Cambiamento Climatico. Note perplesse, e profane, sull’efficacia e sull’utilità degli interventi.


Se i climatologi hanno ragione quando parlano di inerzia del sistema climatico globale, allora non possiamo aspettarci miracoli. La Terra continuerà a riscaldarsi anche qualora tutti i paesi del mondo si comportassero in maniera esemplare e riducessero drasticamente i gas di scarico. Questo potrà forse irritare qualcuno. Ma è una notizia migliore rispetto alle previsioni di un imminente glaciazione che circolavano all’inizio degli anni ’60. Ogni volta che la temperatura si abbassa di molto, la società è scossa alle radici. Per contro, il riscaldamento ha prodotto alcune fioriture culturali: se si può imparare qualcosa nella storia della civiltà, è questo: è vero che gli uomini sono “figli dell’era
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glaciale”, ma la civiltà è figlia dell’interglaciale. La rivoluzione neolitica e la nascita delle prime civiltà superiori ebbero luogo in periodo in cui faceva un po’ più caldo di oggi. Se le prognosi dell’IPCC sono corrette, nel corso di questo secolo raggiungeremo nuovamente quei valori. A quel punto i ghiacciai alpini si scioglieranno, ma non quelli dell’Antartide. È già successo più volte. Risparmieremo sul riscaldamento e bruceremo meno energia fossile. Che ne sarà dei deserti? Davvero si estenderanno? Durante il Periodo Atlantico, (tra 5.000 e 7.500 anni fa, con una temperatura media più alta di circa 2,5 °C)(*) nell’area circolava più acqua di adesso, il Sahara era fertile (come testimoniato anche da stratificazioni sedimentarie di origine lacustre risalenti all'inizio a quel periodo).

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Difficile prevedere il futuro. Gli scienziati seri dovrebbero guardarsi dal voler interpretare il ruolo di Nostradamus. Le simulazioni al computer non funzionano meglio delle premesse in base a cui i dati vengono forniti; descrivono delle attese, non il futuro. La storia delle scienze naturali è anche una storia fatta di teorie false e prognosi sbagliate. È interessante conoscere i margini di imprecisione dei metodi di datazione proposti dalle scienze naturali. Le datazioni stabilite col metodo del carbonio 14 o con altri procedimenti fisici, per poter essere utilizzabili devono essere “calibrate”. In concreto: solo grazie alle cronache storiche è possibile riportare le scienze esatte sul binario giusto. Gli umanisti non sono abituati a tanta imprecisione. Rispetto ai periodi su cui gli scienziati calcolano con un margine d’errore di cento anni in più o in meno, gli storici sanno indicare il giorno, l’ora, persino il minuto. Non bisognerebbe farsi troppe illusioni sull’esattezza delle scienze naturali.

Scrivere una “storia culturale del clima”, specie se affronta le conseguenze culturali e sociali dei mutamenti climatici, vuol dire conoscere le premesse metodologiche della scienza della cultura e vuol dire prendere sul serio quei dati che non si ricavano dal ghiaccio o dal fango, ma dagli archivi della società. L’esperienza ci dice che è redditizio combinare i metodi storici con quelli propri delle scienze naturali. La storia culturale del clima ci insegna che il clima è sempre stato in trasformazione e che la società ha sempre dovuto fargli fronte. In ciò le prognosi apocalittiche non si sono mai rivelate utili. Per capirlo non c’è bisogno di risalire alla caccia alle streghe o al crollo delle dinastie dell’Antico Egitto. Basta confrontare i provvedimenti progettati negli anni Settanta per combattere il raffreddamento globale con quelli che vediamo discutere oggi contro il riscaldamento globale. E quindi opportuno invitare i climatologi alla moderazione quando parlano della storia del clima e alla cautela quando ne va della civiltà e della società.

E la combinazione di ricerca scientifica e storica confermano che l’umanità ha avuto continuamente fasi alterne di cambiamenti climatici importanti, ora molto più caldi ora molto più freddi di adesso. A volte per qualche decennio, se non anni, altre per secoli.

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Il clima cambia. Il clima è sempre cambiato. Come vi reagiamo, è una questione di cultura. Il ciò conoscere la storia ci può aiutare. I mutamenti climatici sono stati spesso percepiti come delle minacce. I falsi profeti e gli imprenditori morali hanno tentato sempre di trarne dei vantaggi. Non lasciamo l'interpretazione dei mutamenti climatici nelle mani di chi non sa nulla della storia della civiltà. Gli uomini non sono come gli animali, che devono subire passivamente ogni trasformazione del loro mondo e nella storia recente il mutamento climatico ha avuto anche conseguenze positive. Se quello attuale dovesse rivelarsi di lunga durata, e così sembra il momento, non c'è che una cosa da fare: restare calmi. Il mondo non andrà a fondo. Se farà più caldo, ci prepareremo. Un classico adagio latino dice: tempora mutantur, et nos mutamur in illis. I tempi cambiano, e noi con loro.

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Le immagini che gli astronauti delle missioni Apollo, a cominciare da quella bellissima alba della Terra, mandavano del nostro pianeta ripreso dallo spazio ne evidenziarono per la prima volta agli occhi del mondo tutta la sua fragilità.

A partire dagli anni 90 il timore del riscaldamento globale ha rimpiazzato i precedenti, come quello per la “Moria dei Boschi” o quello per il buco nell’ozono. Per la prima volta, alla sbarra non è più solo l'industria, ma ogni consumatore finale.

In pratica ogni abitante della terra è colpevole: il boscimano sudafricano, che incendia la savana per cacciare o per guadagnare terreno coltivabile, e il fazendero argentino, i cui manzi producono metano, il coltivatore di riso a Bali e il banchiere cinese, che fa i suoi affari in uno studio dotato di aria condizionata. Alcune regioni in Italia vietano rigorosamente l’uso di caminetti a legna o stufe a pellet e centinaia di milioni di indiani, miliardi in tutto il mondo, utilizzano esclusivamente la legna per scaldarsi e cucinare.

Quando, in questo contesto, si parla di protezione del clima o dell'ambiente, occorre aver ben presente di che cosa si tratta. La Terra esiste da circa cinque miliardi di anni e ci sono molte buone ragioni per ritenere che essa continuerà a esistere indipendentemente da ciò che gli uomini le fanno. La scala dei possibili mutamenti va dal pianeta infernale e rovente (Adeano) fino allo scenario della palla di neve (Snowball Earth, argomento di cui ho scritto di recente). Negli ultimi miliardi di anni della sua esistenza, per la maggior parte del tempo sulla Terra ha fatto più caldo di adesso. Solo negli ultimi milioni di anni il clima è diventato più variabile, cioè a volte è molto più caldo di adesso, altre volte -e ciò avviene più spesso- è molto più freddo. E ogni mutamento climatico ha delle conseguenze per la vita sulla Terra. Ma la natura non è un sistema morale. Alcune specie di piante e di animali prosperano quando fa più caldo, altre quando fa più freddo; alcune hanno bisogno di maggiore umidità, altre di minore umidità. Rispetto alla natura tutti i cambiamenti dell'ecosistema sono neutrali, perché ciò che danneggia una specie offre dei vantaggi a un'altra. Chi vorrebbe ergersi al giudice su questo?

Gli sforzi tesi a proteggere la natura sono di segno conservatore
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gli ambientalisti non vogliono preservare la “natura”, ma una forma abituale di natura, cioè una condizione ecologica che è “naturale” né più né meno di ogni altra. Quando si parla di “protezione della natura”, ciò che interessa davvero non è la natura, ma il benessere dell’uomo. Quando certi ambientalisti si riferiscono alla “natura” spesso stanno invece descrivendo il frutto di attività umane iniziate circa 10.000 anni fa e protrattesi fino ad oggi. In ciò c’è anche una certa incoerenza, come si può vedere dal fatto che la maggior parte degli abitanti dell’Europa centrale, pur temendo gli effetti del riscaldamento globale, decidono di trascorrere le vacanze in paesi caldi, per sfuggire al freddo e alla pioggia di casa propria. O peggio, e lo abbiamo visto quest’anno nonostante le raccomandazioni date anche dal conflitto in Ucraina, se fa caldo pochissimi sono disposti a rinunciare a tenere i climatizzatori al massimo, alla faccia delle conseguenze sul riscaldamento globale. E così, al contrario, sarà il prossimo inverno, in questa società che ci vede in maniche di camicia d’inverno negli uffici o nei centri commerciali e col golfino sulle spalle d’estate!

Il parolone “protezione del clima” serve solo a nascondere la paura di fronte al cambiamento. In realtà nelle regioni finora svantaggiate, come i Poli e i territori di alta montagna, si diffonderà un’enorme varietà di specie. Quelle iper specializzate, per contro, si estingueranno. Non è una questione di morale, ma di evoluzione.

Con ciò non si vuole contestare, si badi, la necessità di proteggere la natura. Ma bisogna chiarire che cosa deve essere protetto, e perché. Che la protezione delle specie debba avere una priorità maggiore rispetto alla loro scomparsa, dovrebbe risultare evidente a chiunque (quanto meno perché le specie coesistenti e coeve alla nostra fanno parte del nostro ambiente). Tuttavia è lecito chiedersi se gli orsi polari siano una specie a rischio a causa del riscaldamento o a causa dello sfruttamento dell'Artide da parte di attività umane come l’agricoltura, l’industria e la costruzione di insediamenti. Da lontano, stando al sicuro, è facile deplorare che non si possa impedire né l’una né l'altra cosa. Ma laggiù un orso polare che si aggira vicino ai cassonetti non è meno pericoloso dell’orso che nell'estate del 2006 girovagava per i boschi tra Germania e Austria suscitando rifiuti e paura nei diretti interessati. Gli animali dell’Artide saranno minacciati allo stesso modo degli animali dell’Africa o dell’Amazzonia. Per garantire la loro sopravvivenza fuori dai giardini zoologici, in coesistenza con insediamenti umani sempre più estesi, c’è bisogno di progetti seri e ben meditati.

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La lotta all'inquinamento dell'aria ha senso anche a prescindere della questione se i gas di scarico producono un effetto serra o gli aerosol contribuiscono al raffreddamento. Tuttavia, in presenza di una densità della popolazione molto alta, spostare questo o quell’insediamento non sarà facile come nel Neolitico. Anzi, non mancherà di provocare conflitti che peraltro sono palesemente già in atto se consideriamo la reazione media di fronte alla immane tragedia dei migranti climatici e/o economici.

Soprattutto per questo la comunità mondiale ha interessi a contenere i mutamenti climatici entro certi limiti. L’adattamento, volenti o nolenti, che le popolazioni umane subirono in passato, dal Neolitico alla Piccola Era Glaciale non è più attuabile.

Essa deve prepararsi a una grande trasformazione del clima (adaptation), ma al tempo stesso deve impedire che essa sia troppo grossa (mitigation). Non ha alcun senso voler contrapporre una strategia all’altra, come troppo spesso accade. Ma finora si sente quasi esclusivamente parlare di mitigation, spesso ignorando del tutto che dei due questo è l’obiettivo più difficile, apparentemente impossibile, da raggiungere.

(*) ricordo che, secondo i modelli di IPCC, il limite superiore da non superare è di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Ogni ulteriore aumento porterebbe alla catastrofe per l’umanità (…)

Bibliografia
Wolfgang Behringer – Storia culturale del clima. Dall'era glaciale al riscaldamento globale.

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