La Regina Rossa. Cosa c'entrano le pandemie con la crisi climatica?

Mers, Sars, Ebola, Marburgh, Nipah, Hendra, Sars-CoV-2: i nomi di altrettanti virus che evocano scenari pandemici che l’intera umanità, in questo mondo altamente globalizzato, ha sperimentato sia di recente che più di una volta in passato, con conseguenze disastrose.

Le pandemie sono conseguenze di processi globali molto grandi, 
non lineari, lenti e progressivi, e che nascono come risultato concentrato nel tempo e nello spazio, come possono altresì esserlo il riscaldamento climatico e la crisi ambientale, o il clima stesso. La mente umana, evolutasi per favorire l’adattamento con reazioni legate soprattutto al qui e ora, fatica ad afferrare questi processi. E la loro manifestazione è di solito improvvisa, con potente, devastante, provocando numeri enormi di vittime, che in apparenza sembrano inevitabili, imprevedibili. Ma non è così.

Fenomeni di questo tipo, così come un disastro ambientale, un’inondazione, un evento atmosferico estremo, un terremoto, il crollo di un ghiacciaio o una frana, non possono certamente essere predetti in termini di tempo e luogo esatti, ma possiamo calcolare il rischio, la probabilità di verificarsi di un evento avverso.  E nonostante ci siano i mezzi per effettuare questo calcolo piuttosto bene, non lo facciamo quasi mai (qui un approfondimento sul calcolo dei rischi). L’esempio migliore viene proprio dal calcolo del rischio sismico: non sappiamo quando ci sarà il prossimo, ma sappiamo che in alcune regioni il rischio sismico è elevato e dunque la prevenzione deve essere realizzata al meglio delle possibilità.

Non sono calamità, emergenze, sciagure o fenomeni paranormali e al di fuori della nostra portata e controllo, o quanto meno al di fuori della nostra capacità di conoscere

E soprattutto non sono né ribellioni della natura avversa, né punizioni divine. La Natura non è un ente morale che giudica e reagisce.

Per quanto possa sembrare strano vale lo stesso per le pandemie o meglio, per il rischio pandemico. La recente pandemia da Sars-CoV-2, infatti, non è stata solo un problema scientifico e sanitario, affrontato come un'emergenza o una calamità, ma anche un problema ecologico.

Da un punto di vista evoluzionistico, la pandemia non è che l'ultimo capitolo di una storia molto più lunga iniziata circa tre miliardi di anni fa con la comparsa dei primi virus sul pianeta è segnata da alcune svolte decisive. La prima, circa 600 milioni di anni fa, quando dopo oltre due miliardi e mezzo di anni passati a lottare contro i batteri (un approfondimento qui), i virus si sono evoluti in modo tale da infettare anche gli organismi multicellulari come piante e animali. La seconda risale a poco più di 200.000 anni fa e coincide con la comparsa dei nostri primi antenati Homo sapiens in Africa. Infine la terza, la cosiddetta transizione neolitica che, al termine dell'ultima glaciazione 11.700 anni fa, portò alla domesticazione di alcuni animali e alla nostra sempre più stretta convivenza con loro e con i loro agenti patogeni.

Le traiettorie evolutive dei virus e della nostra specie si sono intrecciate in modo sempre più profondo, tanto che oggi sappiamo che ben l'8% del nostro DNA è di origine virale. In passato, infatti, alcuni retrovirus hanno infettato le cellule germinali dei nostri antenati, che sopravvivendo hanno trasmesso questo materiale genetico alle generazioni successive. Grazie a questi inserimenti dall’esterno di nuove componenti genetiche (questo meccanismo, utilizzato da miliardi di anni dai batteri, è stato raccontato qui), ha consentito col tempo a far sì che i virus diventassero parte di noi: alcuni geni di origine virale sono stati nel corso dell'evoluzione persino riutilizzati su funzioni essenziali per la nostra sopravvivenza, come ad esempio per lo sviluppo della placenta.

Ovviamente le differenze tra noi e i virus restano profonde aiutando a spiegare alcune dinamiche osservate anche durante l'ultima pandemia.

I virus, a differenza di animali complessi come Homo sapiens, sono «macchine darwiniane» quasi perfette. Devono fare una sola cosa nella vita: moltiplicarsi usando le cellule degli altri come veicoli di diffusione, hanno una struttura semplice ed efficiente, quale ad esempio una semplice capsula proteica che racchiude un filamento di RNA, e ciò permette loro di minimizzare le risorse biologiche necessarie per riuscire a infettare e replicarsi. I virus, in quanto parassiti obbligati, obbediscono a una sola e semplice logica: fare più copie possibili di se stessi utilizzando le cellule di altri organismi come mezzi. Il sogno di tutti i virus è fare il cosiddetto «salto di specie», Riuscire a infettare le cellule di nuovi ospiti, aprendo così una prateria sconfinata di nuove possibilità di replicazione.

Nel caso di Sars-CoV-2, Il salto di specie in Homo sapiens, molto probabilmente è avvenuto in un grande e promiscuo wet market, luoghi dove la promiscuità è altissima e le condizioni igieniche pessime; anche se non ancora del tutto chiarito ha avuto diversi passaggi e ricombinazioni a partire da un coronavirus di pipistrello. Il passaggio al genere umano ha permesso al virus di diffondersi in pochissimo tempo in tutto il mondo, ottenendo così un grande successo evolutivo fra quasi 8 miliardi di potenziali ospiti.

Inizia quindi a delinearsi il concetto di «rischio pandemico», continuamente presente e da non sottovalutare, come di recente visto nel caso dei contagi dal cosiddetto «vaiolodelle scimmie».


Come qualsiasi organismo sottoposto ad evoluzione per selezione naturale, ogni errore di copiatura del materiale genetico può determinare l'emersione di una nuova variante in grado di aumentare la capacità del virus di infettare nuove cellule, di replicarsi in modo più veloce ed efficiente, oppure di aggirare le nostre difese, portando così un nuovo ceppo al diffondersi e a sostituire gli altri; esattamente quanto visto nel caso delle numerose varianti del Sars-CoV-2. Grazie al processo darwiniano di mutazione casuale e selezione i virus possono continuare ad adattarsi per eludere le difese delle specie. Ogni nuova difesa introdotta dalla specie ospite produce infatti a sua volta una «pressione selettiva» sui virus, creando le condizioni affinché le mutazioni casuali che portano a una maggiore resistenza del virus abbiano successo e si diffondano.

Colgo l'occasione per ribadire un concetto: è del tutto errato dire e scrivere, come purtroppo hanno fatto anche alcuni scienziati, che il virus evolve strategie adattative «per» eludere i vaccini, o che i vaccini «causino» direttamente le mutazioni di resistenza. Nel primo caso si tratterebbe di un'evoluzione direzionata e intenzionale, cioè di una concezione finalistica del processo che è estranea alla scienza. Nel secondo caso si tratterebbe di un processo lamarckiano in cui la mutazione ereditabile è indotta direttamente dal cambiamento ambientale (il vaccino, rispetto al virus), ma così non è. Ciò che avviene è invece un classico processo darwiniano «variazionale», cioè di selezione e filtraggio ambientale di mutazioni spontanee.

Questo continuo gioco di mosse e contro mosse, adattamenti e contro-adattamenti tra una specie ospite e un patogeno, in biologia evoluzionistica è nota come «corsa della Regina Rossa» (la incontrammo anche qui) o corsa agli armamenti evolutiva.

Il fenomeno prende il nome da un passaggio del secondo capitolo di Attraverso lo specchio di Lewis Carroll, dove Alice osserva che, nonostante lei e la Regina Rossa abbiano corso parecchio, in realtà non si sono affatto spostate. La Regina Rossa, per nulla stupita, le risponde che è normale: «Qui, come vedi, correndo finché puoi, resti nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche parte, devi correre almeno due volte più veloce di così!». Chi rimane fermo indietreggia, chi corre rimane fermo e per avanzare occorre correre il doppio.

La corsa della Regina Rossa racchiude un concetto importante: in un sistema dinamico bisogna muoversi per mantenere la posizione. Biologicamente parlando due specie antagoniste che vivono nello stesso ambiente (una pianta e il suo insetto impollinatore, ospiti e parassiti) tendono a co-evolvere per mantenere la propria posizione, ovvero «corrono» in senso evolutivo, sviluppando co-adattamenti reciproci solo per «rimanere ferme» l’una rispetto all’altra, e sopravvivere.

Ebbene, in questa corsa contro i virus, siamo noi mammiferi partire svantaggiati. Non solo i virus mutano assai più velocemente, ma quella umana è diventata a tutti gli effetti una specie ospite perfetta per i virus. Come i pipistrelli, anche noi siamo mammiferi molto mobili e sociali. Ma i pipistrelli i pipistrelli hanno evoluto una straordinaria capacità di bilanciare in modo efficace le reazioni di difesa e tolleranza ai virus e raramente il loro sistema immunitario eccede nella risposta.  Noi Homo sapiens non abbiamo invece la stessa capacità di modulare le crisi infiammatorie provocate da patogeni come un coronavirus, e possiamo subire una crisi sistemica. Per questo motivo, quando questi animali vengono infettati da virus per noi terribili come Mers, Sars, Ebola, Marburgh, Nipah, Hendra o Sars-CoV-2, difficilmente si ammalano in modo grave. E ciò non deve sorprendere: la corsa dei pipistrelli è in atto da ben 64 milioni di anni, distribuita su 1400 specie, contro la nostra unica specie presente sulla terra da appena 200.000 anni.

Oltre alle caratteristiche biologiche del virus, alla sua biodiversità (almeno 5.000 coronavirus diversi nella sola Cina) e alla sua estrema velocità di mutazione, se guardiamo alla nostra corsa contro gli agenti patogeni in generale, e non solo contro un determinato virus, vi sono diversi altri elementi a nostro discapito che non possiamo ignorare.

Questa è la ragione evolutiva profonda del rischio pandemico.

Negli ultimi due secoli la popolazione umana sul pianeta è cresciuta a ritmi vertiginosi e nel 2022 ha superato gli 8 miliardi di esseri umani, il doppio di quanti ce n'erano negli anni Settanta e più del quadruplo di quanti ce n'erano quando l'umanità fu colpita dalla precedente grande pandemia, quella dell'influenza spagnola, un secolo fa. Oggi la maggioranza assoluta di questa popolazione (54%) vive in centri urbani densamente popolati connessi tra loro a livello globale. Se da una parte questo consente di scambiare idee bene in come mai prima nella storia, dall'altra permette ai virus di diffondersi a grande velocità, imbarcandosi con i loro ospiti sui voli intercontinentali. Homo sapiens rappresenta quindi l'ospite ideale per i virus, sia perché mette a disposizione miliardi di individui tra loro vicini da infettare, ma anche perché, unica tra tutte le specie, è in grado di cambiare emisfero in pochissime ore.

La trasformazione dell’ambiente operata in modo drammatico nel corso degli ultimi secoli rappresenta un altro fattore di rischio cruciale. Ciò che i biologi chiamano «costruzione di nicchia», ovvero la modificazione dell’ambiente circostante da parte di una specie per adattarlo alle proprie esigenze, per Homo sapiens ha portato a trasformare il mondo in un posto meno ostile e più adatto alla nostra sopravvivenza: dal Neolitico in poi non abbiamo mai smesso di farlo, a livello planetario, pressoché ovunque, al punto che se escludiamo i ghiacciai, i quattro quinti delle terre emerse mostrano i segni più o meno profondi dell'influenza umana: appena il 20% del pianeta non presenta (ancora) segni di presenza umana. Siamo come castori fuori controllo. Come questi animali che, costruendo dighe, alterano in modo significativo l’ambiente circostante, creando specchi d’acqua ferma e generando nuove nicchie ecologiche per altri organismi, anche noi siamo ingegneri ecosistemici, non gli unici ovviamente, che trasmettono alle generazioni seguenti molto più che geni e culture: lasciamo loro anche un’eredità ecologica sotto forma di un ambiente alterato e diverso.

Ma i vantaggi a breve termine delle trasformazioni ambientali possono essere una trappola perché possono trasformarsi in svantaggi molto più significativi sul medio e lungo periodo a danno delle generazioni future. L’evoluzione non prevede il futuro: agisce solo sul presente e su ciò che ha a disposizione. Questo, ad esempio, è proprio il caso della crisi climatica in corso. La costruzione di una nicchia modellata esclusivamente sui bisogni presenti è pericolosa, anche dal punto di vista epidemiologico. Col clima che cambia, e con esso la statistica degli eventi meteorologici, infrastrutture e istituzioni atte gestire la variabilità del clima e progettate per rispondere alle diverse esigenze storiche, non sono più calibrate per ciò che ci aspetta. La distruzione miope dell’ambiente non solo inoltre costituisce un contributo al riscaldamento globale ma avvicina pericolosamente le specie animali portatrici di virus in grado di effettuare il «salto di specie», la zoonosi, cioè malattie trasmesse dagli animali all’uomo. Esiste una relazione profonda tra crisi ambientale e pandemie.

La distruzione sistematica delle foreste pluviali, a cominciare dall’Amazzonia, che continua a perdere foresta al ritmo di almeno 12.000 kmq l’anno (l’equivalente di 4.000 campi da calcio ogni giorno!), ha ridotto in modo drastico gli habitat di animali amplificatori di virus costringendoli a cercare cibo nelle zone abitate, e ogni volta che uno di questi animali selvatici entra in contatto con un essere umano esiste la possibilità che un virus finora ignoto faccia il temuto salto di specie. È già successo in Africa, dove tra il 2014 e il 2017 numerosi focolai di Ebola si ebbero proprio a causa del disboscamento progressivo.

La concentrazione di miliardi di animali in allevamenti intensivi, per soddisfare il bisogno di prodotti animali a basso costo, ha creato le condizioni ideali per la diffusione dei virus, ingaggiando una corsa della Regina Rossa sempre più veloce e competitiva.

Ciò vale anche per gli altri microbi: i batteri. A causa dell’abuso degli antibiotici questi stanno sviluppando forme di resistenza anche a cocktail di antibiotici, un rischio questo estremamente sottovalutato.

Infine, ma non la fine, altri comportamenti pericolosi sono legati al quarto traffico illegale più lucroso al mondo, dopo armi, droga ed esseri umani: quello della cattura e commercializzazione di animali esotici, destinati al consumo o all’utilizzo di loro parti per cosiddette medicine alternative o legati a riti e superstizioni altrettanto primitive.

In definitiva, un avversario già di suo estremamente pericoloso, corre ancora più veloce grazie alla costruzione di nicchie ecologiche antropiche, e ci costringe a correre ancora più velocemente per non perdere terreno, un terreno che è stato trasformato da noi stessi.

Le mutazioni sono casuali e si accumulano in modo direttamente proporzionale alla quantità di virus in circolazione. Appare ovvio che l’ultima cosa che va permessa è lasciare che il virus circoli liberamente in mezzo mondo. E’ quel che invece sta accadendo con Sars-CoV-2: nelle zone più povere del mondo miliardi di persone non hanno avuto accesso nemmeno alla prima dose, rendendo vane le promesse di equità vaccinale che vede i paesi progrediti fare scorta di vaccini che potrebbero rivelarsi inutili viste le continue variazioni. Ecco perché quest’ultima crisi pandemica si protrarrà per anni.

E tornando a quanto si diceva all’inizio, l’arma vincente in nostro possesso da opporre a questo quadro evolutivo ed ecologico, è ancora una volta la prevenzione. Proprio come quella antisismica, che nel nostro paese sembra esprimere finalmente i primi vagiti, come quella climatica, che continuiamo ad ignorare. Investire oggi per evitare problemi domani, con notevole risparmio economico: è stato dimostrato che fare prevenzione primaria in campo epidemiologico costerebbe un ventesimo rispetto ad un intervento tardivo su un agente patogeno che abbia già fatto il salto di specie.

La prevenzione non è un costo, ma un investimento per pagare molto meno dopo, impegnandosi eticamente a non scaricare sulle prossime generazioni il nostro debito ambientale. L’evoluzione non riguarda solo età remote di dinosauri e libellule giganti, ma più spesso parla al nostro presente.

Se sappiamo cosa sta succedendo, lo possiamo prevenire, e al resto possiamo adattarci. 

Che si tratti di rischio ambientale o rischio pandemico non ha importanza...anche perché i due aspetti, sono più legati di quanto si pensi

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Riferimento bibliografico
Telmo Pievani - La natura è più grande di noi









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