Spiccioli di filosofia...della scienza!
Uno dei contributi più importanti e conosciuti è la sua visione della scienza, incentrata su una coppia di idee semplici, chiare e straordinarie.
Innanzi tutto distinguere la Scienza, con la S, dalla pseudoscienza, qualcosa che si spaccia per scienza ma non lo è. Diciamo subito che per Popper la pseudoscienza non era necessariamente priva di significato ma comunque non considerabile come scienza: due esempi di pseudoscienza a lui cari erano la psicologia di Freud e la visione marxista della società e della storia. Sulla prima va detto che le critiche del filosofo nascevano dalla metodologia allora in uso nella psicanalisi, troppo legata al solo comportamento umano in risposta ad uno stimolo e priva di prove empiriche. Scienza purissima per Popper era d’altro canto il lavoro di Einstein.
Per mezzo del falsificazionismo, il nome che il filosofo diede alla propria soluzione, venne definita dunque la Scienza: un’ipotesi è scientifica se e solo se ha il potenziale di essere confutata da qualche possibile osservazione. Per essere scientifica, un'ipotesi deve correre un rischio, deve mettersi in gioco. Se una teoria non si assume alcun rischio perché è compatibile con ogni possibile osservazione, allora non è scientifica. E fin qui tutto bene. E questo concetto di rischio, legato ad aspetti probabilistici, lo troviamo anche in quel che comunemente è definito come consenso scientifico, di cui s’è scritto tempo fa.
Ma Popper usava l'idea della falsificazione anche in modo più ambizioso. Sosteneva che tutte le verifiche nella scienza hanno la forma di tentativi di confutare delle teorie mediante l'osservazione. L’aspetto cruciale è che non è mai possibile confermare o dimostrare una teoria mostrando che si accorda con le osservazioni. La conferma è un mito. L'unica cosa che un test osservazionale può fare è mostrare che una teoria è falsa. Alcuni degli scienziati che considerano Popper un eroe non realizzano che egli credeva che non è mai possibile confermare una teoria nemmeno in parte, indipendentemente da quante osservazioni la teoria ci aiuta a prevedere con successo. Prendiamo la teoria proposta da qualcuno e deduciamo da essa una previsione osservabile. Se le cose avvengono come da previsione, allora dobbiamo dire di non aver ancora falsificato la teoria. Ma, per Popper, non possiamo concludere che la teoria è vera, né che è probabilmente vera e neppure che è più probabile che sia vera di quanto fosse prima del test. La teoria potrebbe essere vera, ma non possiamo dire più di questo: potrebbero passare anni senza riuscire a falsificare una teoria ma per Popper ciò significherebbe che è semplicemente sopravvissuta ai tentativi di falsificazione.
Ciò non significa ovviamente che gli scienziati debbano trascorrere quasi tutto il loro tempo a tentare di falsificare una teoria, ma solo che dovremmo sempre mantenere un atteggiamento di cautela. Devono continuamente, in un certo qual modo, generare dubbi, persino sul loro stesso operato, evitando di cadere nella trappola, cosa che accade più frequentemente di quel che si pensi, di vedere evidenze che confermano le loro ipotesi anche quando non ce ne sono: e, che lo si creda o meno, molti scienziati riescono ad essere particolarmente vanitosi nei confronti delle loro idee.
La cattiva interpretazione, strumentale, del pensiero di Popper, apre le porte ai negazionisti di ogni epoca. Infine Popper pensava che le teorie semplici, (trattammo l’argomento qui) in molti casi, potessero essere falsificate facilmente ed è bene lavorarci perché si assumono dei rischi, cosa ad egli gradita. Non c'è motivo di pensare che una teoria semplice sia vera, ma è più semplice dimostrare che è falsa, e se lo è, e questa è una virtù. Un vero e proprio estremista quindi.
E sono queste, tra le altre, le idee che agiscono come motore della scienza e del suo progresso.
Un altro grande filosofo della scienza che ha fornito strumenti interessanti è stato Thomas Kuhn, soprattutto con il suo concetto di cambiamento di paradigma (qui). Personalmente, come molti, non ritengo che la scienza subisca delle rivoluzioni con dei passaggi epocali, anche se il termine è stato spesso utilizzato a cominciare dalla cosiddetta rivoluzione galileiana; ma, soprattutto in epoca moderna ed ancor di più da quando l’interconnessione e la comunicazione tra scienziati è globalizzata, che la scienza possa presentare nel tempo teorie completamente dirompenti col passato è un evento assai improbabile. Kuhn sosteneva che siamo in presenza di una rivoluzione scientifica quando gli scienziati incontrano anomalie che non possono essere spiegate alla luce dei modelli, delle ipotesi, dei paradigmi insomma, vigenti.
Indipendentemente dal necessario cambiamento, ritengo che la scienza proceda con continuità e ciò che appare rivoluzionario dipende esclusivamente dal tipo di visione e dalla scala temporale utilizzata. Anche se, usando il termine in modo tradizionale, tra il 1550 e il 1700 circa, abbiamo avuto un “rivoluzione” scientifica questo non deve far pensare che esistano dei confini netti tra un periodo assolutamente straordinario e il resto della storia.
In breve: ai dubbi seguono nuove ipotesi, nuovi modelli, nuove verifiche e, laddove necessario, un cambio di paradigma.
Errare...scientificum est!
Purtroppo, così come Popper viene citato a vanvera da complottisti e negazionisti per inculcare l’idea che quelle scientifiche sono chiacchiere che prima o poi verranno smentite, ecco che la quantificazione dei possibili errori nelle affermazioni scientifiche, il cambiamento di posizione (o paradigma che sia) da parte del mondo scientifico di fronte a fatti nuovi che falsificano le teorie precedenti, ecco che tutto questo viene strumentalmente preso come segno di debolezza della scienza e del suo metodo.
Si potrebbero fare dozzine di esempi di casi in cui parte della comunità scientifica si oppone al gruppone maggioritario del consenso che, non certamente per alzata di mano, ritiene una determinata ipotesi, una teoria, un modello, validi ed in grado di soddisfare tutti i requisiti del metodo.
Lo spinoso tema del cambiamento climatico che, come evidente dai miei post, mi sta molto a cuore, è uno dei più ricchi di questo tipo di casi, ed è tra l’altro paradossale osservare, quasi esclusivamente sui social, potenti amplificatori della grancassa della falsa informazione, come nessuno si azzardi a smentire sofisticatissime teorie scientifiche, quali quelle cosmologiche, o di fisica quantistica, mentre ogni qual volta c’è un post in tema di cambiamento climatico a centinaia si buttano ad irriderlo (nella figura seguente osservate il diverso numero di commenti tra un post in tema di global warming ed uno che parla di vita marziana).
Ricorderete certamente la famosa lettera dei 500, o le posizioni del Nobel John Clauser che definì quella sul clima “pseudoscienza giornalistica”. Pseudoscienza?
Ecco, in questo caso trovai molto curiosa l’attenzione che si rivolse a un Nobel per la fisica premiato per i suoi lavori sulla Meccanica Quantistica nel 2022, ma che non ha mai lavorato su nulla relativo al clima o alla fisica dell’atmosfera, mentre si è talvolta preferito ignorare i Nobel del 2021, sempre in fisica, conferiti a tre climatologi proprio per aver correttamente previsto e modellizzato il riscaldamento globale antropogenico.
Tutti scienziati...
L’opinione non suffragata di un singolo, per quanto illustre, non conta nulla a fronte dei tre pilastri principali del consenso scientifico: i dati, le equazioni e i modelli. La stragrande maggioranza di coloro che si occupano di climatologia è soddisfatta dalla spiegazione antropogenica del riscaldamento globale, a fronte dei dati, delle equazioni e dei modelli a nostra disposizione, e nessuna delle ipotesi alternative, e men che meno le ‘opinioni alternative’, soddisfa questi criteri. E, accontentando Popper, aggiungo: al momento attuale.
Dopo tutto anche Lawrence Krauss (l’assonanza dei cognomi spesso li confonde!) è un fisico teorico, eppure le sue posizioni sono diametralmente opposte, per fortuna!
Tutto questo viene, ripeto, strumentalmente utilizzato per denigrare il più delle volte pur contemplando anche casi in cui, in buona fede, il dubbio della scienza genera incertezza e sfiducia: durante la pandemia ne abbiamo viste delle belle in proposito, causate soprattutto da una pessima attitudine alla comunicazione ed alla divulgazione da parte di molti addetti ai lavori.
I cambiamenti di posizione quindi, a volte considerati “frequenti” sulla base di una non chiara metrica temporale, trasformano la conoscenza scientifica in qualcosa di astratto, e fallace: questa idea di scienza in continua evoluzione e perennemente incompleta, caratteristiche virtuose, portano a pensare che la scienza sia soltanto un edificio intellettuale, una “spiegazione del mondo” come un’altra, come quelle di millenni di filosofia priva di prove, di empirismo, di conferme sperimentali.
Come spesso si sente dire, è solo una teoria, vera oggi e falsa domani. Perbacco! Lo dice anche Popper!...
Ci sono altresì esempi che espongono il lato debole in modo tale da giustificare, in un certo qual modo, le posizioni scettiche? Sì, e moltissimi vengono dal campo della medicina, della farmacologia. Quanti farmaci, prodotti certamente con metodo (scientifico) e frutto di ricerca, si è in seguito scoperto essere dannosi se non letali? Quante terapie hanno subito confutazioni pesanti? Ma è questa scienza o pseudoscienza? Qual è infine la differenza?
Solo i cretini non cambiano mai idea...
Generare nuove domande da ogni risposta ricevuta. Così procede il metodo scientifico. Quel che sembra un difetto agli occhi di chi, spesso in malafede, fonda la sfiducia nella scienza su presupposti errati, è invece il pregio che rende il metodo scientifico, e la tecnologia che ne deriva, migliore di qualsiasi altro metodo si usi per osservare e descrivere il mondo, ben oltre il limite fisiologico dei nostri sensi: il principale vantaggio del metodo scientifico e della conoscenza che scaturisce dalla sua applicazione è proprio precisamente quello che ingenuamente si indica come il suo difetto: la capacità di saper tornare sui propri passi per progredire.
Gli scienziati, in presenza di nuovi dati o di una spiegazione più efficace, cambiano idea: e la conoscenza si perfeziona nel tempo rendendo l’interpretazione, la spiegazione, la previsione che dato x allora y, migliori di qualsiasi altra cosa si adotti. L’edificio della conoscenza viene riadattato, se necessario fin dalle fondamenta, o come più spesso accade, quanto si pensava prima diventa un caso particolare di quanto oggi è dato sapere.
La fede, di qualsiasi tipo, con i suoi dogmi, e la pseudoscienza, restano invece inamovibili nel tempo, prive di qualsiasi confronto con la realtà, statiche e incapaci di evolvere nel tempo.Tautologie...omeopatiche
Un esempio eclatante di pseudoscienza è dato dall’omeopatia.
L’omeopatia ha avuto fortune incostanti nei suoi due secoli di storia: nasce infatti ai primi dell’Ottocento ad opera di Samuel Hahnemann, un medico tedesco disilluso dall’impotenza della medicina del tempo, che si affidava principalmente a salassi, clisteri, purghe e sanguisughe. Come dargli torto, considerando l’epoca e gli usi?
Da allora alti e bassi si sono alternati in contrapposizione alla minore o maggiore fiducia dell’opinione pubblica nella medicina tradizionale. L’omeopatia si è quindi adattata, cambiando il modo di proporsi secondo le obiezioni ricevute e le convenienze del momento.
- Le alte dosi originariamente usate nei preparati omeopatici procuravano più fastidi che guarigioni? Ecco le diluizioni estreme.
- Le diluizioni lasciavano nient’altro che acqua? Ecco l’idea surreale della memoria dell’acqua.
- Questa ipotesi stravagante e un’esperienza clinica coronata di successi non reggevano alle prove scientifiche? Ecco l’ipotesi di un effetto placebo.
- L’omeopatia come “medicina alternativa” a quella tradizionale era messa al bando come un rischio per la salute pubblica? Ecco l’idea di una “medicina complementare” che accompagna quella tradizionale, senza sostituirla.
Insomma, come direbbe qualcuno, se la suonavano e se la cantavano, spinti soprattutto dagli enormi interessi delle case farmaceutiche che vendevano, e vendono, letteralmente acqua e zucchero, a peso d’oro.
Ma a parte queste scuse pronte all’occorrenza per autogiustificarsi, per secoli, la visione degli omeopati poneva alla base della loro teoria del funzionamento dei farmaci omeopatici, alcuni principi che sono rimasti gli stessi, inalterati: mai un dubbio, impossibilitati a migliorare né a fornire giustificazioni, che non fossero delle inutili e banali tautologie: il principio del similia similibus curantur, dovuta ad Hahnemann, e che, tradotta letteralmente, significa «i simili si curino coi simili», il principio dell’estrema diluizione o dei necessaria scuotimento, agitazione, mescolamento…la succussione (!) nella preparazione dei composti.
Ippocrate, padre fondatore della medicina, invece diceva contraria contrariis curentur, i contrari sono curati dai contrari. Ma tu guarda un po'!
Confrontiamo i progressi della medicina nello stesso periodo, soprattutto da quando il metodo scientifico è entrato in campo. Si pensi a come, dalle sanguisughe e dai salassi, o dalle teorie che fossero i miasmi ad uccidere la gente negli ospedali, o di colera per la strada, si sia passati ai vaccini, interrompendo le vere e proprie stragi di popolazioni fino a tempi recentissimi, all’insulina per il diabete, o alla chemio e radioterapia in campo oncologico. Se progresso c’è stato, ed è fuor di dubbio e provato dall’aumento dell’aspettativa di vita, è perché, di fronte a fatti nuovi e sempre più dettagliati, gli scienziati hanno abbandonato teorie più grossolane, imprecise o banalmente false, in favore di qualcosa di meglio, hanno cioè cambiato idea. Ecco ciò che rende la medicina moderna scienza e l’omeopatica pseudoscienza. Gli scienziati, nel loro insieme, cambiano anche radicalmente la propria teoria sul funzionamento del mondo, gli pseudoscienziati sono invece ancorati ad una fede che, non essendo supportata da fatti, è difesa per principio e dogmaticamente, invariabile nei secoli.
Zitto e calcola!
Ma allora, ci si chiederà, se le teorie sono suscettibili di mutamenti anche radicali nel corso della loro storia, come pensare che possano essere definitivamente vere? E se sono solo approssimativamente vere, come giustificare l'idea che progrediscano verso la verità? E ancora, se anche le entità non osservabili postulate dalle teorie passate sono state a volte abbandonate nel corso dello sviluppo storico delle teorie, come possiamo essere sicuri che le entità postulate dalla scienza di oggi non verranno abbandonate domani?
Domande lecite. Ma è così che funziona.
Imparando dai fatti, sempre ed in ogni campo, gli scienziati modificano le proprie idee e con esse la scienza; ciarlatani, pseudoscienziati e i fedeli di ogni credo nelle medicine alternative o in teorie pseudoscientifiche similari si aggrappano invece alle idee di secoli fa. Ma in questo caso antico equivale a vecchio, da buttare.
E non è infine nemmeno vero, né ha senso, affermare che, a causa dell’evoluzione del pensiero scientifico, ciò che oggi è dichiarato vero, domani risulterà falso, e che ciò che oggi appare inspiegabile e incompatibile con la conoscenza scientifica, domani lo sarà, dando un velo mistico ed esoterico alle affermazioni pseudoscientifiche e cialtrone.
È falso, perché spesso la conoscenza scientifica acquisita in passato non è stata cancellata come falsa, ma invece inglobata in quella moderna come caso meno esteso e come approssimazione particolare. Pur essendoci state teorie, nelle quali persino scienziati illustri credevano (le Teorie sull’Etere ad esempio) che sono state smentite dai fatti, e per cui quegli stessi scienziati hanno cambiato posizione, ce ne sono altre, come la meccanica newtoniana o, andando ancora più indietro nel tempo, la teoria idrostatica di Archimede, o ancora la descrizione della Terra come di un corpo approssimativamente sferico, che hanno resistito nei secoli, valide ancora oggi pur se rifinite o diventate casi particolari, approssimazioni di teorie più dettagliate e complete.
E l’affermazione è persino illogica, priva di senso, proprio perché la scienza moderna non fa affermazioni di verità assolute, ma approssima nel modo migliore quello che riscontriamo dall’esperienza diretta o attraverso i nostri strumenti; questa approssimazione può migliorare nel tempo, ma, e torniamo a Popper con cui abbiamo iniziato, non vi può essere garanzia né di un grado infinito di precisione né di una infinita completezza né infine di un’assoluta accuratezza in nessuna affermazione che uno scienziato fa.
Affermazioni di questo tipo, per definizione, non possono trovare riscontro nei fatti, non fosse altro perché non abbiamo strumenti di misura o percezione della realtà a precisione infinita. D’altra parte, è proprio nella pseudoscienza che troviamo affermazioni che si dichiarano di grado di verità assoluto, ingannando e creando le trappole che servono per la sua diffusione: così come spesso, in assenza di prove, si sbatte il mostro in prima pagina sull’onda emozionale e irrazionale, la certezza attira, e si preferisce affidarsi a sistemi di pensiero assoluti, a bassa complessità e che non richiedono lo sforzo di accettare margini di errore intrinseci ad ogni singola parola pronunciata, come è tipico del discorso scientifico.
La grandezza del metodo scientifico sta invece proprio nel seguire le migliori misure effettuate e nel quantificare il grado d’errore, creando incertezza e spingendo a cambiare idea ogni qual volta sia evidente e necessario. Selezionando ogni volta le idee migliori nel progresso da plausibile a possibile, fino a probabile e molto probabile.
Ed è qui che va riposta la nostra fiducia, non nelle parole di chi secoli o millenni fa fece una scelta assoluta.
Archimede avrà pure gridato “Eureka!” qualche volta, ma non è così che procede la scienza.