costoso e lungo, potendo richiedere fino a 100 anni.


Ucraina
Anche l’Ucraina presenta uno scenario simile: indifferenza nei confronti dell'ambiente come elemento fondamentale per mantenere bassi i costi di produzione, per lo meno nelle zone di estrazione. Il governo degli Stati Uniti lo sa bene ed è per questo che sta cercando una soluzione per sopperire ad un'eventuale blocco cinese delle esportazioni, considerando che a tutt'oggi la Cina è leader mondiale della produzione e delle esportazioni di terre rare, sia per l’enorme quantità sia per i costi di produzione mantenuti tali a spese dell’ambiente. 

Cava di caolino nella regione di Donetsk, nell’est dell’Ucraina (Viktor Fridshon/Global Images Ukraine via Getty Images)

L’Europa è quasi totalmente dipendente dalle importazioni: le terre rare arrivano in grandissima parte dalla Cina, i borati (usati tra le altre cose nella realizzazione di isolamenti termici, nell’industria nucleare e in quella aerospaziale) al 98 per cento dalla Turchia, il litio al 78 per cento dal Cile. Nel 2023 l’Unione Europea approvò una norma pensata proprio per gestire i problemi nell’approvvigionamento di questi materiali e ridurre la dipendenza dalle importazioni: tra le altre cose prevede specifiche quote da estrarre, raffinare e riciclare nel territorio dell’Unione.

Le terre rare e più in generale le materie prime critiche sono al centro dell’accordo che permetterebbe agli Stati Uniti di ricevere parte degli introiti derivati dalle risorse minerarie ucraine.

L’Unione Europea ha descritto l’Ucraina come una possibile produttrice di caolino (largamente utilizzato nel settore edile), manganese (usato per fare ferro e acciaio), gallio e germanio. Prima dell’invasione russa il paese era fra i maggiori produttori al mondo di grafite, che al di là delle matite è essenziale per migliorare la capacità e la tenuta delle batterie elettriche. Possiede inoltre alcune delle riserve più grandi di litio in Europa e ha vaste riserve di titanio, un metallo leggero e resistente, usato fra le altre cose nella produzione di protesi mediche e nell’industria aerospaziale. Vi si trovano anche importanti riserve europee di uranio, fondamentale per la produzione di energia nucleare (che quindi tecnicamente non è considerato una “materia prima critica” ma un combustibile).

Una parte significativa di questi giacimenti si trova nelle zone occupate dai russi, soprattutto nella regione mineraria del Donbass, che da tempo è sfruttata per le sue abbondanti riserve di carbone. Per esempio alcuni depositi di litio si trovano nella parte centrale del paese, ma uno è molto vicino alla linea del fronte. Invece nella regione di Zhytomyr, a ovest di Kiev, c’è una grossa miniera di berillio, usato principalmente come componente di dispositivi elettronici. Nella miniera di Kirovohrad, a sud della capitale, c’è un deposito che secondo le stime contiene milioni di tonnellate di grafite.

Il controllo e la produzione di georisorse è probabilmente il fattore più determinante nella geopolitica internazionale ed è in grado di definire i giochi di potere. È stato così per il carbone, lo è per petrolio, gas, litio e per le terre rare. Chi riesce ad avere il controllo maggiore di queste ricchezze, in un certo senso, ha il controllo del mondo.

Una miniera di ilmenite, da cui si estrae il titanio, nella regione di Kirovohrad (AP Photo/Efrem Lukatsky)








[1] A titolo di esempio si consideri che una vena aurifera in un giacimento primario è considerata ricchissima quando produce circa 10 grammi d’oro per ogni tonnellata di roccia lavorata.

Transizione e indipendenza energetica in Italia. Si può fare. Si farà?

Sulle pagine di questo blog è stato più volte messo in evidenza che una delle sfide future è mitigare i cambiamenti climatici causati dall'uomo, anzi, avremmo dovuto cominciare da un pezzo. Anche se a quanto pare gli obiettivi del famoso Accordo di Parigi (2015) sono quanto meno inevitabilmente compromessi (se non addirittura disattesi!), mirando a mantenere l'aumento della temperatura globale sotto i 2 °C (e non più di 1,5 °C), è evidente che l’impegno globale per decarbonizzare rapidamente deve essere mantenuto, in uno scenario tuttavia che vede inesorabilmente crescere il consumo di combustibili fossili.

Nonostante la recente crisi energetica, che ha coinvolto direttamente l’Europa e ancor di più il nostro paese, si sta tuttora investendo troppo nei combustibili fossili per usi energetici, ritardando la cosiddetta transizione.

L'UE punta alla neutralità climatica entro il 2050 con una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030. Anche l'Italia sta lavorando per la decarbonizzazione entro lo stesso anno.

Si può fare?

Nella figura a lato la previsione del PNIEC (vedi testo) per il 2030. Mtep – Megatonnellata equivalente di petrolio (1 Mtep ≈ 11,63 TWh). FER – Fonti di Energia Rinnovabili

Almeno sulla carta, a livello europeo e nazionale la strada da percorrere per fare a meno dei combustibili fossili prevede per i prossimi decenni un progressivo aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che, come vedremo, non sono programmabili, per lo meno non come inteso per le fonti fossili o il nucleare: in altre parole il vento non soffia sempre e il sole non splende sempre. Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) propone di incrementare il target delle rinnovabili almeno al 30% del consumo finale lordo di energia. Per raggiungere tale obiettivo è necessario individuare soluzioni tecnologiche che permettano il pieno sfruttamento delle rinnovabili, tra queste le tecnologie di accumulo.

Per quanto riguarda l’Italia, ma che può fare da modello virtuoso, la risposta alla domanda precedente, canticchiando il famoso brano della PFM, è positiva. Si può fare. Raggiungendo quindi la tanto attesa indipendenza energetica e soprattutto abbattendo i costi, addirittura del 50 percento! Passando dagli attuali 108 €/MWh, le bollette più alte d’Europa, a 52!

Ma, anticipando le perplessità espresse nelle conclusioni, qualcosa continua a turbare questi sogni di gloriaDove trovare le risorse politiche, economiche, sociali e sociologiche necessarie per agire e decidere a lungo termine?

Cercherò di restare ottimista!

Ed a tale proposito ecco che, fresco di stampa, ci viene in supporto uno degli studi più recenti pubblicato sulla rivista Energy, firmato da Lorenzo Maria Pastore e Livio de Santoli dell'Università “La Sapienza” di Roma, che analizza ben 12 scenari di decarbonizzazione dell’Italia, valutando la fattibilità tecnica ed economica di un futuro energetico a emissioni zero, ovvero con energia prodotta al 100% da fonti rinnovabili, utilizzate anche per realizzare la fonte energetica necessaria per produrre i carburanti indispensabili a settori quali quelli del trasporto e dell’industria pesanti. Lo studio dimostra la fattibilità tecnica ed economica di un sistema energetico carbon neutral in Italia, riconoscendo al contempo le sfide verso la piena decarbonizzazione e sottolineando l'importanza di una pianificazione energetica integrata.

Esplorando quindi il potenziale di un sistema energetico rinnovabile al 100% in Italia entro il 2050, si sono studiate anche le strategie alternative per decarbonizzare i settori cosiddetti hard-to-abate (duri da abbattere, ovvero che presentano necessità specifiche non copribili con l’elettrificazione) e contemporaneamente fornire flessibilità di sistema. L'obiettivo è quello di valutare le implicazioni, gli effetti reciproci e le sinergie tra queste strategie. I risultati dello studio dimostrano innanzi tutti il potenziale delle tecnologie cosiddette Power-to-X (si veda anche qui e la figura a lato), in breve tecnologie di accumulo alternative alle ben note batterie elettrochimiche, atte a bilanciare la generazione non dispacciabile  (in inglese dispatchable, traducibile anche con programmabile) e ridurre il consumo di biomassa, ovvero quanto utilizzabile ad oggi per produrre carburanti alternativi. Circa il 90% della produzione di energia elettrica può provenire dal fotovoltaico e dall'eolico onshore e offshore (parchi eolici sulla terraferma o in mare). Il risparmio energetico, la diffusione del teleriscaldamento e l'elettrificazione sia del parco immobiliare che il trasporto leggero, mediante pompe di calore e veicoli elettrici o riconvertiti a biocarburanti o di sintesi, sono state considerate misure chiave.

Le diverse strategie di applicazione dei combustibili alternativi, come l'idrogeno, i biocarburanti e gli elettrocarburanti, nel trasporto pesante e nell'industria hanno un impatto significativo sulla configurazione dell'intero sistema energetico. In scenari con un'elevata domanda di idrogeno, la strategia power-to-gas consente di fare meno affidamento sui sistemi di stoccaggio dell'elettricità. La disponibilità di biomassa emerge come un fattore critico, che incide sulla sostenibilità del sistema energetico. Ma resta il fatto che un approccio altamente flessibile dal lato della domanda offre vantaggi energetici ed economici.




Lo stato dell'arte

Progressione degli investimenti nel settore delle energie alternative
La ricerca sui sistemi rinnovabili al 100% è cresciuta notevolmente nel recente passato, e molti studi ne hanno dimostrato l’efficacia, grazie soprattutto a diversi lavori e rapporti internazionali che dimostrano che la decarbonizzazione del sistema elettrico è già 
economicamente sostenibile. La crisi energetica, inoltre, aumentando i costi di produzione delle centrali termoelettriche, ha permesso alle fonti rinnovabili, come l'eolico e il solare fotovoltaico, di generare elettricità a costi molto più bassi.

Ma prima di ipotizzare scenari che prevedano ricerca e pianificazione di sistemi rinnovabili al 100% va considerato che si deve tenere in debito conto l'integrazione del sistema elettrico con l'intero sistema energetico, che dovrà essere messo in grado di accogliere la produzione di energia di tipo non dispacciabile. Nei futuri sistemi rinnovabili, le strategie Power-to-X svolgeranno un ruolo chiave nella conversione dell'elettricità rinnovabile in altri vettori o applicazioni. Queste tecnologie consentono infatti di convertire l'energia elettrica, quando in eccesso di produzione, ad un costo inferiore rispetto allo stoccaggio elettrochimico, ovvero alla conservazione in batterie, che tra l’altro sono ad elevato impatto ambientale durante il loro ciclo di vita, e il cui uso può essere ridotto al minimo; tecnologie che consentono inoltre di decarbonizzare altri settori energetici.

Per esempio la strategia Power-to-Heat si basa sulla conversione dell'elettricità in energia termica per mezzo di pompe di calore, e ciò consente di aumentare la flessibilità della domanda e di sfruttare l'accumulo termico per bilanciare la generazione rinnovabile variabile. sono anche associate a forti fluttuazioni nella rete elettrica. Le centrali eoliche e fotovoltaiche forniscono quantità variabili di energia, a seconda delle condizioni meteorologiche. Per bilanciare queste fluttuazioni, la potenza generata dalle energie rinnovabili deve essere controllata da un lato e persino scollegata dalla rete in alcuni casi, mentre gli oneri dei consumatori, in termini di risposta degli impianti alla domanda, devono essere più flessibili. Mantenere un’erogazione costante richiede complessi meccanismi di controllo e gli operatori di rete sono tenuti a mantenerla ad un livello costante, equalizzando le fluttuazioni causate da un eccesso o da una carenza di potenza. Ma per evitare che la potenza in eccesso rimanga inutilizzata, può essere convertita in calore attraverso appunto sistemi di questo tipo e immessa in una rete di distribuzione del calore.

Uno degli aspetti della riconversione e della transizione che ad esempio preoccupa maggiormente il nostro paese, ma non solo questo, è quello legato al riscaldamento domesticoIl 72% dell’edificato residenziale italiano, pari a oltre 12 milioni di edifici, è stato costruito prima del 1980, il 17% negli anni Settanta. Perciò, è vecchio, richiede un’elevata necessità di manutenzione e proprio questo settore ha un consumo energetico tra i più consistenti: il secondo dopo i trasporti, rappresentando circa il 27% dei consumi energetici finali a livello nazionale stando alla relazione sulla situazione energetica nazionale del 2022 redatta dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. La grande maggioranza degli impianti utilizza il gas e gli edifici, tra l’altro, sono responsabili dell’emissione del 53% di polveri sottili nei centri abitati. Questo è infatti il settore sul quale l’Unione Europea spinge in una precisa direzione: decarbonizzare entro il 2050. Se voleste approfondire sui quantitativi di gas serra emessi a livello mondiale e distinti per settore qui c'è un mio vecchio post.

Grande interesse nell'ultimo decennio è stato inoltre riposto nella strategia Power-to-Gas, che consente l’utilizzo dell'energia elettrica per produrre idrogeno mediante il processo di elettrolisi dell'acqua, che può quindi essere utilizzato direttamente o ulteriormente convertito in combustibili sintetici, come ad esempio nei processi che creano metano (metanazione del biossido di carbonio) a partire appunto da idrogeno così prodotto e da biossido di carbonio estratto direttamente dall’atmosfera, da emissioni industriali, dal suolo o da biomasse. Secondo le proiezioni del PNIEC nel 2040 potrà essere soddisfatta una domanda di gas così prodotto (il cosiddetto gas green) pari a 6,5 miliardi di m3/anno, tra metano sintetico e idrogeno. Il bilancio carbonico netto dell’utilizzo di questo metano di sintesi è pari a zero: la CO2 estratta dall’atmosfera bilancia quella riemessa a seguito dell’utilizzo del metano di sintesi, che può essere direttamente immesso nella rete di distribuzione; anche l’idrogeno, anche se occorre fare qualche distinzione, può essere direttamente immesso nella rete. Utilizzare invece il combustibile fossile così come si fa tutt’oggi contribuisce all’aumento del gas serra. Sono ovviamente state fatte delle semplificazioni dell’intero processo, rimandando a documenti più specifici. Certo non è tutto rose e fiori, ci sono indubbiamente ancora problemi di natura tecnica, economica e normativa, che finora hanno frenato la diffusione di questa tecnologia, a cui aggiungere gli alti costi rispetto ai gas ottenuti da idrogeno e metano, un indubbio svantaggio, a cui incentivi governativi potrebbero rimediare, specie nella fase di sviluppo tecnologico.

Però ad un’acciaieria, ad esempio, non basta l’energia da rinnovabili tour-court. Il principale ostacolo al raggiungimento della completa decarbonizzazione è infatti dato dalla presenza dei settori hard-to-abate, e a tale scopo, l’unico modo consentito per inserire energia da fonti rinnovabili in questi, è proprio grazie all’utilizzo di combustibili alternativi. I biocarburanti sono quelli più promettenti perché consentirebbero un cambio di combustibile senza la necessità di un cambiamento radicale dell'infrastruttura, garantendo al tempo stesso i livelli di temperatura necessari all'industria. Inoltre, i biocarburanti liquidi rappresentano un mezzo per la decarbonizzazione di tutti i tipi di trasporto non elettrificato, soprattutto quello pesante, aereo e navale. Ma occorre fare attenzione ad un punto cruciale. Se la fonte dei biocarburanti è rappresentata dalla produzione di biomassa, devono essere prese in considerazione, per garantire la sostenibilità del processo di produzione, quantità limitate di biomassa e purtroppo, come hanno dimostrato diversi studi, il potenziale della biomassa è appena sufficiente a soddisfare completamente la futura domanda di combustibili alternativi. Ed ecco che l’idrogeno torna a rappresentare una soluzione interessante per integrare diversi settori energetici ed elettrificare indirettamente la domanda di energia difficile da abbattere. Le applicazioni industriali consentono di raggiungere temperature molto elevate, e nel settore della mobilità sono ampiamente studiate, sebbene siano ancora per lo più in una fase pre-commerciale. Il principale ostacolo alla diffusione dell'idrogeno è il cambiamento delle infrastrutture e degli utenti finali, che rappresenta un costo molto elevato per questa strategia, tant’è che i due principali produttori di auto cosiddette fuel cell, sembra non stiano spingendo più di tanto.

Un’altra potenziale applicazione indiretta dell'idrogeno in questi settori difficili, è, come si accennava, l'uso che se ne può fare per produrre combustibili sintetici. La combinazione di un flusso di idrogeno con una fonte di carbonio consente la produzione di combustibili sintetici sia liquidi che gassosi per mezzo di diversi processi: ad esempio, il metanolo ha un potenziale interessante per le applicazioni nel settore dei trasporti, questi a sua volta può essere ulteriormente trasformato in etere dimetilico, un composto non tossico e non cancerogeno, che è un sostituto adatto dei combustibili fossili in tutti i motori diesel con interventi minimi. In tutti questi casi si ricorda che il bilancio carbonico netto tra produzione e consumo sarebbe pressoché nullo.

A fronte delle analisi condotte negli ultimi anni su queste diverse tecnologie di decarbonizzazione queste vanno inserite in maniera olistica negli studi di pianificazione energetica: non è pensabile introdurre fonti energetiche alternative as is dappertutto senza prendere in considerazione l’intera filiera.

Lo stato della ricerca

Come logico attendersi, negli ultimi tempi, la ricerca sui sistemi di energia rinnovabile al 100% ha subito un notevole incremento, determinando innanzi tutto un ampio consenso tecnico e scientifico sulla validità e sulla fattibilità.

La Danimarca, da sempre all'avanguardia in fatto di ambiente ed eco-sostenibilità, da questo e numerosi altri punti di vista, è un esempio ed uno dei paesi più studiati nella transizione verso un sistema energetico decarbonizzato. Fin dal 2009 si trovano analisi di transizione energetica di questo paese verso la piena decarbonizzazione entro il 2050, sviluppando uno scenario intermedio per il 2030. Nel 2015 fu elaborata una nuova strategia per raggiungere un sistema al 100% di energie rinnovabili basato su un approccio di sistema energetico intelligente e addirittura, più recentemente, è stato presentato uno studio di pianificazione per un sistema energetico danese completamente decarbonizzato entro il 2045. Le premesse e i fatti ci sono tutti: la Danimarca sarà il primo paese dell’Unione Europea a realizzare un sistema a zero emissioni. Particolare attenzione è stata posta ad una delle criticità maggiori: soddisfare la domanda di calore.

Per quanto riguarda l’Europa sud-orientale, ci sono studi recenti che propongono una visione per il raggiungimento di un sistema energetico a zero emissioni di carbonio nella regione entro il 2050. In questo caso l'approccio enfatizza l'uso estensivo dell'energia idroelettrica, facilita l'utilizzo diffuso dello stoccaggio e limita l'impiego della biomassa. Gli elettrocarburanti sono visti principalmente destinati al trasporto pesante.

Nel caso della Finlandia uno studio ha esaminato il potenziale del 100% di energia rinnovabile nel sistema energetico. In questo contesto, la posizione geografica e l'elevata variabilità stagionale della produzione sono rilevanti, influenzando la configurazione del sistema e utilizzando le tecnologie power-to-gas come soluzione principale per lo stoccaggio di energia a lungo termine. A differenza di altri studi, l'idrogeno qui svolge un ruolo centrale nell'assicurare la flessibilità del sistema sia a breve che a lungo termine.

Anche la Germania, paese con richieste energetiche a scopo industriale molto elevate, ha analizzato la transizione del sistema energetico tedesco verso il 100% di energie rinnovabili entro il 2050. Lo studio esamina i diversi settori energetici e identifica le potenziali sinergie tra di essi. In particolare, il lavoro si concentra sul trasporto pesante, valutando quattro scenari alternativi: idrogeno tramite celle a combustibile, elettricità diretta, elettrocarburanti da CO2 e bio-elettrocarburanti. Anche in questo paese un criterio chiave nella selezione degli scenari è la soglia di consumo di biomassa. Questo studio è uno dei pochi che analizza scenari alternativi nei settori, sebbene utilizzi tale approccio solamente nel settore dei trasporti, senza approfondire gli effetti reciproci tra le strategie nei diversi settori.

E in Italia? La programmazione energetica del sistema energetico nazionale italiano è stata oggetto di pochi lavori in letteratura.

Ci sono studi che modellano alcuni settori della transizione, come quello del trasporto privato, il ruolo dei veicoli elettrici; alcuni si concentrano sul settore del riscaldamento. Ma nessuno analizza la completa decarbonizzazione del sistema energetico italiano. A peggiorare il quadro molti dei risultati e delle proiezioni esposte nel PNIEC derivano dall’utilizzo di un modello con cui vengono studiati i sistemi, che non ha preso in considerazione la risoluzione oraria delle simulazioni, ovvero le diverse richieste di energia e i valori dei consumi in base a fasce giornaliere e/o stagionali.

Ci sono alcuni studi in letteratura che considerano il sistema energetico nazionale; tuttavia, manca uno studio per la pianificazione di un sistema 100% rinnovabile che consideri tutti i settori, utilizzando software di simulazione adeguati, che presentino numerose tecnologie Power-to-X e risoluzione oraria. Meno del 20% delle opere propone un'analisi completa di tutti i settori energetici. Molti studi indicano che oltre il 90% della fornitura di elettricità può provenire dal solare fotovoltaico e dall'energia eolica, ma pochi, al contrario da quanto indicato all’inizio di questo post, raggiungono almeno l'80% della domanda totale di energia primaria.

Ma la cosa fondamentale è la loro principale conclusione: la maggior parte degli studi in questo campo suggerisce che i sistemi di energia rinnovabile al 100% non sono solo fattibili, ma anche convenienti, fornendo un percorso chiave verso un futuro sostenibile senza dipendenza dai combustibili fossili.

Indubbiamente i metodi utilizzati per quest’analisi sinottica, primo requisito come si diceva, sono basati su modelli e simulazioni relativi ai diversi scenari, ma è altrettanto indubbio che le correlazioni che portano a determinate situazioni siano supportate da validi presupposti, e gli scenari di conversione integrati sono i principali: riscaldamento, trasporti, industria, utilizzo di idrogeno e tecnologie Power-to-X, oltre che ovviamente scenari di flessibilità e quelli legati al potenziale eolico, fotovoltaico e da biomassa.

Secondo i ricercatori de “La Sapienza”, si prevede l'installazione di 200 GW di fotovoltaico entro il 2050, generando quasi 300 TWh all'anno e, alla luce della diversificazione uno scenario ottimale dovrebbe includere 210 GW di fotovoltaico, 115 GW di eolico onshore e 55 GW di eolico offshore, al fine di garantire una diversificazione delle fonti energetiche non programmabili e stabilizzare la generazione nel tempo.

E qui forse sta il primo e più importante punto cruciale. In tutti gli scenari i risultati dell'ottimizzazione sono influenzati dal potenziale massimo installabile delle fonti rinnovabili. Nella maggior parte degli scenari viene presupposta la capacità totale disponibile di energia eolica onshore e offshore. Solo negli scenari in cui i biocarburanti sono utilizzati sia nell'industria che nei trasporti, questi valori diminuiscono leggermente. Il principale cambiamento tra gli scenari riguarda quindi la capacità installata di fotovoltaico e batterie di accumulo. La capacità fotovoltaica varia notevolmente, da circa 100 GW a quasi 220 GW.

Nella figura precedente sono confrontati la richiesta di energia totale richiesta in Italia nel 2019 con i diversi scenari, sia in caso di prevalenza degli elettrocarburanti (da Power-to-X) che di biomassa come fonte, in caso di bassa o alta domanda di energia. Considerando che il consumo medio degli ultimi anni della sola energia elettrica è pari a circa 300 TWh/anno, si vede come questa potrebbe essere completamente coperta dalle sole energie alternative e addirittura, considerando gli accumuli, le varie fonti, potrebbero coprire l’intero fabbisogno energetico nazionale. La produzione di energia elettrica stimata nel 2050 è più del doppio di quella attuale. Insomma, i risultati di questo lavoro dimostrano che un sistema energetico 100% rinnovabile in Italia è tecnicamente ed economicamente fattibile.

Nella figura a sinistra la sintesi delle misure considerate per ciascun settore (DH – District Heathing, EB – Electric Battery, HP – Pompe di calore, PV – Fotovoltaico). Nella figura sopra la sintesi del modello di analisi utilizzato.

Quanto ci costerà?

Il calcolo della cosiddetta “bolletta energetica” nazionale è complicato, poiché dipende da molte variabili, tra cui i prezzi delle materie prime, i costi dell’energia elettrica, i consumi ripartiti per ogni settore, le politiche energetiche che possono essere positive o negative a seconda che prevedano incentivi o aumenti delle aliquote fiscali, la situazione internazionale. Ciò nonostante, possiamo prendere in considerazione i costi medi che vengono calcolati a consuntivo.  Partiamo quindi dai 108 euro al MWh del 2024, i più cari d’Europa, sperando di non tornare ai valori pari ai 304 € del 2022 (con picchi di 500 €!), quando l’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina fece schizzare i prezzi di gas e petrolio. Nello stesso anno sappiamo che furono consumate qualcosa come 160 Mtep, pari a circa 1800 TWh: il conto è presto fatto, considerando che 1 TWh = 106 MWh, sono poco meno di 200 miliardi di euro. Non male.

A questo punto, ipotizzando che la domanda di energia non cresca di molto rispetto ad oggi, e che i costi per la produzione restino in un ambito di aumenti contenuto, lo scenario economico proposto dai modelli, qualsiasi sia il modello applicato, alta o bassa richiesta, legato all’idrogeno piuttosto che alla biomassa, è confortante.

Costi annui del sistema energetico italiano nei diversi scenari di decarbonizzazione

Un’Italia 100% rinnovabile entro il 2050? Scenari, Costi e Sfide.

L'idea di un sistema energetico interamente rinnovabile in Italia entro il 2050 non è più fantascienza, ma un'opzione realistica, supportata da studi scientifici dettagliati, riferendosi, come abbiamo visto, soprattutto alle ricerche condotte in altri paesi europei.

1. Strategie di transizione

  • Crescita del solare fotovoltaico ed eolico: entro il 2050, il 90% della produzione elettrica potrebbe provenire da queste due fonti.
  • Sistemi di accumulo e soluzioni Power-to-X: fondamentali per compensare l'intermittenza di solare ed eolico, consentono di immagazzinare energia in eccesso trasformandola in idrogeno o combustibili sintetici.
  • Miglioramento dell'efficienza energetica: ridurre i consumi del 20-30% è una condizione essenziale per facilitare la transizione e contenere i costi.
  • Elettrificazione dei settori industriale e trasporti: il passaggio a veicoli elettrici e processi produttivi a zero emissioni è cruciale per la decarbonizzazione complessiva.
  • Reti intelligenti e gestione della domanda: l'adozione di smart grid e sistemi di demand-response contribuirà a bilanciare la produzione e il consumo energetico.

2. Tecnologie chiave della transizione

  • Eolico e fotovoltaico: secondo le previsioni, la capacità installata dovrà superare i 200 GW tra eolico e solare. Siamo a circa 40 GW.
  • Accumulo tramite batterie: essenziale per la stabilizzazione della rete e per garantire una fornitura continua.
  • Idrogeno verde: prodotto attraverso elettrolisi, sarà cruciale per immagazzinare energia a lungo termine e alimentare settori difficili da elettrificare, come l'industria pesante e i trasporti navali.
  • Power-to-X: tecnologie che convertono energia elettrica in altri vettori energetici, come metanolo, metano e ammoniaca, utili per il trasporto e l'industria chimica.

3. Costi della transizione: un investimento strategico

Uno degli aspetti più discussi riguarda la sostenibilità economica di questa trasformazione. Secondo lo studio analizzato, il costo complessivo della generazione elettrica in uno scenario al 100% rinnovabile si stabilizzerebbe intorno ai 44 €/MWh, una cifra notevolmente inferiore rispetto ai costi attuali influenzati dal prezzo del gas.

I principali investimenti necessari riguardano:

  • Espansione della capacità rinnovabile: circa 48,3 miliardi di euro entro il 2050 per installare 73,8 GW di nuova potenza tra fotovoltaico e idroelettrico.
  • Modernizzazione delle infrastrutture di rete: investimenti necessari per adattare la rete alla variabilità delle rinnovabili e integrare le smart grid.
  • Sviluppo dell'idrogeno: la produzione di idrogeno verde richiederà massicci investimenti in elettrolizzatori e impianti di stoccaggio.

4. Impatto sulle famiglie: bollette più basse nel lungo periodo

Uno degli aspetti più rilevanti per i cittadini riguarda il costo dell'energia. Attualmente, con la solita scure che media senza tener conto di cento altre variabili, la spesa media annuale delle famiglie italiane per l'energia (a comprendere tutto, anche il trasporto) è di circa 4.000 euro (2023, vedi anche qui), con un aumento importante previsto per i prossimi anni a causa della volatilità dei prezzi del gas. In questi giorni uno degli argomenti principali è proprio quello relativo al caro bollette.

La transizione verso le rinnovabili potrebbe ridurre significativamente questa spesa, grazie ai minori costi di generazione e alla progressiva eliminazione della dipendenza dai combustibili fossili.

Se la domanda energetica rimanesse costante, la riduzione del costo dell'energia a 44 €/MWh potrebbe tradursi in un risparmio sulle bollette delle famiglie nel lungo periodo. Secondo le proiezioni, la spesa media annuale per famiglia potrebbe ridursi fino a circa 1.800-2.000 euro entro il 2050, determinando un risparmio significativo. Tuttavia, l'effettiva riduzione della spesa dipenderà dall'adozione di politiche di incentivo all'efficienza energetica e dalla diffusione delle tecnologie di accumulo e gestione intelligente della domanda, considerando che, soprattutto per quanto riguarda il riscaldamento, l’adozione di nuove tecnologie rappresenta un costo di investimento notevole.

5. Impatto ambientale

Contrariamente a quel che potrebbe sembrare non ci sono controindicazioni di sorta. Per quanto riguarda il fotovoltaico secondo i dati GSE (il Gestore dei Servizi Energetici), nel 2021, gli impianti fotovoltaici presenti in Italia occupano solo lo 0,05% del territorio nazionale. Un impatto che anche in futuro rimarrà marginale grazie alla costruzione di nuovi impianti rinnovabili in aree agricole o destinate all'allevamento, il cosiddetto agrivoltaico. Se a prima vista si potrebbe pensare che la realizzazione di sistemi fotovoltaici su terreni agricoli su larga scala possa aprire un tema di consumo del suolo, soprattutto se i pannelli vengono installati su terreni adibiti all’agricoltura o al pascolo, in realtà non è così. Dati alla mano, infatti, il consumo del suolo in questo caso è un tema irrilevante, che secondo gli esperti non desta alcun tipo di preoccupazione. Il consumo di suolo a copertura artificiale – cemento, asfalto e altre coperture artificiali - in Italia è pari a più di 20.000 kmq, per raggiungere gli obiettivi necessari occorreranno circa 400 kmq, un terzo dell’estensione del comune di Roma, pari ad appena lo 0,1% del territorio (nel 2021 era pari allo 0,05%).

Non dissimile, dal punto di vista ambientale, è quanto relativo agli impianti di produzione di energia dall’eolico. L'energia prodotta da una turbina eolica durante il corso della sua vita media (circa 20 anni per gli impianti onshore e più di 25 anni per quelli offshore), è circa 80 volte superiore a quella necessaria alla sua costruzione, manutenzione, esercizio, smantellamento e rottamazione. Si è calcolato che sono sufficienti ad una turbina due o tre mesi per recuperare tutta l'energia spesa per costruirla e mantenerla in esercizio.

Ciò nonostante, alcune associazioni ambientaliste criticano apertamente l'installazione dei generatori eolici criticando soprattutto la rumorosità dei sistemi e l'impatto paesaggistico delle torri eoliche.

Tuttavia attualmente le turbine eoliche ad alta tecnologia sono molto silenziose. Si è calcolato che, ad una distanza superiore a circa 200 metri, il rumore della rotazione dovuto alle pale del rotore si confonde completamente col rumore del vento che attraversa la vegetazione circostante. L'inquinamento acustico potenziale delle turbine eoliche è legato a due tipi di rumori: quello meccanico proveniente dal generatore e quello aerodinamico proveniente dalle pale del rotore.

Sull’impatto paesaggistico beh, possono non piacere, a me, piacciono. Il minor impatto ambientale-paesaggistico si ottiene collocando gli impianti in mare aperto oltre l'orizzonte visibile dalle coste, anche se è possibile escogitare varie soluzioni anche per le installazioni terrestri. In Scozia, dal 2018, opera il più grande parco eolico offshore d’Europa, Beatrice, 84 turbine da 7 MW ciascuna, per una capacità totale di circa 600 MW: circa 150 kmq di torri eoliche a 15 km dalla costa. Ma è uno degli impianti che sta per rendere la Scozia completamente indipendente dai combustibili fossili, a zero emissioni, e addirittura in grado di riversare l’eccesso di produzione nella rete che alimenta l’Inghilterra.



6. Criticità e sfide della transizione

Nonostante i benefici economici e ambientali, il passaggio a un sistema 100% rinnovabile presenta diverse sfide:

  • Intermittenza delle fonti rinnovabili: richiede soluzioni di accumulo avanzate e una rete elettrica flessibile; ecco perché lo studio analizzato enfatizza il ruolo delle tecnologie Power-to-X.
  • Tempi e burocrazia: le procedure autorizzative per nuovi impianti rinnovabili possono rallentare la transizione.
  • Investimenti ingenti e politiche di supporto: sarà necessario garantire un quadro normativo stabile per attrarre capitali.
  • Occupazione: molte sono le preoccupazioni relative alla grande variazione che il mercato del lavoro potrà subire a causa delle misure energetiche tese alla decarbonizzazione. Sempre secondo il PNIEC si stimano comunque in circa 168 mila gli occupati temporanei medi annui aggiuntivi rispetto a quelli calcolati per lo scenario che invece preveda le politiche correnti  nel periodo 2024-2030, un saldo netto positivo degli occupati permanenti in settori direttamente legati alle energie alternative, nonostante l’inevitabile perdita di posti di lavoro in alcuni settori, quali quelli del carbone o del fossile. In questo campo, occupazionale e sociale, l’Unione Europea è coinvolta a livello globale per realizzare politiche economiche concrete di sostegno alla transizione, quali quelle in corso grazie ad esempio al Just Transition Fund, che mira a fornire sostegno ai territori che devono far fronte a gravi sfide socio-economiche derivanti dalla transizione verso la neutralità climatica.
  • Accettabilità sociale: la maggior parte dei progetti rinnovabili incontrano resistenza a livello locale per impatti paesaggistici e territoriali.

Per concludere

E quest’ultimo è il punto che, personalmente, più mi preoccupa. Già immagino centinaia di comitati e comitatini formarsi per opporsi, duri e puri, a qualsiasi cosa venga loro proposta. A maggior ragione nel nostro paese dove le decisioni o le reazioni sono per lo più di pancia, in assenza di una classe dirigente che sia in grado non solo di motivare alcune scelte, ma nemmeno di pianificarle o prenderle e che, al contrario dell’atteso, cavalca l’onda popolare in cerca di consenso.

Nonostante lo studio dimostri che un'Italia alimentata al 100% da energia rinnovabile entro il 2050 è tecnicamente ed economicamente fattibile c’è un ulteriore aspetto che mi rende estremamente perplesso.

Non tanto perché saranno necessari ingenti investimenti e una forte volontà politica, quanto perché l’impegno concreto dovrà essere affiancato a lungimiranza, qualità assente. Nessuno di noi è immune a questa carenza, perché la nostra società è praticamente costruita sul momento presente: politica ed economia, con la fissa dei piani al massimo biennali o dell’anno fiscale, e delle crescite anno su anno, incoraggiano il pensiero a breve termine, senza considerare affatto il valore del processo, dello sviluppo e della maturazione, sminuendo persino il valore dell’istruzione, esempio illustre di investimento.

Last but not least questo il quadro degli investimenti proposto nel PNIEC, considerando il sistema energetico nazionale (senza considerare le infrastrutture di trasporto), si stima che, nel periodo 2024-2030, occorrano oltre 174 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi cumulati rispetto allo scenario a politiche correnti (pari a un incremento del 27% nel periodo considerato). Tali investimenti sarebbero indirizzati a soluzioni ad alto contenuto tecnologico e di innovazione, che dovrebbero incidere sia dal lato della trasformazione e dell’offerta dell’energia sia da quello del suo utilizzo finale. Impressionante quel 64% del totale destinato al solo settore dei trasporti.

In un paese che ogni anno, ad ogni legge di stabilità (chiamiamola col suo nome, finanziaria!) va centellinando le risorse da investire col bilancino.




Dove trovare le risorse politiche, economiche, sociali e sociologiche necessarie per agire e decidere a lungo termine?