01 novembre 2025

Ciò che tutti dovrebbero capire - Prima parte

Introduzione

La prossima settimana, come anticipato nel mio post precedente, i leader mondiali si riuniranno in Brasile per la COP30, il vertice annuale delle Nazioni Unite sul clima. Un'opportunità per riformulare il modo in cui pensiamo al cambiamento climatico, visto il modo in cui è stato fatto finora, in maniera complessivamente poco efficace.

Per decenni, il mondo ha misurato i progressi climatici in gradi di riscaldamento e tonnellate di carbonio. Sono numeri importanti, ma non ci dicono nulla sulla qualità della vita delle persone.

È facile attribuire ogni evento estremo al cambiamento climatico, la parte difficile è ricordare che quel cambiamento climatico non è la causa, ma è sempre l'effetto. Le cause sono i nostri sistemi energetici, alimentari e produttivi, e principalmente le fonti fossili di energia. Una qualità della vita che ha penalizzato la maggior parte del mondo.

Le famiglie sono in grado di coltivare abbastanza cibo? Le comunità sono sane? Tutti hanno accesso a un'energia affidabile?

Ed ecco che già a partire da un’immagine come la precedente questa resta soltanto un concetto, un processo teorico, non un’azione.

L’obiettivo finale è quello di migliorare il benessere umano e assicurarci che le persone di tutto il mondo possano vivere una vita sana e produttiva in un pianeta che si sta riscaldando. Ciò significa investire in soluzioni che migliorino la vita di oggi e riducano le emissioni di domani: energia pulita a prezzi accessibili, colture resilienti e sistemi sanitari più forti. Significa anche ripensare al modo in cui consumiamo le risorse, di per sé limitate, indirizzandole verso obiettivi di efficienza economica e allontanandole da quelle che non lo fanno.

Anticipando le conclusioni lo sviluppo non dipende dall'aiutare le persone ad adattarsi a un clima più caldo: lo sviluppo È adattamento.

Non mi stancherò mai di ripetere che il cambiamento climatico è innanzi tutto un problema di ordine sociale, con implicazioni drammatiche per una parte gigantesca dell’umanità, come ho già evidenziato un anno fa in occasione della COP29. Quella parte da sempre ignorata dell’umanità. Ciò che una volta veniva chiamato sud (globale) del Mondo e che ora, a comprendere minoranze che non necessariamente vivono a sud dell’Equatore ed altre comunità emarginate, è stato chiamato MAPA, Most Affected People and Areas.

Insostenibile è il fatto che l’1% più ricco della popolazione mondiale (rapporto Oxfam “Climate Equality”, novembre 2023) è responsabile del 16% delle emissioni globali di carbonio. Lo stesso quantitativo prodotto dal 66% più povero dell’umanità.

Le parole rivolte ai partecipanti alla COP29 da parte del Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano, ne amplificano la portata: «Quando si parla di finanziamenti per il clima, è importante ricordare che il debito ecologico e il debito estero sono due facce della stessa medaglia, che ipotecano il futuro». E ancora, ricordando le parole del Papa: «Le nazioni più ricche riconoscano la gravità di tante decisioni prese e stabiliscano di condonare i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli. Prima che di magnanimità, è una questione di giustizia, aggravata oggi da una nuova forma di iniquità di cui ci siamo resi consapevoli: c’è infatti un vero ‘debito ecologico’, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi».

Sarebbe ora di istituire una sorta di patrimoniale climatica!

C’è spazio per l’ottimismo?

«L’ottimismo è il sale della vita» era il tormentone di un vecchio spot pubblicitario. Vediamo se riesco stavolta ad essere ottimista analizzando la cosa da un altro punto di vista, nonostante non lo sia stato diverse volte su queste pagine, e soprattutto proprio nel post dedicato a COP30.

Più volte ho messo in evidenza come quello del cambiamento climatico sia un problema strettamente legato ad una visione d’insieme globale, planetaria, e fatto soprattutto di aspetti legati al sociale e all’economia: una vera e propria sfida strategica da gestire. Gestione della crisi e nuove tecnologie dovranno procedere di pari passo, integrate, esattamente sulla linea di mitigazione adattamento di cui ho recentemente trattato.

Il cambiamento climatico è una questione seria, ma abbiamo fatto grandi progressi. Occorre continuare a sostenere le innovazioni che aiuteranno il mondo a raggiungere zero emissioni. La mitigazione.

  • Al tempo stesso vanno mantenuti e potenziati, non tagliati, come più spesso accade, i finanziamenti per la salute e lo sviluppo, i programmi che aiutano le persone a reagire fronte al cambiamento climatico. L’adattamento.
  • È tempo di mettere il benessere umano al centro delle nostre strategie climatiche, includendo l’azzeramento del sovrapprezzo da pagare e il miglioramento dell'agricoltura e della salute nei paesi poveri. La coscienza.

Nonostante vada diffondendosi, la visione apocalittica e catastrofica è sbagliata, fortunatamente per tutti noi. Sebbene il cambiamento climatico avrà gravi conseguenze, in particolare per le popolazioni dei paesi più poveri, non porterà alla fine dell'umanità. Le persone potranno vivere e prosperare nella maggior parte dei luoghi della Terra per il prossimo futuro. Le proiezioni sulle emissioni sono diminuite e, con le giuste politiche e investimenti, l'innovazione ci consentirà di ridurle ulteriormente. Ma occorre agire, e in fretta, come ho recentemente sottolineato nel post dedicato alla COP30, rispondendo con esempi concreti sia a coloro i quali affermano che nulla servirà a cambiare le cose, sia a quelli che confidano in una sorta di manzoniana provvidenza: non c’è differenza tra loro perché non portano soluzioni utili. L’unica cosa che occorre fare è rimboccarsi le maniche e agire, evitare l’inazione.

Sia chiaro: il cambiamento climatico è un problema fondamentale. Deve essere risolto, alla stessa stregua di problemi come la malaria e la malnutrizione. Ogni decimo di grado di riscaldamento che impediamo è un successo, perché implica una stabilità climatica che rende più facile migliorare la vita delle persone.

Purtroppo le prospettive apocalittiche stanno inducendo gran parte della comunità climatica a concentrarsi troppo sugli obiettivi di emissione a breve termine, distogliendo risorse dalle azioni più efficaci da intraprendere per migliorare la vita in un mondo che si sta riscaldando.

Non è troppo tardi per adottare una visione diversa e adattare le nostre strategie per affrontare il cambiamento climatico. Il vertice globale sul clima in Brasile è un ottimo punto di partenza, soprattutto perché la leadership brasiliana del vertice sembra stia mettendo l'adattamento climatico e lo sviluppo umano in cima all'agenda.

È un'opportunità per tornare a concentrarci su un parametro che dovrebbe contare ancora di più delle emissioni e del cambiamento climatico: migliorare la vita. Il nostro obiettivo principale dovrebbe essere quello di prevenire la sofferenza, in particolare per coloro che vivono nelle condizioni più difficili, nei paesi più poveri del mondo.

Il cambiamento climatico colpirà i poveri più di chiunque altro, che sono paradossalmente quelli che contribuiscono minimamente o per niente al cambiamento, e per la stragrande maggioranza di loro non sarà l'unica minaccia, né la più grande, per la loro vita e il loro benessere. I problemi più grandi sono la povertà e le malattie, proprio come lo sono sempre stati. Comprendere questo ci permetterà di concentrare le nostre limitate risorse su interventi che avranno il maggiore impatto sulle persone più vulnerabili.

La COP30 si svolge in un momento in cui è particolarmente importante ottenere il massimo valore da ogni centesimo speso per aiutare i più poveri. La riserva di denaro disponibile per aiutarli – che già al suo livello più alto rappresentava meno dell'1% dei bilanci dei paesi ricchi e che il più delle volte è rimasta solo una promessa non onorata – si sta riducendo sotto la scure dei tagli che i paesi ricchi effettuano a fronte del contemporaneo aumento del debito da parte dei paesi poveri. Sappiamo con certezza che nemmeno gli sforzi fatti per la fornitura di vaccini salvavita per tutti i bambini del mondo non vengono completamente finanziati. Il fondo per l’acquisto dei vaccini Gavi avrà il 25% di fondi in meno per i prossimi cinque anni rispetto ai cinque anni trascorsi. Possiamo immaginare che valore possa essere attribuito a fondi che serviranno per migliorare un tempo futuro o uno spazio che nessuno vede o tocca con mano, quello legato alle condizioni dovute al cambiamento climatico: il valore del futuro di cui ho scritto. Eppure è proprio da esempi come quello dei vaccini che viene l’insegnamento migliore: sono i campioni indiscussi di vite salvate per ogni dollaro speso; vaccini che diventano ancora più importanti in un mondo che si riscalda, perché i bambini che non muoiono di morbillo o pertosse avranno maggiori probabilità di sopravvivere quando un'ondata di calore colpirà o una siccità minaccerà le riserve alimentari locali.

A fronte di fondi destinati al clima a questo punto ci si deve chiedere: vengono spesi per le azioni giuste? Probabilmente no.

Sembra che, nella confusione operativa e fortemente rallentata da un eccesso di burocrazia, nel labirinto di leggi e sovranità nazionali indipendenti, nella mancanza di azione globale, il mondo si comporti come se ogni sforzo per combattere il cambiamento climatico fosse valido quanto qualsiasi altro. Uno vale uno anche qui: e non è vero! Di conseguenza, progetti meno efficaci distolgono fondi e attenzione da iniziative che avrebbero un impatto maggiore sulla condizione umana, quali ad esempio rendere accessibile l'eliminazione di tutte le emissioni di gas serra e ridurre la povertà estrema attraverso miglioramenti in agricoltura e salute.

Cambiamento climatico, malattie e povertà sono tutti problemi gravi. Ma andrebbero affrontati in proporzione alla sofferenza che causano. E dovremmo utilizzare i dati per massimizzare l'impatto di ogni nostra azione.

L’innovazione ci salverà?

Nella ipotesi peggiore, adottando solo misure moderate per frenare il cambiamento climatico, l'opinione oggi più diffusa è che entro il 2100 la temperatura media della Terra sarà probabilmente tra 2 e 3 °C più alta rispetto all’era preindustriale.

Ben al di sopra dell'obiettivo di 1,5 °C che i paesi si erano impegnati a raggiungere alla COP di Parigi nel 2015. Di fatto, da qui al 2040, in un attimo pari a 15 anni soltanto, saremo ben lontani dagli obiettivi climatici mondiali. Perché?

Ovvio, la domanda mondiale di energia è in aumento, e sarà più che doppia dell’attuale entro il 2050. Soprattutto da parte dei paesi definiti, con termini abusatissimi, in via di sviluppo, e che ci pongono la domanda: ma come, voi paesi ricchi avete finora sfruttato fonti energetiche economiche infischiandovene dell’ambiente e adesso non possiamo farlo noi?

Comunque stiano le cose dal punto di vista del miglioramento della vita, un maggiore consumo di energia è positivo, perché è strettamente correlato alla crescita economica: insomma, più energia pro-capite si consuma maggiore sono benessere e prosperità.

Purtroppo, in questo caso, ciò che è positivo per la prosperità è negativo per l'ambiente. Sebbene le cosiddette energie rinnovabili siano diventate più economiche e migliori, non disponiamo ancora di tutti gli strumenti necessari per soddisfare la crescente domanda di energia senza aumentare le emissioni di carbonio e, amara considerazione, la stragrande maggioranza delle nuove fonti alternative attivate sono servite a coprire ulteriori richieste d’energia, non a sostituire quanto prodotto col fossile.

Ma, concentrandoci sull’innovazione, avremo gli strumenti. Con gli investimenti e le politiche giuste, nei prossimi dieci anni saranno disponibili nuove tecnologie a zero emissioni di carbonio, accessibili e pronte per essere implementate su larga scala. Se a ciò si aggiunge l'impatto dei miglioramenti di quanto già abbiamo, entro la metà di questo secolo le emissioni saranno inferiori, e il divario tra paesi poveri e paesi ricchi sarà notevolmente ridotto, nonostante l’atteso incremento demografico. Tutti i paesi potranno costruire edifici con cemento e acciaio a basse emissioni di carbonio, quasi tutte le nuove auto saranno elettriche o alimentate a idrogeno o biocarburanti, le aziende agricole saranno più produttive e meno impattanti in termini ambientali, utilizzando fertilizzanti prodotti senza generare emissioni; non ultimo, le reti elettriche saranno in grado di fornire elettricità da fonti rinnovabili in modo affidabile e con reti di distribuzione più efficienti, riducendo i costi energetici.

Un bel sogno? Forse, o forse no.

Nonostante queste innovazioni, però, le emissioni cumulative e l’ineluttabile inerzia termica del pianeta causeranno un riscaldamento globale, anche se smettessimo oggi – e non lo stiamo facendo - di immettere in atmosfera gas serra, e molte persone ne saranno colpite. Assisteremo ad una sorta di incremento della latitudine: la Sicilia, ad esempio, somiglierà al nord Africa e la Pianura Padana alla Sicilia. Le migrazioni climatiche saranno estremamente diffuse, ma la maggior parte delle popolazioni equatoriali non potrà trasferirsi subendo quindi più ondate di calore, eventi atmosferici più intensi e incendi più estesi. Alcuni lavori all'aperto dovranno essere sospesi durante le ore più calde della giornata (persino da noi la scorsa estate numerose regioni hanno emesso ordinanze in tal senso) e i governi dovranno investire da un lato in migliori sistemi di allerta precoce per il caldo estremo e gli eventi meteorologici e dall’altro in strutture in grado di offrire pubblico refrigerio.

Ma allora da dove viene l’ottimismo di poco fa?

Da grafici come il seguente.

Una decina d’anni fa, l'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA) prevedeva che entro il 2040 il mondo avrebbe emesso 50 Gton di biossido di carbonio l’anno. Ora, appena un decennio dopo, la previsione di questa autorevole fonte è scesa a 30 Gton (qui la situazione storica) e si ritiene che le emissioni nel 2050 potrebbero essere ancora più basse.

Se negli ultimi 10 anni abbiamo ridotto le emissioni previste di oltre il 40 percento lo dobbiamo all’innovazione, al progresso tecnologico.

Abbiamo sempre pagato per l’energia, per averne, ma fino a non molto tempo fa non pagavamo per le conseguenze del rilascio del CO2 in atmosfera; e non pagare non è un’opzione. Se non lo facciamo adesso lo faranno le generazioni future, a caro prezzo. E la domanda è: quanti di noi sono davvero disposti a pagare il Green Premium? Il sovrapprezzo che occorrerà, volenti o nolenti, pagare per ottenere energia che non rilasci gas climalteranti.

A quanto pare, si è iniziato a farlo seriamente più o meno a partire dal 2010. La differenza di costo tra metodi puliti e metodi inquinanti, non solo per produrre l’energia ma per fare qualsiasi cosa, ha raggiunto lo zero o è diventato negativo per l'energia solare, eolica, l'accumulo di energia e i veicoli elettrici: nel complesso, sono altrettanto economici, se non addirittura più economici, delle loro controparti basate sui combustibili fossili.

Naturalmente, per raggiungere l'obiettivo zero emissions abbiamo bisogno di ulteriori innovazioni e ciò diventerà ancora più importante se nuove prove dimostreranno che il cambiamento climatico sarà molto più grave di quanto previsto dall'attuale generazione di modelli climatici, perché dovremo ridurre più rapidamente il sovrapprezzo e accelerare la transizione verso un'economia a zero emissioni.

Fortunatamente, la capacità degli esseri umani di inventare è non solo inalterata ma migliorata.

Non finisce qui, seconda parte in arrivo...

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