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La fabbrica dei dubbi

Karl Popper

Spiccioli di filosofia...della scienza!

Più volte sulle pagine di questo blog il famoso filosofo della scienza Karl Popper è stato citato e si è raccontato qualcosa delle sue idee.

Uno dei contributi più importanti e conosciuti è la sua visione della scienza, incentrata su una coppia di idee semplici, chiare e straordinarie.

Innanzi tutto distinguere la Scienza, con la S, dalla pseudoscienza, qualcosa che si spaccia per scienza ma non lo è. Diciamo subito che per Popper la pseudoscienza non era necessariamente priva di significato ma comunque non considerabile come scienza: due esempi di pseudoscienza a lui cari erano la psicologia di Freud e la visione marxista della società e della storia. Sulla prima va detto che le critiche del filosofo nascevano dalla metodologia allora in uso nella psicanalisi, troppo legata al solo comportamento umano in risposta ad uno stimolo e priva di prove empiriche. Scienza purissima per Popper era d’altro canto il lavoro di Einstein.
Per mezzo del falsificazionismo, il nome che il filosofo diede alla propria soluzione, venne definita dunque la Scienza: un’ipotesi è scientifica se e solo se ha il potenziale di essere confutata da qualche possibile osservazione. Per essere scientifica, un'ipotesi deve correre un rischio, deve mettersi in gioco. Se una teoria non si assume alcun rischio perché è compatibile con ogni possibile osservazione, allora non è scientifica. E fin qui tutto bene. E questo concetto di rischio, legato ad aspetti probabilistici, lo troviamo anche in quel che comunemente è definito come consenso scientifico, di cui s’è scritto tempo fa.

Ma Popper usava l'idea della falsificazione anche in modo più ambizioso. Sosteneva che tutte le verifiche nella scienza hanno la forma di tentativi di confutare delle teorie mediante l'osservazione. L’aspetto cruciale è che non è mai possibile confermare o dimostrare una teoria mostrando che si accorda con le osservazioni. La conferma è un mito. L'unica cosa che un test osservazionale può fare è mostrare che una teoria è falsa. Alcuni degli scienziati che considerano Popper un eroe non realizzano che egli credeva che non è mai possibile confermare una teoria nemmeno in parte, indipendentemente da quante osservazioni la teoria ci aiuta a prevedere con successo. Prendiamo la teoria proposta da qualcuno e deduciamo da essa una previsione osservabile. Se le cose avvengono come da previsione, allora dobbiamo dire di non aver ancora falsificato la teoria. Ma, per Popper, non possiamo concludere che la teoria è vera, né che è probabilmente vera e neppure che è più probabile che sia vera di quanto fosse prima del test. La teoria potrebbe essere vera, ma non possiamo dire più di questo: potrebbero passare anni senza riuscire a falsificare una teoria ma per Popper ciò significherebbe che è semplicemente sopravvissuta ai tentativi di falsificazione.

Ciò non significa ovviamente che gli scienziati debbano trascorrere quasi tutto il loro tempo a tentare di falsificare una teoria, ma solo che dovremmo sempre mantenere un atteggiamento di cautela. Devono continuamente, in un certo qual modo, generare dubbi, persino sul loro stesso operato, evitando di cadere nella trappola, cosa che accade più frequentemente di quel che si pensi, di vedere evidenze che confermano le loro ipotesi anche quando non ce ne sono: e, che lo si creda o meno, molti scienziati riescono ad essere particolarmente vanitosi nei confronti delle loro idee.

La cattiva interpretazione, strumentale, del pensiero di Popper, apre le porte ai negazionisti di ogni epoca. Infine Popper pensava che le teorie semplici, (trattammo l’argomento qui) in molti casi, potessero essere falsificate facilmente ed è bene lavorarci perché si assumono dei rischi, cosa ad egli gradita. Non c'è motivo di pensare che una teoria semplice sia vera, ma è più semplice dimostrare che è falsa, e se lo è, e questa è una virtù. Un vero e proprio estremista quindi.

E sono queste, tra le altre, le idee che agiscono come motore della scienza e del suo progresso.

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Un altro grande filosofo della scienza che ha fornito strumenti interessanti è stato Thomas Kuhn, soprattutto con il suo concetto di cambiamento di paradigma (qui). Personalmente, come molti, non ritengo che la scienza subisca delle rivoluzioni con dei passaggi epocali, anche se il termine è stato spesso utilizzato a cominciare dalla cosiddetta rivoluzione galileiana; ma, soprattutto in epoca moderna ed ancor di più da quando l’interconnessione e la comunicazione tra scienziati è globalizzata, che la scienza possa presentare nel tempo teorie completamente dirompenti col passato è un evento assai improbabile. Kuhn sosteneva che siamo in presenza di una rivoluzione scientifica quando gli scienziati incontrano anomalie che non possono essere spiegate alla luce dei modelli, delle ipotesi, dei paradigmi insomma, vigenti.

imageIndipendentemente dal necessario cambiamento, ritengo che la scienza proceda con continuità e ciò che appare rivoluzionario dipende esclusivamente dal tipo di visione e dalla scala temporale utilizzata. Anche se, usando il termine in modo tradizionale, tra il 1550 e il 1700 circa, abbiamo avuto un “rivoluzione” scientifica questo non deve far pensare che esistano dei confini netti tra un periodo assolutamente straordinario e il resto della storia.

In breve: ai dubbi seguono nuove ipotesi, nuovi modelli, nuove verifiche e, laddove necessario, un cambio di paradigma.

Errare...scientificum est!

Quindi la scienza e/o gli scienziati sbagliano? Certo che sì, e per fortuna, anche se non si tratta di errori propriamente detti quale potrebbe essere un errore di calcolo…e non che anche i migliori non ne commettano!

Purtroppo, così come Popper viene citato a vanvera da complottisti e negazionisti per inculcare l’idea che quelle scientifiche sono chiacchiere che prima o poi verranno smentite, ecco che la quantificazione dei possibili errori nelle affermazioni scientifiche, il cambiamento di posizione (o paradigma che sia) da parte del mondo scientifico di fronte a fatti nuovi che falsificano le teorie precedenti, ecco che tutto questo viene strumentalmente preso come segno di debolezza della scienza e del suo metodo.

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Si potrebbero fare dozzine di esempi di casi in cui parte della comunità scientifica si oppone al gruppone maggioritario del consenso che, non certamente per alzata di mano, ritiene una determinata ipotesi, una teoria, un modello, validi ed in grado di soddisfare tutti i requisiti del metodo.

Lo spinoso tema del cambiamento climatico che, come evidente dai miei post, mi sta molto a cuore, è uno dei più ricchi di questo tipo di casi, ed è tra l’altro paradossale osservare, quasi esclusivamente sui social, potenti amplificatori della grancassa della falsa informazione, come nessuno si azzardi a smentire sofisticatissime teorie scientifiche, quali quelle cosmologiche, o di fisica quantistica, mentre ogni qual volta c’è un post in tema di cambiamento climatico a centinaia si buttano ad irriderlo (nella figura seguente osservate il diverso numero di commenti tra un post in tema di global warming ed uno che parla di vita marziana).

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Ricorderete certamente la famosa lettera dei 500, o le posizioni del Nobel John Clauser che definì quella sul clima “pseudoscienza giornalistica”. Pseudoscienza?

Ecco, in questo caso trovai molto curiosa l’attenzione che si rivolse a un Nobel per la fisica premiato per i suoi lavori sulla Meccanica Quantistica nel 2022, ma che non ha mai lavorato su nulla relativo al clima o alla fisica dell’atmosfera, mentre si è talvolta preferito ignorare i Nobel del 2021, sempre in fisica, conferiti a tre climatologi proprio per aver correttamente previsto e modellizzato il riscaldamento globale antropogenico.

Tutti scienziati...
L’opinione non suffragata di un singolo, per quanto illustre, non conta nulla a fronte dei tre pilastri principali del consenso scientifico: i dati, le equazioni e i modelli
. La stragrande maggioranza di coloro che si occupano di climatologia è soddisfatta dalla spiegazione antropogenica del riscaldamento globale, a fronte dei dati, delle equazioni e dei modelli a nostra disposizione, e nessuna delle ipotesi alternative, e men che meno le ‘opinioni alternative’, soddisfa questi criteri. E, accontentando Popper, aggiungo: al momento attuale.
Dopo tutto anche Lawrence Krauss (l’assonanza dei cognomi spesso li confonde!) è un fisico teorico, eppure le sue posizioni sono diametralmente opposte, per fortuna!

Tutto questo viene, ripeto, strumentalmente utilizzato per denigrare il più delle volte pur contemplando anche casi in cui, in buona fede, il dubbio della scienza genera incertezza e sfiducia: durante la pandemia ne abbiamo viste delle belle in proposito, causate soprattutto da una pessima attitudine alla comunicazione ed alla divulgazione da parte di molti addetti ai lavori.

I cambiamenti di posizione quindi, a volte considerati “frequenti” sulla base di una non chiara metrica temporale, trasformano la conoscenza scientifica in qualcosa di astratto, e fallace: questa idea di scienza in continua evoluzione e perennemente incompleta, caratteristiche virtuose, portano a pensare che la scienza sia soltanto un edificio intellettuale, una “spiegazione del mondo” come un’altra, come quelle di millenni di filosofia priva di prove, di empirismo, di conferme sperimentali.

Come spesso si sente dire, è solo una teoria, vera oggi e falsa domani. Perbacco! Lo dice anche Popper!...

Ci sono altresì esempi che espongono il lato debole in modo tale da giustificare, in un certo qual modo, le posizioni scettiche? Sì, e moltissimi vengono dal campo della medicina, della farmacologia. Quanti farmaci, prodotti certamente con metodo (scientifico) e frutto di ricerca, si è in seguito scoperto essere dannosi se non letali? Quante terapie hanno subito confutazioni pesanti? Ma è questa scienza o pseudoscienza? Qual è infine la differenza?

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Solo i cretini non cambiano mai idea...
Generare nuove domande da ogni risposta ricevuta
. Così procede il metodo scientifico. Quel che sembra un difetto agli occhi di chi, spesso in malafede, fonda la sfiducia nella scienza su presupposti errati, è invece il pregio che rende il metodo scientifico, e la tecnologia che ne deriva, migliore di qualsiasi altro metodo si usi per osservare e descrivere il mondo, ben oltre il limite fisiologico dei nostri sensi: il principale vantaggio del metodo scientifico e della conoscenza che scaturisce dalla sua applicazione è proprio precisamente quello che ingenuamente si indica come il suo difetto: la capacità di saper tornare sui propri passi per progredire.

Gli scienziati, in presenza di nuovi dati o di una spiegazione più efficace, cambiano idea: e la conoscenza si perfeziona nel tempo rendendo l’interpretazione, la spiegazione, la previsione che dato x allora y, migliori di qualsiasi altra cosa si adotti. L’edificio della conoscenza viene riadattato, se necessario fin dalle fondamenta, o come più spesso accade, quanto si pensava prima diventa un caso particolare di quanto oggi è dato sapere.

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La fede, di qualsiasi tipo, con i suoi dogmi, e la pseudoscienza, restano invece inamovibili nel tempo, prive di qualsiasi confronto con la realtà, statiche e incapaci di evolvere nel tempo.

Tautologie...omeopatiche
Un esempio eclatante di pseudoscienza è dato dall’omeopatia.

L’omeopatia ha avuto fortune incostanti nei suoi due secoli di storia: nasce infatti ai primi dell’Ottocento ad opera di Samuel Hahnemann, un medico tedesco disilluso dall’impotenza della medicina del tempo, che si affidava principalmente a salassi, clisteri, purghe e sanguisughe. Come dargli torto, considerando l’epoca e gli usi?

Da allora alti e bassi si sono alternati in contrapposizione alla minore o maggiore fiducia dell’opinione pubblica nella medicina tradizionale. L’omeopatia si è quindi adattata, cambiando il modo di proporsi secondo le obiezioni ricevute e le convenienze del momento.

  • Le alte dosi originariamente usate nei preparati omeopatici procuravano più fastidi che guarigioni? Ecco le diluizioni estreme.
  • Le diluizioni lasciavano nient’altro che acqua? Ecco l’idea surreale della memoria dell’acqua.
  • Questa ipotesi stravagante e un’esperienza clinica coronata di successi non reggevano alle prove scientifiche? Ecco l’ipotesi di un effetto placebo.
  • L’omeopatia come “medicina alternativa” a quella tradizionale era messa al bando come un rischio per la salute pubblica? Ecco l’idea di una “medicina complementare” che accompagna quella tradizionale, senza sostituirla.

Insomma, come direbbe qualcuno, se la suonavano e se la cantavano, spinti soprattutto dagli enormi interessi delle case farmaceutiche che vendevano, e vendono, letteralmente acqua e zucchero, a peso d’oro.

Ma a parte queste scuse pronte all’occorrenza per autogiustificarsi, per secoli, la visione degli omeopati poneva alla base della loro teoria del funzionamento dei farmaci omeopatici, alcuni principi che sono rimasti gli stessi, inalterati: mai un dubbio, impossibilitati a migliorare né a fornire giustificazioni, che non fossero delle inutili e banali tautologie: il principio del similia similibus curantur, dovuta ad Hahnemann, e che, tradotta letteralmente, significa «i simili si curino coi simili», il principio dell’estrema diluizione o dei necessaria scuotimento, agitazione, mescolamento…la succussione (!) nella preparazione dei composti.

Ippocrate, padre fondatore della medicina, invece diceva contraria contrariis curentur, i contrari sono curati dai contrari. Ma tu guarda un po'!

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Confrontiamo i progressi della medicina nello stesso periodo, soprattutto da quando il metodo scientifico è entrato in campo. Si pensi a come, dalle sanguisughe e dai salassi, o dalle teorie che fossero i miasmi ad uccidere la gente negli ospedali, o di colera per la strada, si sia passati ai vaccini, interrompendo le vere e proprie stragi di popolazioni fino a tempi recentissimi, all’insulina per il diabete, o alla chemio e radioterapia in campo oncologico. Se progresso c’è stato, ed è fuor di dubbio e provato dall’aumento dell’aspettativa di vita, è perché, di fronte a fatti nuovi e sempre più dettagliati, gli scienziati hanno abbandonato teorie più grossolane, imprecise o banalmente false, in favore di qualcosa di meglio, hanno cioè cambiato idea. Ecco ciò che rende la medicina moderna scienza e l’omeopatica pseudoscienza. Gli scienziati, nel loro insieme, cambiano anche radicalmente la propria teoria sul funzionamento del mondo, gli pseudoscienziati sono invece ancorati ad una fede che, non essendo supportata da fatti, è difesa per principio e dogmaticamente, invariabile nei secoli.

Zitto e calcola!
Ma allora, ci si chiederà, se le teorie sono suscettibili di mutamenti anche radicali nel corso della loro storia, come pensare che possano essere definitivamente vere? E se sono solo approssimativamente vere, come giustificare l'idea che progrediscano verso la verità? E ancora, se anche le entità non osservabili postulate dalle teorie passate sono state a volte abbandonate nel corso dello sviluppo storico delle teorie, come possiamo essere sicuri che le entità postulate dalla scienza di oggi non verranno abbandonate domani?

Domande lecite. Ma è così che funziona.

Imparando dai fatti, sempre ed in ogni campo, gli scienziati modificano le proprie idee e con esse la scienza; ciarlatani, pseudoscienziati e i fedeli di ogni credo nelle medicine alternative o in teorie pseudoscientifiche similari si aggrappano invece alle idee di secoli fa. Ma in questo caso antico equivale a vecchio, da buttare.

E non è infine nemmeno vero, né ha senso, affermare che, a causa dell’evoluzione del pensiero scientifico, ciò che oggi è dichiarato vero, domani risulterà falso, e che ciò che oggi appare inspiegabile e incompatibile con la conoscenza scientifica, domani lo sarà, dando un velo mistico ed esoterico alle affermazioni pseudoscientifiche e cialtrone.

È falso, perché spesso la conoscenza scientifica acquisita in passato non è stata cancellata come falsa, ma invece inglobata in quella moderna come caso meno esteso e come approssimazione particolare. Pur essendoci state teorie, nelle quali persino scienziati illustri credevano (le Teorie sull’Etere ad esempio) che sono state smentite dai fatti, e per cui quegli stessi scienziati hanno cambiato posizione, ce ne sono altre, come la meccanica newtoniana o, andando ancora più indietro nel tempo, la teoria idrostatica di Archimede, o ancora la descrizione della Terra come di un corpo approssimativamente sferico, che hanno resistito nei secoli, valide ancora oggi pur se rifinite o diventate casi particolari, approssimazioni di teorie più dettagliate e complete.

E l’affermazione è persino illogica, priva di senso, proprio perché la scienza moderna non fa affermazioni di verità assolute, ma approssima nel modo migliore quello che riscontriamo dall’esperienza diretta o attraverso i nostri strumenti; questa approssimazione può migliorare nel tempo, ma, e torniamo a Popper con cui abbiamo iniziato, non vi può essere garanzia né di un grado infinito di precisione né di una infinita completezza né infine di un’assoluta accuratezza in nessuna affermazione che uno scienziato fa.

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Affermazioni di questo tipo, per definizione, non possono trovare riscontro nei fatti, non fosse altro perché non abbiamo strumenti di misura o percezione della realtà a precisione infinita. D’altra parte, è proprio nella pseudoscienza che troviamo affermazioni che si dichiarano di grado di verità assoluto, ingannando e creando le trappole che servono per la sua diffusione: così come spesso, in assenza di prove, si sbatte il mostro in prima pagina sull’onda emozionale e irrazionale, la certezza attira, e si preferisce affidarsi a sistemi di pensiero assoluti, a bassa complessità e che non richiedono lo sforzo di accettare margini di errore intrinseci ad ogni singola parola pronunciata, come è tipico del discorso scientifico.

La grandezza del metodo scientifico sta invece proprio nel seguire le migliori misure effettuate e nel quantificare il grado d’errore, creando incertezza e spingendo a cambiare idea ogni qual volta sia evidente e necessario. Selezionando ogni volta le idee migliori nel progresso da plausibile a possibile, fino a probabile e molto probabile.

Ed è qui che va riposta la nostra fiducia, non nelle parole di chi secoli o millenni fa fece una scelta assoluta.

Archimede avrà pure gridato “Eureka!” qualche volta, ma non è così che procede la scienza.

Per sopravvivere all’ignoranza ci vuole metodo. Scientifico.

Introduzione

Non ci chiediamo per quale utile scopo gli uccelli cantino: lo trovano piacevole, perché sono stati creati per cantare. Similmente, non dovremmo chiederci perché la mente umana si preoccupi di comprendere i segreti dell'universo; la diversità dei fenomeni naturali è così grande, e i tesori nascosti nel cielo così ricchi, proprio perché non venga mai a mancarle fresco nutrimento. (Keplero, Mysterium Cosmographicum, 1596)

Sorvolando sulla vena creazionista, erano altri tempi, Keplero per spiegare quanto la scienza sia parte della natura umana, la paragona ad un’attività artistica quale il canto, forse inutile in senso pratico ma innata. Ci facciamo domande sul mondo perché è parte della nostra natura, non possiamo farne a meno. Ed è la curiosità che muove ogni scienziato, di insaziabile appetito e che ad ogni risposta ottenuta vede aprirsi altre domande.

Non so come potrò apparire al mondo, ma a me sembra di essere stato soltanto un bambino che, giocando sulla riva, si sia divertito a trovare ogni tanto una pietra più liscia o una conchiglia più bella del solito, intanto, il grande oceano della verità si spalanca ancora completamente inesplorato di fronte a me. (Isaac Newton)

Nonostante i successi raggiunti, le straordinarie scoperte, Newton, da vecchio, si descrisse con quella frase vedendosi ancora come uno che guardava il mondo con curiosità, interrogava la natura, trovava cose meravigliose e le ordinava, le interpretava, cercava di capirle e di spiegarle, ben sapendo che non sarebbe mai riuscito a rispondere a tutte le domande. Nessuno può riuscirci.

E allora perché in molti, troppi, esseri potenzialmente dotati di poteri razionali, si scatena il processo contrario, quello del dubbio, della negazione?

Uno degli aspetti paradossali sono i campi di azione in cui questi si cimentano in grottesche imitazioni di dibattito, laddove dibattito non c’è, se non in affermazioni talmente ridicole da scatenare l’ilarità generale della peggior specie. Per esempio, nonostante una buona parte dell’umanità abbia accettato senza battere ciglio teorie scientifiche molto più complesse e spesso controintuitive quali quelle della Relatività Generale e Speciale, o le conclusioni apparentemente assurde della Meccanica Quantistica, sono bersagli preferiti il campo biologico, soprattutto quello darwiniano, quello medico, climatologico e persino paleoantropologico e paleontologico.

Per motivi del tutto diversi da quel che ci si potrebbe attendere, sono persino disposto a prendere sul serio alcune voci di complottismo sul clima, che hanno ragioni sociologiche non trascurabili, ma tollero molto male tutto il resto. Le voci negazioniste hanno forme molteplici, le forme della bugia, dell’imbroglio, della malafede e del complottismo. Senza ardire a proclamarne la verità assoluta, di contro, la voce scientifica, è una, chiarissima. La voce dei fatti incontrovertibili, delle evidenze sperimentali, dei risultati matematici della modellizzazione, dei confronti tra posizioni, fino al consenso scientifico.

E, contrariamente a quanto ci si possa attendere, spalancate le porte a legioni di imbecilli, come ebbe a dire Umberto Eco, queste voci urlate dell’ignoranza, non diminuiscono e si amplificano grazie proprio alla cassa di risonanza dei social, arroccate sulle loro posizioni sbagliate.

Frequento sui social molte pagine dedicate alla divulgazione scientifica. E su certe tematiche, tra l’altro molto meno ostiche, come scrivevo poc’anzi, della meccanica quantistica o della matematica dei sistemi complessi, è un fiorire continuo e ripetuto di commenti che ripetono a pappagallo, negazioni e critiche sterili, che saltano di palo in frasca senza criterio e che, se messi all’angolo, cambiano sapientemente argomento dimostrandosi campioni di conoscenza delle leggi sulla stupidità. Persone prive di qualsiasi base cognitiva minima che tentano di aprire dibattiti auto-elevandosi al livello di chi ne sa molto di più, più di persone che ovviamente, prima di aprire un social qualsiasi hanno aperto libri, e parecchi. A volte mi chiedo per quale motivo queste persone frequentino pagine di divulgazione scientifica: masochismo forse? Non credo, la maggior parte sono animati solo da un idiota bastiancontrarismo incurabile.

Ma se masochismo c’è, è il mio, che mi ostino a tentare di spiegare, di commentare costruttivamente, di aggiungere elementi all’argomento, di fornire indicazioni a volte di approfondimento altre volte di semplificazione, di indicare libri o siti in appoggio. E finisco quasi sempre a scontrarmi con terrapiattisti de noantri, negazionisti, neoluddisti, complottisti e ancora altri -isti di ogni tipo e provenienza.


L’argomento più gettonato è la negazione stessa della scienza, quella con la S, e le sue teorie. Lasciamo stare il frequentissimo «è solo una teoria…» espresso da persone che si sentono filosofi della scienza autorizzati a dir la loro; persone che non immaginano nemmeno lontanamente -come potrebbero?- che quegli stessi filosofi (della scienza, gli altri non sono, nella pratica per lo meno, nemmeno presi in considerazione[1]) sono tuttora guardati con un certo sospetto dagli addetti ai lavori e qualche volta tacitati con qualcosa di simile allo «zitto e calcola!» o, peggio ancora, con battute del tipo «La filosofia della scienza è utile agli scienziati più o meno quanto l’ornitologia lo è agli uccelli».


Oppure, in risposta ad un breve excursus storico del progresso scientifico, di qualsiasi argomento, i novelli precursori criticano con affermazioni tipo questa: «La scienza dell’Ottocento si sbagliava su questo, a metà Novecento si scopre che si sbagliava su quello, prima o poi verrà fuori che anche quel che si afferma qui è sbagliato…».

Senza tirare in ballo, per ora, il solito Karl Popper, è ovvio che qualunque affermazione (e già sul termine affermazione potremmo fare nottata a discuterne) può essere errata ma non si tratta di questo. Non è così che vanno le cose nel mondo scientifico. Il punto fondamentale è: non ha affatto senso pensare che tutto ciò che sappiamo oggi è da buttare perché domani salterà fuori qualcosa di nuovo. Anche se plausibile che il progresso scientifico e tecnologico non si accompagnino automaticamente a un avanzamento sociale, il progresso scientifico esiste, e ne faccio un solo esempio tra i tantissimi che lo dimostra: l'allungamento della vita media dall'Ottocento ad oggi[2].

La scienza, ripeto un concetto fondamentale, non può dirci con certezza cosa è vero ma ha un metodo sicuro per dirci cosa è falso.

Questione di metodo

Il metodo scientifico, da Galileo in poi, è piuttosto semplice e lineare: si fanno ipotesi sui motivi che sono alla base di una certa osservazione; queste sono seguite da esperimenti per verificarle e, cosa importante, gli esperimenti sono ripetibili praticamente da chiunque; si accettano, momentaneamente, le ipotesi che sono coerenti con i risultati degli esperimenti, perché potrebbero essere vere, e si scartano quelle che non sono in accordo con i risultati sperimentali, perché sono sicuramente false. Procedendo in questo modo il margine di incertezza si assottiglia rendendo via via più valida la teoria scientifica alla base di tutto ciò.

Ovvio che qualsiasi teoria può essere col tempo abbandonata in favore di una teoria che spieghi meglio un maggior numero di fenomeni. Un paio di esempi: la teoria della gravitazione di Newton è risultato essere un caso particolare di quella della Relatività Generale di Einstein; la genetica ha una spiegazione migliore della trasmissione dei caratteri ereditari che non quella che fornì Lamarck. E così via.

Ed è questo il modo per correggere, un passo alla volta, errori e manchevolezze e si procede sempre verso una maggior comprensione del mondo e dei suoi fenomeni.

Ma nessuna nuova scoperta potrà rendere vera una teoria che si è dimostrata falsa.

Nessuna persona sana di mente tornerà a credere che sia il Sole a ruotare intorno alla Terra nonostante le ricerche in astronomia procedano sempre verso un maggior grado di conoscenza.

Ancora un esempio. Per quanto la ricerca in un determinato settore possa portare dati via via più recenti e diversi, è innegabile l’origine africana dell’umanità: lo provano i dati di cui disponiamo, e di diverso tipo: fossili, archeologici e genetici, e diversificare le fonti contribuisce a ridurre al minimo il rischio di sbagliarsi, tanto più grande quanto più ci si affida ad una sola fonte di informazioni.

 

E per tornare ai social, riporto le parole aneddotiche di un noto genetista italiano, Guido Barbujani, che in appendice ad un suo libro, scrive:

«Vorrei spiegare perché non partecipo alle discussioni sui social. Negli anni Ottanta, una catena americana di fast food, la A&W, decise di fare concorrenza all'hamburger più famoso della McDonald's: il quarter-pounder, ovvero quello con un quarto di libbra di carne (un po’ più di un etto; in Italia si chiama DeLuxe). Avrebbero offerto, per lo stesso prezzo, il third-pound, cioè un panino che conteneva 1/3 di libbra di carne. Fu un fiasco. Un'indagine di mercato scoprì che per la maggioranza degli intervistati siccome 3 è meno di 4, 1/3 è meno di 1/4. Ecco perché non partecipo alle discussioni sui social.»

Popper, ancora lui

A questo punto è doveroso richiamare il solito Popper, che abbiamo incontrato diverse volte e che ha contribuito alla filosofia della scienza in molti modi. Uno dei più importanti e conosciuti è la sua visione della scienza, incentrata su una coppia di idee semplici, chiare e straordinarie.

Innanzi tutto distinguere la Scienza, con la S, dalla pseudoscienza (non necessariamente priva di significato ma comunque non scienza[3]) per mezzo del falsificazionismo, il nome che il filosofo diede alla propria soluzione: un’ipotesi è scientifica se e solo se ha il potenziale di essere confutata da qualche possibile osservazione. Per essere scientifica, un'ipotesi deve correre un rischio, deve mettersi in gioco. Se una teoria non si assume alcun rischio perché è compatibile con ogni possibile osservazione, allora non è scientifica. E fin qui tutto bene. Ma Popper usava l'idea della falsificazione anche in modo più ambizioso. Sosteneva che tutte le verifiche nella scienza hanno la forma di tentativi di confutare delle teorie mediante l'osservazione. Cosa cruciale è che non è mai possibile confermare o dimostrare una teoria mostrando che si accorda con le osservazioni. La conferma è un mito per Popper. L'unica cosa che un test osservazionale può fare è mostrare che una teoria è falsa. Alcuni degli scienziati che considerano Popper un eroe non realizzano che egli credeva che non è mai possibile confermare una teoria nemmeno in parte, indipendentemente da quante osservazioni la teoria ci aiuta a prevedere con successo.

Se il risultato di un qualsiasi esperimento conferma la previsione, l’ipotesi fatta a proposito di una certa teoria, l’unica affermazione possibile è dire di non aver ancora falsificato la teoria. Per Popper, non possiamo concludere che la teoria è vera, né che è probabilmente vera e neppure che è più probabile che sia vera di quanto fosse prima del test. La teoria potrebbe essere vera, ma non possiamo dire più di questo: potrebbero passare anni senza riuscire a falsificare una teoria ma per Popper ciò significherebbe che è semplicemente sopravvissuta ai tentativi di falsificazione. Ciò non significa ovviamente che gli scienziati debbano trascorrere quasi tutto il loro tempo a tentare di falsificare una teoria, ma solo che dovremmo sempre mantenere un atteggiamento di cautela.

Un vero e proprio estremista quindi.

Purtroppo, la cattiva interpretazione, strumentale, del pensiero di Popper, apre le porte ai negazionisti di ogni epoca.

Popper distingueva inoltre le società essenzialmente in due categorie: «società aperta», ovvero una società nella quale è possibile l’esercizio della critica, e «società chiusa», dove questo non è possibile. Esercizio della critica che deve consentire alcune idee e ne soppiantino altre con queste ultime, che dovranno scomparire perché razionalmente si è dimostrato la loro inapplicabilità, la loro irrazionalità, la loro inutilità. Far scomparire le idee con l’esercizio della critica e non far scomparire gli uomini che le sostengono, sia chiaro, e sempre per dirla con Popper «Il metodo critico o razionale consiste nel far morire al nostro posto le nostre ipotesi»: una sorta di parafrasi di Winston Churchill che, quando il suo partito perse le elezioni per la prima volta, disse alla moglie che era contento perché si era battuto tutta la vita per consentire ad altri di imporre democraticamente altre idee alle sue.

L’atteggiamento riportato da Popper è la base stessa del metodo scientifico, della scienza moderna, che ancora una volta si dimostra non solo essere il più efficace metodo per accrescere la nostra conoscenza ma anche un contenitore di valori che personalmente vorrei continuamente vedere applicati anche in altre aree della vita civile. Se c’è un settore dove prevalgono sempre onestà e moralità è quello della ricerca scientifica proprio perché, è sempre Popper a dirlo, la scienza non è un insieme di predicati verificabili ma è al massimo un insieme di teorie complesse che possono essere, al più, falsificate globalmente. Ogni scienziato sa che ogni teoria ha come limite di validità il momento in cui il confronto con la realtà dovesse fornire elementi per ritenerla non più valida, ed è la teoria stessa che offre gli strumenti di verifica, di falsificabilità. Più onesto di chi, innocente, offre ai propri accusatori gli strumenti atti a cercare di dimostrarne la colpevolezza, chi altri? Ciò ricorda molto da vicino il grande Charles Darwin che dedicò un intero capitolo de “L’origine delle specie” a tentativi di confutazione e relative risposte, anticipando quanto avrebbero potuto fare i suoi critici ed oppositori.

Il fatto che le teorie scientifiche sono, anzi, devono essere criticabili, espresse con chiarezza ed indicanti in anticipo quali fatti potrebbero «falsificarle» è una lezione per la democrazia, per la politica, perché la politica democratica non è, contrariamente a quanto si pensi, il governo del popolo (alla faccia dell’etimologia), o della maggioranza, ma deve semplicemente essere la possibilità di eliminare idee sbagliate od un cattivo governo senza spargimenti di sangue, senza eliminare le persone che le sostengono.

Purtroppo la maggioranza irrazionale appare per ora troppa ed imbattibile, e come dice l’adagio, è inutile cercare di discutere con un idiota, per farlo dovresti abbassarti al suo livello e saresti battuto per inesperienza…

Conclusione

Esempio di metodo scientifico nella vita quotidiana: sorprendente! - Web  Leaders Srl

L'universo è un libro aperto, che racconta una storia che chiunque può leggere, con la preparazione adatta. Non ci sono insegnamenti segreti, non ci sono autorità intoccabili: tutti possiamo imparare la lingua della natura e decifrarne i messaggi. Ogni tanto può anche succedere di avere ragione per il motivo sbagliato ed è per questo che ci vuole un metodo affidabile, che funzioni indipendentemente dallo scienziato di turno.

La scienza, in definitiva, è questo: un metodo, un insieme di pratiche affidabili per costruire una mappa veritiera della realtà, una guida per selezionare tra tutte le storie possibili sul mondo, quelle che meglio si avvicinano a raccontare come stanno davvero le cose.

Senza nulla togliere al potere e all'importanza della riflessione, pensare non basta. Certo, col pensiero si possono fare cose meravigliose, inventare storie, mondi, cercare regolarità, ordinare i fatti, produrre astrazioni. Col solo pensiero sono state composte sinfonie, scritti racconti memorabili come l'Odissea, decidere tra ciò che è buono e ciò che è cattivo, o meglio ancora tra ciò che è logico e ciò che non lo è. Col solo pensiero si dimostrano i teoremi. Ma se vogliamo capire come è fatto davvero il mondo, in base a quali meccanismi funziona, usando esclusivamente il pensiero non si arriva molto lontano. Occorre trovare un modo per decidere se quello che si è pensato ha a che fare con la realtà oppure no. Una delle cose più frustranti, ma al tempo stesso più eccitanti, per uno scienziato è rendersi conto che per ogni fenomeno naturale possono coesistere diverse interpretazioni alternative, anche perfettamente logiche e razionali, ma che sicuramente molte di esse, se non tutte, sono sbagliate.

Ed è per questo che a un certo, più o meno quattro secoli fa, la scienza si è separata dalla filosofia mantenendo un'origine comune: il tentativo di capire il mondo.

Questa è la potenza del metodo sperimentale, la sua novità assoluta. Quando esistano spiegazioni diverse è la Natura, che direttamente, attraverso l'esperienza empirica, l'esperimento, decide qual è quella giusta. Un antesignano della figura di scienziato, il filosofo Ruggero bacone, diceva, tre secoli prima di galileo: «Argomentando, possiamo giungere a una conclusione ed essere spinti ad ammetterla: ma questo non ci rende certi, né elimina il dubbio, così che la mente possa acquietarsi nell'intuizione della verità, a meno che essa non trovi tale certezza per mezzo dell'esperienza.»

È un po’ più complicato di quanto appare. Per chiedere alla natura di fare da arbitro, e soprattutto per sperare di avere una risposta sensata, occorrono esperienza e bravura. Va posta la domanda nel modo giusto. Vanno eliminate tutte le complicazioni non necessarie, va minimizzato il rischio che la domanda venga fraintesa. Il fenomeno va isolato da tutti gli altri che potrebbero interferire, ed occorre avere il controllo assoluto di tutti i suoi aspetti che si possano controllare, e contemporaneamente avere un'idea il più possibile accurata degli aspetti non controllabili. Va misurato con precisione quantitativamente tutto il misurabile. Occorre essere analitici e non analogici. Occorre rigore e ricontrollare il tutto milioni di volte. L'ipotesi preferita, la spiegazione logica e razionale che si è elaborata mentalmente e che si voglia mettere alla prova, deve essere formulata in maniera tale che qualsiasi esperimento possa dimostrar la falsa, nel caso essa lo sia. E dopo tutto ciò, ottenuta una risposta da un esperimento, quella risposta va interpretata nel modo corretto. È difficile, la scienza è difficile, ma è rigorosa. Rigore, precisione, metodo, controllo, senso critico, capacità di non ingannare se stessi e gli altri, ricerca spietata dell'errore. Sono solo alcuni dei requisiti richiesti per sperare di strappare qualche risposta alla natura.

È una strada senza scorciatoie ma una volta intrapresa, si arriva molto lontano.

E, per questo, fluctuat nec mergitur, non mollo, e continuerò incaponito, a cercare di contrastare le voci del dissenso ignorante, anche se il risultato fosse ricondurre sulla via della ragione, uno solo delle dozzine di inutili idioti che si incontrano quotidianamente.

Perché occorre fidarsi della scienza e del suo metodo, come già ebbi modo di scrivere.


[1] Lungi da me negare il ruolo fondamentale che la filosofia, nel corso della storia dell’umanità, ha avuto nel progresso culturale. Prima che un certo William Whewell inventasse il termine “scienziato”, nel 1834, persone come Galilei, Linneo, Lamarck, Curier, Newton, persino Darwin all’inizio, erano chiamati “filosofi”, naturali ma pur sempre filosofi.
[2] In entrambe le immagini proposte c’è un trucco, abilmente nascosto, ma c’è. Sono paradossi apparenti e possono essere prese ad esempio dell’ostinazione con cui si cerca di negare l’evidenza. Le spiegazioni dei triangoli qui, e qui quella del puzzle.
[3] Due esempi di pseudoscienza a lui cari: la psicologia di Freud e la visione marxista della società e della storia. Scienza purissima per Popper era d’altro canto il lavoro di Einstein.

Sul filo del rasoio

Abbiamo visto nel post precedente come nella modellizzazione un ruolo importante è svolto dalla semplicità. I modelli sono quasi sempre versioni semplificate di un sistema del mondo reale da cui possiamo togliere deliberatamente alcune parti non essenziali per capire. La semplificazione nei modelli è uno dei ruoli della semplicità nella scienza. Ma ce n’è un altro.

Ci sono numerosi esponenti di una scuola di pensiero che afferma che se dobbiamo scegliere tra teorie antagoniste, quelle semplici siano preferibili a quelle complesse. Parafrasando ancora una volta Tolstoj «Tutte le teorie semplici sono semplici allo stesso modo; ogni teoria complessa è complessa a modo suo». Ma cosa distingue una teoria complessa da una semplice? Un’onda sinusoidale è complicata perché la curva cambia direzione molto spesso, o è semplice perché segue una regola periodica?

Chiunque abbia un minimo di dimestichezza col metodo scientifico, con la scienza in genere avrà sicuramente sentito nominare il cosiddetto “rasoio di Occam”, chiamato in causa anche dal sottoscritto in altra occasione. Il modo più immediato per esprimere questa non monastica regola recita così: non postulare enti oltre la necessità. Ove possibile, dobbiamo eliminare la complessità eccessiva, dobbiamo essere parsimoniosi, e il rasoio di Occam a volte viene chiamato anche principio di parsimonia.

Il monaco Guglielmo di Occam (o meglio Ockham, dove nacque, in Inghilterra) era un teologo inglese vissuto a cavallo tra XIII e XIV secolo. Anche se non c’è chiarezza sembra che debba essere associato strettamente al principio. Ed è comunque in buona compagnia: Isaac Newton, nei suoi Principi (1687), presentò regole esplicite per fare scienza e la “Regola aurea”: «degli eventi naturali non si devono ammettere cause più numerose di quelle che sono vere e sono sufficienti a spiegare i fenomeni». Anche se il dibattito su cosa davvero intendesse Newton con causa “vera” è tutt’ora in corso.

Le spiegazioni filosofiche della conoscenza spesso assegnano un ruolo centrale alla semplicità.

Un famosissimo filosofo, Quine, da alcuni chiamato “il filosofo del filosofo”, considerava la totalità del nostro sistema di credenza una costruzione umana, che viene a contatto con l’esperienza solo marginalmente e, per mantenere questo “margine” del nostro sistema di credenze compatibile con l’esperienza della dobbiamo semplificare. Qualsiasi altro aggiustamento che facciamo al sistema «ha come obiettivo la semplicità delle leggi».

Ammettiamolo, ci sono famosissime leggi fisiche, illustrate dalla loro espressione matematica che sono ad un tempo eleganti e, per lo meno esteticamente, semplicissime. In che cosa consiste, di preciso, la semplicità che dovremmo cercare? Come qualcuno ha scritto devono essere anche…belle?

In primo luogo, in una teoria si possono usare più o meno entità e comunque potrebbe non avere importanza che queste siano in numero ridotto piuttosto che invece avere meno generi di cose: in una teoria della gravitazione semplificata aggiungere alla propria descrizione più pianeti, avendone già inseriti, potrebbe non avere importanza, dovendo fare il più possibile prima di aggiungere qualcos'altro. Terzo, potremmo preferire le organizzazioni causali meno complesse a quelle più complesse. Questo può entrare in conflitto con altri generi di semplicità; si potrebbe riuscire a raccontare una storia con un piccolo numero di fattori causali, ma solo se sono organizzati in modo molto elaborato. Infine, una teoria più semplice potrebbe essere più compatta da scrivere, anche se ciò dipenderà dal linguaggio scelto, ed è difficile considerarla una questione importante, se non come guida ad altri generi di semplicità.

La semplicità è stata valorizzata per molte ragioni. Forse, a parità di altre condizioni, e questa è già una semplificazione, dovremmo preferire le teorie più semplici perché è più plausibile che siano vere? O è possibile valorizzare la semplicità per altre ragioni, per esempio perché le teorie semplici sono più facili da utilizzare?

C'è una certa dose di artificiosità nel modo in cui questo problema viene presentato di solito. Spesso si dice che quando più teorie soddisfano i dati si dovrebbe scegliere la più semplice: ma è davvero così? La formulazione della teoria della gravitazione newtoniana è sicuramente più semplice di quella einsteniana ma non soddisfa né la spiegazione della misteriosa azione a distanza, né le velocità relativistiche e infine bastano tre corpi anziché due per ritrovarsi già con un bel problema.

Ma nelle situazioni che coinvolgono le evidenze non ci sono soltanto posizioni in cui i dati escludono una teoria o si accordano a questa: una teoria, lo abbiamo visto quando scrissi sul consenso scientifico, può ottenere da un dato qualsiasi quantità di supporto, esprimibile in gradi. Spesso non serve proprio scegliere tra le teorie. Si possono tenere d'occhio le diverse possibilità, mantenendo diversi gradi di fiducia in esse, comprese teorie semplici e alcune più complicate.

Ma a parte tutto ciò perché preferire la semplicità? Qualcuno afferma che conviene attenersi ad essa per evitare complicazioni inutili. Ma questa non è una gran giustificazione anche se la preferenza per la semplicità sulla base della mera convenienza sarebbe una preferenza innocua. È possibile anche semplificare deliberatamente costruendo dei modelli ma questi non hanno nulla a che fare col “rasoio di Occam”: pur sapendo che un modello semplice non è in qualche modo anche accurato, possiamo comunque usarlo per capire alcuni aspetti di un sistema che rappresenta.

Preferire le teorie semplici perché è più plausibile che ci conducano alla verità? Se è così, perché? Perché il mondo dovrebbe essere semplice? Fino al XVII secolo le versione della preferenza per la semplicità si basavano spesso sull’assunto che se dio ha creato il mondo, possiamo aspettarci la semplicità perché è più adatta o più giusta. Ed è un pensiero ancora largamente diffuso, associato all’opinione, altrettanto diffusa, che la Natura (quella con la N), ci viene detto, non fa cose invano, non complica. Ma una volta che le divinità vengono escluse dal quadro, o che si introduca un po’ di caso, ne basta poco, questo assunto diventa del tutto infondato.

Torniamo a quella bellezza a cui abbiamo accennato. Einstein diceva che «il mistero più grande è la nostra capacità di conoscere l’universo, di afferrarne la misteriosa semplicità e bellezza». Semplicità e bellezza ancora una volta. Le teorie semplici che funzionano bene hanno un aspetto piacevole: ottenere molto da poco è piacevole. Ma il fatto che sarebbe bene che una teoria semplice funzionasse bene non significa che tale teoria funzionerà bene, ed a questo proposito ricordiamo le parole contrastanti di un fisico cinese, naturalizzato statunitense, Tai Tsun Wu: «Una teoria, in fisica, deve essere bella per poter ottenere più verità. La teoria della relatività generale di Einstein è così bella, così bella che l'ho trovata difficilissima da capire

A volte si è sostenuto pure che la storia della scienza favorisce una preferenza per la semplicità, ma di evidenze in tal senso non ce ne sono. Per esempio, pare che Michael Faraday, pioniere sperimentale dell'elettricità e del magnetismo nel XIX secolo, dubitasse della teoria degli elementi chimici di Dalton, con le sue decine di elementi (nelle versioni tarde), perché gli sembrava troppo complessa in confronto ad altre posizioni del tempo che avevano molte meno entità di base. Non fu una scelta molto buona e la teoria di Dalton fu un grosso passo in avanti.

In chimica, la semplicità dell'immagine del mondo ha avuto alti e bassi. Nelle teorie più antiche, c'erano spesso quattro o cinque elementi, mentre con Dalton e Mendeleev nel XIX secolo ce n'erano decine, che crebbero fino a diventare più di cento. In seguito, includendo la fisica, fu possibile spiegare tutti quegli elementi nei termini di tre particelle subatomiche: gli elettroni, i protoni e i neutroni. Quelle particelle vennero poi suddivise e se ne aggiunsero molte altre, raggiungendo oggi circa la trentina. La semplicità va e viene. Come andrà a finire?


Per prima cosa, ci sono alcuni casi speciali, cioè alcune aree della scienza, in cui una particolare semplicità è preferibile nelle ipotesi, per via del modo in cui pensiamo che funzioni quella parte del mondo. Nell'evoluzione biologica, per esempio, le mutazioni sono eventi piuttosto rari, ancor più rari le mutazioni vantaggiose. La maggior parte delle mutazioni o non fa nulla o è negativa per l'organismo. Quindi le ipotesi evoluzionistiche che richiedono numeri più piccoli di mutazioni vantaggiose sono generalmente preferibili a quelle che ne richiedono molte. Sono ipotesi più semplici perché richiedono che accadano meno eventi poco plausibili.

Uno dei più famosi filosofi della scienza, Karl Popper, ha contribuito alla filosofia della scienza in molti modi, ma uno dei più importanti e conosciuti è la sua visione della scienza, incentrata su una coppia di idee semplici, chiare e straordinarie. Innanzi tutto distinguere la Scienza, con la S, dalla pseudoscienza (non necessariamente priva di significato ma comunque non scienza[1]) per mezzo del falsificazionismo, il nome che il filosofo diede alla propria soluzione: un’ipotesi è scientifica se e solo se ha il potenziale di essere confutata da qualche possibile osservazione. Per essere scientifica, un'ipotesi deve correre un rischio, deve mettersi in gioco. Se una teoria non si assume alcun rischio perché è compatibile con ogni possibile osservazione, allora non è scientifica. E fin qui tutto bene. Ma Popper usava l'idea della falsificazione anche in modo più ambizioso. Sosteneva che tutte le verifiche nella scienza hanno la forma di tentativi di confutare delle teorie mediante l'osservazione. Cosa cruciale è che non è mai possibile confermare o dimostrare una teoria mostrando che si accorda con le osservazioni. La conferma è un mito. L'unica cosa che un test osservazionale può fare è mostrare che una teoria è falsa. Alcuni degli scienziati che considerano Popper un eroe non realizzano che egli credeva che non è mai possibile confermare una teoria nemmeno in parte, indipendentemente da quante osservazioni la teoria ci aiuta a prevedere con successo. Non sembra proprio di essere in tema di semplicità. Prendiamo la teoria proposta da qualcuno e deduciamo da essa una previsione osservazionale. Se le cose avvengono come da previsione, allora dobbiamo dire di non aver ancora falsificato la teoria. Per Popper, non possiamo concludere che la teoria è vera, né che è probabilmente vera e neppure che è più probabile che sia vera di quanto fosse prima del test. La teoria potrebbe essere vera, ma non possiamo dire più di questo: potrebbero passare anni senza riuscire a falsificare una teoria ma per Popper ciò significherebbe che è semplicemente sopravvissuta ai tentativi di falsificazione. Ciò non significa ovviamente che gli scienziati debbano trascorrere quasi tutto il loro tempo a tentare di falsificare una teoria, ma solo che dovremmo sempre mantenere un atteggiamento di cautela. E’ comunque la cattiva interpretazione, strumentale, del pensiero di Popper, che apre le porte ai negazionisti di ogni epoca.

Dopo questa interessante digressione torniamo al tema principale. Popper pensava che le teorie semplici, in molti casi, potessero essere falsificate facilmente se erano false. Quindi, è bene lavorarci perché si assumono dei rischi, come piaceva a lui. Non c'è motivo di pensare che una teoria semplice sia vera, ma è più semplice dimostrare che è falsa, se lo è, e questa è una virtù.

Un esempio usato da Popper e da altri è tratto dalla matematica. Supponiamo di ottenere dei dati nella forma di coordinate (x,y). Bastano pochi dati per falsificare l'ipotesi che la relazione sottostante ai dati abbia la forma di una linea retta, meno di quanti ne servano per falsificare l'ipotesi che quella funzione sia quadratica, o sia un'altra funzione con potenze di x ancora più alte.

Pare che l'ipotesi della linea retta sia più semplice e la teoria più semplice si assume anche maggiori rischi.[2]

Le teorie in cui le ipotesi che si assumono dei rischi, quelle che “vincolano i dati” parecchio, ottengono una spinta quando le cose si rivelano essere come loro imponevano. Le ipotesi semplici vincolano i dati più delle teorie complicate.

Aggiungo sulla semplicità un'ultima cosa, che considero una motivazione più informale per la preferenza per la semplicità, che richiama un po' l'idea di Popper. Se si parte da una teoria semplice, una teoria con pochi fattori causali, allora, quando arrivano delle osservazioni che contrastano con la posizione iniziale, si può essere in grado di spiegare che cosa succede più di quanto si potrebbe fare se si stesse lavorando con una teoria molto complessa. Quindi può essere ragionevole iniziare lavorando con idee semplici anche se ci si aspetta di essere sospinti verso posizioni più complesse. La “spinta” funziona meglio o più chiaramente se si lavora in questo modo.

John Maynard Smith, un biologo evoluzionista di spicco del XX secolo, aveva un atteggiamento di questo tipo. Qualche volta difende un'immagine dell'evoluzione estremamente semplice, basata sull'assunzione che la mutazione e la selezione naturale possano trovare in generale soluzioni quasi perfette ai problemi affrontati dagli organismi. Ma questa visione della teoria dell'evoluzione non tiene conto di molti fattori, tra i quali i vincoli che derivano dalle sequenze di sviluppo di un organismo. Maynard Smith non pensava che l'evoluzione fosse così semplice, ma pensava che, per riflettere su un caso particolare, fosse bene iniziare con una struttura semplice e usarla come base per riflettere su possibilità più complicate.

Questo modo di pensare è collegato all'uso di modelli (ancora loro) deliberatamente semplificati. In quel metodo di lavoro si semplifica deliberatamente per arrivare a comprendere alcune relazioni all'opera in sistemi complicati. Qui invece usiamo la semplicità come punto di partenza. I due approcci sono molto simili; si potrebbe dire: “Assumiamo prima che il sistema sia semplice e vediamo come va”, o “So che questo sistema non è semplice, ma fingerò che lo sia, perché questo mi aiuterà a capire alcune delle sue caratteristiche”.

Abbiamo affermato che la preferenza per la semplicità potrebbe dipendere dalla maggiore probabilità che le teorie siano vere: questo non è assolutamente corretto. Oppure perché più facili da utilizzare: anche qui, ci sono parecchi dubbi in proposito. Proviamo a mescolare i due concetti: “In molte situazioni è bene iniziare a lavorare con delle teorie semplici e vedere come se la cavano, perché è più plausibile che questo alla fine ci conduca alla verità”. Qualcosa del genere potrebbe essere corretto.

Vorrei concludere con un riferimento ancora una volta alla biologia, scienza unica. Nel mondo inanimato non esistono sistemi la cui complessità sia comparabile, in qualche modo, a quella dei sistemi biologici formati da macromolecole e da cellule. Tali sistemi possiedono una enorme quantità di proprietà emergenti, perché ad ogni livello di integrazione o di interazione, emergono continuamente una gran quantità di nuovi sistemi di proprietà. E' vero che questi sistemi possono essere ridotti in componenti meno complessi, quasi sempre migliorandone la comprensione, ma i sistemi biologici sono sistemi aperti, ampiamente dotati della capacità di riproduzione, metabolismo, replicazione, adattabilità, crescita e organizzazione gerarchica; non ultimo relazione con altri sistemi biologici e non e in evoluzione nel tempo. Nel mondo inanimato non c'è nulla di simile.

Dubito che la preferenza per la semplicità possa portare da qualche parte in biologia e, lasciatemelo dire, anche in geologia.


 

Nota bibliografica: Peter Godfrey-Smith. “Teoria e realtà. Introduzione alla filosofia della scienza.


[1] Due esempi di pseudoscienza a lui cari: la psicologia di Freud e la visione marxista della società e della storia. Scienza purissima per Popper era d’altro canto il lavoro di Einstein.
[2] Approfondimento sulla maggior falsificabilità della retta.


Ecco un approfondimento su un punto che ho introdotto brevemente nel paragrafo sulla semplicità, che ha a che fare con la relazione tra semplicità e falsificazione. All'inizio, sembra chiaro che l'ipotesi secondo la quale una funzione che collega due variabili è una linea retta sia più facile da falsificare (in linea di principio) rispetto all'ipotesi che la funzione è quadratica y = ax+ bx + c o con potenze di x ancora più alte. Tre punti possono essere sufficienti per mostrare che una curva non può essere una linea retta, ma ne servono quattro per mostrare che la curva non è quadratica e così via a salire. L'ipotesi che la curva sia una linea retta sembra anche più semplice. Tuttavia, si tratta di una situazione in cui l'ipotesi dell'aspetto più semplice (linea retta) è un caso speciale dell'ipotesi più complessa (quadratica), dato che la linea retta è una curva quadratica con il parametro a maggiore o uguale a zero. Quindi, in verità, l'ipotesi che la funzione sia quadratica è un'ipotesi più ampia ma meno specifica, che permette sia le opzioni che sembrano semplici (linee rette) sia opzioni di altro genere. L'ipotesi più ampia è anche più difficile da falsificare.

Scienza e civiltà

 

Nota del 2023. Anche questo è un vecchissimo post, riportato sempre per dare un'idea su come la pensi.

Di fronte alle magliette con le “ruspe” di Salvini, e più in generale alle sue esternazioni, non so se far prevalere in me il senso di nausea o quello sarcastico che lo vorrebbe relegato nella zona in cui metto i mentecatti.

 Ma poi mi soffermo a pensare sulla totale irrazionalità delle affermazioni di quel genere e ripenso alle parole di Enrico Berlinguer, del quale giusto l’altro ieri si commemoravano i 31 anni dalla scomparsa prematura. Berlinguer invitava tutti a fare politica, senza distinzioni di sorta, ad esercitare sempre e comunque il proprio diritto di critica, di ragionamento, di uso delle proprie facoltà.

Scriveva Berlinguer dal carcere di Sassari, a soli 22 anni, dove fu rinchiuso per 100 giorni per aver preso parte ad una protesta contro il carovita:

 «Mi accade spesso di incontrare questi strani individui che sogliono ugualmente autodefinirsi apolitici, ma finora sono fortunatamente rimasto immune da questa nuova elegante moda neofascista. Perché in fondo, questo terrore della politica, che è, non lo si dimentichi, quella parte essenziale dell’attività dell’uomo che concerne i rapporti sociali con i propri simili, è un fenomeno tipicamente fascista. Del fascismo post 25 luglio, ben s’intende. Perché prima la politica, i fascisti, la facevano e in un modo così originale e delicato che non la lasciavano fare agli altri. Secondo queste persone, dove si parla di politica, non c’è pace per l’uomo. E uomo è qui uguale al fascista e alla sua coscienza. In altre parole: o politica fascista che chiude la bocca agli altri, o niente politica che ugualmente chiude la bocca agli altri. (…) In questo senso tutti possiamo dirci liberali, inteso il liberalismo non nel significato politico o economico, ma in quel più vasto significato umanistico che vuole che a tutte le facoltà dell’uomo sia dato libero sviluppo.»


A tutte le facoltà dell'uomo sia dato libero sviluppo.

E mi viene proprio in mente adesso Karl Popper che distingueva le società essenzialmente in due categorie: «società aperta», ovvero una società nella quale è possibile l’esercizio della critica e «società chiusa», dove questo non è possibile. Esercizio della critica che deve consentire alcune idee ne soppiantino altre con queste ultime che dovranno scomparire perché razionalmente si è dimostrato la loro inapplicabilità, la loro irrazionalità, la loro inutilità. Far scomparire le idee con l’esercizio della critica e non far scomparire gli uomini che le sostengono, sia chiaro, e sempre per dirla con Popper «Il metodo critico o razionale consiste nel far morire al nostro posto le nostre ipotesi» e, parafrasando Winston Churchill quando il suo partito perse le elezioni per la prima volta disse alla moglie che era contento perché si era battuto tutta la vita per consentire ad altri di imporre democraticamente altre idee alle sue.

L’atteggiamento riportato da Popper è la base stessa del metodo scientifico, della scienza moderna, che ancora una volta si dimostra non solo essere il più efficace metodo per accrescere la nostra conoscenza ma anche un contenitore di valori che personalmente vorrei continuamente vedere applicati anche in altre aree della vita civile. Se c’è un settore dove prevalgono sempre onestà e moralità è proprio quello della ricerca scientifica proprio perché, è sempre Popper a dirlo, la scienza non è un insieme di predicati verificabili ma è al massimo un insieme di teorie complesse che possono essere, al più, falsificate globalmente. Ogni scienziato sa che ogni teoria ha come limite di validità il momento in cui il confronto con la realtà dovesse fornire elementi per ritenerla non più valida ed è la teoria stessa che offre gli strumenti di verifica, di falsificabilità. Più onesto di chi, innocente, offre ai propri accusatori gli strumenti atti a cercare di dimostrarne la colpevolezza, chi altri?

Il fatto che le teorie scientifiche sono, anzi, devono essere criticabili, espresse con chiarezza ed indicanti in anticipo quali fatti potrebbero «falsificarle» è una lezione per la democrazia, per la politica perché la politica democratica non è, contrariamente a quanto si pensi, il governo del popolo (alla faccia dell’etimologia), o della maggioranza, ma deve semplicemente essere la possibilità di eliminare idee sbagliate od un cattivo governo senza spargimenti di sangue, senza eliminare le persone che le sostengono.

Da questo punto di vista le persone come Salvini rappresentano, a mio giudizio, il fascismo mascherato da volontà popolare, la prevaricazione di idee irrazionali ed inapplicabile su elementi logici; persone che senza contraddittorio di sorta, senza conoscere i termini della questione, vorrebbero chiudere la bocca ad ogni forma di politica che non sia la loro salvo poi, una volta consolidati, far di tutto affinché non si parli più di politica, come nel periodo fascista precedente al 25 luglio 1943. L’idea stessa che una ruspa trasmette è quella di demolizione e quindi violenza, anche se solo concettuale ma pur sempre violenza.

Ma allora, alla luce delle così tante adesioni che partiti come la Lega e movimenti estremisti come Casapound, come conciliare il potere del voto come strumento di falsificabilità dell’idea politica?

Ebbene, questi, secondo me, sono gli effetti collaterali della democrazia e del suffragio universale che conviene comunque accettare. A differenza del mondo scientifico nel mondo reale, nelle società, aperte o chiuse chi siano, a prevalere è l’irrazionalità.

Sappiamo infatti cosa accade quando l’irrazionalità si arroga il diritto di pontificare in ambito scientifico.

Nei lontani anni del comunismo duro e puro di sovietica matrice e fino a tutti gli anni ‘70 in Unione Sovietica era scienza soltanto quanto dichiarato o scoperto dai possessori della tessera di partito mentre gli altri o erano rapiti e costretti comunque a lavorare per lo stato, ma in segreto, o finivano come si diceva e faceva allora in Siberia ed infine i più fortunati riuscivano a passare oltre cortina e costretti all’esilio.

Questo oltre ad aver portato ritardi o clamorosi errori, a volte catastrofici, nei cosiddetti piani pluriennali questa cosa evidenzia, come se già non fosse palese di suo, che la scienza è una e non esiste scienza ufficiale distinta da qualcosa non ufficiale.

Ed ancora una volta emergono forti ed insormontabili i motivi di inapplicabilità del metodo scientifico alla vita civile.

La maggioranza irrazionale è troppa ed imbattibile e come dice l’adagio, è inutile cercare di discutere con un idiota, per farlo dovresti abbassarti al suo livello e saresti battuto per inesperienza

Consenso scientifico

 

clip_image002Premessa

«Che cosa tenta di descrivere la scienza? Il mondo, naturalmente. Di quale mondo si tratta? Del nostro mondo, nel mondo in cui noi tutti viviamo e con il quale interagiamo. A meno che la scienza non abbia fatto degli errori davvero madornali, il mondo in cui noi oggi viviamo è un mondo fatto, tra le altre cose, di elettroni, elementi chimici e molecole di RNA. Il mondo di mille anni fa era un mondo di elettroni e RNA? Sì, anche se all’epoca non lo sapeva nessuno.

Ma se qualcuno avesse pronunciato la parola elettrone nel Medioevo non avrebbe significato nulla; quanto meno, non quello che significa ora. Il concetto di elettrone è il prodotto di dibattiti ed esperimenti che hanno avuto luogo in un contesto storico specifico. Quindi come possiamo dire che il mondo del Medioevo era un mondo di elettroni e RNA? Non possiamo farlo; dobbiamo invece considerare l’esistenza di queste cose come dipendenti dai nostri concetti, dai nostri dibattiti e dalle nostre negoziazioni.

Per qualcuno, le affermazioni fatte nel primo paragrafo sono talmente ovvie che solo una persona completamente confusa potrebbe negarle. Il mondo è una cosa e le nostre idee su esso un’altra. Per altri, gli argomenti del secondo paragrafo mostrano che c’è qualcosa di terribilmente sbagliato nelle affermazioni apparentemente semplici del primo. L’idea che le nostre teorie descrivano un mondo reale che esiste in modo completamente indipendente dal pensiero e dalla percezione è un errore, collegato ad altri errori riguardanti la storia della scienza e del progresso, e alla fiducia e all’autorità che dovremmo accordare oggi alla scienza.»[1]

Il brano del filosofo della scienza Peter Godfrey-Smith, mette in evidenza le difficoltà e gli ostacoli con cui il mondo scientifico, e non solo, deve confrontarsi per sostenere di continuo l’immagine positiva che la scienza deve avere: operando con modalità cooperative e guidata da spirito critico. Soprattutto in questi tempi, con le interazioni tra scienza e mercato che stanno portando conseguenze di grande portata, diventa essenziale valorizzare l’autodeterminazione della scienza stessa. E allora ecco il tema.


Il consenso scientifico

Consenso - Il CONSENSO è la concordanza tra la volontà o tra le idee di due o più persone: in questo significato, dunque, la parola è un sinonimo di accordo[2]

Ma cosa rappresenta davvero il consenso in ambito scientifico? Cosa significa che una determinata idea, o una teoria, goda del consenso della comunità scientifica? E’ misurabile?

Il tema del consenso, e di conseguenza di un eventuale fine del dibattito scientifico intorno ad un determinato argomento, tratta di soggetti di cui spesso si sente parlare sui media con, o più spesso senza, un reale chiarimento di cosa questo rappresenti. In questi ultimi anni è piuttosto diffusa, ad esempio, una sorta di querelle intorno al consenso scientifico relativo al cambiamento climatico in atto.

Mappa concettuale della parola “Consenso”

Il consenso è dunque un accordo, in particolare un accordo che viene esplicitamente stabilito e quindi, tornando e restando in ambito scientifico, il consenso implica normalmente un accordo relativo ad un particolare approccio, o meglio, su una particolare teoria – scientifica ovviamente.

Potremmo, in ambito scientifico, avere persone non completamente d’accordo tra loro, ma ciò non vieta che possa esserci un certo grado di consenso anche senza accordo completo o senza completa fiducia in una determinata teoria. Il termine grado comporta la misurabilità di qualcosa e laddove i membri di una comunità scientifica abbiano gradi di credenza simili e ragionevolmente alti riguardo a qualche ipotesi, ecco che emerge il consenso - addirittura misurabile con formule matematiche di tipo probabilistico e statistico.

E’ stato usato il termine credenza e occorre fare una brevissima digressione. Credere in qualcosa significa riconoscerla per vera e, senza avventurarci nei labirinti della definizione di verità, spesso vicoli ciechi, è indubbiamente affermabile che la fiducia in una teoria scientifica, o in una sua ipotesi, è un tipo di credenza del tutto analogo a quel che potrebbe essere la credenza in uno spirito maligno che scatena i temporali o una qualche forma di fede religiosa e dogmatica: dimostrabilità a parte la differenza principale è che nelle credenze scientifiche il grado di fiducia è spesso talmente alto, che chi crede è pronto a scommetterci su. E di nuovo la parola grado ha fatto la sua comparsa.

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Karl Popper, a sinistra, e Paul Feyerabend

Non è proprio brainstorming

clip_image008 Tornando alla questione relativa al disaccordo in una comunità scientifica va detto che ciò rappresenta un valore: moltissimi filosofi della scienza, da Popper a Feyerabend non avevano nulla in contrario e ritenevano che il dibattito, la creatività, la libera esplorazione delle idee, fossero alla base di una ricerca scientifica libera e svincolata da pregiudizi di ogni sorta, e soprattutto svincolata dalle aspettative dei singoli ricercatori che spesso influenzano negativamente l’obiettività e senza dimenticare quel certo grado di serendipità che ci racconta la storia della scienza.[3] Nell’esplorazione creativa delle idee il consenso è del tutto opzionale e se per Popper non c’era affatto da preoccuparsi in caso di mancanza di consenso, o se Feyerabend auspicava una sorta di diversificazione permanente, resta evidente che a volte una certa questione scientifica va comunque risolta, ed una volta fatto se ne deve accettare la risoluzione, soprattutto quando questa deve indurre o indurci in azione, quando dobbiamo fare qualcosa guidati dalla scienza. Qualcuno direbbe, nel gergo aziendale in voga negli ultimi decenni, ben vengano Free-Wheeling e Brainstorming, ma senza esagerare, purché se ne esca e si agisca.

(Se d’ora in poi i vostri pensieri andranno alla recente pandemia da Covid-19 o alle tematiche relative al cambiamento climatico, siete giustificati.)

La ricerca del consensoimage

Le informazioni di cui è in possesso una comunità scientifica implicano spesso, se non sempre, la divulgazione ad enti governativi o simili allo scopo di prendere decisioni politiche. E la domanda che gli scienziati si sentono rivolgere è questa: c’è consenso scientifico su questo tema?

Se, come accade nella maggioranza dei casi, c’è accordo completo all’interno di una comunità scientifica, ambito per ambito ovviamente, non c’è problema. Altre volte potrebbe esserci una maggioranza, anche molto ampia, ma anche dei dissidenti. E qui la cosa si complica, perché spesso la dissidenza ha come fonte valenti scienziati o comunque persone addette ai lavori. C’è un modo per complicare la questione, e negli anni passati ne abbiamo viste di ogni tipo. Basterà inserire, spesso strumentalmente o pretestuosamente, persone assolutamente estranee alla comunità e ignoranti in materia, invitandole a…dire la loro: ciò darà l’illusione che esista un dibattito tra posizioni rigorose e non e, peggio ancora, un dibattito tra opinionisti o influencer e ricercatori e scienziati. Ciò ovviamente non va ad escludere dal dibattito terze parti che pur non appartenendo al mondo scientifico, quali sociologi o filosofi, potrebbero comunque fornire indicazioni preziose. L’esclusione senza appello è per quei personaggi che buona parte dei media sono soliti invitare in trasmissione al solo scopo di aumentare l’audience.

E’ sempre la scienza ad indicare la strada da percorrere nel caso in cui non ci sia completezza di consenso. Senza entrare nei suoi complessi dettagli il Teorema di Bayes, associato alle idee di Frank Ramsey, indica quale azione migliore scegliere pur considerando che il mondo potrebbe essere fatto diversamente da come lo si ritiene: è questione di scelta delle possibilità più probabili e quali meno, cose su cui le persone saranno in disaccordo quando non c’è consenso. In precedenza è stata associata alla credenza la possibilità che ci si possa scommettere su e una scommessa è guidata da parametri statistici di maggiori o minori probabilità che eventi possano accadere. Ecco perché è possibile utilizzare metodi analitici, scientificamente validi, per individuare le migliori opzioni relative al consenso. Ovviamente quando il disaccordo è molto forte, e complicato dal rumore di fondo delle migliaia di dissonanze amplificate e rilanciate dai social, il problema non sarà risolto in fretta anche se spesso può sussistere un certo grado di urgenza, soprattutto nel calcolare prima possibile quali sono le scelte dagli esiti sicuramente disastrosi.

Chiudere il dibattito

clip_image012Se la questione oggetto di dibattito scientifico è risolta sarà la stessa comunità scientifica a dichiarare che il dibattito si è concluso, con una sorta di consenso spontaneo, oppure occorrerà un’ulteriore valutazione della serietà delle incertezze residue, con un consenso curato nel modo in cui debbano essere fatte dichiarazioni pubbliche. L’attenzione maggiore va ovviamente alle tempistiche relative alla conclusione del dibattito: se precoce potrebbe avere come conseguenza, dagli esiti anche drammatici, quali quelli di una decisione politica presa sulla base di un’idea scientifica errata o incompleta; se tardivo, comporterebbe spreco di tempo e risorse, e ancora portare a decisioni politiche più o meno gravi, oltre alla perdita di progresso scientifico. Tardivo o precoce sono entrambi dannosi.

In passato queste decisioni erano prese a porte chiuse, e altrettanto privato era il confronto politici-scienziati. Oggi, nelle moderne società democratiche, con i flussi di informazioni liberi, e con una comunità scientifica interconnessa a livello internazionale, ciò non è possibile e alla comunità scientifica viene spesso richiesto di dire le cose nella maniera più chiara possibile. In altre parole le si chiede responsabilità pubblica, e se il consenso spontaneo riguarda soltanto le interazioni sociali tra membri della comunità scientifica, e loro posizioni individuali, il consenso curato coinvolge la società più ampia, di cui la comunità scientifica è parte. E ancora, oggi abbiamo moltissimi consumatori esterni di informazioni scientifiche, tra cui migliaia di ottimi divulgatori ed esperti, con cui la comunità scientifica deve confrontarsi raggiungendo un compromesso: impedire ad esempio che alcuni individui ossessionati possano boicottare o fermare l’uso ragionevole di una conoscenza conquistata faticosamente.

Un esempio dal passato

clip_image014C’è un caso famoso e drammatico su cui riflettere che viene dal passato recente e che riporterà alla mente le dolorose conseguenze di alcune scelte politiche di minoranza, le scelte novax per esempio, o quelle che hanno seguito l’onda della cosiddetta immunità di gregge senza sapere affatto cosa ciò sia: scelte altrettanto sbagliate, e scellerate, fatte in occasione della pandemia da Covid-19 e, in senso più generale, quelle che non sono state o che non saranno fatte, nel caso dei processi di reazione e/o adattamento ai cambiamenti climatici[4].

Nei primi anni ’80 l’epidemia di AIDS, che allora non aveva nemmeno questo nome, si diffondeva come malattia che colpiva soprattutto gli omosessuali maschi, gli emofiliaci e i consumatori di droga per via endovenosa, e sempre nello stesso periodo si scoprì che un retrovirus poteva esserne causa[5].

Nonostante le evidenze si andassero accumulando fin dall’inizio ci furono alcuni dissidenti che ipotizzarono, in base ai loro studi, che il retrovirus HIV non aveva nulla a che fare con l’AIDS, formulando ipotesi diverse che potevano ragionevolmente tenere aperto il dibattito scientifico nonostante un largo consenso per l’ipotesi Gallo-Montagnier. Ciò nonostante, nel 1988 la National Academy of Sciences degli Stati Uniti elaborò una dichiarazione riassuntiva ove si affermava che «l’evidenza che l’HIV è la causa dell’AIDS è scientificamente conclusiva». Col senno di poi questa presa di posizione può essere considerata del tutto precoce perché gli esperimenti, fondamentali e determinanti per fare affermazioni di causa-effetto, non avevano chiarito ancora i motivi per cui l’HIV potesse causare molti danni.

Pochi anni dopo l’epidemia di AIDS nell’Africa subsahariana divenne un problema enorme e l’allora governo del presidente Mbeki in Sud Africa prese posizioni poco ortodosse, fino ad includere nel 2000 all’interno del comitato scientifico consultivo il biologo Peter Duesberg, principale rappresentante delle posizioni dissidenti sull’HIV. Il governo dichiarò di non voler procedere nell’affrontare l’epidemia con i farmaci retrovirali usati altrove, di essere interessato a riflessioni e altre opportunità.

Paradossalmente questo atteggiamento scientifico può essere appropriato in qualche modo, quando il consenso non è unanime e la dissidenza viene da fonti piuttosto autorevoli e ascoltabili; ma in questo caso, la posizione durata circa 3 anni, fino al 2000, provocò direttamente la morte di diverse centinaia di migliaia di persone, come risultato delle decisioni del governo di Mbeki.

Nulla è certo, la storia mostra che possono arrivare grandi sorprese, «la cosa importante è non smettere mai di interrogarsi» disse una volta Albert Einstein, ma dobbiamo anche agire, prendere decisioni e in questo caso l’evidenza che l’HIV era la causa dell’AIDS era forte e si era accumulata regolarmente nel corso degli anni ’80 e ’90. La situazione di emergenza imponeva che le si desse seguito accettandola.

Come trattare la malattia è un’altra storia. L’unico farmaco allora in uso era il Retrovir ed è un farmaco estremamente tossico. Pur accettando le teorie dominanti c’erano forti sospetti sulle compagnie farmaceutiche che giustificavano la dissidenza se non altro allo scopo di incentivare la ricerca di altre opzioni. Oggi si conoscono molto in dettaglio i modi in cui l’HIV porta alla malattia e già dalla metà degli anni ’90 si iniziarono a sviluppare trattamenti farmacologici migliori.

 

clip_image016La morale

Non è dato sapere se questo caso emblematico di ricerca del consenso scientifico possa fornire spunti per altri contesti, per qualcosa che ci tocca da vicino nel tempo e nello spazio come premesso all’inizio del paragrafo. Forse. Ma sicuramente emerge che c’è un lato negativo dell’attraente idea che sarebbe sempre bene mantenere una mentalità aperta ed evitare di chiudere il dibattito. Va bene continuare ad interrogarsi, va bene la ricerca continua di nuove idee[6] ma occorre anche e soprattutto agire.

Conclusioni

Sarebbe fantastico continuare ad interrogarsi se le politiche fossero supportate dal peso di opinioni esperte, Franco Battiato avrebbe detto il centro di gravità permanente della comunità scientifica, e soprattutto senza minarle con uno scetticismo, idiota ed inutile molto spesso o ancora peggio, alimentato da pressioni interessate.

Purtroppo, come accennato in precedenza, è diventato sempre più difficile nei casi recenti, soprattutto nell’importante caso del cambiamento climatico accelerato, oltre ogni ragionevole dubbio, dalle attività di origine antropica. Ma la ricerca di consenso, in questo caso, per quanto le evidenze siano notevoli e consolidate, vede numerosi tentativi di tenere il dibattito ancora aperto, a tratti spalancato verso strade che comporteranno soltanto perdite di tempo e spreco di risorse, soprattutto per quanto riguarda la tematica più importante da sottoporre all’attenzione di tutti: cambiamento va bene, ma di adattamento quando ne trattiamo?

All'alba dell'era nucleare, negli anni '50, Hannah Arendt osservò che un mondo che relega questioni esistenziali al solo linguaggio tecnico e scientifico - definendolo dominio esclusivo di donne e uomini in camice bianco che dicono «fidatevi di noi» - rischia di essere un mondo in cui le persone hanno perso la capacità di essere artefici della propria vita. Una preoccupazione per lo stato tecnocratico estrema, questa della Arendt, dettata dalla sua esperienza di vita e frutto dei tempi in cui viveva.

Ma la sfida fondamentale da lei indicata resta: occorre certamente un linguaggio accessibile che possa sottoporre le scelte al dibattito pubblico altrimenti non sarà possibile affrontare problemi che sono definiti scientificamente in modo che possano essere risolti col contributo dei sistemi politici sostenuti dalla collettività.

Tempo fa, in un altro post, avevo concluso con le parole di Naomi Oreskes, storica della scienza, direi che anche stavolta ci sta:

«Ci si può fidare della scienza non perché fa volare gli arei o ci fa conquistare verità eterne, ma proprio perché è un’impresa sociale fallibile, in cui si raggiunge un consenso crescente su evidenze oggettive grazie ad una disamina collettiva e trasformativa.»

Potete non *fidarvi* di qualcuno, sia pure uno scienziato, ma fidatevi della Scienza.

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[1] Peter Godfrey-Smith. “Teoria e realtà. Introduzione alla filosofia della scienza.

[2] Enciclopedia Treccani online

[3] Telmo Pievani ha scritto un bellissimo libro in proposito, intitolato appunto “Serendipità”.

[4] In questo caso la tematica è vastissima e l’affermazione va intesa come un’ampia generalizzazione.

[5] Molti ricorderanno la disputa per la paternità della scoperta tra l’americano Robert Gallo e il francese Luc Montagnier; di quest’ultimo si ricorderanno anche le dichiarazioni choc che rilasciò all’inizio del 2022 sull’inutilità e addirittura sulla criminalità del vaccinare i bambini.

[6] Anche se, in questo mondo reale, la competizione, ancorché cooperativa, e la ricerca continua di fondi per la ricerca rendono la stessa spesso molto selettiva.