Non sono calamità, emergenze, sciagure o fenomeni paranormali e al di fuori della nostra portata e controllo, o quanto meno al di fuori della nostra capacità di conoscere.
E soprattutto non sono né ribellioni della natura avversa, né punizioni divine. La Natura non è un ente morale che giudica e reagisce.
Per quanto possa sembrare strano
vale lo stesso per le pandemie o meglio, per il rischio pandemico. La recente
pandemia da Sars-CoV-2, infatti, non è stata solo un problema scientifico e
sanitario, affrontato come un'emergenza o una calamità, ma anche un problema
ecologico.
I virus, a differenza di animali
complessi come Homo sapiens, sono «macchine darwiniane» quasi perfette. Devono
fare una sola cosa nella vita: moltiplicarsi usando le cellule degli
altri come veicoli di diffusione, hanno una struttura semplice ed efficiente,
quale ad esempio una semplice capsula proteica che racchiude un filamento di
RNA, e ciò permette loro di minimizzare le risorse biologiche necessarie per
riuscire a infettare e replicarsi. I virus, in quanto parassiti obbligati,
obbediscono a una sola e semplice logica: fare più copie possibili di se stessi
utilizzando le cellule di altri organismi come mezzi. Il sogno di tutti
i virus è fare il cosiddetto «salto di specie», Riuscire a infettare le cellule di nuovi ospiti, aprendo
così una prateria sconfinata di nuove possibilità di replicazione.
Nel
caso di Sars-CoV-2, Il salto di specie in Homo sapiens, molto
probabilmente è avvenuto in un grande e promiscuo wet
market, luoghi dove la promiscuità è altissima e le condizioni
igieniche pessime; anche se non ancora del tutto chiarito ha avuto diversi
passaggi e ricombinazioni a partire da un coronavirus di pipistrello. Il
passaggio al genere umano ha permesso al virus di diffondersi in pochissimo
tempo in tutto il mondo, ottenendo così un grande successo evolutivo fra quasi
8 miliardi di potenziali ospiti.
Inizia quindi a delinearsi il concetto di «rischio pandemico», continuamente presente e da non sottovalutare, come di recente visto nel caso dei contagi dal cosiddetto «vaiolodelle scimmie».
Come qualsiasi organismo
sottoposto ad evoluzione per selezione naturale, ogni errore di copiatura del
materiale genetico può determinare l'emersione di una nuova variante in grado
di aumentare la capacità del virus di infettare nuove cellule, di replicarsi in
modo più veloce ed efficiente, oppure di aggirare le nostre difese, portando
così un nuovo ceppo al diffondersi e a sostituire gli altri; esattamente quanto
visto nel caso delle numerose varianti del Sars-CoV-2. Grazie al processo
darwiniano di mutazione casuale e selezione i virus possono continuare ad
adattarsi per eludere le difese delle specie. Ogni nuova difesa introdotta
dalla specie ospite produce infatti a sua volta una «pressione selettiva»
sui virus, creando le condizioni affinché le mutazioni casuali che portano a
una maggiore resistenza del virus abbiano successo e si diffondano.
Colgo l'occasione per ribadire un concetto: è del tutto errato dire e scrivere, come purtroppo hanno fatto anche alcuni scienziati, che il virus evolve strategie adattative «per» eludere i vaccini, o che i vaccini «causino» direttamente le mutazioni di resistenza. Nel primo caso si tratterebbe di un'evoluzione direzionata e intenzionale, cioè di una concezione finalistica del processo che è estranea alla scienza. Nel secondo caso si tratterebbe di un processo lamarckiano in cui la mutazione ereditabile è indotta direttamente dal cambiamento ambientale (il vaccino, rispetto al virus), ma così non è. Ciò che avviene è invece un classico processo darwiniano «variazionale», cioè di selezione e filtraggio ambientale di mutazioni spontanee.
Il fenomeno prende il nome da un
passaggio del secondo capitolo di Attraverso lo specchio di Lewis
Carroll, dove Alice osserva che, nonostante lei e la Regina Rossa abbiano corso
parecchio, in realtà non si sono affatto spostate. La Regina Rossa, per nulla
stupita, le risponde che è normale: «Qui, come vedi, correndo finché puoi,
resti nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche parte, devi correre almeno
due volte più veloce di così!». Chi rimane fermo indietreggia, chi corre rimane
fermo e per avanzare occorre correre il doppio.
La corsa della Regina Rossa racchiude
un concetto importante: in un sistema dinamico bisogna muoversi per
mantenere la posizione. Biologicamente parlando due specie antagoniste che
vivono nello stesso ambiente (una pianta e il suo insetto impollinatore, ospiti
e parassiti) tendono a co-evolvere per mantenere la propria posizione,
ovvero «corrono» in senso evolutivo, sviluppando co-adattamenti
reciproci solo per «rimanere ferme» l’una rispetto all’altra, e
sopravvivere.
Ebbene, in questa corsa contro i
virus, siamo noi mammiferi partire svantaggiati. Non solo i virus mutano assai
più velocemente, ma quella umana è diventata a tutti gli effetti una specie
ospite perfetta per i virus. Come i pipistrelli, anche noi siamo mammiferi
molto mobili e sociali. Ma i pipistrelli i pipistrelli hanno evoluto una
straordinaria capacità di bilanciare in modo efficace le reazioni di difesa e
tolleranza ai virus e raramente il loro sistema immunitario eccede nella
risposta. Noi Homo sapiens non abbiamo invece
la stessa capacità di modulare le crisi infiammatorie provocate da patogeni
come un coronavirus, e possiamo subire una crisi sistemica. Per questo motivo,
quando questi animali vengono infettati da virus per noi terribili come Mers, Sars,
Ebola, Marburgh, Nipah, Hendra o Sars-CoV-2, difficilmente si ammalano in modo
grave. E ciò non deve sorprendere: la corsa dei pipistrelli è in atto da
ben 64 milioni di anni, distribuita su 1400 specie, contro la nostra unica
specie presente sulla terra da appena 200.000 anni.
Oltre alle caratteristiche
biologiche del virus, alla sua biodiversità (almeno 5.000 coronavirus diversi
nella sola Cina) e alla sua estrema velocità di mutazione, se guardiamo alla
nostra corsa contro gli agenti patogeni in generale, e non solo contro un
determinato virus, vi sono diversi altri elementi a nostro discapito che non
possiamo ignorare.
Questa è la ragione evolutiva profonda del rischio pandemico.
Negli ultimi due secoli la
popolazione umana sul pianeta è cresciuta a ritmi vertiginosi e nel 2022 ha superato gli 8 miliardi di esseri umani, il doppio di quanti ce n'erano
negli anni Settanta e più del quadruplo di quanti ce n'erano quando l'umanità
fu colpita dalla precedente grande pandemia, quella dell'influenza spagnola,
un secolo fa. Oggi la maggioranza assoluta di questa popolazione (54%) vive in
centri urbani densamente popolati connessi tra loro a livello globale. Se da
una parte questo consente di scambiare idee bene in come mai prima nella storia,
dall'altra permette ai virus di diffondersi a grande velocità, imbarcandosi con
i loro ospiti sui voli intercontinentali. Homo sapiens rappresenta quindi
l'ospite ideale per i virus, sia perché mette a disposizione miliardi di
individui tra loro vicini da infettare, ma anche perché, unica tra tutte le
specie, è in grado di cambiare emisfero in pochissime ore.
La trasformazione dell’ambiente
operata in modo drammatico nel corso degli ultimi secoli rappresenta un altro
fattore di rischio cruciale. Ciò che i biologi chiamano «costruzione di
nicchia», ovvero la modificazione dell’ambiente circostante da parte di una
specie per adattarlo alle proprie esigenze, per Homo sapiens ha portato a
trasformare il mondo in un posto meno ostile e più adatto alla nostra
sopravvivenza: dal Neolitico in poi non abbiamo mai smesso di farlo, a livello
planetario, pressoché ovunque, al punto che se escludiamo i ghiacciai, i
quattro quinti delle terre emerse mostrano i segni più o meno profondi
dell'influenza umana: appena il 20% del pianeta non presenta (ancora) segni di
presenza umana. Siamo come castori fuori controllo. Come questi animali che,
costruendo dighe, alterano in modo significativo l’ambiente circostante,
creando specchi d’acqua ferma e generando nuove nicchie ecologiche per altri
organismi, anche noi siamo ingegneri ecosistemici, non gli unici ovviamente,
che trasmettono alle generazioni seguenti molto più che geni e culture:
lasciamo loro anche un’eredità ecologica sotto forma di un ambiente alterato e
diverso.
La concentrazione di miliardi di
animali in allevamenti intensivi, per soddisfare il bisogno di prodotti animali
a basso costo, ha creato le condizioni ideali per la diffusione dei virus,
ingaggiando una corsa della Regina Rossa sempre più veloce e competitiva.
Ciò vale anche per gli altri microbi: i batteri. A causa dell’abuso degli antibiotici questi stanno sviluppando forme di resistenza anche a cocktail di antibiotici, un rischio questo estremamente sottovalutato.
In definitiva, un avversario già
di suo estremamente pericoloso, corre ancora più veloce grazie alla costruzione
di nicchie ecologiche antropiche, e ci costringe a correre ancora più
velocemente per non perdere terreno, un terreno che è stato trasformato da noi
stessi.
Le mutazioni sono casuali e si accumulano in modo direttamente proporzionale alla quantità di virus in circolazione. Appare ovvio che l’ultima cosa che va permessa è lasciare che il virus circoli liberamente in mezzo mondo. E’ quel che invece sta accadendo con Sars-CoV-2: nelle zone più povere del mondo miliardi di persone non hanno avuto accesso nemmeno alla prima dose, rendendo vane le promesse di equità vaccinale che vede i paesi progrediti fare scorta di vaccini che potrebbero rivelarsi inutili viste le continue variazioni. Ecco perché quest’ultima crisi pandemica si protrarrà per anni.
E tornando a quanto si diceva all’inizio, l’arma vincente in nostro possesso da opporre a questo quadro evolutivo ed ecologico, è ancora una volta la prevenzione. Proprio come quella antisismica, che nel nostro paese sembra esprimere finalmente i primi vagiti, come quella climatica, che continuiamo ad ignorare. Investire oggi per evitare problemi domani, con notevole risparmio economico: è stato dimostrato che fare prevenzione primaria in campo epidemiologico costerebbe un ventesimo rispetto ad un intervento tardivo su un agente patogeno che abbia già fatto il salto di specie.
La prevenzione non è un costo, ma un investimento per pagare molto meno dopo, impegnandosi eticamente a non scaricare sulle prossime generazioni il nostro debito ambientale. L’evoluzione non riguarda solo età remote di dinosauri e libellule giganti, ma più spesso parla al nostro presente.
Se sappiamo cosa sta succedendo, lo possiamo prevenire, e al resto possiamo adattarci.
Che si tratti di rischio ambientale o rischio pandemico non ha importanza...anche perché i due aspetti, sono più legati di quanto si pensi
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Riferimento bibliografico
Telmo Pievani - La natura è più grande di noi
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