Lo scorso aprile avevo pubblicato un paio di post (qui e qui) dedicati a quanto ad oggi disponibile per formulare una teoria sull’origine della vita sulla Terra, che sia condivisibile e quanto più possibile sostenuta da evidenze.
Un nuovo studio ha permesso di stabilire che la forma ancestrale comune può essere retrodata a 4,2 miliardi di anni fa. Ovvero quanto definito appunto come LUCA, Last Universal Common Ancestor, comparsa poche centinaia di milioni di anni dopo la nascita del nostro pianeta.
Circa tre miliardi e mezzo di anni fa il primo qualcosa (in realtà forme batteriche già parecchio complesse nella loro semplicità rispetto alle successive) definibile come vivente ha fatto la sua comparsa sul nostro pianeta, e questo è quel che sappiamo.
Ma l’evoluzione era già in atto, dando vita ai 2,3 milioni di specie conosciute e catalogate ad oggi dalla scienza (2,3 milioni su un totale di specie viventi e vissute quasi inimmaginabile, qualcuno stima fino a 100 milioni di specie vissute finora): animali, piante, funghi e batteri, imparentati e interconnessi tra loro, e che oggi sono stati organizzati in un enorme e completo “albero della vita” o, più tecnicamente, un albero filogenetico. Questo modello evolutivo, un cespuglio intricatissimo a rappresentare l’evoluzione di forme di vita, ripercorso all’indietro nel tempo, porta inevitabilmente a constatare che, all’inizio, qualcosa di comune a tutti gli organismi, viventi o vissuti, sia esistito in un determinato momento, all’origine di tutta la Vita (con la V maiuscola, ad indicare il processo globale che ha portato dalla non-Vita ad ogni singola vita che ci circonda).
Ma prima? Quando è comparso LUCA?
Una nuova ricerca, pubblicata lo scorso 12 luglio su Nature, ipotizza che il periodo della comparsa di questo antenato comune, finora posto tra i 3,9 e i 4,1 miliardi di anni fa, sia in realtà retrodatabile a 4,2 miliardi di anni fa, i cui immediati discendenti sarebbero quindi sopravvissuti persino alla fase in cui la Terra subì un bombardamento meteoritico pressoché devastante.
Il più antico antenato comune degli esseri viventi sulla Terra non era molto diverso dai complessi batteri che esistono oggi, e viveva tra l’altro in un ecosistema insieme ad altre specie batteriche e di virus. A questo proposito, uno degli aspetti molto interessanti della ricerca è che possedeva un sistema immunitario primitivo, dimostrando così che anche 4,2 miliardi di anni fa, l’antenato era impegnato in una corsa agli armamenti con i virus: in altre parole, il meccanismo dell’evoluzione per selezione naturale era già in atto, come logico attendersi.
Qualsiasi forma di vita cellulare ha in comune con le altre alcune caratteristiche chiave: le proteine sono i loro elementi costitutivi, il DNA è quanto a disposizione per realizzarle con le stesse modalità di gestione e trasmissione dell’informazione e, non ultimo, la moneta energetica comune è data dall’ATP (adenosina trifosfato). Non sono coincidenze, ma la prova che tutta la Vita così come conosciuta oggi ha un’origine comune.
La vita è più antica di quel che sapevamo
Come predetto, prima di questo studio, si stimava che LUCA avesse avuto origine circa 3,9 miliardi di anni fa, considerando l’estrema difficoltà che comporta la datazione dei processi genetici avvenuti molto tempo fa.
La nuova ricerca è riuscita a collocare con maggiore precisione questa sorta di protobatterio nel passato confrontando tutti i geni di 700 specie viventi di batteri e Archaea, microbi simili a batteri (ma che con essi hanno ben poco in comune) e che spesso vivono ambienti dalle caratteristiche estreme, ad altissime temperature o pressione, in acque acide o in assenza di ossigeno, definendone quindi la categoria di estremofili. La scelta di queste specie è dipesa dal convincimento che siano le forme di vita più antiche, mentre le cellule eucariote si sono evolute successivamente, molto probabilmente da meccanismi di assorbimento e simbiosi di forme batteriche all’interno di altre forme unicellulari dall'unione di questi due tipi di cellule, processi quindi di endosimbiosi (ne scrissi qui)
Contando le mutazioni (utilizzando quindi la tecnica del cosiddetto “orologio molecolare”) i ricercatori hanno contato i cambiamenti del genoma avvenuti nel tempo, soprattutto in quanto presente in 57 geni condivisi da tutte le 700 specie e, utilizzando il tasso di mutazione stimato, hanno calcolato quando LUCA è vissuto. La stima, come predetto, è 4,2 miliardi di anni fa. E non era solo.
Tra i 4,5 e i 4 miliardi di anni fa, durante il cosiddetto Adeano, la Terra era un luogo inospitale con oceani caldi e pochissimo ossigeno nell'atmosfera. Classificando i geni in base al ruolo che svolgono nella cellula, i ricercatori sono stati in grado di dedurre qualcosa sulle condizioni di vita e sul metabolismo dell’antenato comune.
Indubbiamente viveva negli oceani, vicino ad alcune sorgenti idrotermali, fonte di minerali e composti utili come catalizzatori e fonti energetiche, resistendo a temperature estremamente elevate. I processi “respiratori”, in un ambiente privo di ossigeno, erano demandati alla metabolizzazione di altre sostanze; ancora oggi molti batteri utilizzano questa forma di anaerobiosi, e infine utilizzavano sottoprodotti di altri organismi presenti nello stesso ambiente.
La prova che LUCA non era la sola forma vivente viene proprio dalla ricostruzione del suo metabolismo perché si è scoperto, sempre con confronti basati su sofisticate tecniche di genetica molecolare, che LUCA, per produrre energia, utilizzava materiale organico che altri microbi stavano già scomponendo, e ci sono prove sorprendenti che possedesse anche geni che potevano proteggerlo dalle infezioni virali.
Un ecosistema rigoglioso quindi, anche in un lontano passato, con risvolti e implicazioni interessanti su ciò che gli scienziati si aspettano di scoprire su altri pianeti.
La morale è che un pianeta, per
poter ospitare forme di vita, potrebbe essere del tutto diverso e non necessariamente
somigliare alla Terra, o ad uno dei suoi innumerevoli ambienti, così come la
conosciamo oggi: è più che possibile ipotizzare forme di vita presenti in
ambienti che, a parità di altre condizioni, sarebbero considerati del tutto
inospitali rispetto ai nostri parametri.
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