“Il libero
arbitrio è un concetto filosofico e teologico che afferma la capacità
umana di fare scelte autonome, senza essere determinati da forze esterne o
interne. In sostanza, l'idea è che le persone abbiano il potere di
decidere gli scopi del proprio agire e pensare, scegliendo tra diverse
alternative disponibili.”
Introduzione
Dalla pur scarna definizione data
qui sopra emerge che quello del libero arbitrio è un tema centrale nella
filosofia e nella teologia, con implicazioni che riguardano la responsabilità
morale, la natura dell'umanità e il ruolo della divinità.

La difficoltà nello spiegare l'enigma del libero arbitrio a chi non
ha familiarità con l'argomento, non è che sia complesso o oscuro. È che
l'esperienza di possedere il libero arbitrio, la sensazione di essere gli
autori delle nostre scelte, è così profondamente basilare per l'esistenza di
tutti, che può essere difficile ottenere il grado di distacco sufficiente per effettuare
un’analisi obiettiva. Coinvolgendo aspetti della nostra vita estremamente
delicati, che lo crediate o meno, ci sono filosofi e pensatori che hanno
ricevuto minacce, anche di morte, a causa delle loro argomentazioni su questo
tema, così come su altri temi legati alla condizione umana, accusati di fare filosofia
da poltrona, completamente distaccata dagli intrecci emotivi della vita
reale. In un certo qual modo la maggioranza dei filosofi nega che gli esseri
umani possiedano davvero il libero arbitrio. Vedremo che c’è chi lo nega del
tutto e chi lo nega ma aggiunge che è come se esistesse. Questa maggioranza
sostiene comunque che le nostre scelte sono determinate da forze al di là del
nostro controllo finale, forse persino predeterminate fin dalla nascita dell’Universo,
e che quindi nessuno è mai completamente responsabile delle proprie azioni, né i criminali ma nemmeno i santi! Da
qui alle minacce il passo è breve.
Supponiamo che un pomeriggio ti
ritrovi moderatamente affamato, quindi ti dirigi verso la fruttiera in cucina,
dove vedi una mela e una banana e, capita, tra queste scegli la banana. Sembra
assolutamente ovvio che eri libero di scegliere la mela, o nessuna delle due, o
entrambe. Questo è il libero arbitrio spiegato facile: se riavvolgessi il
nastro della storia del mondo, all'istante appena prima di prendere la tua
decisione, con tutto nell'Universo esattamente uguale, saresti stato in grado
di prenderne una diversa.
Niente potrebbe essere più ovvio.
Eppure, secondo un crescente coro di filosofi e scienziati, che hanno una serie
di ragioni diverse a sostegno della loro opinione, non può essere nemmeno
possibile che sia così: questo tipo di libero arbitrio, semplicemente e
decisamente, è escluso dalle leggi della fisica,
afferma un filosofo e biologo evoluzionista, uno degli scettici più agguerriti.
E già che di biologia evoluzionistica si parla, ricordo come il grande Stephen Jay Gould,
scritto altre volte su queste pagine, affermava che, se potessimo riavvolgere
da capo il nastro della storia dell’evoluzione della vita su questo pianeta, dopo
ogni ripartenza avremmo percorsi e finali completamente diversi ogni volta.
Il consenso a idee come questa viene anche da molti psicologi di spicco, da
scienziati del calibro del defunto Stephen Hawking,
insieme a numerosi neuroscienziati di fama internazionale, che ritengono il
libero arbitrio «un concetto intrinsecamente imperfetto e incoerente».
Secondo altri inoltre il libero arbitrio è un mito anacronistico, utile forse in
passato, un modo per motivare le persone a combattere contro i tiranni o le
ideologie oppressive, ma reso obsoleto dal potere della moderna scienza derivata dal mondo dei
cosiddetti big data che appare conoscerci molto meglio di quanto
conosciamo noi stessi, e quindi in grado di prevedere e manipolare le nostre
scelte.
Argomenti

Le argomentazioni contro il
libero arbitrio risalgono a millenni fa, ma l'ultima rinascita dello
scetticismo è stata guidata soprattutto dai progressi della
neuroscienza degli ultimi decenni. Grazie soprattutto alle nuove tecnologie degli strumenti di analisi è possibile osservare, con le cosiddette
neuroimmagini, l'attività
fisica del cervello associata alle nostre decisioni, che nascono come elementi
meccanici
dell'Universo materiale, in cui il libero arbitrio non gioca alcun ruolo. Dagli
anni '80 in poi, varie scoperte neuroscientifiche specifiche hanno offerto
indizi inquietanti sul fatto che le nostre cosiddette libere scelte hanno in
realtà origine nel nostro cervello diversi millisecondi, quando non addirittura decimi di secondo,
prima che ci rendiamo conto di pensarci. Le neuroscienze hanno ampiamente
dimostrato che le azioni che consideriamo volontarie nascono in zone specifiche
del nostro cervello
prima che ne prendiamo
coscienza: detto in altre parole il nostro cervello ci fa credere d’aver
coscientemente eseguito una scelta. Scrive Arnaldo Benini, neuroscienziato di
fama, nel suo “
Neurobiologia della volontà”: «
Il dilemma dell’arbitrio, per sua natura, non è né
filosofico né religioso. È scientifico.»
La convinzione dualista, che
separa appunto la mente dal cervello, distinguendo aree
immateriali da elementi materiali, è talmente radicata e tenacemente diffusa,
persino negli atei, da porre il problema della sua origine evolutiva, che
potrebbe essere analoga a quella delle religioni, cioè della credenza nell’aldilà
e della sopravvivenza dopo la morte.
L’uomo s’illude di decidere,
mentre in realtà non fa ciò che vuole, ma vuole ciò che
fa e le neuroscienze cognitive, con gli studi su coscienza e
autocoscienza, hanno dimostrato con numerosi esperimenti che prima di ogni
azione, meccanica o mentale, le aree cerebrali specifiche di quella attività
sono attive prima che si sia coscienti di quel che succederà. Nel momento in
cui le aree dell’autocoscienza nei lobi prefrontali ricevono l’informazione di
ciò che le aree specifiche hanno deciso di fare, si diventa non solo
consapevoli di quel che il cervello ha disposto, ma anche sicuri che la nostra
volontà abbia compiuto quella scelta in modo totalmente libero dai meccanismi
fisico-chimici delle aree del cervello. E ciò è un’illusione, perché noi siamo
ciò che il cervello ci fa essere e niente di più. Inquietante vero?
Pericolo sociale

Nonostante le critiche secondo
cui tutto questo è, appunto, solo filosofia da poltrona, la verità è che
la posta in gioco difficilmente potrebbe essere più alta. Se si dimostrasse che
il libero arbitrio non esiste, e se dovessimo davvero accettare il fatto, ciò scatenerebbe
una guerra culturale molto più bellicosa di quella che è stata combattuta sul
tema dell'evoluzione. Ci troveremmo di fronte a dilemmi in cui saremmo probabilmente
costretti a concludere che è irragionevole lodare o biasimare qualcuno per le
sue azioni, dal momento che non è veramente responsabile della decisione di
compierle; o provare sensi di colpa per le proprie malefatte, orgoglio per i
propri successi o gratitudine per la gentilezza altrui. E potremmo arrivare a
pensare che sia moralmente ingiustificabile infliggere punizioni punitive ai
criminali, dal momento che non hanno una scelta ultima in merito alle loro
malefatte! Alcuni temono che ciò possa corrodere fatalmente tutte le relazioni
umane, poiché l’empatia, l'amore romantico, l'amicizia e la civiltà del
vicinato dipendono tutti dal presupposto della scelta: qualsiasi gesto
amorevole o rispettoso deve essere volontario perché conti. Un dibattito aperto
su un baratro. E si inizia a capire come persone già psicologicamente vulnerabili
possano essere spinte a crollare non prima di aver minacciato, anche di morte, coloro
i quali sostengono queste posizioni, ancorché esclusivamente filosofiche.
Un paio di esempi dalla vita
reale possono aiutare a capire. Avete presente quelle sentenze che hanno in un
certo qual modo assolto, o a cui fu fortemente ridotta la pena, quei genitori che
hanno dimenticato i loro figli in macchina condannandoli spesso a morte?
Le motivazioni di queste decisioni giuridiche stanno nelle condizioni,
dimostrate scientificamente, di una tremenda coincidenza di eventi nervosi casuali
che hanno portato i meccanismi del cervello a determinare, assieme alla perdita
del senso del tempo, una volontà sulla quale la coscienza non può nulla perché
anch’essa è il prodotto di un meccanismo nervoso che, in quel frangente, non è
in grado di agire. Decisioni e azioni volute senza i meccanismi della coscienza
e della memoria: conferma tragica che la volontà è un
evento rigorosamente naturale. Non a caso il tema dei dispositivi anti-abbandono è diventato importantissimo tanto da averne voluto l'obbligo di legge.
La volontà può essere incosciente
anche per altre ragioni, per ignoranza ad esempio. Come l’irremovibile volontà
di quei genitori a cui la figlia di 19 anni si ammalò di leucemia e rifiutarono
di seguire le indicazioni mediche che avrebbero potuto salvarla, affidandosi ad
un ciarlatano. Aberrazioni analoghe della volontà furono (e in parte lo sono
ancora!) la cura Di Bella, i trattamenti antitumorali fai-da-te e gli
esorcismi contro il demonio.
Infine, tragica conferma di come
la corteccia cerebrale sensoria possa determinare la volontà, che più
irrazionale e autolesionista non potrebbe essere è la xenomelia. Ne ho scritto tempo fa.
Ancora più inquietante il fatto
che molti filosofi che curano podcast o pagine dedicate al libero arbitrio, hanno
inserito clausole di esclusione di responsabilità,
esortando coloro che trovano l'argomento emotivamente angosciante a lasciar
perdere. Al punto che un professore di filosofia all'Università di Haifa in
Israele, che ritiene che la nozione popolare di libero arbitrio sia un errore, ha
scritto che se uno studente laureato incline alla depressione cercasse di
studiare l'argomento con lui, questi cercherebbe
di dissuaderlo. Si può essere naturalmente ottimisti, felici con facilità, tuttavia
il problema del libero arbitrio è davvero deprimente se lo si prende sul serio.
Tanto da aver bisogno di una
sorta di illusionismo, che nasce dall'idea che, sebbene il libero
arbitrio come convenzionalmente definito sia irreale, è fondamentale che le
persone continuino a credere il contrario. Insomma, anche un post come questo potrebbe
essere attivamente pericoloso. Per chiunque sia moralmente ed emotivamente coinvolto,
è davvero deprimente e distruttivo perché minaccia davvero il nostro senso di
sé, il nostro senso di valore personale.
“Infine, se
ogni moto è sempre legato ad altri, e quello nuovo sorge dal moto precedente in
ordine certo…donde ha origine sulla Terra per i viventi questo libero arbitrio,
donde proviene…codesta volontà…in virtù della quale procediamo dove il piacere
ci guida…quando decide la mente?” (Lucrezio,
De Rerum Natura)
Soltanto gelida logica?
La logica, una volta intravista,
sembra freddamente inesorabile. Iniziamo con quella che sembra una verità
ovvia: tutto ciò che accade nel mondo, in assoluto, deve essere stato
completamente causato da cose accadute prima di esso. E quelle cose devono essere
state causate da cose accadute prima di loro, e così via,
all'indietro fino all'alba dei tempi: causa dopo causa dopo causa, tutte
seguendo le prevedibili leggi della natura, anche se non abbiamo ancora capito
tutte quelle leggi. In un contesto quale quelli puramente fisici del ciclo
delle rocce, dei fiumi, o nei meccanismi di un motore a combustione interna,
tutto ciò è comprensibile. Ma questo procedere con una cosa tira l'altra,
vale anche nel mondo delle decisioni e delle intenzioni. Le nostre decisioni e
intenzioni coinvolgono l'attività neurale, e perché un neurone dovrebbe essere
esente dalle leggi della fisica più di una roccia?

Tornando all’esempio della scelta
del tipo di frutto, in primo luogo ci sono ragioni fisiologiche per cui ti
senti affamato, e ci sono cause - nei tuoi geni, nella tua educazione o nel tuo
ambiente attuale - per cui hai scelto di soddisfare la tua fame con la frutta,
piuttosto che con dei biscotti. E la tua preferenza per la banana rispetto alla
mela, al momento della presunta scelta, deve essere stata causata da ciò che è
successo prima, presumibilmente incluso i neuroni che si attivano nel tuo
cervello, che è stato a sua volta causato - e così via in una catena
ininterrotta fino alla tua nascita, all'incontro dei tuoi genitori, alle loro
nascite e, infine, alla nascita del cosmo.
Ma se tutto ciò è vero, non c'è
semplicemente spazio per il tipo di libero arbitrio immaginiamo di avere quando
vediamo la mela e la banana e ci si chiede quale sceglieremo. Se fossimo in
grado di avere ciò che chiamano libero arbitrio contro-causale - così che,
se riavvolgessi il nastro della storia fino al momento della scelta, per esercitare
una scelta diversa – dovremmo uscire fuori dalla realtà fisica. Ho letto da
qualche parte che le macchine del tempo, concettualmente immaginabili
facilmente, hanno un grosso difetto: funzionerebbero solo dal momento in cui
sono costruite in poi.
Per fare una scelta che non fosse
semplicemente il prossimo anello nella catena ininterrotta delle cause, dovremmo
essere in grado di distinguerci dall'intera cosa, una presenza spettrale
separata dal mondo materiale ma misteriosamente ancora in grado di
influenzarlo.
Ma ovviamente non è possibile effettivamente
arrivare in quel presunto posto che è esterno all'Universo, separato da tutti
gli atomi che lo compongono e dalle leggi che li governano. Siamo solo alcuni degli
atomi che lo compongono, governati dalle stesse leggi prevedibili di tutti gli
altri. Solo?
A clockwork…Universe
Il matematico francese
Pierre-Simon Laplace,
nel 1814 esprimeva sinteticamente l’enigma: come può esserci libero arbitrio,
in un Universo in cui gli eventi vanno avanti come un orologio? Il suo
esperimento mentale, noto come
il demone di Laplace, e la sua
argomentazione, erano i seguenti: se un ipotetico essere ultra-intelligente, o
demone, potesse in qualche modo conoscere la posizione di ogni atomo nell'Universo
in un singolo punto nel tempo, insieme a tutte le leggi che governano le loro
interazioni, potrebbe predire il futuro nella sua interezza. Non ci sarebbe
nulla che non potrebbe sapere sul mondo tra 100 o 1.000 anni, fino al minimo
tremito dell’aria attraversata da una foglia che cade. Si potrebbe pensare
di aver fatto una libera scelta sposando il proprio partner, o di poter scegliere
un'insalata piuttosto che patatine come contorno; ma in realtà il demone di
Laplace lo avrebbe saputo fin dall'inizio, estrapolando lungo l'infinita catena
di cause. «
Per un simile intelletto», disse Laplace, «
nulla poteva
essere incerto e il futuro, proprio come il passato, sarebbe stato presente
davanti ai suoi occhi».
Questi diavoletti piacciono parecchio agli scienziati, come quello di Maxwell, che aveva il potere di creare una violazione macroscopica del secondo principio della termodinamica.
Anche se oggi sappiamo che le
scoperte della meccanica quantistica hanno indicato che alcuni eventi, a
livello atomico e subatomico, sono veramente casuali, impossibili da
prevedere in anticipo persino da qualche ipotetico megacervello, e al massimo definibili in termini probabilistici, sono
poche le persone coinvolte nel dibattito sul libero arbitrio che pensano che
ciò faccia una differenza sostanziale. La vita vissuta a livello macroscopico subisce
dai fenomeni quantistici influenze poco rilevanti. E in ogni caso, non c'è più
libertà nell'essere soggetti ai comportamenti casuali degli
elettroni di quanta ce ne sia nell'essere schiavi di leggi causali predeterminate. In entrambi i casi, sembra
proprio che a tirare i fili sia qualcosa di diverso dal libero arbitrio.
Moralità e giudizio etico
Di gran lunga l'implicazione più
inquietante delle ragioni che negano il libero arbitrio, per la maggior parte
di coloro che le sostengono, è ciò che sembra dire sulla moralità: che nessuno,
mai, merita veramente una ricompensa o una punizione per ciò che fa, perché ciò
che fa è il risultato di cieche forze deterministiche (più forse un po' di
casualità quantistica). Per lo scettico del libero arbitrio non è mai giusto
trattare qualcuno come moralmente responsabile. Se accettassimo tutte le
implicazioni di questa idea, il modo in cui ci trattiamo a vicenda, e in
particolare il modo in cui trattiamo i criminali, potrebbe cambiare fino a
diventare irriconoscibile.
Ci sono un paio di casi famosi.
Poco dopo la mezzanotte del 1°
agosto 1966, Charles Whitman, un ex Marine degli
Stati Uniti di 25 anni, estroverso e apparentemente stabile, si recò
all'appartamento di sua madre ad Austin, in Texas, dove la pugnalò a morte.
Tornò a casa, dove uccise sua moglie nello stesso modo. Più tardi quel giorno,
portò un assortimento di armi in cima a un alto edificio nel campus
dell'Università del Texas, dove iniziò a sparare a caso per circa un'ora e
mezza. Quando Whitman fu ucciso dalla polizia, altre 12 persone erano morte e
un'altra morì per le ferite anni dopo, una serie di episodi che rendono l’episodio
la decima sparatoria di massa più grave degli Stati Uniti.
A poche ore dal massacro, le
autorità scoprirono un biglietto che Whitman aveva scritto la sera prima. «Non
capisco bene cosa mi spinga a scrivere questa lettera», scrisse. «Forse
è per lasciare una vaga ragione per le azioni che ho compiuto di recente. Non
capisco davvero me stesso ultimamente. Dovrei essere un giovane uomo medio,
ragionevole e intelligente. Tuttavia, ultimamente (non ricordo quando è
iniziato) sono stato vittima di molti pensieri insoliti e irrazionali che si
ripresentano costantemente, e ci vuole un enorme sforzo mentale per
concentrarmi su compiti utili e progressivi...Dopo la mia morte vorrei che
venisse eseguita un'autopsia per vedere se c'è qualche disturbo fisico visibile».
Dopo i primi due omicidi, aggiunse una coda: «Forse la ricerca può prevenire
ulteriori tragedie di questo tipo». L’autopsia rivelò la presenza di un tumore cerebrale, che premeva sull'amigdala, la parte
del cervello che governa tra le tante cose le risposte agli stimoli di paura tipo
combatti o fuggi.
Come ammettono gli scettici del
libero arbitrio che si basano sul caso di Whitman, è impossibile sapere se il
tumore al cervello abbia causato le azioni di Whitman. Ciò che sembra chiaro è
che potrebbe certamente averlo fatto, e che quasi tutti quelli
che ne vengono a conoscenza, subiscono un cambiamento nel loro atteggiamento
nei suoi confronti. Ciò non rende gli omicidi meno orribili.
Né significa che la polizia non fosse giustificata nel fermarlo anche a costo
di ucciderlo. Ma fa sì che la sua furia omicida inizi a sembrare meno come l’azione
di un uomo malvagio, ma come un più terribile sintomo di un disturbo, di cui
Whitman è vittima.
Lo stesso vale per un altro criminale
famoso nella letteratura sul libero arbitrio, il soggetto anonimo di una pubblicazione scientifica del 2003, affetto
da tumore orbitofrontale destro con
sintomo di pedofilia e segno di aprassia costruttiva: un insegnante di
scuola di 40 anni che all'improvviso ha sviluppato impulsi pedofili e ha
iniziato a cercare materiale pedopornografico, e fu successivamente
condannato per molestie su minori. Poco dopo, lamentando mal di testa, gli fu
diagnosticato un tumore al cervello; quando gli fu rimosso, i suoi impulsi
pedofili scomparvero. Un anno dopo, ritornarono, così come il tumore,
individuato in un'altra scansione cerebrale.
Se si ritiene che la presenza di
un tumore al cervello in questi casi sia in qualche modo discolpante, ci si
trova di fronte a una domanda difficile: cosa c'è di
così particolare in un tumore al cervello, rispetto a tutti gli altri modi
in cui il cervello delle persone le spinge a fare cose? Quando si scopre la
specifica catena di cause che si stavano svolgendo all'interno del cranio di
Charles Whitman, sembra che lo renda meno personalmente responsabile per gli
atti terribili che ha commesso. Ma per definizione, chiunque commetta un'azione immorale ha un cervello in cui si è sviluppata una catena di cause precedenti,
che hanno portato all'atto; se così non fosse, non l'avrebbe mai commessa.
Un disturbo neurologico sembra essere solo un caso speciale di eventi fisici
che danno origine a pensieri e azioni. Comprendere la neurofisiologia del
cervello, quindi, sembrerebbe discolpare quanto trovare un tumore al suo
interno. Sembra che ne consegua che man mano che comprenderemo sempre di più
come funziona il cervello, faremo luce sulle ultime ombre in cui potrebbe
essersi annidato qualcosa chiamato libero arbitrio - e saremo costretti ad
ammettere che un criminale è semplicemente qualcuno abbastanza sfortunato da
ritrovarsi alla fine di una catena causale che culmina in un crimine. Possiamo
ancora insistere sul fatto che il crimine in questione è moralmente ingiustificabile
o cattivo; semplicemente non possiamo ritenere il criminale individualmente
responsabile. O almeno è lì che la logica sembra condurre le nostre menti
moderne, anche se già gli antichi Greci, sostenevano che non puoi essere ritenuto
responsabile per ciò che è destinato a succederti comunque.
Ma allora la punizione
retributiva, ovvero punire un criminale perché se lo merita, piuttosto che
per proteggere il pubblico o servire da monito per gli altri, non può mai
essere giustificata? La punizione è fondamentale per tutti i moderni sistemi di
giustizia penale, ma sarebbe davvero un'ingiustizia morale ritenere qualcuno
responsabile di azioni che sono al di fuori del suo controllo. Mi viene in mente quella sensazione amara che ci sorprende ogni qual volta sentiamo che è stata ridotta la pena all'autore di un atroce delitto, perché incapace di intendere e volere. Inquietante.
Per sdrammatizzare un po’ la cosa
possiamo citare un altro aspetto che ne uscirebbe smontato a pezzi molto
piccoli. Migliaia di pagine di letteratura poliziesca, criminale,
investigativa, gialla diciamo in Italia, dove autori come il famosissimo
Arthur Conan Doyle, hanno raccontato la ricostruzione logica delle imprese
criminali, spesso di insospettabili, e delle loro macchinazioni alla ricerca
del delitto perfetto. Un fuori tema qui.
Mi perdoni padre perché ho
peccato…
Alcune ricerche psicologiche
suggeriscono che le persone credono nel libero arbitrio in parte
perché vogliono
giustificare il loro desiderio di punizione. Quello che sembra accadere è che
le persone si imbattono in un'azione che disapprovano; hanno un forte desiderio
di biasimare o punire; quindi attribuiscono al colpevole il grado di controllo,
sulle proprie azioni, che sarebbe necessario per giustificare la colpa. Non a
caso la controversia sul libero arbitrio si intreccia con i dibattiti sulla
religione: seguendo una logica simile,
i peccatori
devono scegliere liberamente di peccare affinché la punizione divina sia
giustificata.
C’è chi sostiene, a tale
proposito, un modello di giustizia penale come fosse una quarantena
sanitaria pubblica, trasformando le istituzioni della punizione in direzione
radicalmente umana. Si potrebbe ancora trattenere un assassino, con la stessa
logica per cui si può richiedere a qualcuno infetto da un virus di osservare
una quarantena: per proteggere il pubblico. Ma non si avrebbe alcun diritto di
rendere l'esperienza più spiacevole di quanto non sia strettamente necessario
per la protezione pubblica. E si sarebbe obbligati a rilasciarlo non appena non
rappresentasse più una minaccia. L'obiettivo principale, nel mondo ideale di chi
sostiene queste idee, sarebbe quello di correggere i problemi sociali per
cercare, in primo luogo, di fermare il crimine, proprio come i sistemi sanitari
pubblici dovrebbero concentrarsi sulla prevenzione delle epidemie per
cominciare.
Una bella utopia? Probabilmente
sì.
Per opporsi al dover accettare
tali conseguenze si potrebbe protestare che, mentre le persone potrebbero non
scegliere i loro peggiori impulsi - l'omicidio, per esempio – avrebbero invece la
possibilità di non soccombere ad essi, resistendo all’impulso di uccidere
qualcuno, persino cercando sostegno psichiatrico, in altri termini, assumendosi la responsabilità dello stato della propria
personalità. E non è forse quel che facciamo tutti, più banalmente, ogni volta
che decidiamo di acquisire una nuova abilità professionale, o prestare maggior
attenzione al prossimo o finalmente decidere di mettersi in forma?
Purtroppo questa non è una clausola di salvaguardia. Gli scettici del libero
arbitrio insistono affermando che, se si riesce a cambiare la personalità, quella
particolare personalità era già presente ed in grado di attuare un tale
cambiamento, e non è dipeso da scelte autonome. Nonostante niente
di tutto ciò ci richiede di credere che le peggiori atrocità siano meno
spaventose di quanto pensassimo in precedenza è comunque implicito che i
colpevoli non possano essere ritenuti personalmente responsabili. Chiunque
fosse nato con i geni di Hitler e avesse vissuto l'educazione di Hitler, sarebbe
Hitler, e in definitiva è solo una fortuna, un evento fortuito, che sia capitato solo nel
caso dell’originale.
Liberi di scegliere di non
scegliere, e viceversa
Per quanto possa sembrare
inattaccabile la tesi contro il libero arbitrio, può sorprendere scoprire che
la maggior parte dei filosofi la rifiuta pur ammettendone la logica: solo circa
il 12% di loro ne è convinto. La negazione del libero arbitrio appartiene a una
tendenza più ampia che spinge alcuni filosofi, quelli formatisi in ambiti
scientifici puri, a fare
dichiarazioni radicali su dibattiti che infuriano in filosofia da anni, come se
tutti quegli studiosi ottusi stessero solo aspettando che si facessero avanti
fisici e neuroscienziati a spiegar loro come va il mondo!
Ciò che è ancora più
sorprendente, e difficile da comprendere, è che la maggior parte di coloro che
difendono il libero arbitrio non rifiutano l'affermazione più vertiginosa
degli scettici, secondo cui ogni scelta potrebbe essere
stata determinata in anticipo. Quindi, nell'esempio della frutta, la
maggior parte dei filosofi concorda sul fatto che, se riavvolgessi il nastro
della storia al momento della scelta, con tutto nell'Universo esattamente
uguale, non avresti potuto fare una selezione diversa. Insomma se anche le
nostre scelte possono essere determinate, ha senso dire che siamo liberi di
scegliere. Libero arbitro e determinismo conciliati e resi compatibili in un
intricato labirinto di idee. Come possiamo essere liberi di scegliere se non
siamo, di fatto, liberi di scegliere?

Ma per cogliere il punto dei compatibilisti,
così si definiscono quelli che conciliano i due aspetti, è utile prima pensare
al libero arbitrio non come a una specie di mistero magico, ma come a una
specie di abilità banale, che la maggior parte degli adulti possiede, il più
delle volte. Abbiamo il libero arbitrio che pensiamo di
avere, inclusa la libertà di azione che pensiamo
di avere: un insieme di capacità trovandoci nel giusto tipo di ambiente.
Nel modo in cui la maggior parte dei compatibilisti vede le cose, essere
liberi è solo una questione di avere la capacità di
pensare a ciò che si desidera, riflettere sui propri desideri, quindi agire su
di essi e talvolta ottenere ciò che si desidera. Quando si sceglie la
banana nel modo normale, ovvero pensando a quale frutto si vorrebbe, e poi
prendendolo, si è chiaramente in una situazione diversa da quella di qualcuno
che coglie la banana perché un killer ossessionato dalla frutta gli punta una
pistola alla testa; o di qualcuno afflitto da una dipendenza dalle banane,
costretto ad afferrare ogni banana che vede. In tutti questi scenari, di
sicuro, le azioni appartengono a una catena ininterrotta di cause, che risale
all'alba dei tempi. Ma a chi importa? Chi ha scelto le banane in uno di questi
casi era chiaramente più libero che negli altri. Compreso Johnny Stecchino.
Considerate l'ipnosi. Uno
scettico radicale del libero arbitrio potrebbe sentirsi obbligato a sostenere
che una persona ipnotizzata per fare un acquisto particolare non è meno libera
di qualcuno che ci pensa, nel solito modo, prima di pagare. Dopo tutto, la loro
idea di libero arbitrio richiede che la scelta non sia stata completamente
determinata da cause precedenti; eppure, in entrambi i casi, ipnotizzati e non
ipnotizzati, lo è stata. Davvero fastidioso. Non
ha interesse o senso se lo si chiami libero arbitrio o agire
liberamente o in qualsiasi altro modo: è solo che ovviamente importa, a
tutti, se le cose fatte dipendano da ipnosi o no.
Certo, la versione compatibilista
del libero arbitrio potrebbe essere meno eccitante ma non inutile. Si prova il
desiderio di un certo frutto, si agisce in base a esso e si ottiene il frutto,
senza che uomini armati esterni o disordini interni influenzino la scelta. Come
potrebbe una persona essere più libera di così?
Pensare al libero arbitrio in
questo modo, dà anche una svolta diversa ad alcuni noti esperimenti condotti
negli anni Ottanta del XX secolo dal neuroscienziato americano Benjamin Libet, che
sono stati interpretati come una prova scientifica che
il libero arbitrio non esiste e ai quali ho accennato all’inizio.
Collegando i suoi soggetti a uno scanner cerebrale e chiedendo loro di flettere
le mani in un momento a loro scelta, Libet dimostrò che la loro scelta era
rilevabile dall'attività cerebrale 300 millisecondi prima
che prendessero una decisione cosciente. Ci sono altri studi che hanno
indicato un'attività precedente (la chiamano potenziale d’attivazione) fino
a tempi dell’ordine di grandezza di secondi prima di una scelta cosciente, un’enormità!
Come si potrebbe dire che questi soggetti abbiano preso le loro decisioni
liberamente, se l'attrezzatura di laboratorio indicava le loro decisioni con
così largo anticipo? Ma la maggior parte dei compatibilisti ha la risposta
anche per questo. Come ogni altra cosa, le nostre scelte coscienti sono anelli
in una catena causale di processi neurali, quindi ovviamente una certa attività
cerebrale precede il momento in cui ne diventiamo consapevoli.
Da questa prospettiva concreta,
non c'è nemmeno bisogno di iniziare a farsi prendere dal panico perché casi
come quello di Charles Whitman potrebbero significare che non potremmo mai
ritenere nessuno responsabile delle sue malefatte o lodarlo per i suoi successi.
Dobbiamo solo chiederci se qualcuno avesse la normale capacità di scegliere
razionalmente, riflettendo sulle implicazioni delle proprie azioni. Siamo tutti
d'accordo sul fatto che i neonati, questa capacità, non l'abbiano ancora
sviluppata, quindi non li biasimiamo per averci svegliato di notte; e crediamo
che la maggior parte degli animali non umani non la possieda, quindi pochi di
noi si infuriano con le vespe per averci punto, pur essendo disposti a sostenere che il gatto che ha strappato le tende...lo ha fatto apposta! Ma anche qualcuno con una grave
disabilità neurologica o dello sviluppo, di questa capacità, ne sarebbe sicuramente privo, forse
Whitman incluso.
Ma per tutti gli altri? Il più
grande truffatore della storia, Bernie Madoff, è un esempio reale: è chiaro che sapeva cosa stava facendo, e
che sapeva che quello che stava facendo era sbagliato, e lo ha fatto comunque,
per anni. Aveva la capacità che chiamiamo libero arbitrio e l'ha usata per
frodare i suoi investitori di oltre 17 miliardi di dollari.
Ma per gli scettici del libero
arbitrio, tutto questo è solo un disperato tentativo di salvare la faccia e
cambiare argomento, uno sforzo per ridefinire il libero
arbitrio non come la cosa che tutti noi sentiamo quando ci troviamo di fronte a
una scelta, ma come qualcos'altro, indegno di questo nome. Le persone
odiano l'idea di non essere agenti in grado di fare scelte libere ma non si
affronta comunque un argomento del genere come se si stesse dicendo a qualcuno
intenzionato a scoprire la città perduta di Atlantide che dovrebbe
accontentarsi di un viaggio in Sicilia. Dopotutto, soddisfa alcuni dei criteri:
è un'isola nel mare, dimora di una civiltà con radici antiche. Ma i fatti
rimangono: Atlantide non esiste. E quando sembrava che non fosse inevitabile
che avresti scelto la banana, la verità è che in realtà lo era.
Ho deciso, avrei deciso, qualcosa
ha deciso per me
È allettante
liquidare la controversia sul libero arbitrio come
irrilevante per la vita reale, sulla base del fatto che non possiamo
fare a meno di sentirci come se avessimo il libero arbitrio, qualunque sia
la verità filosofica. Si continuerà ad agire e relazionarsi agli altri come se
avessimo il libero arbitrio: se ferisci me o qualcuno che amo, posso garantire
che sarò furioso, invece di sorridere con indulgenza sulla base del fatto che
non avevi scelta. In questo senso esperienziale, il libero arbitrio sembra
semplicemente un dato di fatto.
Ma è davvero così? Si pensi a
quei momenti in cui, è sempre la neurobiologia a dircelo, il nostro cervello
genera rumore di fondo, quando la mente si trova al massimo della
quiete, ad esempio quando si sorseggia un caffè la mattina presto, prima che il
bambino di quattro anni si svegli; allora le cose possono sembrare diverse. In
quei momenti di concentrazione rilassata, sembra chiaro che le intenzioni
e le scelte, come tutti gli altri pensieri ed emozioni, sorgono spontaneamente
nella consapevolezza. Non c'è alcun senso in cui ci si senta come se ne fosse
l'autore. Perché si appoggia la tazza di caffè e ci si dirige verso la doccia
proprio nel momento in cui lo si fa? Perché l'intenzione di farlo salta fuori,
causata, senza dubbio, da ogni sorta di attività nel mio cervello, ma un'attività che si trova al di fuori della comprensione,
per non parlare del comando. Ed è esattamente lo stesso quando si tratta di
quelle decisioni più importanti che sembrano esprimere qualcosa di profondo sul
tipo di persona che si è: se partecipare al funerale di un certo parente, per
esempio, o quale delle due opportunità di carriera incompatibili perseguire. Si
possono trascorrere ore o addirittura giorni impegnati in quello che definiamo
come raggiungere una decisione su queste cose, quando in realtà quello
che si sta facendo, ammettendolo onestamente, è solo oscillare tra le opzioni,
finché in un momento imprevedibile, o quando una scadenza esterna impone di
farlo, la decisione di impegnarsi in una strada o nell'altra semplicemente
emerge.
Tutto ciò
non è solo che il libero arbitrio è un'illusione, ma che l'illusione del libero
arbitrio è essa stessa un'illusione: «osservati attentamente e
non sembrerai nemmeno libero». Ancora
la neurobiologia: è dimostrato, sempre dal neuroimaging, che ad esempio il
cervello di un portiere di calcio si attiva molto prima per coordinare il corpo
a parare un tiro in porta, prima che il giocatore decida di saltare,
prima che prenda coscienza che qualcuno ha tirato e che un pallone si sta
dirigendo verso la porta! Dopo questo esempio riuscite a immaginare cosa accade nel cervello di Yuja Wang? Se si presta sufficiente attenzione si può notare che
non c'è alcun soggetto al centro dell'esperienza, c'è solo l'esperienza. E
tutto ciò che sperimentiamo sorge semplicemente da solo. Buddismo, direbbe
qualcuno se volete, è comunque un’idea riecheggiata da altri, tra cui il
filosofo David Hume:
quando guardi dentro, non c'è traccia di un ufficiale di comando interno, che
emette autonomamente decisioni. C'è solo attività mentale, che scorre. Spettatori
dello sviluppo del proprio pensiero; lo osserviamo, lo ascoltiamo.
Concludendo
È socialmente dannoso per troppe
persone iniziare a pensare in questo modo, anche se si rivelasse essere la
verità. Molti filosofi che, sebbene pensino che abbiamo il libero arbitrio,
assumono una posizione simile, sostenendo che è moralmente
irresponsabile promuovere la negazione del libero arbitrio. Sono d’accordo.
In una serie di studi del 2008, un
esperimento prevedeva la lettura di un estratto da “The Astonishing Hypothesis”
di Francis Crick, co-scopritore della struttura del DNA, in cui suggerisce che
il libero arbitrio è un'illusione. I soggetti così predisposti a dubitare
dell'esistenza del libero arbitrio si sono dimostrati significativamente più
propensi di altri, in una fase successiva dell'esperimento, a barare in un test
in cui c'erano soldi in gioco. Altre ricerche hanno segnalato una ridotta
convinzione nel libero arbitrio a una minore disponibilità a fare volontariato
per aiutare gli altri, a livelli inferiori di impegno nelle relazioni e a
livelli inferiori di gratitudine. I tentativi successivi di replicare questi
risultati sono falliti. Sarà stato un caso?
Ma anche se gli effetti fossero
reali, alcuni scettici del libero arbitrio sostengono che i partecipanti a tali
studi stanno commettendo un errore comune, che potrebbe essere chiarito
piuttosto rapidamente se l’opposizione al libero arbitrio diventasse più nota e
compresa. I partecipanti allo studio che diventano improvvisamente immorali
sembrano confondere il determinismo con il fatalismo:
l'idea che, se non abbiamo libero arbitrio, allora le nostre scelte non contano
davvero, e quindi potremmo anche non preoccuparci di cercare di fare delle
buone scelte e fare semplicemente ciò che ci pare. Ma in realtà il fatto che le
nostre scelte possano essere predeterminate non le priva di valore. Potrebbe
avere un'enorme importanza se si sceglie di dare ai propri figli una dieta
ricca di verdure o meno; o se si decide di controllare attentamente in entrambe
le direzioni prima di attraversare una strada trafficata. È solo che, secondo
gli scettici, quelle scelte non sono state fatte liberamente.
In ogni caso, se si dimostrasse
davvero che il libero arbitrio non esiste, le implicazioni potrebbero non
essere del tutto negative. È vero che c'è qualcosa di ripugnante in un'idea che
sembra richiedere di trattare un assassino a sangue freddo come non responsabile
delle sue azioni, mentre allo stesso tempo caratterizza l'amore di un genitore
per un figlio come nient'altro che mera causalità cieca, priva di qualsiasi
scintilla umana. Ma c'è anche qualcosa di liberatorio in questo. È una ragione per essere più gentili con se stessi e con gli
altri. Per quelli di noi inclini a essere duri con se stessi, è
terapeutico tenere a mente il pensiero che potremmo stare facendo esattamente
come avremmo sempre fatto - che nel senso più profondo, non avremmo potuto fare
di più. E per quelli di noi inclini a infuriarsi con gli altri per le loro
piccole malefatte, è rassicurante considerare quanto facilmente i loro difetti
avrebbero potuto essere i nostri.

Se comprendessimo appieno le ragioni
contro il libero arbitrio, sarebbe difficile odiare altre persone: come si può odiare
qualcuno che non incolpiamo per le sue azioni? Eppure l'amore sopravvivrebbe in
gran parte indenne, poiché l'amore è «
la condizione del nostro volere che
coloro che amiamo siano felici, e di essere resi felici noi stessi da quella
connessione etica ed emotiva»; nessuna delle due cose verrebbe compromessa.
E innumerevoli altri aspetti positivi della vita rimarrebbero ugualmente
intatti.
Personalmente non posso affermare
di trovare le ragioni contro il libero arbitrio alla fine persuasive; è in
contrasto con troppe altre cose sulla vita che sembrano ovviamente vere. Inoltre
questo fisicalismo, o se volete il riduzionismo estremo che un certo tipo di filosofia della
scienza fornisce a suo supporto non fanno parte del mio modo di vedere le cose.
Eppure, anche se preso in considerazione solo come una possibilità
ipotetica, lo scetticismo sul libero arbitrio è un antidoto a quella cupa filosofia individualista che sostiene che i
successi di una persona appartengono veramente solo a lei e che quindi hai solo
te stesso da incolpare se fallisci. È un promemoria che ci ricorda che le
traiettorie contingenti che portano all’incidente della nascita potrebbero
influenzare i percorsi delle nostre vite in modo molto più completo di quanto
pensiamo, dettando non solo la posizione socioeconomica in cui nasciamo, ma
anche le nostre personalità ed esperienze nel loro insieme: i nostri talenti e
le nostre debolezze, la nostra capacità di gioia e la nostra abilità di
superare le tendenze alla violenza, alla pigrizia o alla disperazione e i
percorsi che finiamo per percorrere.
Nella nostra totale esposizione a forze al di fuori del nostro controllo, c'è un
profondo senso di fratellanza umana in questa immagine della realtà, nell'idea
che potremmo trovarci tutti sulla stessa barca, aggrappati per la nostra vita, alla
vita stessa, alla deriva nell’oceano in tempesta del caso.
Empatia. Risultato della
coevoluzione biologica e culturale, visto che è ormai ampiamente dimostrato che
è un sentimento che esiste anche nei nostri parenti più prossimi, come scimpanzè
o bonobo.
Ah, ovviamente, ho scritto in modalità del tutto incosciente, scelte predeterminate, non frutto
del mio libero arbitrio. Prova ne sia il fatto che tutto ciò, probabilmente, è soltanto una clamorosa supercazzola...