Post amareggiato, già
a partire dalla sede, dalle dichiarazioni d’apertura, e dall’aria che tira. Questa
COP parte come atteso: malissimo. E finirà peggio.
«Petrolio, gas e materie prime
sono un dono di dio», queste le parole del presidente azero; ed ha aggiunto
che hanno arricchito il suo paese. Ilham Aliyev nel suo intervento di
apertura alla COP29 di Baku (capitale
dell’Azerbaigian), ha sottolineato ricordandolo che l'Unione Europea gli aveva
chiesto di fornire più gas, dopo la crisi energetica del 2022. «Qualsiasi
risorsa naturale, petrolio, gas, eolico, solare, oro, argento, rame: queste
sono risorse naturali e i paesi non dovrebbero essere incolpati di averle e di
fornirle ai mercati, perché i mercati ne hanno bisogno»; e ci ha messo il
carico dicendo che «I fake news media degli Stati Uniti, il principale
produttore mondiale di combustibili fossili, farebbero meglio a guardarsi allo
specchio».
Touché?
Il Segretario delle Nazioni Unite
António Guterres, che non ha mai nascosto d’essere fortemente schierato affinché
vengano urgentemente rinforzate le politiche di transizione energetica, quando addirittura
ancora non avviate, ha potuto rispondere con un timido vagito che «la
transizione non è un’opzione».
E tutte le associazioni,
pubbliche e private, Onlus, ONG, comitati e movimenti, che hanno chiesto da
mesi di depennare dalle COP i paesi produttori di petrolio? Non pervenute
perché censurate.
E i più grandi tra i grandi
assenti, Cina e Stati Uniti?
Ricordo brevemente cos’è una COP,
che sta per Conference of the Parties. La Convenzione Quadro sui Cambiamenti
Climatici delle Nazioni Unite (UNFCCC in inglese, United Nations Framework
Convention on Climate Change), fu firmata nel 1992 ed è a tutt’oggi il punto di
riferimento per la regolamentazione giuridica sovranazionale in ambito
climatico. È un trattato che fa da strumento operativo per il contrasto al
cambiamento climatico, così come definito
appunto da UNFCCC: "attributed directly or indirectly to human activity that
alters the composition of the global atmosphere and which is in addition to
natural climate variability observed over comparable time periods". Sono 197
i paesi che hanno, ad oggi, ratificato il trattato.
La Convenzione non è un accordo
legalmente vincolante ma ogni paese firmatario ha degli obblighi sanciti, alcuni validi per tutti ed altri solo per i paesi
più sviluppati. Ogni COP, riunita annualmente, è l’organo supremo di controllo
delle parti che hanno ratificato tale accordo, eche lo esercita esaminando l’attuazione
della convenzione. Alle COP possono partecipare come osservatori anche altre
agenzie delle Nazioni Unite, rappresentanti di organizzazioni internazionali,
enti, agenzie e ONG.
Le negoziazioni relative al tema
del cambiamento climatico si svolgono in seno e durante ogni COP. La più famosa
delle conferenze fu COP21, del 2015, che si chiuse con il famoso Accordo di Parigi, quello che prevedeva un impegno collettivo per mantenere il
riscaldamento globale al di sotto di 1,5 °C…a chiacchiere, perché a quanto pare
già quest’anno siamo andati sopra.
Ed ecco pronta un’altra COP ospitata
da un paese la cui economia è fondata sui combustibili fossili.
Di male in peggio quindi.
Panorama azero
L’anno scorso avevo sottolineato
che anche la COP 28 a Dubai era fortemente inquinata (l’allusione è voluta) dal fatto che il
paese ospitante fosse uno dei principali produttori di petrolio al mondo, e
soprattutto che la strategia dei paesi arabi mira chiaramente a massimizzare lo
sfruttamento delle considerevoli riserve petrolifere, rappresentanti oltre la
metà delle risorse globali, finché il mercato del greggio mantiene la sua
rilevanza e prima che sia gradualmente sostituito. La COP28 finì quasi in
clamoroso fiasco, nonostante le dichiarazioni che furono annunciate entusiasticamente; e cosa ci fu allora di meglio a provarlo se non le parole dall'emiro Sultan
Al Jaber, leader degli Emirati Arabi Uniti? «Torneremo alle caverne» disse,
e sottintendeva se non si continuerà ad usare combustibili fossili, a
cominciare dai paesi arabi a cui resterebbe solo la sabbia da vendere.
Gli Stati Uniti, assenti e con Trump
neo(ri)eletto, sono già in odore di uscire da qualsiasi accordo climatico. Per
il presidente USA il cambiamento climatico è una bufala. E ho detto tutto.
Sulla Cina, anch’essa assente, andrei
più cauto. È vero che è attualmente il maggior produttore di CO2
(non storicamente, lì il triste primato è tutto americano) ma è altrettanto
vero che il grande paese ha un piano ambizioso di
decarbonizzazione che, per quanto se ne sa, ha avviato da tempo e intende
rispettare
Storico delle emissioni di biossido di carbonio di Cina e USA comparati col resto del mondo. Grafico interattivo.
Insomma, a Baku è un deja vu:
allarmi, promesse, ipocrisie e il solito capro espiatorio. Mentre ancora contavano i voti in Minnesota, Trump era già indicato come uno dei
colpevoli del fallimento della COP29. È vero, il predecessore e il successore
di Biden ha promesso che, come ho scritto poco fa, farà uscire gli USA dall’Accordo
di Parigi, ma è un pezzo ormai che le COP ostentano autolesionismo e si
sabotano da sole.
Con uno schema ripetuto e
collaudato si passerà attraverso le previsioni catastrofiche, e lungi da me dal fare appunto catastrofismo, di esempi ne
abbiamo a iosa, al messaggio in stile last generation con ultimatum alla
Terra tirando in ballo i soliti tipping points (e anche su questo ne ho scritto a iosa) fino ad arrivare alle grandi promesse durante le
discussioni che quasi H24 terranno impegnati i presenti. Un accordo ci sarà,
sarebbe troppo vergognoso uscirne senza, ma sarà, ancora una volta al ribasso,
tanto si avrà modo di tornarci su, si diranno. E questo la dice lunga su quel
che davvero pensano i leader mondiali del cambiamento climatico.
Almeno fino alla prossima COP,
perché come avevo detto per la COP26
nel 2022, prendendola forse troppo seriamente, ce ne sarà un’altra. Purtroppo?
Ci sono altri grandi assenti. Joe
Biden, Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron, Narendra Modi, Olaf Scholz e Xi
Jinping non presenzieranno e Giorgia Meloni farà un passaggio obbligato dal suo
momentaneo ruolo di capo del G7. Assente persino Luiz Inácio Lula da Silva, il
presidente del Brasile che ospiterà la prossima COP.
Le banche? Assenti. I petrolieri? Tutti presenti!
La via del petrolio e del gas azeri
Il presidente della COP, Mukhtar
Babayev, risiede stabilmente da decenni nella compagnia petrolifera statale azera Socar, e molti osservatori sostengono che l’obiettivo dell’Azerbaigian in
questi giorni è trovare accordi per aumentare le proprie esportazioni di gas
all’estero; grottesco vero? Ma già visto l’anno scorso
a Dubai. E come dimenticare il dettaglio, non è un segreto per nessuno, che l’Azerbaigian sta ospitando la COP
per ripulirsi l’immagine a livello internazionale, dopo l’invasione del
Nagorno-Karabakh e numerose violazioni dei diritti umani denunciate anche
dal Parlamento Europeo? (sull’eterno conflitto tra armeni e azeri suggerisco il
bel video di Stefano Tiozzo).
Ma fare promesse, tutte in odore
di greenwashingè facile. A proposito di verde, avete notato la scelta strategica del
colore dato all’evento azero? Un bel verde…verde petrolio o speranza!
Tanto sarà stata colpa di Trump,
almeno per i prossimi quattro anni. Mai sostenuto il tycoon e la sua politica, ma qualcuno si è accorto che
durante il suo primo mandato presidenziale le emissioni di carbonio pro capite
degli Stati Uniti sono scese dalle 16,1 tonnellate a persona del 2016 alle 14,9
del 2021? E che il suo principale sponsor elettorale, Elon Musk, sia uno dei
più importanti produttori di auto elettriche al mondo? Ancora una volta,
grottesco.
Emissioni 2017-2021 pro capite di cittadini statunitensi comparati con altri paesi. Grafico interattivo.
Con il disimpegno americano dall’Accordo
di Parigi sarà chiaro a tutti quello che già è noto: nel mondo quasi
nessuno ha intenzione di sacrificare la crescita economica e industriale per
raggiungere obiettivi totalmente arbitrari con mezzi costosissimi.
Questa
COP era un fallimento certificato prima ancora di iniziare.
AP/Peter Dejong
Il cambiamento climatico è
innanzi tutto un problema di ordine sociale, con implicazioni drammatiche per
una parte gigantesca dell’umanità.
Quella
parte da sempre ignorata dell’umanità. Ciò che una volta veniva chiamato
sud (globale) del Mondo e che ora, a comprendere minoranze che non
necessariamente vivono a sud dell’Equatore ed altre comunità emarginate, è
stato chiamato MAPA,
Most Affected People and Areas.
[Edit del 13/11/2024] Le parole rivolte ai partecipanti
alla COP29 da parte del Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano,
ne amplificano la portata: «Quando si parla di finanziamenti per il clima, è
importante ricordare che il debito ecologico e il debito estero sono due facce
della stessa medaglia, che ipotecano il futuro». E ancora, ricordando le
parole del Papa: «Le nazioni più ricche riconoscano la gravità di tante
decisioni prese e stabiliscano di condonare i debiti di Paesi che mai
potrebbero ripagarli. Prima che di magnanimità, è una questione di giustizia,
aggravata oggi da una nuova forma di iniquità di cui ci siamo resi consapevoli:
c’è infatti un vero ‘debito ecologico’, soprattutto tra il Nord e il Sud,
connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure
all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni
Paesi».[fine]
Volete la prova? L’1% più ricco della popolazione mondiale (rapporto Oxfam
“Climate Equality”, novembre 2023) è responsabile del 16%
delle emissioni globali di carbonio. Lo stesso quantitativo prodotto dal 66% più povero dell’umanità. Un altro indicatore dello
stile di vita insostenibile, come quando si dice che uno svizzero consuma 10
volte più di un eritreo.
[Edit del 14/11/2024]Nel suo intervento odierno, intervento di prammatica in quanto momentaneo capo del G7, Giorgia Meloni ha detto, tra le varie cose «dobbiamo proteggere la natura con l'uomo al suo centro». Niente di peggio. È proprio l'antropocentrismo che crea la non esistente antitesi uomo-natura alla radice dell'atteggiamento di superiorità degli esseri umani sul resto della natura; che invece non è altro da noi, ma ne siamo parte, ricordando con umiltà che siamo qui solo da 200.000 anni e che per tutto il resto del tempo, 4 miliardi di anni, ovvero almeno 20.000 volte di più, la natura ha fatto a meno di noi.[fine]
Ricordando da quanti decenni si parla, e basta, di cancellazione del debito dei paesi poveri il sillogismo con lo squilibrio delle responsabilità ambientali e climatiche sarà chiaro.
Così come finora i paesi ricchi,
che sono anche i più inquinanti, non hanno pagato nessun extra per tentare di
ridistribuire la ricchezza e migliorare la vita della maggioranza dell’umanità,
questi stessi paesi non hanno realmente intenzione di pagare quel che anni fa,
nel suo libro sul clima, Bill Gates (molto più esperto ed attento di quanto si ritenga) ha definito Green Premium.
Un’azione climatica davvero
efficace deve introdurre e partire dalla più grande delle emergenze: le disuguaglianze economiche. Omettere dal quadro
generale tutti gli aspetti di giustizia sociale e redistribuzione delle risorse
non porta da nessuna parte. Se l’umanità non capirà che la transizione
energetica è innanzi tutto un problema sociale non sarà mai davvero conscia
della gravità del cambiamento climatico.
Concedetemi un’ultima amarezza: le
rinnovabili? Nonostante i 3870 GW (IRENA, marzo 2024) di energia prodotta da fonti
esclusivamente rinnovabili, laddove il fotovoltaico da solo rappresenta quasi i
tre quarti del totale, la quota di energia da combustibili fossili è ancora
superiore all’80%, appena cinque punti in meno che nel 2015, ai tempi dell’Accordo
di Parigi. E non perché non stiamo aggiungendo rinnovabili (500 GW solo nel
2023), ma perché non le usiamo per sostituire le fonti fossili, ma vengono
aggiunti al fabbisogno energetico complessivo. Un grafico ostentato con orgoglio che rappresenti un aumento delle rinnovabili, privo di contesto, è narrare di una lotta al cambiamento climatico inesistente.
Non è energia che ha sostituito le fonti fossili, ma energia che si è
aggiunta allo status quo. E ciò non significa transizione.
Scetticismo, delusione
e rammarico crescono. Non servirà a niente
quel minimo di impegno che qua e là emerge. Come fare la
differenziata e buttare tutto in discarica.
[Nota - Proprio
mentre stavo completando questo post, l’amico Aldo Piombino sul suo blog pubblicava più o
meno quanto stavo andando a fare. Oltre al piacere di sapermi nel novero di
quanti ci hanno pensato, non mi resta altro che completare il lavoro e
sottoporvelo, anche perché i media, di questa cosa, non ne stanno praticamente
parlando]
I media, per ora,
tacciono. Salvo pochi siti specialistici o vicini ai paesi a cui è
principalmente indirizzata, non si trovano notizie. Al contrario di quel che
accadde nel 2019 quando venne fuori la famigerata lettera dei 500 che, con gran clamore,
annoverava ben 500 scienziati tra i firmatari che, in breve, negavano
del tutto il cambiamento climatico. E come non ricordare il clamore mediatico
che se ne fece, amplificato dalla grancassa dei social. Come un disco rotto la
si citava dappertutto, poi dice che dietro il negazionismo climatico non ci sia
una strategia. Peccato che allora di quei 500, supposto che ci fossero davvero,
nessuno apparteneva ai necessari settori di ricerca e di competenza per
poter commentare fatti e dati, esprimere ipotesi e produrre teorie e modelli
scientifici concreti. Di contro, si guardi in coda al post l’elenco di questi
40 firmatari, le materie e gli istituti di ricerca di provenienza dei firmatari
di questa lettera. I cui curricula mi sono preso la briga di riportare in collegamento,
uno per uno.
Pubblico quindi la
traduzione della letterasiglata da 40
scienziati del clima. Il Consiglio Nordico dei Ministri, istituito nel 1971 è l'organizzazione intergovernativa
istituita da Danimarca, Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia e dai loro
territori autonomi (Groenlandia, Faroe e Åland) nel quadro della cooperazione
nordica. Si tratta di un insieme di consigli che riuniscono i ministri di
ciascun paese su un argomento specifico.
Dell’AMOC (Atlantic
Meridional Overturning Circulation), di cui la Corrente del Golfo fa parte, e
dei relativi rischi dati dal suo collasso ne ho accennato qui,
e del suo equivalente nel Pacifico qui.
Per un approfondimento ed un viaggio appassionante lungo la corrente
cito il bel libro di Lorenzo Colantoni che ho avuto il piacere di leggere e
recensire per la rubrica Sigea “La scienza
e la tecnica raccontate”. Qui
la recensione che contiene, come sempre, un mio approfondimento.
Insomma, come ho già
avuto modo di dire, siamo al tipping point.
Lettera aperta degli scienziati del clima al Consiglio Nordico dei Ministri
Reykjavík, ottobre 2024
Noi
sottoscritti, scienziati che
lavorano nel campo della ricerca sul clima, riteniamo urgente richiamare
l'attenzione del Consiglio Nordico dei Ministri sul preoccupante rischio di un grave
cambiamento della circolazione oceanica nell'Atlantico. Una serie di studi
scientifici condotti negli ultimi anni indica come questo rischio sia stato
finora notevolmente sottovalutato. Un tale cambiamento della circolazione
oceanica avrebbe impatti devastanti e irreversibili soprattutto per i paesi
nordici, ma anche per altre parti del mondo.
Variazione
media annua della temperatura in uno scenario futuro idealizzato di raddoppio
delle emissioni di CO2 in cui l'AMOC è completamente collassato. Da notare l'effetto collaterale di ampliamento del cosiddetto "blob freddo" dell'Atlantico settentrionale e artico. Fonte: Science.
La
scienza conferma sempre più che la regione artica è strategica [NdA: “ground zero” nell’originale] per la
modellazione dei rischi climatici
da punto di non ritorno [NdA: “tipping point”] e per la regolazione
del clima in tutto il pianeta. In questa regione, la calotta glaciale della
Groenlandia, il ghiaccio marino del Mare di Barents, i sistemi di permafrost
boreale, la formazione di vortici subpolari in acque profonde e il “Capovolgimento
meridionale della circolazione atlantica” [NdA: Atlantic Meridional
Overturning Circulation (AMOC)] sono tutti fenomeni vulnerabili a causa
di importanti cambiamenti non lineari interconnessi tra loro. L'AMOC, il meccanismo
dominante del trasporto verso nord del calore nell'Atlantico
settentrionale, determina le condizioni di vita di tutte le persone nella
regione artica e oltre ed è sempre più a rischio di superare un punto di non
ritorno.
I
rischi di punto di non ritorno sono reali e possono verificarsi nell'intervallo
climatico di 1,5-2 °C stabilito dall'Accordo di Parigi. Il mondo si sta
attualmente dirigendo ben oltre questo intervallo (> 2,5 °C). Nel
rapporto di sintesi dell'IPCC (2023) si afferma con elevata sicurezza che la
probabilità di cambiamenti bruschi o irreversibili nel sistema climatico
aumenta con il livello di riscaldamento globale, e allo stesso modo aumenta
la probabilità di esiti che possono essere considerati a bassa probabilità ma
sono associati a impatti negativi potenzialmente molto ampi. L'IPCC inoltre,
specifica che «i rischi associati a eventi singolari su
larga scala o punti di non ritorno ... si trasformano in rischio elevato nel
caso in cui si passi all’intervallo 1,5 °C-2,5 °C» di riscaldamento globale.
Un recente rapporto dell'OCSE [NdA: 2021] ha
concluso che «le attuali prove
scientifiche sostengono inequivocabilmente l’urgenza con cui che
dovranno essere intraprese ambiziose contromisure per contrastare i rischi i
rischi dati dai punti di non ritorno del sistema climatico».
Per quanto riguarda il rischio di collasso della
circolazione oceanica nell'Atlantico, l'IPCC conclude [NdA: Sesto rapporto,
2022] che «c'è un grado medio di
confidenza[NdA: “medium confidence”] che l’AMOC non
collasserà bruscamente prima del 2100, ma se ciò dovesse verificarsi, molto
probabilmente causerebbe bruschi cambiamenti nei modelli meteorologici
regionali e grandi impatti sugli ecosistemi e sulle attività umane».
Recenti
ricerche successive all'ultimo rapporto dell'IPCC suggeriscono che l'IPCC abbia
sottovalutato questo rischio e che il superamento di questo punto di non
ritorno sia una seria possibilità già nei prossimi decenni.
Nonostante
le significative ricerche sulla possibilità e sui meccanismi di un collasso, la
probabilità di un tale evento rimane altamente incerta. Lo scopo di
questa lettera è quello di attirare l'attenzione sul fatto che solo la “media
confidenza” nel fatto che l'AMOC non collassi non è rassicurante, e lascia
chiaramente aperta la possibilità di un collasso dell'AMOC durante questo
secolo. E c'è una probabilità ancora maggiore che un collasso possa innescarsi
in questo secolo, ma si manifesti pienamente solo nel prossimo.
Alla
luce delle crescenti prove di un rischio più elevato di collasso dell'AMOC,
riteniamo che sia di fondamentale importanza che i rischi da punto di
non ritorno nell'Artico, in particolare il rischio AMOC, siano presi sul
serio nella governance e nella politica. Anche con una probabilità media di
accadimento, dato che l'esito sarebbe catastrofico e avrebbe un impatto
sull'intero mondo per i secoli a venire, riteniamo che sia necessario fare
di più per ridurre al minimo questo rischio.
Gli
impatti, in particolare sui paesi nordici, sarebbero probabilmente catastrofici,
tra cui un forte raffreddamento nella regione, mentre le regioni circostanti si
riscaldano (si veda la figura). Ciò costituirebbe un allargamento e un
approfondimento della "macchia fredda" [NdA: “cold blob”]
che si è già sviluppata sull'Oceano Atlantico subpolare, e probabilmente
porterebbe a condizioni meteorologiche estreme senza precedenti. Sebbene
gli impatti sui modelli meteorologici, sugli ecosistemi e sulle attività umane necessitino
di ulteriori studi, essi potrebbero potenzialmente minacciare la
redditività dell'agricoltura nell'Europa nordoccidentale.
È
probabile che molti altri impatti si facciano sentire a livello globale,
tra cui uno spostamento delle cinture pluviometriche tropicali, una riduzione
dell'assorbimento di biossido di carbonio negli oceani (e quindi un
aumento atmosferico più rapido), nonché un ulteriore innalzamento del
livello del mare, in particolare lungo la costa atlantica americana, e uno sconvolgimento
degli ecosistemi marini e della pesca.
Riconoscendo
che l'adattamento a una catastrofe climatica così grave non è un'opzione
praticabile, esortiamo il Consiglio Nordico dei Ministri ad (a)
avviare una valutazione di questo rischio significativo per i paesi nordici
e (b) adottare misure per ridurre al minimo questo rischio il più
possibile. Ciò potrebbe comportare sfruttare la forte posizione internazionale
dei paesi nordici per aumentare la pressione per una maggiore urgenza e
priorità nello sforzo globale per ridurre le emissioni il più rapidamente
possibile, al fine di rimanere vicini all'obiettivo di 1,5 °C fissato
dall'accordo di Parigi.
_________________________________ I firmatari, in ordine alfabetico. Fin dalla Tasmania e dalla Cina, nemmeno
un italiano. Che tristezza.
Prof. Guðfinna Th Aðalgeirsdóttir, University of Iceland, Faculty of Earth Science
Prof. Nathan Bindoff,
University of Tasmania, Australia
Dr. Halldór Björnsson, Icelandic Met Office, Iceland
Prof. Andreas Born,
Bjerknes Centre for Climate Research and University of Bergen, Norway
Prof. Niklas Boers,
Potsdam Institute for Climate Impact Research & Technical University of
Munich, Germany
Dr. Rei Chemke, Weizmann
Institute of Science, Israel
Dr. Lijing Cheng,
Institute of Atmospheric Physics, Chinese Academy of Sciences
Prof. John Church,
University of New South Wales, Australia
Dr. Femke de Jong,
NIOZ Royal Netherlands Institute for Sea Research, Netherlands
Prof. Peter Ditlevsen, University of Copenhagen
Prof. Sybren Drijfhout,
University of Utrecht, Netherlands; University of Southampton, UK
Prof. Matthew England,
University of New South Wales, Australia
Dr. Georg Feulner,
Potsdam Institute for Climate Impact Research, Germany
Dr. Kikki Flesche Kleiven, Bjerknes Centre for Climate Research, Norway
Prof. Áslaug Geirsdóttir,
University of Iceland, Faculty of Earth Science, Iceland
Dr. Sjoerd Groeskamp, NIOZ Royal Netherlands Institute for Sea Research, Netherlands
Prof. Steingrímur Jónsson, University of Akureyri and Marine and Freshwater Research
Institute, Iceland
Prof. Caroline Katsman,
Civil Engineering and Geosciences, Delft University of Technology, Netherlands
Dr. Torben Koenigk, Rossby Centre, Swedish Meteorological and Hydrological Institute,
Sweden
Prof. Joseph Henry Lacasce, University of Oslo, Norway
Prof. Tim Lenton, University of Exeter, UK
Prof. Anders Levermann,
Potsdam Institute for Climate Impact Research, Germany
Prof. Wei Liu,
University of California Riverside, USA
Prof. Gerrit Lohmann, Alfred Wegener Institute, Germany
Prof. Michael Mann,
University of Pennsylvania, USA
Dr. Gerard McCarthy, Maynooth University, Ireland
Dr. Elaine McDonagh, NORCE and Bjerknes Centre for Climate Research, Norway, &
National Oceanography Centre, UK
Prof. Trevor
McDougall, University of New South Wales, Australia
Dr. Joonas Merikanto, Finnish Meteorological Institute, Finland
Prof. Sebastian Mernild, SDU Climate Cluster, University of Southern Denmark
Prof. Ulysses Ninnemann, Bjerknes Centre for Climate Research and University of Bergen,
Norway
Prof. Stefan Rahmstorf,
Potsdam Institute for Climate Impact Research, Germany
Prof. Markus Rex, Alfred Wegener Institute, Germany
Prof. Katherine Richardson, University of Copenhagen, Denmark
Prof. Johan Rockström, Potsdam Institute for Climate Impact Research, Germany
Dr. Anastasia Romanou, NASA Goddard Institute for Space Studies, and Columbia University,
USA
Prof. Angel Ruiz-Angulo,
University of Iceland, Faculty of Earth Science
Prof. Thomas Stocker,
University of Bern, Switzerland
Dr. Didier Swingedouw, French National Center for Scientific Research (CNRS), France
Prof. David Thornalley, University College London, UK
Prof. Petteri Uotila, University of Helsinki, Finland
Prof. Yulia Yamineva, University of Eastern Finland, Finland
Dr. Chenyu Zhu,
Institute of Atmospheric Physics, CAS, China
Pubblico questo post per intero, nonostante la sua lunghezza, ma dividendolo al suo interno in due parti. Mi rendo conto che scrivere su un blog contenuti eccessivamente lunghi è controproducente, anche se cosa apprezzata dalla mia grafomania e dal mio ego. Ma l’argomento trattato è complesso e, per i non addetti ai lavori ma non solo, occorre un ampio preambolo, calarsi nell’argomento e, dove necessario, magari ripetere brevemente qualche concetto. Ci ho lavorato parecchio e la decisione se pubblicare o meno si è fatta attendere a lungo. Si tenga infine conto che la lunghezza è in parte apparente: per mantenerne l'efficacia ho preferito presentare molte immagini in grande formato.
Dopo una breve introduzione che va letta per inquadrare gli argomenti, quanto segue della prima parte potrà essere escluso da parte di coloro che hanno le necessarie conoscenze, soprattutto di geologia e di geotermia. La seconda sarà invece per tutti, e completamente dedicata alla nuova tecnologia. I numeri tra parentesi quadre nel titolo dei capitoli indicano a quale parte appartiene l'argomento.
La necessità di esporre con dovizia di particolari l’argomento nasce essenzialmente da un paio di motivi.
In primo luogo, le notizie su questa tecnologia, sull’azienda che la sta portando avanti, e su quanto intorno a tutto ciò si va formando, non sono molte, e soprattutto concentrate in un breve arco di tempo relativo a poco più di due anni fa, nonostante la Quaise Energy, l’azienda protagonista di queste pagine, sia stata fondata nel 2018. Si contano sulla punta delle dita le testate online italiane che ne hanno trattato tutte con una serie di articoli quasi in fotocopia: sembra inoltre che in pochi ne abbiano capito l’importanza e parecchi hanno fatto una grandissima confusione tra energia nucleare da fusione e geotermia. Recentemente qualcuno ne ha riparlato a seguito dell’annuncio di nuovi investimenti ricevuti e di alcuni test sul campo svoltisi con successo.
Inoltre, secondo e più importante motivo, è che se quanto questa azienda promette potrà essere realizzato, e lo fa su solide basi scientifiche e tecniche, si potrà finalmente iniziare a parlare di indipendenza energetica a disposizione di qualsiasi paese al mondo, sfruttando il calore pressoché inesauribile, alla scala umana, del nostro pianeta, ma non quello disponibile in poche aree caratteristiche e piuttosto rare, ma quello che è sotto i piedi di ognuno di noi, a profondità che sono tuttora irraggiungibili, ma che potrebbero essere sfruttate, almeno in teoria, molto prima di quanto si pensi e soprattutto, per iniziare davvero ad operare contromisure adatte a contrastare davvero gli effetti negativi del cambiamento climatico. Questo è il motivo principale che mi ha spinto a condensare in questo post quel che ritengo essere una speranza concreta per il futuro energetico del pianeta che, ironicamente, ci verrà in soccorso nonostante si stia facendo di tutto per renderlo inospitale per la gran parte della biosfera, a cominciare da noi.
In questo capitolo verrà data qualche informazione di base sull'azienda e sulla sua tecnologia, necessaria per familiarizzare con i concetti e allacciarsi a quanto verrà indicato negli altri capitoli della prima parte, e ovviamente approfondite nella seconda. I dettagli a suo tempo. Chi già conosce gli argomenti trattati nella prima parte potrà andare direttamente alla seconda.
Figura 1. Quaise sostiene di avere un
piano, e la tecnologia, per perforare più in profondità che mai e sbloccare la
vasta energia geotermica della Terra per rialimentare le centrali elettriche a
combustibili fossili con fonti energetiche rinnovabili e sostenibili (Quaise)
La ricerca di fonti energetiche rinnovabili e sostenibili deve essere una priorità imprescindibile. Tra le innovazioni più promettenti, Quaise Energy, un spin-off del Massachusetts Institute of Technology (MIT), sta rivoluzionando il settore dell’energia geotermica con una tecnologia realmente senza precedenti, quel che in inglese sarebbe definito disruptive.
Quaise Energy è un’azienda nata dalla volontà di diverse persone, con una larga partecipazione di tecnici e ricercatori del MIT, il famosissimo Massachusetts Institute of Technology. All'avanguardia in una particolare tecnologia di perforazione, volta a sbloccare l'energia geotermica disponibile a profondità senza precedenti, e che potrebbe fornire una fonte di energia pulita pressoché illimitata. Anticipando quanto sarà illustrato in dettaglio più avanti, il fulcro del loro approccio consiste nel combinare la tradizionale perforazione rotativa con l'avanzata tecnologia a onde millimetriche alimentata dal cosiddetto girotrone (il suffisso -trone, derivato in genere da termini inglesi, ricorderà subito qualcosa legato al mondo della fisica nucleare, come il sincrotrone, il ciclotrone, o lo stesso elettrone, che però essendo il capostipite in questo caso deriva dal greco); i metodi in uso nei girotroni sono stati inizialmente e ampiamente sviluppati nel settore della ricerca sull’energia nucleare, allo scopo di generare le temperature necessarie ad innescare il processo di fusione nucleare. Precisiamo che l'utilizzo del girotrone, anche se tecnologia nata nell'ambito della ricerca sulla fusione nucleare, non ha nulla a che fare con l'utilizzo di "energia nucleare"tout court.
Figura 2. Spettro elettromagnetico con evidenza della banda millimetrica (5G Technology)
Le onde cosiddette millimetriche sono radiazioni elettromagnetiche con lunghezze d'onda più corte delle microonde, ma più lunghe della luce visibile o infrarossa. Hanno infatti frequenze comprese tra i 30 e 300 GHz e lunghezze d’onda variabili da 1 a 10 millimetri. Per confronto un forno a microonde, che non usa onde millimetriche, utilizza normalmente frequenze pari a 2,45 GHz, e la banda elevata della trasmissione dati 5G è pari circa 27 GHz.
Il processo inizia con la perforazione rotativa convenzionale per penetrare gli strati superficiali della Terra, generalmente meno resistenti o, laddove possibile e per i primi chilometri, è previsto l’utilizzo dei pozzi esistenti e dismessi di impianti non più produttivi, in modo da superare rapidamente gli strati iniziali. Una volta raggiunta la dura roccia del basamento, la tecnologia Quaise inizia ad utilizzare questi fasci elettromagnetici ad altissima energia generati dai girotroni, in grado di vaporizzare letteralmente la roccia e spingersi fino a profondità di 20 km. In tal modo sarebbe possibile raggiungere l'energia geotermica derivante da rocce caldissime, almeno 500 °C, molto più velocemente e più in profondità rispetto ai metodi di perforazione convenzionali, che si trovano ad affrontare condizioni di calore, di durezza o più spesso di eccessiva plasticità della roccia, estremamente complesse da risolvere.
Questo approccio presenta diversi vantaggi:
Scalabilità. Il sistema di Quaise potrebbe essere implementato quasi ovunque sulla Terra, consentendo l'accesso all'energia geotermica ben oltre le aree tradizionalmente atte ad erogare questo tipo di energia, e spesso ampiamente noti e sfruttati.
Riutilizzo delle infrastrutture esistenti. La loro tecnologia può riqualificare le centrali elettriche a combustibili fossili, utilizzando il calore proveniente da fonti geotermiche per produrre elettricità, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili senza nuovi investimenti infrastrutturali.
Vantaggi ambientali. La perforazione geotermica ultra-profonda non solo è rinnovabile, ma riduce anche significativamente l'uso di terreni e materiali rispetto ad altre fonti rinnovabili come il solare o l'eolico.
Nonostante la complessità, Quaise mira ad avere un sistema industriale funzionante entro il 2026, con una tempistica che include lo sviluppo del prototipo e i test sul campo, attualmente in atto, entro il 2024. Perforando più in profondità e accedendo a temperature più elevate, questa tecnologia ha il potenziale per fornire energia sostenibile e stabile su scala globale, che potrebbe svolgere un ruolo importante nella riduzione delle emissioni di carbonio e nel passaggio a energia netta a zero emissioni entro il 2050.
Ovviamente ci sono ancora alcune sfide ingegneristiche da affrontare, in particolare legate alla rimozione del materiale e alla stabilità del pozzo, ma la fisica sottostante è stata convalidata, fornendo una prospettiva promettente per l'espansione di questa tecnologia.
Per quanto questo articolo sarà basato interamente su ciò che la Quaise Energy è ad oggi in grado di prospettare per il prossimo futuro, la ricerca in tal senso non è nuova e, ancorché anche loro allo stadio di prototipo e di test avanzati come in Quaise, esiste almeno un'altra realtà sicuramente concorrente, quella della GA Drilling (dove quel GA sta per geothermal anywhere) con la loro tecnologia “Plasmabit” basata sull’utilizzo di plasma, gas ionizzato ad altissima temperatura, e non è dato sapere di più visto che l'azienda si appella, come atteso, al segreto industriale. Ma questa è un’altra storia che, insieme alla Quaise, potrebbe portare presto a soluzioni energetiche alternative e soprattutto disponibili ovunque sulla Terra.
A questo punto coloro i quali lo ritengano opportuno potranno andare direttamente al primo capitolo della seconda parte.
Figura 3. Grafico schematico di profondità/temperatura per le risorse geotermiche (EnvGeo)
Che la temperatura salga man mano che si procede all’interno della Terra lo sapeva anche Jules Verne, ma lo scrittore probabilmente sapeva di fare molta più fantasia che scienza, considerando che il calore fermerebbe qualunque essere umano non molto dopo, rispetto alla profondità del centro della Terra[1]. Superata la prima ventina di metri di profondità, una fascia tutto sommato omeoterma e, a parità di altre condizioni, influenzata direttamente dalle condizioni meteorologiche della zona, la temperatura scende con una certa regolarità. Al di sotto dello strato omeotermo la temperatura aumenta con un incremento che, mediamente, varia da circa 1 °C ogni 30 m di profondità in corrispondenza della crosta continentale, fino ad 1 °C ogni 10 m sui fondali oceanici in corrispondenza delle dorsali: questa variazione è definita gradiente geotermico. Il tutto può variare sensibilmente in funzione sia delle coordinate geografiche in cui ci si trova che della origine e composizione delle rocce sottostanti.
Le cause che hanno contribuito alla formazione del calore attualmente presente all'interno della Terra sono molteplici. La quasi totalità delle emissioni termiche dalla crosta terrestre deriva dal decadimento degli isotopi radioattivi presenti nelle sue rocce, in particolare quelle acide, che contengono isotopi di uranio, torio e potassio, tutti con tempi di dimezzamento molto lunghi, e che sarebbero responsabili anche della fusione dei metalli, in particolare del ferro che costituisce l'elemento più abbondante del nucleo terrestre. Il ferro inoltre, spostandosi verso il centro della Terra a causa della gravità, avrebbe liberato grandi quantità di energia gravitazionale sotto forma di calore, alzando ulteriormente la temperatura. A tutto ciò va aggiunto il calore dovuto alla pressione che incrementa la densità delle rocce e quindi gli attriti man mano che si procede all’interno.
Va notato che, per quanto diversamente possa sembrare, il flusso di calore proveniente dall'interno della Terra è solo 1/20.000 del calore che la Terra riceve dal Sole. La quantità totale di energia che ogni secondo investe la Terra, decurtata della parte riflessa (che è circa il 30% di quella incidente), è pari a 170.000 TW, ovvero 1,717 Joule/s; per fare un confronto la quantità totale che viene utilizzata a scopi energetici sul pianeta, per tutto, dal traffico aereo ai caricabatteria, è pari a 13 TW, arrivando a 40 TW se consideriamo qualsiasi attività dell'umanità nel suo complesso. I valori geotermici sopra riportati sono comunque valori medi, che entro la crosta superiore si possono misurare in aree continentali prive di una significativa circolazione idrotermale che possa determinare, attraverso fenomeni convettivi, la risalita di fluidi a temperatura elevata. In queste aree relativamente più fredde si ha un flusso termico alla superficie di circa 0,045-0,09 W/m2. Solo quando il flusso termico misurato in superficie eccede il valore di 0,09-0,1 W/m2, abbiamo invece un'area caratterizzata da una significativa anomalia geotermica, con una attiva circolazione idrotermale e quindi potenzialmente ricca in fluidi geotermici. Nonostante si tratti di valori estremamente bassi se comparati con i 300 W/m2ricevuti dal Sole, il Dipartimento dell’Energia degli USA ha stimato che, se potessimo catturare soltanto lo 0,1% del calore contenuto nel pianeta potremmo sopperire al fabbisogno energetico dell’umanità per i prossimi due milioni di anni.
Le fonti di calore sul pianeta sono a volte molto vicine alla superficie, al punto da generare una serie di fenomeni che vanno dalle eruzioni vulcaniche alle sorgenti idrotermali di acque più o meno calde, passando per fumarole, fanghi in ebollizione, soffioni e geyser. In alcuni casi queste fonti sono utilizzabili a scopi energetici: stiamo quindi parlando di geotermia e tutto quel che ne consegue.
Figura 4. Effetti in superficie di vulcanismo secondario causati da una camera magmatica superficiale (EnvGeo)
In Figura 4 è rappresentato schematicamente quanto potrebbe essere possibile individuare nel sottosuolo di località che ospitano un campo geotermico, come quello di Larderello (PI), che ha la sua fonte in un’intrusione di magma semifuso tra i 7 ed i 9 km di profondità.
Limitandoci alla grande distribuzione, non considerando quindi il campo delle sonde geotermiche verticali e delle pompe di calore per il privato, la geotermia non è comunque disponibile con capillarità, e soprattutto non è dappertutto, nonostante il calore aumenti con la profondità ovunque. Come fonte energetica presenta, almeno in teoria, una lunga serie di vantaggi: è una risorsa disponibile 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, è rinnovabile e ha impatti ambientali estremamente limitati, laddove non inneschi fenomeni di subsidenza causati dal prelievo massiccio di fluidi, o non interferisca con la sismicità della zona, e soprattutto evitando o contenendo altri tipi di impatti di varia natura, i quali sono spesso usati in maniera strumentale per boicottare i progetti.
Fatte queste debite premesse vanno innanzi tutto considerati gli aspetti economici: importanti perché la geotermia richiede risorse economiche iniziali più elevate rispetto alle altre fonti di energia, tali che per le centrali per la produzione di energia elettrica o per impianti di teleriscaldamento sono richiesti investimenti che variano dai 75 ai 100 milioni di euro, e tempi di realizzazione decisamente lunghi, dai 10 ai 15 anni prima della messa in esercizio della centrale.
Figura 5. Consumo di energia per sorgente. Il geotermico è in quel 1,41% di "altre rinnovabili" (Ourworldindata.org)
Il problema principale rimane quello della rarità delle condizioni necessarie a fornire i requisiti per produrre energia geotermica, e stando a quelle che sono le previsioni fatte da parte di enti specializzati, sembrerebbe che quel che c’era da utilizzare sulla Terra in termini di geotermia sia stato praticamente già sfruttato, e quanto restante, ancorché abbondante in talune regioni del pianeta, antieconomico rispetto ad investimenti in altri settori legati al mondo delle energie alternative.
Per quanto riguarda la copertura che le fonti geotermiche offrono, in assoluto o rispetto alle altre rinnovabili, lasciamo parlare i numeri, ad iniziare dal grafico di Figura 5.
I leader indiscussi restano gli Stati Uniti, e in quello che viene definito il Club del Gigawattentrano, con questi, Indonesia, Filippine, Turchia e Nuova Zelanda. Interessante il dato europeo: per quanto l’Islanda sia considerata, nell’immaginario collettivo, come il paradiso delle fonti geotermiche è quasi il fanalino di coda lasciando l’Italia, con i suoi 0,9 GW, leader europea e che, a livello nazionale, rappresenta circa il 2 percento del fabbisogno nazionale (il 6,9% di quel 26,9% di rinnovabili). Davvero poco[2].
Figura 6. Classifica, in MW, della produzione da geotermico (Think Geoenergy)
Figura 7. Produzione e consumo energetico in Italia (Terna)
Ma, approssimando il totale della produzione nazionale, quanto pesa 1 GW di potenza energetica nominale sul fabbisogno? Potremmo dire che rappresenta il fabbisogno di una città di media grandezza ma le variabili in gioco sono tantissime e la realtà è molto vicina a quanto evidenziato dalla serie di istogrammi della Figura 8, con una media calcolata sulla potenza oraria impegnata, che per l’Italia è di circa 35 GW.
Figura 8. Potenza oraria relativa al consumo interno lordo di energia elettrica in Italia nel dicembre 2017 (Terna)
In tutto questo, come non ultimo problema, la fonte energetica, i fluidi caldissimi necessari a generare il vapore che alimenta le turbine, vanno cercati e occorre andare a prenderseli, con impianti che non sono poi così tanto diversi da quelli petroliferi o di estrazione di gas naturale e che possono riservare amare sorprese rispetto alle aspettative iniziali, per quanto studiate con cura.
In conclusione, dove le fonti di calore sotterranee si trovano naturalmente vicino alla superficie, facilmente accessibili e abbastanza vicine a una rete elettrica rilevante per una trasmissione economicamente sostenibile, la geotermia diventa un raro esempio di generazione di energia verde totalmente affidabile e disponibile 24 ore su 24. Il sole smette di splendere, il vento smette di soffiare, ma la roccia è sempre calda. Naturalmente, queste condizioni sono piuttosto rare e, di conseguenza, la geotermia attualmente fornisce solo circa lo 0,3% del consumo energetico globale.
Figura 9. Schema di impianto geotermico binario (Sorgenia)
Anche se tutto sommato marginale, si tenga inoltre presente una cosa. Le centrali geotermiche attualmente presenti sono quasi tutte di tipo tradizionale, sfruttano direttamente i fluidi geotermici per produrre vapore che alimenta le turbine: oltre a necessitare di condizioni piuttosto rare in questo modo questi arrivano in superficie e con essi anche biossido di carbonio, idrogeno solforato e altri composti più o meno inquinanti. Solo da relativamente poco tempo si utilizzano i cosiddetti impianti geotermici binari che utilizzano fluidi a temperature relativamente basse (anche meno di 200 °C) immessi in uno scambiatore di calore, a scaldere un fluido organico che bolle a una temperatura più bassa dell’acqua. Il vapore del fluido organico alimenta la turbina e l’acqua raffreddata viene rimandata nel sottosuolo. Il vapore, infine, viene fatto condensare raffreddandolo ad aria, così da non usare acqua neanche per il raffreddamento. Nessun consumo di risorse, se non quello del calore sotterraneo, e nessuna emissione.
Sorgenia, con tutte le autorizzazioni in regola, Italia ha avviato nel 2022 il primo impianto binario italiano. Sempre che, come accadde all'inizio, qualche comitato o qualche sovrintendente di turno non blocchi tutto.
Figura 10. Le torri di raffreddamento dell'impianto di Larderello (PI) (ENEL)
Figura 11. Una centrale geotermica situata nella penisola di Reykjanes, in Islanda. (Johann Ragnarsson/Shutterstock)
Figura 12. L'impianto geotermico di FRI-EL Geo a Ostellato (FE) (FRI-EL Geo)
Eppure sembra che la geotermia in Italia stia vivendo apparentemente una seconda primavera, considerando che, piuttosto che rifarsi sempre alle glorie passate – il ritornello che siamo stati i primi al mondo fin dal 1911 o addirittura citare gli etruschi – se ne sente parlare in termini nuovi ancorché potenziali. La parola che viene ripetuta più spesso è appunto “potenzialità”, mi si perdoni il gioco di parole: sembra che il nostro paese abbia un potenziale energetico geotermico che va da 5.800 a 116.000 TWh (ENEL) il che, a fronte di una produzione annua di energia elettrica di circa 300 TWh, fa pensare che basterebbe estrarre una piccola frazione di questo potenziale per soddisfare qualsiasi necessità energetica nazionale, e con i dati relativi ai soli primi 5 km di profondità – concetto quest’ultimo che tornerà utile in seguito. L’intervallo tra quei 5.000 e quei 100.000 TWh potenziali è talmente vasto che fa pensare che siano e che restino valori del tutto nominali. Per quanto la transizione ecologica, necessaria e comunque costosa, possa dare, in termini di incentivi, l’occasione di espandersi alla geotermia, per quanto questa fonte sia continuativa e non intermittente come il solare o l’eolico, resta il fatto, anticipato poc’anzi, che il rischio iniziale di investimento è notevole perché il potenziale energetico di un sito non è facilmente percepibile e, al termine delle comunque complesse e lunghe fasi di perforazione, il tutto potrebbe rivelare una resa effettiva molto inferiore a quella stimata, rendendo difficile o impossibile, recuperare i costi dell’investimento.
Tornando ad essere ottimisti e concreti i prossimi decenni in Italia potrebbero comunque essere quelli in cui la geotermia davvero uscirà dalla Toscana, con le previsioni più rosee che potrebbero portare il complesso delle altre regioni a valere il 5-6% della produzione nazionale prima del 2030, e il 30-40% entro il 2050. Le previsioni parlano della possibilità di raggiungere entro il 2030 una potenza installata di circa 1100 MW per la sola parte geotermoelettrica, una quota destinata a impennarsi nel ventennio successivo e arrivare – entro metà secolo – tra i 2.000 e i 2.500 MW installati. In parallelo, l’energia generata potrebbe essere prossima ai 7 TWh annui per il 2030, e arrivare a circa 15 TWh nel 2050. Il che vorrebbe dire, nel prossimo trentennio, arrivare a raddoppiare o a triplicare l’esistente, portando il geotermico a raggiungere una quota del 3%-5% del fabbisogno energetico italiano. Meglio di niente ma ancora un contributo marginale.
Forse, perché questo è quanto afferma ENEL, non proprio super partes e soprattutto perché, stando a calcoli effettuati da fonti indipendenti con metodi molto sofisticati che tengono conto dell’energia di trasformazione, trasporto e delle perdite, il consumo energetico nazionale è pari a ben 1.600 TWh e non 300.
Ma l’Italia è solo un piccolissimo tassello del pianeta e il problema della transizione energetica è globale e globalmente va affrontato; dal punto di vista dell’incremento del contributo dell’energia geotermica ragionevolmente previsto da stime per il futuro, non sembra che potrà comunque superare qualche punto percentuale del fabbisogno, anche se, localmente, in paesi come ad esempio la Cina, potrebbe andare a costituire una fetta importante delle loro esigenze.
Figura 13. Rappresentazione schematica dei rapporti tra crosta e strati inferiori della Terra (Geology In)
Quindi, se l’energia geotermica è potenzialmente ovunque sotto i nostri piedi, sembra proprio essere il candidato migliore nel processo di decarbonizzazione necessario.
Ma, si diceva, questa fonte energetica occorre andare a prendersela, con i costi e i rischi di cui s’è detto.
Se potessimo perforare abbastanza in profondità, potremmo mettere le centrali geotermiche praticamente ovunque vogliamo. Ma è più difficile di quanto sembri. Come vedremo meglio, le perforazioni più profonde della storia umana non sono abbastanza profonde per avere geotermia ovunque.
La crosta terrestre varia in spessore in un intervallo che va, mediamente, dai 5 km della crosta oceanica, ai 75 km di quella continentale, in corrispondenza delle grandi catene montuose, con le parti più sottili che tendono ad essere localizzate nell'oceano profondo.
C’è un’ultima ma non meno importante considerazione da fare sul ruolo delle rinnovabili in genere. Nonostante i 3870 GW (IRENA, marzo 2024) di energia prodotta da fonti esclusivamente rinnovabili, laddove il fotovoltaico da solo rappresenta quasi i tre quarti del totale, la quota di energia da combustibili fossili è ancora superiore all’80%, appena cinque punti in meno che nel 2015, ai tempi dell’Accordo di Parigi. E non perché non stiamo aggiungendo rinnovabili (500 GW solo nel 2023), ma perché non le usiamo per sostituire le fonti fossili, ma vengono aggiunti al fabbisogno energetico complessivo.
Non è energia che ha sostituito le fonti fossili, ma energia che si è aggiunta allo status quo. E ciò non significa transizione, figuriamoci sostituzione.
Ricordate la visione di Quaise che prevede, ad esempio, l’inserimento della loro tecnologia nelle centrali elettriche a carbone esistenti? Questa è sostituzione.
Figura 14. Il tappo del pozzo superprofondo di Kola (Rakot13 CC-BY SA 3.0)
Il problema principale è che questa fonte praticamente illimitata di energia si trova mediamente a 10 km o più sotto la superficie terrestre, e scavare per raggiungere quella profondità presenta difficoltà che il più delle volte lo rendono impossibile.
Perforazioni record sono state realizzate in diverse parti del mondo, ma quelle effettuate lungo una direttrice verticale sono davvero pochissime; la più famosa di queste, tuttora imbattuta, è quella realizzata in Russia, nella penisola di Kola: 12.262 metri con una serie di pozzi di 23 cm di diametro realizzati a scopo scientifico. Rimane tuttora il pozzo più profondo del mondo in termini di reale profondità verticale, il che significa che perfora direttamente la Terra in linea perpendicolare. A partire dal 1970 in nove anni raggiunsero i 9,5 km, battendo il precedente record americano, nel 1983 si superarono i 12 km, l’anno dopo una sezione della colonna di perforazione si staccò e si dovette ripartire con una deviazione del foro a 7 km di profondità. Nel 1989 si raggiunsero i 12,26 km e si sperava di arrivare a 15 km entro il 1993, ma la minore densità delle rocce che iniziarono a comportarsi più come materiale plastico che solido rese impossibile continuare oltre. In definitiva, vent’anni di lavoro e un investimento stimato centinaia di milioni di dollari, un’enormità per l’epoca. Alla fine degli anni Ottanta i tedeschi, con un loro programma scientifico specifico, rapportato ad oggi spesero qualcosa come 250 milioni di euro ma si fermarono a 9.101 metri, prima di arrendersi a causa delle temperature elevate non previste, della plasticità della roccia e delle ingenti quantità di gas e fluidi che si riversavano nel foro.
Si noti che ad ogni modo, le temperature, pur essendo abbastanza elevate da ostacolare il processo di perforazione, non lo erano abbastanza per fare energia geotermica.
Ci sono poi altri quattro o cinque pozzi degni di nota ma la media di profondità raggiunta ad esempio dalle perforazioni petrolifere va dai 5 agli 8 km, e quelle degli impianti di estrazione del gas naturale anche meno, dai 2 ai 6 km.
Per non parlare delle difficoltà tecniche, a cominciare dalla sostituzione della punta perforante che ogni volta richiede che venga estratta tutta la batteria di aste, sostituita la punta, e rimandato giù il tutto riassemblato per continuare il lavoro; e quelle dovute alla presenza di strati di roccia imprevisti, troppo duri o, paradossalmente, troppo morbidi, le temperature, le pareti del pozzo che vanno protette da crolli, e molto altro ancora. E tutti questi tempi tecnici sottratti al tempo di perforazione vanno pagati.
Ma ecco che si prospetta la soluzione, qualcosa che metta in grado di raggiungere effettivamente e velocemente quelle profondità, alle quali il calore necessario per estrarre energia geotermica sia effettivamente ovunque sotto i nostri piedi. Una tecnologia, la cui base è ormai ampiamente consolidata, che permetta di perforare 10 km in 100 giorni di lavoro continuativo, e non in 20 anni.
La perforazione della crosta terrestre, tipica delle operazioni di estrazione petrolifera, geotermica o mineraria, comporta diversi problemi tecnici, ambientali e geologici. Ecco una panoramica semplificata dei principali:
Problemi tecnici.
Pressione elevata e blowout. Durante la perforazione, si possono incontrare sacche di gas o liquidi ad alta pressione. Se non adeguatamente gestiti, possono provocare un blowout, ossia una fuoriuscita incontrollata di gas o petrolio, che è estremamente pericolosa.
Usura e danni alle attrezzature. La perforazione in strati duri della crosta può usurare rapidamente gli strumenti di perforazione, ad iniziare dalla testa che frantuma il materiale, portando a interruzioni, ritardi e costi aggiuntivi per la sostituzione delle attrezzature.
Perdite di fluidi di perforazione. I fluidi di perforazione, utilizzati per raffreddare l’attrezzatura perforante e stabilizzare il foro, possono infiltrarsi nelle formazioni circostanti, compromettendo l'efficacia dell'operazione e potenzialmente inquinando l'ambiente.
Frane e instabilità del foro. In alcuni strati geologici, la roccia può essere instabile, causando il collasso del foro, che deve essere continuamente rinforzato con rivestimenti.
Problemi geologici.
Incertezza delle formazioni geologiche. La struttura della crosta terrestre può variare significativamente da un punto all’altro. Rocce impreviste o difformità nelle formazioni possono complicare la perforazione, rallentando l'operazione o causando deviazioni rispetto al percorso previsto.
Faglie sismiche. Perforare in aree geologicamente attive, come lungo le faglie sismiche, può scatenare terremoti indotti o fratturazioni idrauliche, specialmente se si accumulano tensioni nel sottosuolo.
Temperature elevate. A profondità maggiori, le temperature aumentano considerevolmente, causando problemi di raffreddamento e maggiore stress per gli strumenti utilizzati.
In sintesi, la perforazione della crosta terrestre è una pratica complessa che richiede avanzate tecnologie e strategie di mitigazione per gestire i numerosi rischi tecnici, ambientali e sociali. A cui aggiungere spesso le problematiche accessorie come quelle introdotte dalle ultime due citate. Da questo punto di vista la possibilità per la tecnologia Quaise di poter riutilizzare impianti esistenti elimina la necessità di dover ulteriormente alterare il paesaggio o di entrare in polemica con gli enti e le popolazioni locali per l’apertura di nuovi impianti.
Innanzi tutto, per chi si è documentato nella prima parte, grazie per esser arrivati fin qui. D'ora in avanti si entra nel vivo della tecnologia e nella visione energetica di Quaise Energy.
Figura 15. La perforazione a onde millimetriche vaporizza la roccia senza dover ricorrere a complesse attrezzature di perforazione. (Quaise)
Saltiamo subito ai fatti richiamando qualche nozione, i dettagli verranno forniti a breve.
La tecnologia del girotrone utilizzata da Quaise Energy è un'applicazione innovativa che mira a rivoluzionare il processo di perforazione per accedere a fonti di energia geotermica ultra-profonda. Il girotrone è un dispositivo capace di emettere potenti onde millimetriche ad alta frequenza, utilizzato tradizionalmente in esperimenti di fusione nucleare e altre applicazioni scientifiche.
Il girotrone genera un fascio di onde millimetriche che può penetrare profondamente nella crosta terrestre. La frequenza di queste onde è tale da permettere di vaporizzare e frammentare la roccia senza bisogno di strumenti meccanici, che sono invece soggetti a usura e limitazioni a profondità estreme. Questo metodo sfrutta il principio dell'emissione elettromagnetica per riscaldare rapidamente la roccia e convertirla in uno stato vetrificato, facilitando la perforazione.
Componenti chiave.
Onde millimetriche. Queste onde, prodotte dal girotrone, hanno una lunghezza d'onda corta (dell'ordine di millimetri), che consente loro di interagire con la materia in modo molto preciso e concentrato.
Elevata potenza. Il girotrone emette fasci con un'alta densità di energia, sufficienti a vaporizzare roccia solida, consentendo perforazioni in profondità che superano i 10-20 chilometri.
Flusso continuo. A differenza delle perforazioni meccaniche, il girotrone può operare senza interruzioni, accelerando notevolmente i tempi di perforazione rispetto ai metodi convenzionali.
Vantaggi rispetto alla perforazione tradizionale.
Velocità. Con la tecnologia del girotrone, si può raggiungere una profondità di 20 km in circa 100 giorni, mentre le tecnologie tradizionali richiedono anni per perforare profondità minori.
Resistenza alle condizioni estreme. A profondità elevate, la temperatura e la durezza della roccia rendono inefficaci i metodi meccanici. Il girotrone, invece, non è influenzato da queste condizioni, poiché non richiede contatto fisico diretto con la roccia
Stabilità del pozzo. Il calore prodotto dalle onde millimetriche causa la vetrificazione della roccia, rendendo il foro più stabile e meno soggetto a crolli rispetto ai metodi meccanici, che possono causare fratture e instabilità
Tra sfide e sviluppi futuri, sebbene la fisica di base del girotrone sia consolidata, Quaise sta lavorando per risolvere i problemi ingegneristici legati alla rimozione dei materiali vaporizzati e alla stabilità del foro a profondità estreme. L’obiettivo è riuscire a impiegare questa tecnologia in progetti di perforazione sul campo entro pochi anni, con l'ambiziosa meta di sfruttare energia geotermica in qualsiasi parte del mondo
In sintesi, la tecnologia del girotrone di Quaise rappresenta un metodo rivoluzionario di perforazione che potrebbe sbloccare enormi quantità di energia geotermica ad impatto ambientale estremamente contenuto, e senza le limitazioni meccaniche delle tecniche tradizionali.
Girotrone quindi, e iniziamo da qui. Wikipedia recita “Il girotrone è un maser a elettroni liberi che genera radiazioni elettromagnetiche ad alta frequenza mediante la risonanza di ciclotrone stimolata di elettroni che si muovono attraverso un forte campo magnetico”. Ma cos’è un maser? Ancora Wikipedia: “Microwave Amplification by Stimulated Emission of Radiation”, quindi una sorta di laser, qualcosa in grado di generare fasci di radiazioni elettromagnetiche coerenti; rimandiamo alla letteratura scientifica per il concetto di coerenza. Solo che nel maser la frequenza della radiazione elettromagnetica in gioco è appunto quella delle onde millimetriche che sono già state descritte.
In termini energetici è un vero e proprio cannone elettronico che ad un'estremità del tubo emette un fascio di elettroni accelerati di forma anulare in grado di produrre radiazione elettromagnetica tale da portare la temperatura dei materiali che colpisce anche a diverse migliaia di gradi Celsius. Il girotrone nacque infatti nell’ambito della ricerca scientifica sulla fusione nucleare, indirizzandone i fasci su posizioni precise per riscaldare il combustibile a idrogeno oltre i 100 milioni di gradi necessari ad avviare le reazioni di fusione. Ma versioni più piccole di girotroni sono normalmente utilizzati nel settore industriale per scaldare o fondere rapidamente materiali ad altissima temperatura.
E fu così che a Paul Woskov, del Plasma Science and Fusion Center del MIT, che di tecnologia di fusione ad altissima temperatura ne sapeva più di chiunque altro, venne l’idea di scaldare le rocce della crosta fino a fonderle per realizzare un buco di 20 km di profondità!
Figura 16 Girotrone a bassa potenza per ricerche di laboratorio (Quaise)
Il piano sarebbe più facile da liquidare come irrealistico se fosse basato su una tecnologia nuova e non comprovata. Ma i sistemi di perforazione sono basati sul girotrone, utilizzato da decenni nella ricerca e nella produzione, e direttamente derivato dalle tecniche di generazione del plasma necessario ad innescare la fusione nucleare. Quaise prevede di iniziare ad ottenere energia da pozzi geotermici pilota raggiungendo rocce con temperature fino a 500 °C entro il 2026, probabilmente utilizzando impianti preesistenti. Se si riuscisse a perforare fino a 20 chilometri, si potrebbero raggiungere temperature elevatissime in oltre il 90 percento delle località del mondo. Il lavoro di Quaise è in questo momento concentrato sulla risoluzione delle questioni rimaste aperte che hanno a che fare, come predetto, con la rimozione del materiale e determinazione del rivestimento migliore per mantenere il foro stabile e aperto, oltre a quanto già noto grazie alla vetrificazione delle pareti accennata pocanzi.
Non solo, perforando i fori nelle centrali elettriche esistenti, soprattutto in quelle a carbone, le prime ad essere dismesse durante l’auspicata e necessaria transizione energetica, Quaise sarà in grado di muoversi più velocemente di quanto non farebbe se dovesse ottenere permessi per costruire nuove centrali, linee di trasmissione e l’intero impianto di produzione di energia elettrica. Rendendo le proprie attrezzature di perforazione a onde millimetriche compatibili con gli impianti di perforazione esistenti, consentirà inoltre all'azienda di attingere alla forza lavoro globale del settore dei combustibili fossili.
Alle alte temperature a cui si sta accedendo verrà prodotto vapore molto vicino, se non superiore, alla temperatura a cui operano le centrali elettriche a carbone di oggi. Sarà quindi possibile proporre alle aziende titolari delle centrali a carbone esistenti di sostituire dal 95 al 100 percento del loro utilizzo di carbone, sviluppando un campo geotermico e producendo vapore dalla Terra, alla stessa temperatura in cui si brucia carbone per far funzionare la tua turbina, ma decarbonizzando il ciclo produttivo. Suona interessante, no?
Figura 17. Paul Woskov espone i campioni nel suo laboratorio nel 2016 (MIT)
Figura 18. Posizionamento di un campione di roccia nel girotrone di laboratorio (Quaise)
Figura 19. All'opera sul girotrone di laboratorio (Quaise)
Boston, Massachusetts. Lì vicino c’è Cambridge, e qui, in Massachusetts Avenue, c’è il MIT, il famoso Massachusetts Institute of Technology da sempre leader nella ricerca scientifica e tra le tante, quella energetica, tanto da aver creato una sorta di istituto a parte, il MIT Energy Initiative, dalle cui labbra pende il Department of Energy (DOE) dell’amministrazione statunitense.
Ogni città è piena di persone che vorrebbero salvare il pianeta ma Boston sembra avere numero enorme di persone che possono effettivamente farlo. E il tempo per farlo è davvero agli sgoccioli.
Figura 20. Lo skyline di Boston (Boston Globe)
Ed è proprio a Boston che, diversi anni fa, un certo Carlos Araque venne a conoscenza di un'idea che pensava potesse salvare il mondo. Lavorava presso una società affiliata al MIT, che si occupava di investimenti in settori pionieristici, e gli fu chiesto di partecipare ad una riunione in quanto esperto, e parecchio, di perforazioni. All'incontro erano presenti il già citato Paul Woskov, eminente ricercatore del Plasma Science and Fusion Center del MIT, e il cui ufficio è disseminato di rocce bucate al centro e bruciacchiate, e Aaron Mandell, un imprenditore determinato a far uscire dal laboratorio e immettere sul mercato la tecnica di perforazione delle rocce di Woskov.
Araque, dopo aver conseguito il master in ingegneria meccanica al MIT, si trasferì a Houston, la capitale energetica del paese, per lavorare per la Schlumberger, un gigante nel mondo dei servizi per i giacimenti petroliferi, della prospezione e della ricerca. Aveva dato per scontato che le aziende energetiche tradizionali, con le loro vaste risorse e competenze, sarebbero state quelle che avrebbero alimentato la transizione verso le energie rinnovabili di fronte a un'imminente crisi climatica. Ma si sbagliava. I grandi erano e sono troppo legati al profitto, al business,per pensare fuori dagli schemi e le innovazioni di cui il mondo ha disperatamente bisogno: i finanziamenti in tal senso non avrebbero mai potuto arrivare da quel settore industriale. Così Araque tornò a Boston e, appena dieci giorni dopo aver iniziato il suo nuovo lavoro, si ritrovò in una sala conferenze, in attesa di sapere se questa idea avrebbe potuto salvare il pianeta dall'orlo della catastrofe o se fosse solo un buco nell’acqua.
Si presentò a Woskov e Mandell e si sedette. Mentre ascoltava il loro piano non credeva alle sue orecchie per quanto che stavano dicendo. Woskov spiegò di aver sviluppato una tecnologia che consente a un girotrone, un generatore di onde a radiofrequenza, di bucare la roccia fondendola o addirittura vaporizzandola, ed era convinto di usarlo per arrivare così profondamente nella crosta da accedere alla fonte virtualmente illimitata di energia pulita: l’intenso calore, nascosto nelle profondità e che potrebbe alimentare il pianeta ben oltre il suo fabbisogno, presente o futuro.
Ovviamente Araque, come più o meno tutti nel campo delle perforazioni, aveva avuto a che fare con l'energia geotermica moltissime volte. Il problema era sempre stato accedervi. Come abbiamo visto l'energia davvero efficace si trova più o meno ovunque a 20 km di profondità dentro la crosta e le punte di perforazione meccanica si rompono e si consumano molto prima, rendendo i tempi ed i costi estremamente onerosi. Ma Woskov gli stava dicendo, tuttavia, che la sua tecnologia avrebbe potuto superare questo ostacolo, aprendo una nuova frontiera.
Nel corso dell'anno successivo Araque fece i compiti: studiò il mercato geotermico. Eseguì molte simulazioni sul suo computer. Si rivolse ai massimi esperti di perforazione a livello mondiale. Nessuno riuscì a trovare una ragione per cui non avrebbe funzionato. Poi arrivò un altro momento di illuminazione: se la tecnologia funzionava davvero, fuori dal laboratorio s’intende, significava che i fori potevano essere perforati praticamente ovunque, persino proprio accanto o al posto dei vecchi impianti, persino accanto alle vecchie centrali a carbone che dovranno essere chiuse a causa delle loro emissioni. L'industria dei combustibili fossili, del petrolio o del gas naturale, aveva già gli edifici, le turbine, le linee di trasmissione, i permessi, le piattaforme, la forza lavoro e il know-how: si dovrebbero solo sostituire le punte di perforazione con i girotroni. Non solo, in tutti quegli impianti petroliferi chiusi perché non più produttivi si sarebbe potuto sfruttare la presenza dei pozzi già perforati per avviare una perforazione termica a partire dalla profondità già raggiunta, risparmiando tempo e denaro. E il girotrone risolve anche uno spinoso problema tipico dei pozzi tradizionali: man mano che la fusione procede le pareti del foro vetrificano evitando che possano collassare.
Un classico plug-and-play, il che significa che il nuovo modello energetico potrebbe essere operativo e funzionante in tempi relativamente brevi, e questa è una notizia eccezionale, perché a quanto affermano gli esperti, c'è poco tempo da perdere.
Un rapporto delle Nazioni Unite del 2023, considerato uno degli studi più definitivi mai condotti sui cambiamenti climatici, ha concluso che senza una significativa riduzione delle emissioni di carbonio, nel giro di un decennio la Terra supererà uno dei primi punti di non ritorno e quel che accadrà è stato già scritto. Prima dell'inizio del prossimo secolo, gli esseri umani si troveranno ad affrontare un mondo in cui le temperature elevate genereranno carestie, malattie, ondate di calore e disastri naturali che mieteranno milioni di vittime, e ad affrontare un flusso migratorio senza precedenti nella storia dell’umanità. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres lo ha recentemente ribadito: il mondo sta affrontando "una bomba a orologeria climatica".
Quaise Energy è nata così, uno spin-off del prestigioso MIT e su cui lo stesso MIT, insieme a molti altri, compreso il DOE, hanno investito fortemente e, a pochissimi anni dalla sua nascita può vantare centinaia di milioni di dollari di investimenti per la ricerca ricevuti dai più disparati soggetti, per contribuire a quello che in Quaise, senza falsa modestia, chiamano terawatt scale energy.
La buona notizia, almeno per Boston, è che molte persone credono che la chiave per disinnescare quella bomba a orologeria sia stata inventata proprio qui. E non solo per l'idea di Woskov su come accedere all'energia geotermica, ma per una vera e propria abbondanza di innovazioni nel campo dell'energia pulita che, grazie a una straordinaria serie di fattori contingenti, si sono verificati proprio in questa città negli ultimi anni.
Man mano che le fonti energetiche tradizionali diventavano risorse quanto meno ingombranti dal punto di vista climatico, le energie del futuro, che non sono guidate dall’accesso alle risorse grezze con conseguente sviluppo localizzato dell’industria, vedevano sempre più importanti e riconosciuti i ruoli dati da talento e innovazione, e dove meglio che al MIT ed ai suoi oltre 150 anni di successi?
Oltre a Quaise Energy, negli ultimi anni, infatti, numerose startup come Form Energy, Ascend Elements, Factorial Energy, Sublime Systems e Commonwealth Fusion Systems sono balzate in prima linea nei loro campi, attirando miliardi di dollari di investimenti e consentendo al piccolo Massachusetts di dare il massimo. Persino la colossale General Electric ha annunciato che avrebbe trasferito a Boston la sua costola che si occupa di ricerca in campo energetico, la GE Vernova, con i suoi 30 miliardi di dollari di valore. Ogni città è piena di persone che vorrebbero salvare il pianeta. La differenza è che Boston sembra produrre un numero insolito di persone che credono di poterlo fare davvero.
Conclusione doverosa: l'azienda punta a un costo dell’energia prodotta con la loro soluzione compreso tra 1 e 3 centesimi per kWh[3], sufficientemente economico da competere con i combustibili fossili e, in ultima analisi, sostituirli per l'energia di base quando non sono disponibili altre fonti di energia rinnovabile.
Figura 21. Impianto geotermico in Islanda (Gretar Ivarsson, public domain)
Insomma, quando si tratta di innovazioni rivoluzionarie nel campo dell'energia, tre lettere continuano a emergere ripetutamente: MIT. E all'interno dell'istituto, il pezzo grosso è stato il Plasma Science and Fusion Center e il più recente MIT Energy Initiative. Nel primo è nata l'idea di Woskov che, mettendo da parte la ricerca nel campo dell’energia da fusione nucleare ne ha estratto un ramo parallelo più concretamente realizzabile. Nessuno si aspetta reattori a fusione nucleare produttivi prima del 2070, ma un impianto geotermico basato sul girotrone potrebbe arrivare molto prima.
Figura 22. Vari tipi di rocce perforati col girotrone (MIT)
Figura 23. Blocchetto di basalto perforato col girotrone (MIT)
Figura 24. Tubo a vuoto con girotrone da 1 MW incorporato (Quaise)
Come abbiamo visto, laddove le condizioni diventano troppo difficili per il funzionamento delle punte di perforazione fisiche, i ricercatori da moltissimi anni hanno provato le capacità dei raggi di energia diretta per riscaldare, fondere, fratturare e persino vaporizzare la roccia del basamento in un processo chiamato spallazione, prima ancora che la testa di perforazione la tocchi. Uno degli esempi più evidenti di tecnologie in tal senso viene dal sistema della Petra, leader mondiale nei sistemi di perforazione, non solo meccanici; tra le diverse soluzioni annovera un robot meccanico chiamato “Swifty” con un cannone probabilmente basato su tecnologie di emissione elettromagnetiche, anche se la Petra non rivela cosa viene utilizzato esattamente per creare quel calore.
Figura 25. Il robot "Swifty" riscalda e polverizza la roccia più dura della Terra, senza toccarla (Petra)
Inoltre, esperimenti militari condotti alla fine degli anni Novanta del secolo scorso diedero risultati promettenti, indicando che la perforazione assistita da laser poteva attraversare la roccia da 10 a 100 volte più velocemente della perforazione convenzionale, destando un certo interesse nelle aziende del settore delle perforazioni.
Al DOE, quelli del “Geothermal Technologies Program” sono certi che un processo di perforazione a energia diretta offrirebbe alcuni enormi vantaggi: nessun sistema meccanico nel pozzo che potrebbe usurarsi o rompersi, nessun limite di temperatura, uguale facilità di penetrazione per qualsiasi durezza della roccia e la possibilità di stabilizzare le pareti del foro con un rivestimento vetrificato durevole, una specie di cauterizzazione effettuata man mano che si procede nella perforazione. La vetrificazione sigilla inoltre gli accessi a fluidi, gas e altri contaminanti che hanno sempre causato problemi nei precedenti progetti di perforazione ultra-profonda.
In passato ci sono stati tentativi di utilizzo dei laser, ma la penetrazione più profonda della roccia raggiunta fino ad oggi con le più avanzate tecnologie laser è dell’ordine della ventina di metri ed ha campi di applicazione specifici. Ci sono ragioni fisiche e tecnologiche fondamentali per questa mancanza di progresso nella perforazione laser: in primo luogo, il flusso di particelle di estrazione della roccia è incompatibile con l'energia a lunghezza d'onda corta che viene dispersa e assorbita da polvere e nuvole di particolato prima ancora di entrare in contatto con la superficie rocciosa desiderata; inoltre, la tecnologia laser è carente in termini di energia ed efficienza, ed è inoltre troppo costosa.
A questo punto l’idea di utilizzare fasci di energia ad onde millimetriche, e quindi il girotrone, si è rivelata vincente, una soluzione, come è stato detto, che è venuta dal mondo della fusione nucleare, laddove le necessità di generare temperature altissime sono alla base del processo stesso, occorrendo allo scopo almeno 100 milioni di gradi Celsius. E fin dall'inizio degli anni Settanta, i ricercatori russi che lavoravano sui primi progetti di reattori nucleari a fusione (tokamak) scoprirono che le onde millimetriche erano un modo eccellente per generare temperature elevatissime e oggi, proprio grazie alla ricerca sulla fusione e ai finanziamenti del DOE, sono stati fatti passi da gigante.
Figura 26. Un girotrone da 1 MW a onde millimetriche da 150 GHz, utilizzato per riscaldare il plasma nell'esperimento di fusione “stellarator” Wendelstein 7-X in Germania (I2ho7p CC BY-SA 4.0)
In effetti, i girotroni in grado di generare fasci di energia continui e di oltre un MW di potenza stanno diventando disponibili, e questa è una notizia straordinaria per il settore della perforazione profonda. La base scientifica, la fattibilità tecnica e il potenziale economico della perforazione di rocce a onde millimetriche a energia diretta e a frequenze da 30 a 300 GHz sono stabili e consolidati, evita la dispersione di Rayleigh (scattering) e può accoppiare e/o trasferire energia a una superficie rocciosa mille volte più efficientemente rispetto alle sorgenti laser. Le onde millimetriche di potenza continua possono anche essere guidate in modo efficiente (>90%) a grandi distanze (>10 km) utilizzando una varietà di modalità e sistemi di guida d'onda (in pratica dei tubi), compreso quanto già esistente nei pozzi di perforazione.
I calcoli termodinamici suggeriscono che sia possibile una velocità di penetrazione di 70 metri all’ora in fori di 5 cm di diametro con un girotrone da 1 MW con un'efficienza prossima al 100%. L'uso di fonti di potenza inferiore o superiore (ad esempio da 100 kW a 2 MW) consentirebbe di modificare le dimensioni del foro e/o il tasso di penetrazione.
Quaise prevede di perforare fori profondi fino a 20 km, in soli 100 giorni, utilizzando un girotrone da 1 MW.
Figura 27. L'impianto di perforazione ibrido ultra-profondo di Quaise combinerà la perforazione rotativa convenzionale con la perforazione a energia diretta a onde millimetriche alimentata da girotrone, spurgata a pressione con gas argon elettromagneticamente trasparente. (Quaise)
A queste profondità, Quaise prevede di trovare temperature intorno ai 500 °C, che è ben oltre il punto in cui l'energia geotermica fa un enorme salto di efficienza.
L'acqua, a pressioni superiori a 22 MPa e temperature superiori a 374 °C, è infatti un fluido supercritico[4]. Una centrale elettrica che utilizza acqua supercritica come fluido di lavoro può estrarre fino a 10 volte più energia utile da ogni goccia rispetto agli impianti tradizionali. Puntare a condizioni supercritiche è la chiave per raggiungere densità di potenza coerenti con i combustibili fossili.
Figura 28. Prove di laboratorio sul campo da parte di Quaise (Quaise)
Dopo aver perforato con successo campioni di rocce varie e dopo aver condotto altre prove su colonne di basalto si prevede di mettere in funzione il primo sistema geotermico potenziato super-caldo da 100 MW entro il 2026. Le prove sul basalto colonnare, un tipo di roccia estremamente denso e compatto, hanno consentito, con un girotrone a bassa potenza, di praticare un foro di 2,5 m con un diametro di 2,5 cm, una profondità cento volte superiore a quella dei test originali condotti al MIT da parte del gruppo di ricercatori e tecnici.
I test hanno permesso di generare e controllare il fascio di microonde inviato dentro un tubo ondulato, in modo che operasse da guida d'onda, estratto al termine della perforazione. Il sistema, nella sua forma finale, prevede anche l’iniezione di gas per raffreddare e asportare i residui della combustione.
Figura 29. Colonne prismatiche di basalto (CC BY Andrew Kerr)
Insieme ad AltaRock, leader del settore, la Quaise sta effettuando le prove sul campo: una perforazione profonda circa 1000 metri vicina al vulcano Newberry in Oregon, che è stato scelto come sito di test ideale. Si ritiene infatti che questo cratere possa essere una delle più grandi risorse geotermiche inutilizzate degli Stati Uniti. La presenza di un corpo magmatico poco profondo rende gli strati rocciosi molto più caldi che in altri luoghi e si stima di poter utilizzare temperature altissime, superiori a 400 °C,ma ad un quarto della profondità necessaria da raggiungere altrove. Al termine di queste fasi di test si passerà ai primi prototipi d'impianto industriale.
Come detto più volte inizialmente gli impianti saranno di tipo ibrido, sfruttando perforazioni meccaniche esistenti e dismesse o attivandone di nuove per arrivare a qualche migliaio di metri di profondità e da lì in poi attivare il girotrone, in previsione di poter sfruttare le infrastrutture esistenti come le centrali elettriche a carbone, le prime sulla lista di ciò che dovrà essere dismesso. Questi impianti hanno già enormi capacità di convertire il vapore in elettricità, sono gestite da operatori commerciali affermati e posseggono un aforza lavoro esperta, e sono comodamente già collegati alla rete di distribuzione elettrica. Sostituendo le fonti di calore da combustibili fossili con energia geotermica supercritica si potranno mantenere in funzione le turbine indefinitamente senza mai aver bisogno di combustibili fossili e, non ultimo, operando in impianti che hanno già avuto tutte le certificazioni e le autorizzazioni ad operare.
Quaise prevede di riconvertire il suo primo impianto a combustibili fossili nel 2028, per poi continuare a perfezionare e replicare il processo in tutto il mondo, dal momento che il calore dovrebbe essere disponibile assolutamente ovunque sulla Terra con questa tecnologia di perforazione. Ci sono oltre 2.400 centrali elettriche a carbone in tutto il mondo, per un totale di oltre 2.000 GW di capacità e, almeno in teorie, tutte dovranno trovare qualcos'altro da fare entro il 2050: un'opportunità chiaramente gigantesca.
Il fabbisogno energetico privo di emissioni di carbonio nei prossimi decenni è enorme, e Quaise Energy offre una delle soluzioni più efficienti in termini di risorse e scalabili quasi all'infinito per alimentare il nostro pianeta. È il complemento perfetto per le nostre attuali soluzioni rinnovabili, che ci consente di raggiungere un'energia sostenibile di base in un futuro non troppo lontano.
Se questa tecnologia funziona come previsto (ed a quanto pare, citando un geologo che fa parte del team, la crosta terrestre non troverà nuovi modi per rendere le cose impossibili), questo nuovo uso dei girotroni potrebbe ironicamente, vista la sua origine, finire per mettere i reattori a fusione definitivamente fuori da ogni ulteriore investimento. È la decarbonizzazione, il net zero tanto auspicato.
È importante sottolineare che non occuperà quasi spazio sulla superficie, a differenza del solare e dell'eolico su scala industriale. Accelererà anche un cambiamento geopolitico globale, dal momento che ogni paese potrà avere uguale accesso alla propria fonte di energia praticamente inesauribile, e sicuramente sarà interessante vedere quando i grandi paesi non saranno più in grado di esercitare un controllo dei più piccoli, privi attualmente di indipendenza energetica, proprio perché questi ultimi potranno ottenerla in autonomia. Indipendenza energetica significa anche ridistribuzione delle risorse, giustizia sociale e ambientale, le chiavi della transizione ecologica.
Il piano di energia geotermica ultra-profonda di Quaise è uno dei progetti di energia verde più entusiasmanti e affascinanti che si siano mai visti. Riproporre la potente tecnologia del fascio di onde millimetriche per fondere rocce in precedenza non perforabili e molto al di sotto della superficie terrestre, per accedere a quelle temperature che mettono l’acqua nello stato supercritico, restando liquida nonostante le condizioni di pressione e temperatura, aumentando radicalmente l'efficienza dell'estrazione di energia geotermica.
Il risultato finale: enormi risorse di energia geotermica, terawatt scale, praticamente inesauribili e disponibili ovunque sul pianeta, installate a cominciare dalla quasi totalità delle centrali elettriche a carbone esistenti e che utilizzano il calore prodotto dalla combustione dei combustibili fossili per creare vapore e far funzionare le turbine. Potranno essere collegate a una fornitura totalmente affidabile di energia verde 24 ore su 24 che manterrà quelle turbine in funzione senza emissioni di CO2 e senza la preoccupante intermittenza di altre fonti rinnovabili come l'energia eolica e solare. E sorprendentemente veloce, 20 km in 100 giorni.
E concludo con un’ovvia considerazione. E’ evidente che ogni singolo impianto necessita innanzi tutto di energia in ingresso per alimentarsi ed avviarsi. Alla Quaise sostengono che è l’ultimo dei problemi. Una minima parte dell’energia ricavata dalla geotermia ultraprofonda sarà più che sufficiente allo scopo: la potenza richiesta per un impianto standard è di circa 1 MW, analoga a quella di un tipico sito di perforazione tradizionale. L’obiettivo è perfezionare la tecnologia in modo che porti alla costruzione di nuove centrali elettriche geotermiche, in grado di fornire dai 25 ai 50 MW di potenza alla rete, per ciascun pozzo.
Ironia della sorte, sembra proprio che potrebbe essere la Terra, con il suo calore primordiale, a fornirci i mezzi per risollevare le sorti che ci hanno condotto, fin dalla nostra comparsa, a considerarla proprietà esclusiva, arrivando ad esser causa principale del pericoloso cambiamento climatico e della più devastante delle estinzioni di massa che si sono succedute nel corso dei circa 4,5 miliardi di anni della sua storia.
Figura 30. L'energia geotermica supercritica quasi illimitata sarà disponibile ovunque sulla Terra se la tecnologia a onde millimetriche di Quaise funzionerà su larga scala (Quaise)
Per concludere, un estratto di un'intervista fatta a Carlos Araque e le sue risposte.
Un terremoto potrebbe tagliare la perforazione e disabilitare la centrale elettrica?
Improbabile. I terremoti raramente interrompono i pozzi di petrolio e gas. I pozzi perforati col girotrone, profondità a parte, sono simili.
Quanto tempo ci si può aspettare che durino questi pozzi ultra-profondi?
Dai 50 ai100 anni.
La roccia è sufficientemente consistente alle temperature e alle pressioni previste a queste profondità?
Finché non si arriva al mantello, molto più in basso, la roccia rimane allo stato solido, pur potendo manifestare fenomeni di plasticità.
Un flusso di acqua supercritica fornirà una pressione sufficiente per mantenere aperto il foro?
Aiuta certamente. Il foro viene vetrificato come sottoprodotto del processo di perforazione e la roccia a quelle profondità contribuisce alla stabilità.
Durante il processo di perforazione a energia diretta, è possibile che l'acqua penetri nel foro?
È possibile, ma la roccia è molto impermeabile a quelle profondità e la portata sarebbe bassa; l'acqua che entra nel pozzo vaporizza istantaneamente.
Quest'acqua potrebbe essere surriscaldata dal raggio d'onda millimetrico, causando vapore ad alta pressione che potrebbe danneggiare l'apparecchiatura?
Si surriscalderà, ma non c'è nulla da danneggiare. L'unica attrezzatura per il pozzo è un tubo.
Un breve video su Quaise Energy
Un video di approfondimento
Una lunga e recente intervista a Carlos Araque
Paul Woskov in persona racconta la tecnologia
[1] Nella famosa miniera di Naica (Messico), nota per ospitare i cristalli più grandi del mondo, a 300 metri di profondità la temperatura è prossima ai 50 °C con umidità quasi del 100%, condizioni insopportabili per gli esseri umani, se non adeguatamente protetti da specifica attrezzatura.
[2] ENEL riporta 1,1 GW e il 5% del rinnovabile nazionale
[3] Ad ottobre 2024 in Italia, il costo medio sul Libero Mercato è 0,26 €/kWh, al netto degli oneri accessori.
[4] Lo stato supercritico è quello in cui una sostanza si trova in un certo stato nonostante siano state superate la temperatura e/o la pressione che innescano un passaggio di stato. Ad esempio acqua liquida al di sopra di 100 °C. In questo stato la sostanza presenta proprietà intermedie tra quelle di un liquido e quelle di un gas.