In un mio recente post c’era un breve capitolo dedicato alla matematica, ovvero alla contrapposizione tra la dimostrazione matematica e la prova scientifica in termini di validità e/o veridicità. Vi si afferma che «la conoscenza che deriva dalla logica matematica, invece, è ben più assoluta e definitiva di quella di ogni altra disciplina. Perderemo le nostre città, l'ultima delle piramidi d'Egitto si sgretolerà a terra come accadde alle altre meraviglie del mondo antico, dimenticheremo storie, poemi e le opere d'arte verranno inghiottite nella marea dei secoli, ma le intuizioni di Euclide, l'algebra o il calcolo infinitesimale no, quelli ci accompagneranno anche su un altro pianeta».
Insomma, sicuramente per colpa mia e delle mie scarse conoscenze, per quanto nella pratica le affermazioni siano condivisibili, ho attribuito ai teoremi dimostrati un valore di verità un tantinello eccessivo. Un mio conoscente, ottimo matematico, me lo ha fatto notare e, grazie a lui, mi accingo a modificare il tiro, parlandovi di tale Kurt Gödel, definito il più grande logico dopo Aristotele, un colosso nel suo campo.
Bastano cinque parole per far crollare le certezze di generazioni dopo generazioni di pensatori. A soli 25 anni dimostra che la matematica come la conosciamo fa acqua, e non c'è niente da fare.
Dai tempi di scuola ricordiamo
tutti il paradosso del mentitore, “questa frase non
è vera”. Ne cambia appena una parola e scatena tutta la differenza del
mondo, spostando l'attenzione da un concetto assoluto al di fuori del nostro
controllo, la verità, a uno perfettamente
formalizzabile, la dimostrabilità. Le parole di “questa frase non è
dimostrabile” sono il cuore di un ragionamento formale complesso, difficile
da cogliere anche per i suoi colleghi più brillanti, a cui Gödel mostra come
millenni di storia del pensiero poggino in realtà sull’argilla. Se la frase in
questione è dimostrabile, se cioè possiamo trarla come conseguenza dagli
assiomi, allora è vera, e se è vera è anche vero quel che asserisce e quindi non
è dimostrabile! E allora i nostri assiomi, cioè quegli enunciati che prendiamo
per buoni come regole fondanti della nostra matematica, portano a una
contraddizione: il nostro sistema assiomatico è incoerente.
Cosa che non piace per niente portandoci ad affrontare la cosa da un altro
punto di vista. Che succede se la frase incriminata non è dimostrabile? Significa
che il nostro sistema permette effettivamente enunciati indecidibili, che cioè non si possono dimostrare, ma nemmeno
negare! E allora il nostro sistema è incompleto.
E se aggiungessimo come assiomi gli enunciati indecidibili? Niente da fare: ne
salteranno fuori altri, a loro volta indecidibili: non se ne esce. Qualsiasi
sistema di assiomi che contenga le nozioni base dell'aritmetica ha questo
limite: o è incoerente oppure è incompleto, o avremo contraddizioni oppure
avremo enunciati indecidibili.
E non è nemmeno finita qui. A partire da qualunque sistema assiomatico, cioè un insieme di enunciati che scegliamo di dare per buoni, non c'è modo di dimostrare, partendo da quegli stessi assiomi, che non si contraddicano. Ovvero, nessuna matematica può provare la propria stessa validità.
Queste idee sono la sintesi semplificata di molte pagine di ragionamenti formali estremamente complessi, che passeranno alla storia come «I teoremi di incompletezza di Gödel».
Inizialmente l'accoglienza degli studiosi è tiepida: qualcuno pensa che ci sia un errore, altri semplicemente non capiscono o non ci credeno. Reazioni attese, visto che i suoi teoremi andavano in direzione opposta rispetto a quella immaginata e sperata dal programma di Hilbert, che invece mirava a garantire per la matematica un impianto solido e infallibile.
Gödel però non se ne rammarica. Le critiche non le legge affatto come una cattiva notizia o come una sconfitta del pensiero, anzi. Se attorno a lui le reazioni sono quanto meno scettiche, gli piace invece che esista una differenza tra ciò che è vero e ciò che è dimostrabile: è un matematico platonico. Per lui la matematica non si inventa ma si scopre, e l'esistenza di verità intrinsecamente inaccessibili rende ancora più salda la sua visione.
Comunque, che sia perché le sue scoperte sono un po’ impopolari, perché soffre di disturbi nervosi o per le sue frequentazioni riprovevoli per la società dell’epoca, nel 1939 Kurt Gödel, ben dieci anni dopo la pubblicazione dei suoi clamorosi teoremi di incompletezza, non ha ancora una posizione permanente all'università di Vienna e la sua carriera accademica è molto ostacolata dal clima politico che si respira. Da tempo andava spesso negli Stati Uniti, il Circolo di Vienna era inviso ai nazisti (il suo fondatore fu assassinato nel 1936), finisce anch’egli nella lista nera dei nazisti, e dopo una ridicola aggressione (sua moglie li mise in fuga ad ombrellate) da parte di studenti di estrema destra decide: complice anche il richiamo nelle liste di proscrizione per il servizio militare espatria e con la Transiberiana arriva sul Pacifico, da qui in Giappone e infine, l’Università di Princeton, Stati Uniti.
[1] Un
assioma è un enunciato che per principio è evidente di per sé, e che perciò non
ha bisogno di esser dimostrato. I famosi postulati di Euclide possono essere
considerati assiomi.