05 novembre 2025

L’improbabile viaggio dell’unicità umana

Dopo tanto scrivere sul cambiamento climatico una pausa ci vuole, e me la prendo scrivendo ancora una volta sull’origine dell’umanità, una delle mie passioni.

Dallo stupore alieno all'ascesa di Homo sapiens: il viaggio imprevedibile dell'evoluzione umana
Se degli scienziati extraterrestri fossero sbarcati sulla terra tre milioni di anni fa, si sarebbero stupiti per le colonie di api domestiche, i termitai e l’operato delle formiche tagliafoglie; già allora le loro colonie rappresentavano i superorganismi supremi del mondo degli insetti, e i sistemi sociali di gran lunga più complessi ed ecologicamente di successo sul nostro pianeta.

I visitatori avrebbero anche studiato le australopitecine africane, una rara specie bipede di primati con cervelli a misura delle scimmie antropomorfe e avrebbero preconizzato che fra i vertebrati, in questo caso come in altri, il potenziale non era granché, in fondo, altre creature di quella grandezza calpestavano il terreno da più di 300 milioni di anni, e dal punto di vista sociale non era accaduto niente di che. Gli insetti sociali sembravano il meglio di cui il pianeta fosse capace.

Generata con AI dall'Autore

Gli extraterrestri sarebbero ripartiti con la convinzione che la biosfera della Terra si era stabilizzata, e che verosimilmente non sarebbe accaduto niente di particolare nei 100 milioni di anni a venire, visto che c’era voluto altrettanto tempo per gli insetti sociali a raggiungere ciò che sembrava il culmine dell’evoluzione.

Invece accadde qualcosa di straordinario. Il cervello delle australopitecine cominciò a crescere rapidamente (per i dettagli sull’evoluzione umana si veda questo mio post). All'epoca della visita degli extraterrestri, misurava 500-700 cm3. Due milioni di anni dopo era arrivato a circa 1000 cm3 e in un tempo successivo addirittura minore raggiunse i 1200-1500 cm3 circa: il doppio di quello delle prime australopitecine.

Era Arrivato Homo sapiens, e la sua conquista sociale della Terra era imminente.

Se oggi i discendenti degli extraterrestri tornassero a farci visita, dopo aver dedicato il loro tempo a galassie più interessanti della nostra, di sicuro resterebbero basiti. È accaduto ciò che era quasi impossibile: imprevedibilmente. Una specie bipede di primati scoperta allora, non soltanto era sopravvissuta, ma ha creato una primitiva cultura basata sul linguaggio. E, fatto ancora più sorprendente e inquietante, questa specie di primati sta distruggendo la biosfera (per approfondire qui e qui).

Pur avendo una biomassa totale piccolissima - tutti i suoi 8 miliardi e più di individui potrebbero essere accatastati come tronchi in un cubo di meno di 2 km per lato - la nuova specie è diventata una forza geofisica: ha imbrigliato l'energia del sole e dei combustibili fossili, deviato una buona parte dell'acqua dolce per suo uso e consumo, acidificato gli oceani e trasformato l'atmosfera al punto di aver direttamente causato un cambiamento climatico di scala planetaria, distrutto e consumato risorse ad un ritmo insostenibile. E, non ultimo, arrivando al punto di produrre un quantitativo tale di manufatti (1,1 teratonnellate) da aver eguagliato o forse superato, in termini di massa, quello dell'intera biomassa del pianeta. Gli extraterrestri la definirebbero un'opera di ingegneria raffazzonata e mal riuscita, e se avessero potuto tornare indietro avrebbero impedito in tutti i modi questa tragedia.

Tanto per non farci sentire troppo soli in questa metafora del cubo si è calcolato che le formiche che vivono oggi sulla Terra siano qualcosa come 1016 insetti. Se ogni insetto pesa circa un milionesimo di un essere umano e considerando che ci sono un milione di volte più formiche che esseri umani (arrotondando a 1010, valore che sarà raggiunto entro il secolo), allora tutte le formiche della Terra pesano come gli esseri umani; e anche queste potrebbero essere accatastate in un cubo avente lato pari a meno di 2 km. Sia questo che quello dell’umanità potrebbero essere nascosti in una piccolissima sezione del Grand Canyon del Colorado.

L'avvento del genere umano è stato per un po’ un colpo di fortuna per la nostra specie, e per sempre una sfortuna per quasi tutto il resto della vita sulla Terra.

Tra poco vedremo come una serie di eventi contingenti, indicati come altrettanti gradini evoluzionistici sulla strada verso l'umanità, se nella giusta sequenza, hanno avuto il potenziale di condurre una specie di grossi animali sull'orlo dell'eusocialità, qualcosa di veramente speciale. Ognuno di questi eventi, definito preadattamento (exaptation), è stato indicato, da un qualche scienziato, come l'avvenimento chiave che ha catapultato i primi ominidi verso l'attuale condizione umana. Molto sinteticamente, possiamo vedere l’eusocialità come una condizione in cui vi sono generazioni multiple che convivono e che sono organizzate in gruppi grazie a una divisione altruistica del lavoro. È stata una delle maggiori invenzioni nella storia della vita, apparsa raramente e ogni volta impiegando tempi lunghissimi.

Il bricolage dell’evoluzione: tra preadattamenti, contingenza e selezione saturale
L’evoluzione non parte mai da zero, ma dal materiale, o dalle soluzioni, che già sono a disposizione, e che vengono dal passato, portandosi quindi dietro tutti i loro limiti e vincoli; ma con quel materiale si può costruire o realizzare qualcosa di nuovo o diverso, a volte cambiando funzione ad una struttura o ad una soluzione evolutasi nel passato per certe ragioni e riutilizzandola per altre (ecco il perché del prefisso “pre”). In questo modo il risultato finale non sarà mai perfetto, ma una sorta di compromesso tra il materiale a disposizione e le nuove funzioni, qualcosa destinato a svolgere nel migliore dei modi compiti particolari: come ebbe a dire Jacques Monod, in una sorta di bricolage, purché funzioni insomma.

Ma in nessun modo, anche se quasi tutte le congetture sono parzialmente corrette, nessun preadattamento da solo ha senso, ma solo come parte di una sequenza, una delle tante possibili sequenze.

L'aspetto fondamentale è identificare la causa. Qual è stata allora questa causa, in quella antica congiuntura ambientale, a pilotare la specie attraverso la giusta sequenza di cambiamenti genetici?

I creazionisti, o le persone più religiose risponderebbero che è stata la mano di Dio. Ma quel risultato sarebbe stato assai improbabile persino per un potere soprannaturale. Per far emergere la condizione umana, un divino creatore avrebbe dovuto spargere un numero astronomico di mutazioni genetiche nel genoma e progettare l'ambiente fisico e vivente per milioni di anni per tenere in pista i primi preumani. E avrebbe dovuto fare lo stesso con una fila di generatori di numeri casuali.

La forza che ha infilato il cammello nella cruna dell’ago è la selezione naturale! Una serie di eventi contingenti - contingenti ripeto, alimentati dalla casualità delle mutazioni. Nell'evoluzione l'opportunità nasce dalla diversità.

Per approfondire rimando a questo post.

Nessun percorso individuale dell'evoluzione di ogni tipo può essere previsto, né all'inizio e neppure verso la fine della sua traiettoria. La selezione naturale può condurre una specie sull'orlo di un cambiamento rivoluzionario, soltanto per sviarla dalla sua meta. Tuttavia, almeno su questo pianeta, alcune traiettorie dell'evoluzione possono essere giudicate possibili o impossibili. Un insetto può evolvere fino a diventare microscopico, ma non potrà mai diventare grande come un elefante; i maiali potrebbero diventare acquatici, ma i loro discendenti non voleranno mai.

La possibile evoluzione di una specie può essere visualizzata come un viaggio in un labirinto, ma un viaggio visto col senno di poi, perché il viaggio stesso si può modificare in corso d’opera. Quando si intraprende un avanzamento significativo come la transizione da animale acquatico a terrestre, o l'origine dell'eusocialità, ogni cambiamento genetico, cioè ogni svolta nel labirinto, può rendere il raggiungimento di quel livello meno probabile o persino impossibile o, al contrario, tiene la porta aperta fino alla svolta successiva.

Come ebbe a dire il biologo Stephen J. Gould, se potessimo riavvolgere il nastro di una qualunque linea evolutiva, e ripartire da capo, la catena di eventi contingenti e il loro risultato finale sarebbero diversi ogni volta. E soprattutto, la selezione naturale non predice il futuro.

Nei primissimi stadi che tengono aperte le altre opzioni, rimane una strada lunga da fare e il risultato ultimo, molto lontano e meno probabile. Negli ultimi stadi la distanza che resta da superare è breve e il risultato diventa più probabile. Il labirinto stesso tende a evolvere lungo il tragitto: vecchi corridoi (nicchie ecologiche) possono chiudersi mentre altri si aprono. La struttura del labirinto dipende inoltre in parte da chi ci viaggia, compresa ciascuna specie.


L’improbabile viaggio evolutivo verso l’unicità umana
In ogni partita dell'azzardo evoluzionistico, giocata di generazione di generazione, un numero enorme di individui deve vivere e morire. Il numero, tuttavia, non è infinito e può essere calcolato approssimativamente, fornendo almeno un'idea plausibile dell'ordine di grandezza per l'intero corso dell'evoluzione che ha portato dai nostri progenitori mammiferi di 100 milioni di anni fa, alla discendenza che si fece largo fino a diventare il primo Homo sapiens, il numero totale di individui richiesti potrebbe aggirarsi intorno ai 100 miliardi. A loro insaputa, vissero e morirono tutti per noi.

Molti giocatori, fra le altre specie in evoluzione, ognuna con in media alcune decine di migliaia di individui fertili per ogni generazione, spesso pure deperirono e sparirono. Se ciò fosse capitato a uno qualsiasi della lunga linea di progenitori che hanno portato a Homo sapiens, l'epopea umana sarebbe finita da un istante all'altro. I nostri antenati preumani non furono scelti, né erano dei giganti.

Hanno avuto soltanto fortuna.

Le ricerche più recenti in parecchie discipline scientifiche convergono nel ricostruire gli stadi evolutivi che hanno portato alla condizione umana offrendo una soluzione almeno parziale del “problema dell'unicità umana”, che ha così angustiato scienziati e filosofi. Come abbiamo visto, se collocato nel tempo dall'inizio al raggiungimento della condizione umana, ogni gradino può essere interpretato come un preadattamento. Attenzione! Ciò non significa che l’evoluzione delle specie che ha portato alla nostra è stata in qualche modo guidata verso questo esito. Bensì, ogni gradino è stato un adattamento in sé e per sé: la risposta della selezione naturale alle condizioni prevalenti intorno a quella specie in un dato luogo e momento.

Indiscutibilmente l’organismo vivente più complesso che si conosca è Homo sapiens (complesso, non migliore o più adatto). Anche in questo caso la sua evoluzione non è stata diversa, almeno fino ad un certo punto, da quella di qualsiasi altro vivente. Come in tutti i grandi problemi scientifici, l'origine evolutiva del genere umano inizialmente si presentò come un coacervo di entità e processi in parte visti, in parte immaginati, con alcuni di questi elementi che risalgono molto indietro nel tempo geologico e forse non saranno mai compresi con certezza.

In generale, ormai sembra possibile fornire una spiegazione plausibile del perché la condizione umana sia una singolarità e perché qualcosa di simile sia accaduto una sola volta e ci abbia messo così tanto a capitare. La ragione è semplice, ed è l'estrema improbabilità dei preadattamenti necessari perché si verificasse. Ognuno di questi gradini evolutivi è stato in sé e per sé un adattamento a tutti gli effetti e ha richiesto una particolare sequenza di uno o più preadottato precedenti. Homo sapiens è l'unica specie di grande mammifero - quindi abbastanza grande da sviluppare un cervello a misura d'uomo - ad avere intrapreso tutte le fortunate svolte necessarie nel labirinto evoluzionistico.

Sintetizzando al massimo il primo preadattamento fu la sua esistenza sulla terraferma. Il progresso tecnologico, le pietre scheggiate e le aste in legno, hanno bisogno del fuoco, nessun animale marino, nemmeno l'intelligentissimo polpo, saprà mai inventare un mantice o una fornace, o generare una cultura che costruisca un microscopio, derivi la chimica ossidativa della fotosintesi clorofilliana o fotografi le lune di Saturno.

Il secondo preadattamento fu avere una corporatura massiccia, di una grandezza raggiunta nella storia della terra soltanto da una piccola percentuale di specie animali terrestri. Un animale maturo che pesi meno di un chilo avrà una grandezza del cervello troppo limitata per una cultura di livello superiore, e persino sulla terraferma, il suo corpo non riuscirebbe a domare ed attizzare il fuoco. Le formiche tagliafoglie, pur essendo la specie più complessa dopo gli esseri umani e pur praticando una sorta di agricoltura in città climatizzate da loro escogitate istintivamente, non hanno mai fatto progressi di una certa importanza: quel che fanno oggi è identico a quel che hanno finora fatto, nei 20 milioni di anni della loro esistenza.

A seguire, nella linea dei preadattamenti fu la comparsa di mani prensili con morbide dita a spatola che si svilupparono per afferrare e manipolare oggetti liberi. Questa è la caratteristica dei primati che li differenzia da tutti gli altri mammiferi terrestri. Per quanto gli scrittori di fantascienza amanti delle invasioni della Terra, si ostinino adottare i loro alieni di artigli e zanne, questi sono inadatti allo sviluppo di una tecnologia. Il bipedismo dipese da tutto ciò.

La svolta successiva nel labirinto evoluzionistico fu il passaggio a una dieta con una quantità significativa di carne ricavata dalle carcasse macellate o dagli animali vivi cacciati e uccisi, o da tutte e due le fonti. Un grammo di carne fornisce un'energia maggiore di un grammo di vegetali. Una volta che un carnivoro, evolvendosi, si ricava una nicchia, l'energia necessaria per occuparla sarà minore.

I vantaggi della cooperazione nella raccolta della carne portarono quindi alla formazione di gruppi molto organizzati. Le primissime società erano composte da famiglie allargate ma anche da adottati e alleati, e raggiunsero una popolazione sostenibile dall'ambiente locale. Una popolazione numerosa era un vantaggio negli inevitabili conflitti fra gruppi diversi.

Circa un milione di anni fa arrivò l'uso controllato del fuoco, una conquista unica degli ominidi. I tizzoni provocati dai fulmini trasportati altrove procurarono enormi vantaggi in tutti gli aspetti della vita dei nostri progenitori. Questo controllo aumentò la disponibilità di carne, permettendo di snidare e intrappolare un numero maggiore di animali. Il diffondersi di un incendio era l'equivalente oggi di una muta di cani da caccia. Spesso gli animali erano non soltanto uccisi ma anche cotti dal fuoco. E persino nei primordi di Homo carnivoro, il vantaggio della carne, dei muscoli e delle ossa resi così più facilmente assimilabili e digeribili ebbe importanti conseguenze.

Il fuoco trasportato da un luogo all'altro era una risorsa come la carne, la frutta e le armi. I grossi rami e le fascine di ramoscelli possono bruciare lentamente per ore. Con la carne, il fuoco e la cottura, i bivacchi, che a volte duravano più di qualche giorno e quindi erano abbastanza stabili per essere protetti come rifugi, segnarono il passo vitale successivo. Questi erano una sorta di nidi, come potremmo chiamarli, e hanno sempre preceduto la conquista dell'eusocialità, anche quando espressa al minimo, da parte di tutti gli altri animali, a cominciare dagli insetti sociali.

Insieme con i fuochi di bivacco arrivò la divisione del lavoro. E preesistevano anche differenze tra maschi e femmine e fra giovani e vecchi. Infine, in ogni sottogruppo c'erano delle disparità non solo nella capacità di leadership ma anche nella propensione a rimanere nell'accampamento.

Il risultato inevitabile che scaturì quasi subito da tutti questi preadattamenti fu una complessa divisione del lavoro.

Terraferma, corporatura, mani, bipedismo, cooperazione e gruppi, controllo del fuoco, bivacchi e divisione del lavoro: un insieme di preadattamenti che presi singolarmente non hanno valore evolutivo fondamentale, ma che in serie rappresentano la spinta fondamentale ad acquisire la condizione umana. E, ovviamente, il linguaggio.

Ma forse la cosa che più colpisce, è la conferma dell’incredibile intuizione di Charles Darwin, riportata nel suo poco noto lavoro L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli altri animali (1872): l’istinto si evolve per selezione naturale, i tratti comportamentali che definiscono ogni specie, così come quelli che ne definiscono anatomia e fisiologia, sono ereditari. Il grande scienziato sosteneva che continuano ad esistere perché in passato avevano favorito la sopravvivenza e la riproduzione. Questa intuizione è stata verificata e convalidata più volte.

Nonostante una serie incredibile di polemiche e tentativi di dimostrare che l’istinto umano non è un prodotto delle mutazioni e della selezione naturale, che esiste un dualismo mente-materia, decenni di studi hanno sconfitto la visione del cervello come una sorta di tabula rasa su cui solo l’apprendimento poteva lasciare segni. Molti scienziati, quasi esclusivamente di ambito sociale e intellettuale, continuavano a insistere che la mente è il prodotto esclusivo dell’ambiente e della sua storia passata. Sostenevano ad esempio che il libero arbitrio esiste ed è potente, e che la mente è sottoposta alla volontà e…al destino! Concludevano sostenendo che tutto ciò che evolve nella mente è esclusivamente culturale negando una natura umana (o animale che sia) basata sulla genetica.

Oggi la quantità e il rigore delle prove a favore dell’istinto e della natura umana determinate geneticamente sono schiaccianti e nuove conferme si aggiungono continuamente.

Questa incredibile serie di eventi[1] deve farci riflettere sull’unicità della nostra specie, un evento apparentemente irripetibile, così come irripetibile è quello di qualsiasi altra specie. Ma, dal punto di vista strettamente biologico, la comparsa della specie umana non è stata diversa da quella di qualsiasi altra. Come il titolo di un famoso libro del biologo evoluzionista Richard Dawkins…il più grande spettacolo della Terra grazie a, citando ancora Charles Darwin, infinite bellissime forme.



[1] È interessante notare come sia ormai accertato che questa incredibile serie di eventi, pietre miliari dell’evoluzione umana, non siano stati i primi motori. Sono stati passi preliminari, ognuno come un adattamento a sé stante, ognuno con le sue cause prossime e remote. Ma il passo finale fu la formazione del cervello del moderno Homo sapiens, l’evento che ha scatenato l’esplosione creativa tuttora in atto.

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