a tutti i nati oggi, per il loro futuroPremessa
Speranza e aspettativa sono due cose diverse. In altre occasioni su queste pagine (qui e qui, ma anche qui) si è messo in evidenza come il cambiamento climatico in atto porti, oltre ad una serie di interrogativi tuttora irrisolti, ad alcune conseguenze che possono essere definite certezze, nonostante il futuro possa presentarsi sotto forma di alternative tra scenari probabili, plausibili o possibili, con linee di confine ben poco nette.Uno dei paradossi più inquietanti e sgradevoli che emerge è che, considerando che le prime regioni a sperimentare già da ora il riscaldamento globale su base annua sono quelle tropicali ed equatoriali, esse includono le nazioni che meno hanno contribuito alle cause scatenanti: Nicaragua, Ghana, Kenya, Bangladesh, Zambia, Gambia, Madagascar, Etiopia, Mali, Cambogia, Ciad e India tra i tanti, tutti paesi da emissioni annuali zero virgola. E sono quelle meno in grado di attenuare gli effetti del riscaldamento globale.
Se vi sorprende l’aver inserito l’India date un’occhiata al grafico interattivo seguente. Indubbiamente è la Cina il paese ad emettere la maggior parte di quelle circa 36 miliardi di tonnellate l’anno di CO2, ma ha iniziato da pochissimo tempo, e quindi, dal punto di vista delle responsabilità, gli USA sono al primo posto come maggior responsabile individuale, considerando il totale delle emissioni nel tempo. Spesso poi si sente parlare dell'India come paese tra i più preoccupanti ma delle due l'una: o ha appena iniziato o, nonostante sia popoloso quanto la Cina, ha ancora un substrato economico in maggioranza tutt'altro che industrializzato.
Di conseguenza il suo contributo alle emissioni è scarso e pressoché nullo in confronto ai danni diretti che subirà dal cambiamento climatico.
Osservate per tutti la flessione del 2020: effetto COVID.
Nella mappa interattiva successiva ci sono invece le emissioni pro capite, con dati aggiornati al 2022. E’ cromaticamente evidente che i paesi individuati nella fascia equatoriale e tropicale, soprattutto l’Africa subsahariana, sono quelli che meno emettono in termini di CO2 (e altri gas serra), ma che saranno quelli che più soffriranno: il cosiddetto mondo occidentale dovrà necessariamente prepararsi all’accoglienza. Nella stessa mappa lasciano piuttosto perplessi i tassi pro capite superiori alle 20 t annue di paesi come gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait o…il Brunei!
Può essere utile visualizzare anche il grafico (cliccare su chart) per avere la visione di come le emissioni pro capite siano cambiate nel tempo, paese per paese, con alcuni andamenti controtendenza. Dal menu a tendina in alto a destra è possibile selezionare e visualizzare i dati dei singoli continenti.
Località…globali
Così come speranza e aspettativa anche meteo e clima sono due cose completamente diverse, e lo si è ribadito spesso. Il famoso matematico e meteorologo Edward Lorenz diceva che “Il clima è ciò che ti aspetti, il meteo è ciò che ottieni”[1].
Gli eventi meteorologici sono localizzati nel tempo e nello spazio: una nevicata in giugno non significa che si sta andando verso un’era glaciale, né una giornata particolarmente calda a fine gennaio è prova di riscaldamento globale. In altre parole è come un’analisi sociologica in grado di mediare su grandi numeri di esseri umani pur sapendo che, presi singolarmente, potrebbero comportarsi imprevedibilmente.
Ma persino un qualche tipo di evento meteorologico, come la temperatura in una determinata ora del giorno, la quantità di millimetri di pioggia caduta o il valore della pressione atmosferica, se cumulati a formare una base di dati sufficientemente grande da poter applicare la cosiddetta legge dei grandi numeri, sono stati in grado di fornire un’evidenza statisticamente significativa del cambiamento climatico in atto, a partire da dati giornalieri.
La cosa più difficile da realizzare in questi casi, allo scopo di ottenere un segnale chiaro che dimostri una determinata tendenza, è isolare il rumore. Negli eventi meteo di una singola località, ad esempio, la temperatura può variare di decine di gradi rispetto alla media misurata in un intervallo temporale sufficientemente lungo.
La figura precedente (lo studio completo, del 2020, è disponibile su Nature) illustra in modo evidente quanto è venuto fuori da studi di questo tipo. Sono stati utilizzati due modelli e due metodi di analisi statistica basati su altrettanti archivi di dati diversi, ma è chiaro che sia il primo che il secondo abbiano fornito risultati sovrapponibili (gli istogrammi in a,b e in c,d rispettivamente).
Nella colonna di sinistra ci sono le registrazioni della variazione di temperatura giornaliera in una località e confrontata con la temperatura giornaliera media, mentre a destra ci sono i risultati dei dati raccolti per un intervallo di molti giorni, allo scopo di ottenere una buona statistica per la distribuzione media delle variazioni giornaliere della temperatura locale.
Il fatto che in entrambi i grafici, indipendentemente dal modello, ci siano distribuzioni tipicamente normali è atteso, a significare qualità dell’analisi e inoltre, come ci si aspetta, la distribuzione delle variazioni di temperatura media in un singolo giorno per una singola località è molto più ampia della distribuzione delle variazioni registrate nello stesso giorno ma mediate globalmente.
Insomma, il vecchio proverbio inglese che dice che la Gran Bretagna ha un tempo orribile ma un clima fantastico torna ancora.
I risultati sono evidenti. Le distribuzioni di temperatura media giornaliera dei periodi 1951-1980 e 2009-2018, confrontate con i dati del periodo 1979-2005, sono tali da dimostrare che un giorno medio nel periodo 1951-1980 è stato più freddo che non nel periodo 1979-2005, mentre tra il 2009 e il 2018 il giorno medio è stato più caldo del medesimo periodo di riferimento.
Ci sono studi analoghi per regioni della Terra e per periodi diversi, ma i risultati sono i medesimi. Da questo punto di vista assumono grande valore quelli condotti nelle regioni citate in precedenza, tropicali o equatoriali, che godono di un rapporto segnale/rumore molto alto, ovvero hanno variabilità molto contenute rispetto ad altre aree del pianeta: non a caso durante la stagione calda ai tropici le previsioni meteo sono sempre le stesse.
Ed ecco che torna il messaggio citato all’inizio: le prime regioni a sperimentare fin d’ora il riscaldamento globale su base annuale sono quelle equatoriali e tropicali: il rapporto segnale/rumore per il riscaldamento globale sembra essere, e lo è, in relazione inversa con il livello di sviluppo di un paese.
La situazione non può che peggiorare. Entro il secolo, per quanto in media farà complessivamente più caldo ovunque, in queste regioni, che stanno già oggi sperimentando gli effetti del cambiamento climatico, rispetto al resto del pianeta, la temperatura media estiva sarà più alta per quasi il 100% del tempo rispetto all’estate più calda mai registrata.
Ci stiamo riferendo alle regioni con la più alta percentuale di malnutrizione, dipendenti fortemente dall’agricoltura, e che subiranno gli effetti più devastanti.
Sarebbe, sarà. Potrebbe, potrà.
In numerosi post su queste pagine ho messo più o meno direttamente in evidenza come, nonostante le famose risposte non lineari, che possono terrorizzare l’analista numerico, una simulazione può essere ridotta a piccolissimi intervalli di tempo durante i quali le risposte sono generalmente lineari, tenendo quindi sotto controllo il famigerato effetto farfalla, come ebbe a dire appunto il già citato Lorenz. Ma alla Natura i modellisti interessano poco: esistono senza dubbio meccanismi di risposta che influenzano il clima e sono difficili da modellare a causa delle variazioni improvvise che possono apportare. La chiave per risolvere tutto questo è saper riconoscere le incertezze. Le affermazioni fisiche che contengono incertezze sono quelle più virtuose.
Le predizioni fondamentali della climatologia sono basate su principi fisici ben consolidati: ciò basti a convincere che questa scienza non è una specie di vudù né che per comprenderne i significati e le conseguenze occorrano supercomputer. Cause, effetti e rischi di tali predizioni sono alla portata di tutti, e a tutti deve essere chiaro che la causa primaria è l’attività umana.
Nel già citato post precedente abbiamo visto come esistano dei già ben conosciuti “punti di non ritorno”, a cui possiamo aggiungere gli effetti su ecosistemi su vasta scala, quali ad esempio quelli dovuti all'acidificazione degli oceani, la fusione del permafrost, la deforestazione e molto altro ancora. Per quanto alcuni possano portare a disastri sul breve termine, mentre altri, come il potenziale scioglimento dei ghiacci della Groenlandia, richiederebbero forse secoli se non millenni, è la loro interazione che ha conseguenze spesso incerte. Un esempio viene da alcuni studi che dimostrano come, nella metà dei casi, il raggiungimento di un punto di non ritorno in un’area del pianeta innescherebbe un aumento del rischio in un’altra.
Pur essendo questi relativi al futuro come potrebbe, derivanti da scenari non direttamente modellabili, non possiamo trascurare l’impatto sul breve termine e, ancora una volta, emerge la necessità di un’azione politica globale perché globale è il problema.
Azione di cui non c’è traccia evidente.
Strategia
La Natura non fa piani, ed è indifferente sia alla nostra esistenza che a quella dell’intero pianeta. Ma noi umani sappiamo pianificare strategie per il futuro, capacità unica tra tutte le forme di vita. E soprattutto sappiamo sviluppare strumenti scientifici in grado di predire l’esito delle nostre azioni, oltre che strumenti tecnologici che ci danno un controllo senza precedenti sull’ambiente. Anche se è a causa delle nostre azioni se ci troviamo a questo punto non è detto che si sia sull’orlo di un precipizio: crisi è anche opportunità.
Per una frazione significativa degli esseri umani l’impatto del cambiamento climatico sarà devastante, già a breve termine. Ma ciò non deve farci assumere inutili e controproducenti posizioni catastrofiste, spesso strumentalizzate ora dall’una ora dall’altra corrente politica, né deve indurci all’inazione. Lo abbiamo visto durante la recente pandemia globale, in cui l’interconnessione dell’umanità si è manifestata pienamente e l’importanza di agire con urgenza di fronte all’evidenza è stata chiarissima. Possiamo avere maggiore o minore fiducia nei politici ma le persone razionali non hanno mai perso la fiducia nei confronti dei medici e degli scienziati che furono e sono in grado di stilare linee di azione per metterci in sicurezza.
Sono certo che scienza e tecnologica forniranno le risposte e i mezzi opportuni per mitigare gli impatti a breve termine e soprattutto per favorire l’adattamento al cambiamento. Anche se il futuro ci sta arrivando addosso come un treno fuori controllo lo fa su binari da noi costruiti. Se non si inizia davvero non sapremo mai se siamo ancora in tempo. Sono certo che scienza e tecnologia forniranno le risposte e i mezzi opportuni per mitigare gli impatti a breve termine e soprattutto per favorire l’adattamento al cambiamento. Anche se il futuro ci sta arrivando addosso come un treno fuori controllo lo fa su binari da noi costruiti. Se non si inizia davvero non sapremo mai se siamo ancora in tempo. Gli australiani, preoccupati per il flusso migratorio di qualche barchetta ogni tanto in arrivo dall’Indonesia, dovrebbero prendere coscienza seriamente del flusso di milioni di potenziali rifugiati climatici che, con le navi da crociera o con i mercantili, arriverà sulle loro coste, e sbarcheranno, fuori controllo. Lo stesso si può dire per l’opulento nord America nei confronti dei centroamericani, o per Europa, Turchia o repubbliche caucasiche nei confronti dei magrebini e delle popolazioni subsahariane. Perché saranno le regioni più povere ad essere maggiormente colpite, soprattutto se prive di aiuti e di accesso ad eventuali nuove tecnologie.
Diceva Pasteur: «la fortuna aiuta le menti preparate» (in questo post c'è un approfondimento su questo tema) e ciò, pur non essendo una garanzia offre solo maggiori probabilità che si arrivi ad avere risposte ed azioni concrete.
Capire la scienza del cambiamento climatico e i suoi effetti, ancorché probabili, è il primo passo per ottenere questa preparazione
Note bibliografiche:
Lawrence M. Krauss - La fisica del cambiamento climatico
Susan Solomon - Irreversible climate change due to carbon dioxide emissions
Our World in Data - CO₂ and Greenhouse Gas Emissions Data Explorer
[1] E’ lo stesso Lorenz che coniò la storica citazione: “Può un battito d'ali di una farfalla in Brasile causare un tornado in Texas?”
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