Terre (non così) rare

 

In questi giorni, a causa delle recenti prese di posizione da parte della neo(ri)eletta amministrazione Trump, si sente spesso parlare delle cosiddette «terre rare». Trump ha dichiarato, senza mezzi termini, che vuole indietro i soldi degli aiuti all’Ucraina e li vuole (anche) sottoforma di diritto di accesso e sfruttamento, riguardante numerose risorse minerarie di quel martoriato paese.

Le terre rare, così come il litio (che come vedremo non è, chimicamente, una terra rara), sono elementi industriali fondamentali del XXI secolo. La loro rilevanza è tale da influenzare gli assetti geopolitici globali e, di conseguenza, avere un impatto sulle nostre vite quotidiane.

Riassumiamo cosa sono le terre rare, dove si estraggono, perché sono così importanti e soprattutto perché la Cina, da questo punto di vista, è così potente.


Terre rare: tipologia e diffusione
Le terre rare, spesso indicate con l'acronimo REE, Rare Earth Elements, corrispondono ad un gruppo di 17 elementi chimici che troviamo nella tavola periodica: ittrio, scandio, e i 15 elementi appartenenti ai lantanoidi (o lantanidi, come si diceva un tempo), in ordine di numero atomico: lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio, lutezio. Nomi difficilissimi da ricordare in vista di un’interrogazione di chimica!

Nell’immagine precedente, la “Tavola periodica degli elementi” ho evidenziato anche il litio, ma occorre fare subito una distinzione. Il nome del gruppo dei 17 elementi chimici citati in precedenza, le “terre rare” appunto, è il nome che fu dato loro al momento della classificazione. Il litio è un elemento chimico che invece appartiene al gruppo degli “alcalini” nella tavola periodica, non al gruppo delle terre rare. Le terre rare come abbiamo visto comprendono gli elementi del gruppo dei lantanoidi, oltre a scandio e ittrio, che hanno proprietà chimiche simili. Il litio, invece, oltre che in ambito farmaceutico, è noto per le sue applicazioni come quelle delle batterie agli ioni di litio, utilizzate in una vasta gamma di dispositivi elettronici, veicoli elettrici e sistemi di stoccaggio di energia. Nonostante, quindi, il litio condivida l'importanza strategica e alcune sfide di approvvigionamento con le terre rare, dal punto di vista chimico e classificativo appartiene a un gruppo differente di elementi. E ancora precisiamo: il nome del gruppo “terre rare” venne assegnato a questi speciali elementi chimici presenti in alcuni minerali non per la loro scarsa presenza sul pianeta, ma per via della loro difficile identificazione, oltre che per la complessità del processo di estrazione del singolo elemento dal minerale che lo incorpora.

Nel 1803 erano note solo due terre rare, l'ittrio e il cerio, e ci vollero altri 30 anni ai ricercatori per determinare gli altri elementi contenuti in un solo tipo di minerale scoperto in Svezia nel 1798, in quanto la loro separazione era molto difficile a causa delle proprietà chimiche molto simili. Dopo tutto la radice etimologica, lanthanein, significa «star nascosto». In altri termini le terre rare…non sono poi così rare, spesso molto meno rare di quanto possa esserlo l’oro di un filone aurifero[1], ma solo difficilissime da individuare con la loro estrazione che in genere è complicata e costosa. I processi di estrazione, inoltre, utilizzano sostanze particolarmente dannose per l’ambiente e si producono rifiuti altamente tossici.

Lo USGS, il servizio geologico nazionale USA, ha stimato che ci siano tra 120 e 150 milioni di tonnellate di riserve di terre rare, sufficienti per tre o quattro secoli. Il cerio è più comune del rame, mentre neodimio, lantanio, ittrio e scandio sono più abbondanti del piombo. Si ribadisce l’aspetto tipico della loro presenza: esistono giacimenti ricchissimi di terre rare ma sono molto dispersi, trovandosi per lo più in Cina, leader per quantità e tipologia, Russia, Stati Uniti, Australia, Brasile, India, Malesia, Tailandia, Vietnam, Canada e Sudafrica. Come si vede dalla mappa seguente il 37 percento circa è in Cina, Brasile e Vietnam hanno entrambi circa il 18 percento, la Russia il 15 e gli altri paesi si dividono il restante 12 percento.

Elementi chiave
Ma il punto principale è questo: elementi sconosciuti fino ad un centinaio di anni fa, oggi, invece, sono la chiave per le tecnologie più avanzate. Si è calcolato che il peso della transizione energetica, a cui si associano quelle digitale e culturale, ammonta ad appena 17 grammi: la quantità di terre rare consumata ogni anno da ciascun abitante del pianeta (che però in totale fa circa 136.000 tonnellate l’anno). Dai magneti delle pale eoliche ai motori elettrici delle automobili, passando per alcune componenti di smartphone e computer, il nostro presente e futuro dipendono da piccole ma essenziali frazioni di elementi chimici noti come metalli rari. Tra questi, i 17 membri che costituiscono la famiglia, caratterizzata da notevoli proprietà elettromagnetiche, ottiche, catalitiche e chimiche.

Dipendiamo da frazioni infinitesimali, una dipendenza a rischio innanzi tutto per  la loro difficoltà di estrazione, dispersi in percentuali minori, in mezzo alle altre rocce, presenti sul pianeta in maniera ampia, ma non in maniera omogenea. Ci sono luoghi in cui è possibile trovarne di più ed estrarli più facilmente e a più basso costo. E il controllo di tali risorse minerarie strategiche – e di altri elementi più o meno rari come il cobalto delle batterie ricaricabili o il tellurio delle celle fotovoltaiche – sta riscrivendo gli equilibri economici e geopolitici del pianeta.

Una delle peculiarità che rende questi elementi preziosi nell'industria di oggi è la loro capacità di esercitare un magnetismo resistente anche alle alte temperature. Indispensabili nei prodotti tecnologici di nuova generazione, sono componenti necessari per centinaia di prodotti, in particolare quelli di consumo high-tech, smartphone, tablet, personal computer, hard disk, batterie ricaricabili, veicoli elettrici e ibridi, monitor, luci a led, televisori a schermo piatto, e l’elenco potrebbe continuare.

Impiego
Già migliaia di anni fa la maggiore o minore presenza sul territorio del rame, molto più raro, rispetto a quella del ferro, insieme alla mutata distribuzione delle popolazioni, determinarono il passaggio da un'età storica alla successiva. Allo stesso modo così come il carbone ha permesso al Regno Unito di dominare il XIX secolo, e il petrolio ha sancito l’egemonia statunitense o dei paesi arabi in quello successivo, i colossali giacimenti di metalli rari di cui dispone ad esempio la Cina, la pongono in una posizione di forza nella corsa alle energie rinnovabili. E l’Ucraina in Europa, paese che più che i lantanoidi, o lantanidi che dir si voglia, abbonda in altri elementi di difficile reperimento, potrebbe avere un ruolo analogo, più o meno per gli stessi motivi.

In quest'ultima nazione ci sono metalli comunemente noti come il litio e il cobalto, ma anche materiali meno conosciuti come il gallio e il bismuto, e altri come la grafite naturale e il carbone metallurgico, utilizzato nella produzione dell'acciaio (elenco seguito anche dall'Italia). Altri paesi, come gli Stati Uniti, dividono la lista in due sottogruppi: i cosiddetti "18 elettrici", fondamentali per produrre, trasmettere e conservare energia elettrica ed altri 50 minerali critici.

I materiali elencati hanno svariati usi. Molti sono cruciali per la transizione energetica poiché impiegati nelle batterie, nei motori elettrici e negli impianti di energia rinnovabile. Tra questi ci sono il litio per le batterie, il neodimio per i magneti nei motori eolici e il silicio per i pannelli solari. Altri come gallio e germanio sono usati come semiconduttori nei chip avanzati, necessari per i sistemi di intelligenza artificiale.

Tuttavia, l'importanza strategica di questi elementi raggiunge probabilmente l'apice nel settore militare: elementi quali l'olmio e il neodimio sono fondamentali per la produzione della maggior parte delle armi più sofisticate e dei sistemi balistici delle forze armate di tutto il mondo. Il loro utilizzo in settori così importanti ne ha incrementato esponenzialmente la, di pari passo solo alla domanda dei metalli preziosi. La loro presenza in un dispositivo elettronico è insignificante in termini di volume o peso, ma è fondamentale: senza quella piccolissima quantità non funzionerebbe o avrebbe delle prestazioni insufficienti a competere con le moderne tecnologie.

Dal momento che le fonti di energia rinnovabile diventano sempre più importanti e diffuse in tutto il mondo ogni giorno, come abbiamo visto nel post precedente, la domanda globale di terre rare è in continuo aumento negli ultimi anni. Elementi come il neodimio e il praseodimio, che sono importanti proprio nelle applicazioni di energia rinnovabile e nelle industrie ad alta tecnologia, sono sotto i riflettori, in particolare da quando i veicoli elettrici e le auto ibride sono un business sempre più succoso. In un’auto elettrica si possono trovare qualcosa come un chilogrammo di terre rare; una turbina eolica da 5 MW contiene addirittura circa 800 kg di neodimio e 200 kg di disprosio, una tonnellata di terre rare.

Impatto ambientale
Si pensi che per ricavare appena un chilogrammo di vanadio vanno purificate 8,5 tonnellate di roccia, un chilo di cerio ne richiede il doppio, il gallio 50 e il lutezio ben 200!

E qui si apre una parentesi particolarmente importante. Con basse concentrazioni nei depositi, i costi di estrazione diventano insostenibili senza manodopera a basso costo o sussidi statali. La purificazione richiede molta acqua che si contamina con acidi e metalli pesanti, necessitando di trattamenti costosi. Per rendere redditizia una miniera di metalli rari, serve una protezione ambientale debole o inesistente.


In Cina, l'inquinamento da estrazione di terre rare ha reso il suolo sterile e contaminato le risorse idriche. Anche se i funzionari hanno chiuso molte miniere, comprese quelle illegali, persistono gravi minacce ambientali. Un rapporto del 2019 evidenzia che la Cina ha meno vincoli normativi e ambientali, mantenendo bassi i costi di estrazione e produzione. La Cina sta cercando di bonificare l'ambiente inquinato dalle miniere, ma il processo è costoso e lungo, potendo richiedere fino a 100 anni.


Ucraina
Anche l’Ucraina presenta uno scenario simile: indifferenza nei confronti dell'ambiente come elemento fondamentale per mantenere bassi i costi di produzione, per lo meno nelle zone di estrazione. Il governo degli Stati Uniti lo sa bene ed è per questo che sta cercando una soluzione per sopperire ad un'eventuale blocco cinese delle esportazioni, considerando che a tutt'oggi la Cina è leader mondiale della produzione e delle esportazioni di terre rare, sia per l’enorme quantità sia per i costi di produzione mantenuti tali a spese dell’ambiente. 

Cava di caolino nella regione di Donetsk, nell’est dell’Ucraina (Viktor Fridshon/Global Images Ukraine via Getty Images)

L’Europa è quasi totalmente dipendente dalle importazioni: le terre rare arrivano in grandissima parte dalla Cina, i borati (usati tra le altre cose nella realizzazione di isolamenti termici, nell’industria nucleare e in quella aerospaziale) al 98 per cento dalla Turchia, il litio al 78 per cento dal Cile. Nel 2023 l’Unione Europea approvò una norma pensata proprio per gestire i problemi nell’approvvigionamento di questi materiali e ridurre la dipendenza dalle importazioni: tra le altre cose prevede specifiche quote da estrarre, raffinare e riciclare nel territorio dell’Unione.

Le terre rare e più in generale le materie prime critiche sono al centro dell’accordo che permetterebbe agli Stati Uniti di ricevere parte degli introiti derivati dalle risorse minerarie ucraine.

L’Unione Europea ha descritto l’Ucraina come una possibile produttrice di caolino (largamente utilizzato nel settore edile), manganese (usato per fare ferro e acciaio), gallio e germanio. Prima dell’invasione russa il paese era fra i maggiori produttori al mondo di grafite, che al di là delle matite è essenziale per migliorare la capacità e la tenuta delle batterie elettriche. Possiede inoltre alcune delle riserve più grandi di litio in Europa e ha vaste riserve di titanio, un metallo leggero e resistente, usato fra le altre cose nella produzione di protesi mediche e nell’industria aerospaziale. Vi si trovano anche importanti riserve europee di uranio, fondamentale per la produzione di energia nucleare (che quindi tecnicamente non è considerato una “materia prima critica” ma un combustibile).

Una parte significativa di questi giacimenti si trova nelle zone occupate dai russi, soprattutto nella regione mineraria del Donbass, che da tempo è sfruttata per le sue abbondanti riserve di carbone. Per esempio alcuni depositi di litio si trovano nella parte centrale del paese, ma uno è molto vicino alla linea del fronte. Invece nella regione di Zhytomyr, a ovest di Kiev, c’è una grossa miniera di berillio, usato principalmente come componente di dispositivi elettronici. Nella miniera di Kirovohrad, a sud della capitale, c’è un deposito che secondo le stime contiene milioni di tonnellate di grafite.

Il controllo e la produzione di georisorse è probabilmente il fattore più determinante nella geopolitica internazionale ed è in grado di definire i giochi di potere. È stato così per il carbone, lo è per petrolio, gas, litio e per le terre rare. Chi riesce ad avere il controllo maggiore di queste ricchezze, in un certo senso, ha il controllo del mondo.

Una miniera di ilmenite, da cui si estrae il titanio, nella regione di Kirovohrad (AP Photo/Efrem Lukatsky)








[1] A titolo di esempio si consideri che una vena aurifera in un giacimento primario è considerata ricchissima quando produce circa 10 grammi d’oro per ogni tonnellata di roccia lavorata.

Transizione e indipendenza energetica in Italia. Si può fare. Si farà?

Sulle pagine di questo blog è stato più volte messo in evidenza che una delle sfide future è mitigare i cambiamenti climatici causati dall'uomo, anzi, avremmo dovuto cominciare da un pezzo. Anche se a quanto pare gli obiettivi del famoso Accordo di Parigi (2015) sono quanto meno inevitabilmente compromessi (se non addirittura disattesi!), mirando a mantenere l'aumento della temperatura globale sotto i 2 °C (e non più di 1,5 °C), è evidente che l’impegno globale per decarbonizzare rapidamente deve essere mantenuto, in uno scenario tuttavia che vede inesorabilmente crescere il consumo di combustibili fossili.

Nonostante la recente crisi energetica, che ha coinvolto direttamente l’Europa e ancor di più il nostro paese, si sta tuttora investendo troppo nei combustibili fossili per usi energetici, ritardando la cosiddetta transizione.

L'UE punta alla neutralità climatica entro il 2050 con una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030. Anche l'Italia sta lavorando per la decarbonizzazione entro lo stesso anno.

Si può fare?

Nella figura a lato la previsione del PNIEC (vedi testo) per il 2030. Mtep – Megatonnellata equivalente di petrolio (1 Mtep ≈ 11,63 TWh). FER – Fonti di Energia Rinnovabili

Almeno sulla carta, a livello europeo e nazionale la strada da percorrere per fare a meno dei combustibili fossili prevede per i prossimi decenni un progressivo aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che, come vedremo, non sono programmabili, per lo meno non come inteso per le fonti fossili o il nucleare: in altre parole il vento non soffia sempre e il sole non splende sempre. Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) propone di incrementare il target delle rinnovabili almeno al 30% del consumo finale lordo di energia. Per raggiungere tale obiettivo è necessario individuare soluzioni tecnologiche che permettano il pieno sfruttamento delle rinnovabili, tra queste le tecnologie di accumulo.

Per quanto riguarda l’Italia, ma che può fare da modello virtuoso, la risposta alla domanda precedente, canticchiando il famoso brano della PFM, è positiva. Si può fare. Raggiungendo quindi la tanto attesa indipendenza energetica e soprattutto abbattendo i costi, addirittura del 50 percento! Passando dagli attuali 108 €/MWh, le bollette più alte d’Europa, a 52!

Ma, anticipando le perplessità espresse nelle conclusioni, qualcosa continua a turbare questi sogni di gloriaDove trovare le risorse politiche, economiche, sociali e sociologiche necessarie per agire e decidere a lungo termine?

Cercherò di restare ottimista!

Ed a tale proposito ecco che, fresco di stampa, ci viene in supporto uno degli studi più recenti pubblicato sulla rivista Energy, firmato da Lorenzo Maria Pastore e Livio de Santoli dell'Università “La Sapienza” di Roma, che analizza ben 12 scenari di decarbonizzazione dell’Italia, valutando la fattibilità tecnica ed economica di un futuro energetico a emissioni zero, ovvero con energia prodotta al 100% da fonti rinnovabili, utilizzate anche per realizzare la fonte energetica necessaria per produrre i carburanti indispensabili a settori quali quelli del trasporto e dell’industria pesanti. Lo studio dimostra la fattibilità tecnica ed economica di un sistema energetico carbon neutral in Italia, riconoscendo al contempo le sfide verso la piena decarbonizzazione e sottolineando l'importanza di una pianificazione energetica integrata.

Esplorando quindi il potenziale di un sistema energetico rinnovabile al 100% in Italia entro il 2050, si sono studiate anche le strategie alternative per decarbonizzare i settori cosiddetti hard-to-abate (duri da abbattere, ovvero che presentano necessità specifiche non copribili con l’elettrificazione) e contemporaneamente fornire flessibilità di sistema. L'obiettivo è quello di valutare le implicazioni, gli effetti reciproci e le sinergie tra queste strategie. I risultati dello studio dimostrano innanzi tutti il potenziale delle tecnologie cosiddette Power-to-X (si veda anche qui e la figura a lato), in breve tecnologie di accumulo alternative alle ben note batterie elettrochimiche, atte a bilanciare la generazione non dispacciabile  (in inglese dispatchable, traducibile anche con programmabile) e ridurre il consumo di biomassa, ovvero quanto utilizzabile ad oggi per produrre carburanti alternativi. Circa il 90% della produzione di energia elettrica può provenire dal fotovoltaico e dall'eolico onshore e offshore (parchi eolici sulla terraferma o in mare). Il risparmio energetico, la diffusione del teleriscaldamento e l'elettrificazione sia del parco immobiliare che il trasporto leggero, mediante pompe di calore e veicoli elettrici o riconvertiti a biocarburanti o di sintesi, sono state considerate misure chiave.

Le diverse strategie di applicazione dei combustibili alternativi, come l'idrogeno, i biocarburanti e gli elettrocarburanti, nel trasporto pesante e nell'industria hanno un impatto significativo sulla configurazione dell'intero sistema energetico. In scenari con un'elevata domanda di idrogeno, la strategia power-to-gas consente di fare meno affidamento sui sistemi di stoccaggio dell'elettricità. La disponibilità di biomassa emerge come un fattore critico, che incide sulla sostenibilità del sistema energetico. Ma resta il fatto che un approccio altamente flessibile dal lato della domanda offre vantaggi energetici ed economici.




Lo stato dell'arte

Progressione degli investimenti nel settore delle energie alternative
La ricerca sui sistemi rinnovabili al 100% è cresciuta notevolmente nel recente passato, e molti studi ne hanno dimostrato l’efficacia, grazie soprattutto a diversi lavori e rapporti internazionali che dimostrano che la decarbonizzazione del sistema elettrico è già 
economicamente sostenibile. La crisi energetica, inoltre, aumentando i costi di produzione delle centrali termoelettriche, ha permesso alle fonti rinnovabili, come l'eolico e il solare fotovoltaico, di generare elettricità a costi molto più bassi.

Ma prima di ipotizzare scenari che prevedano ricerca e pianificazione di sistemi rinnovabili al 100% va considerato che si deve tenere in debito conto l'integrazione del sistema elettrico con l'intero sistema energetico, che dovrà essere messo in grado di accogliere la produzione di energia di tipo non dispacciabile. Nei futuri sistemi rinnovabili, le strategie Power-to-X svolgeranno un ruolo chiave nella conversione dell'elettricità rinnovabile in altri vettori o applicazioni. Queste tecnologie consentono infatti di convertire l'energia elettrica, quando in eccesso di produzione, ad un costo inferiore rispetto allo stoccaggio elettrochimico, ovvero alla conservazione in batterie, che tra l’altro sono ad elevato impatto ambientale durante il loro ciclo di vita, e il cui uso può essere ridotto al minimo; tecnologie che consentono inoltre di decarbonizzare altri settori energetici.

Per esempio la strategia Power-to-Heat si basa sulla conversione dell'elettricità in energia termica per mezzo di pompe di calore, e ciò consente di aumentare la flessibilità della domanda e di sfruttare l'accumulo termico per bilanciare la generazione rinnovabile variabile. sono anche associate a forti fluttuazioni nella rete elettrica. Le centrali eoliche e fotovoltaiche forniscono quantità variabili di energia, a seconda delle condizioni meteorologiche. Per bilanciare queste fluttuazioni, la potenza generata dalle energie rinnovabili deve essere controllata da un lato e persino scollegata dalla rete in alcuni casi, mentre gli oneri dei consumatori, in termini di risposta degli impianti alla domanda, devono essere più flessibili. Mantenere un’erogazione costante richiede complessi meccanismi di controllo e gli operatori di rete sono tenuti a mantenerla ad un livello costante, equalizzando le fluttuazioni causate da un eccesso o da una carenza di potenza. Ma per evitare che la potenza in eccesso rimanga inutilizzata, può essere convertita in calore attraverso appunto sistemi di questo tipo e immessa in una rete di distribuzione del calore.

Uno degli aspetti della riconversione e della transizione che ad esempio preoccupa maggiormente il nostro paese, ma non solo questo, è quello legato al riscaldamento domesticoIl 72% dell’edificato residenziale italiano, pari a oltre 12 milioni di edifici, è stato costruito prima del 1980, il 17% negli anni Settanta. Perciò, è vecchio, richiede un’elevata necessità di manutenzione e proprio questo settore ha un consumo energetico tra i più consistenti: il secondo dopo i trasporti, rappresentando circa il 27% dei consumi energetici finali a livello nazionale stando alla relazione sulla situazione energetica nazionale del 2022 redatta dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. La grande maggioranza degli impianti utilizza il gas e gli edifici, tra l’altro, sono responsabili dell’emissione del 53% di polveri sottili nei centri abitati. Questo è infatti il settore sul quale l’Unione Europea spinge in una precisa direzione: decarbonizzare entro il 2050. Se voleste approfondire sui quantitativi di gas serra emessi a livello mondiale e distinti per settore qui c'è un mio vecchio post.

Grande interesse nell'ultimo decennio è stato inoltre riposto nella strategia Power-to-Gas, che consente l’utilizzo dell'energia elettrica per produrre idrogeno mediante il processo di elettrolisi dell'acqua, che può quindi essere utilizzato direttamente o ulteriormente convertito in combustibili sintetici, come ad esempio nei processi che creano metano (metanazione del biossido di carbonio) a partire appunto da idrogeno così prodotto e da biossido di carbonio estratto direttamente dall’atmosfera, da emissioni industriali, dal suolo o da biomasse. Secondo le proiezioni del PNIEC nel 2040 potrà essere soddisfatta una domanda di gas così prodotto (il cosiddetto gas green) pari a 6,5 miliardi di m3/anno, tra metano sintetico e idrogeno. Il bilancio carbonico netto dell’utilizzo di questo metano di sintesi è pari a zero: la CO2 estratta dall’atmosfera bilancia quella riemessa a seguito dell’utilizzo del metano di sintesi, che può essere direttamente immesso nella rete di distribuzione; anche l’idrogeno, anche se occorre fare qualche distinzione, può essere direttamente immesso nella rete. Utilizzare invece il combustibile fossile così come si fa tutt’oggi contribuisce all’aumento del gas serra. Sono ovviamente state fatte delle semplificazioni dell’intero processo, rimandando a documenti più specifici. Certo non è tutto rose e fiori, ci sono indubbiamente ancora problemi di natura tecnica, economica e normativa, che finora hanno frenato la diffusione di questa tecnologia, a cui aggiungere gli alti costi rispetto ai gas ottenuti da idrogeno e metano, un indubbio svantaggio, a cui incentivi governativi potrebbero rimediare, specie nella fase di sviluppo tecnologico.

Però ad un’acciaieria, ad esempio, non basta l’energia da rinnovabili tour-court. Il principale ostacolo al raggiungimento della completa decarbonizzazione è infatti dato dalla presenza dei settori hard-to-abate, e a tale scopo, l’unico modo consentito per inserire energia da fonti rinnovabili in questi, è proprio grazie all’utilizzo di combustibili alternativi. I biocarburanti sono quelli più promettenti perché consentirebbero un cambio di combustibile senza la necessità di un cambiamento radicale dell'infrastruttura, garantendo al tempo stesso i livelli di temperatura necessari all'industria. Inoltre, i biocarburanti liquidi rappresentano un mezzo per la decarbonizzazione di tutti i tipi di trasporto non elettrificato, soprattutto quello pesante, aereo e navale. Ma occorre fare attenzione ad un punto cruciale. Se la fonte dei biocarburanti è rappresentata dalla produzione di biomassa, devono essere prese in considerazione, per garantire la sostenibilità del processo di produzione, quantità limitate di biomassa e purtroppo, come hanno dimostrato diversi studi, il potenziale della biomassa è appena sufficiente a soddisfare completamente la futura domanda di combustibili alternativi. Ed ecco che l’idrogeno torna a rappresentare una soluzione interessante per integrare diversi settori energetici ed elettrificare indirettamente la domanda di energia difficile da abbattere. Le applicazioni industriali consentono di raggiungere temperature molto elevate, e nel settore della mobilità sono ampiamente studiate, sebbene siano ancora per lo più in una fase pre-commerciale. Il principale ostacolo alla diffusione dell'idrogeno è il cambiamento delle infrastrutture e degli utenti finali, che rappresenta un costo molto elevato per questa strategia, tant’è che i due principali produttori di auto cosiddette fuel cell, sembra non stiano spingendo più di tanto.

Un’altra potenziale applicazione indiretta dell'idrogeno in questi settori difficili, è, come si accennava, l'uso che se ne può fare per produrre combustibili sintetici. La combinazione di un flusso di idrogeno con una fonte di carbonio consente la produzione di combustibili sintetici sia liquidi che gassosi per mezzo di diversi processi: ad esempio, il metanolo ha un potenziale interessante per le applicazioni nel settore dei trasporti, questi a sua volta può essere ulteriormente trasformato in etere dimetilico, un composto non tossico e non cancerogeno, che è un sostituto adatto dei combustibili fossili in tutti i motori diesel con interventi minimi. In tutti questi casi si ricorda che il bilancio carbonico netto tra produzione e consumo sarebbe pressoché nullo.

A fronte delle analisi condotte negli ultimi anni su queste diverse tecnologie di decarbonizzazione queste vanno inserite in maniera olistica negli studi di pianificazione energetica: non è pensabile introdurre fonti energetiche alternative as is dappertutto senza prendere in considerazione l’intera filiera.

Lo stato della ricerca

Come logico attendersi, negli ultimi tempi, la ricerca sui sistemi di energia rinnovabile al 100% ha subito un notevole incremento, determinando innanzi tutto un ampio consenso tecnico e scientifico sulla validità e sulla fattibilità.

La Danimarca, da sempre all'avanguardia in fatto di ambiente ed eco-sostenibilità, da questo e numerosi altri punti di vista, è un esempio ed uno dei paesi più studiati nella transizione verso un sistema energetico decarbonizzato. Fin dal 2009 si trovano analisi di transizione energetica di questo paese verso la piena decarbonizzazione entro il 2050, sviluppando uno scenario intermedio per il 2030. Nel 2015 fu elaborata una nuova strategia per raggiungere un sistema al 100% di energie rinnovabili basato su un approccio di sistema energetico intelligente e addirittura, più recentemente, è stato presentato uno studio di pianificazione per un sistema energetico danese completamente decarbonizzato entro il 2045. Le premesse e i fatti ci sono tutti: la Danimarca sarà il primo paese dell’Unione Europea a realizzare un sistema a zero emissioni. Particolare attenzione è stata posta ad una delle criticità maggiori: soddisfare la domanda di calore.

Per quanto riguarda l’Europa sud-orientale, ci sono studi recenti che propongono una visione per il raggiungimento di un sistema energetico a zero emissioni di carbonio nella regione entro il 2050. In questo caso l'approccio enfatizza l'uso estensivo dell'energia idroelettrica, facilita l'utilizzo diffuso dello stoccaggio e limita l'impiego della biomassa. Gli elettrocarburanti sono visti principalmente destinati al trasporto pesante.

Nel caso della Finlandia uno studio ha esaminato il potenziale del 100% di energia rinnovabile nel sistema energetico. In questo contesto, la posizione geografica e l'elevata variabilità stagionale della produzione sono rilevanti, influenzando la configurazione del sistema e utilizzando le tecnologie power-to-gas come soluzione principale per lo stoccaggio di energia a lungo termine. A differenza di altri studi, l'idrogeno qui svolge un ruolo centrale nell'assicurare la flessibilità del sistema sia a breve che a lungo termine.

Anche la Germania, paese con richieste energetiche a scopo industriale molto elevate, ha analizzato la transizione del sistema energetico tedesco verso il 100% di energie rinnovabili entro il 2050. Lo studio esamina i diversi settori energetici e identifica le potenziali sinergie tra di essi. In particolare, il lavoro si concentra sul trasporto pesante, valutando quattro scenari alternativi: idrogeno tramite celle a combustibile, elettricità diretta, elettrocarburanti da CO2 e bio-elettrocarburanti. Anche in questo paese un criterio chiave nella selezione degli scenari è la soglia di consumo di biomassa. Questo studio è uno dei pochi che analizza scenari alternativi nei settori, sebbene utilizzi tale approccio solamente nel settore dei trasporti, senza approfondire gli effetti reciproci tra le strategie nei diversi settori.

E in Italia? La programmazione energetica del sistema energetico nazionale italiano è stata oggetto di pochi lavori in letteratura.

Ci sono studi che modellano alcuni settori della transizione, come quello del trasporto privato, il ruolo dei veicoli elettrici; alcuni si concentrano sul settore del riscaldamento. Ma nessuno analizza la completa decarbonizzazione del sistema energetico italiano. A peggiorare il quadro molti dei risultati e delle proiezioni esposte nel PNIEC derivano dall’utilizzo di un modello con cui vengono studiati i sistemi, che non ha preso in considerazione la risoluzione oraria delle simulazioni, ovvero le diverse richieste di energia e i valori dei consumi in base a fasce giornaliere e/o stagionali.

Ci sono alcuni studi in letteratura che considerano il sistema energetico nazionale; tuttavia, manca uno studio per la pianificazione di un sistema 100% rinnovabile che consideri tutti i settori, utilizzando software di simulazione adeguati, che presentino numerose tecnologie Power-to-X e risoluzione oraria. Meno del 20% delle opere propone un'analisi completa di tutti i settori energetici. Molti studi indicano che oltre il 90% della fornitura di elettricità può provenire dal solare fotovoltaico e dall'energia eolica, ma pochi, al contrario da quanto indicato all’inizio di questo post, raggiungono almeno l'80% della domanda totale di energia primaria.

Ma la cosa fondamentale è la loro principale conclusione: la maggior parte degli studi in questo campo suggerisce che i sistemi di energia rinnovabile al 100% non sono solo fattibili, ma anche convenienti, fornendo un percorso chiave verso un futuro sostenibile senza dipendenza dai combustibili fossili.

Indubbiamente i metodi utilizzati per quest’analisi sinottica, primo requisito come si diceva, sono basati su modelli e simulazioni relativi ai diversi scenari, ma è altrettanto indubbio che le correlazioni che portano a determinate situazioni siano supportate da validi presupposti, e gli scenari di conversione integrati sono i principali: riscaldamento, trasporti, industria, utilizzo di idrogeno e tecnologie Power-to-X, oltre che ovviamente scenari di flessibilità e quelli legati al potenziale eolico, fotovoltaico e da biomassa.

Secondo i ricercatori de “La Sapienza”, si prevede l'installazione di 200 GW di fotovoltaico entro il 2050, generando quasi 300 TWh all'anno e, alla luce della diversificazione uno scenario ottimale dovrebbe includere 210 GW di fotovoltaico, 115 GW di eolico onshore e 55 GW di eolico offshore, al fine di garantire una diversificazione delle fonti energetiche non programmabili e stabilizzare la generazione nel tempo.

E qui forse sta il primo e più importante punto cruciale. In tutti gli scenari i risultati dell'ottimizzazione sono influenzati dal potenziale massimo installabile delle fonti rinnovabili. Nella maggior parte degli scenari viene presupposta la capacità totale disponibile di energia eolica onshore e offshore. Solo negli scenari in cui i biocarburanti sono utilizzati sia nell'industria che nei trasporti, questi valori diminuiscono leggermente. Il principale cambiamento tra gli scenari riguarda quindi la capacità installata di fotovoltaico e batterie di accumulo. La capacità fotovoltaica varia notevolmente, da circa 100 GW a quasi 220 GW.

Nella figura precedente sono confrontati la richiesta di energia totale richiesta in Italia nel 2019 con i diversi scenari, sia in caso di prevalenza degli elettrocarburanti (da Power-to-X) che di biomassa come fonte, in caso di bassa o alta domanda di energia. Considerando che il consumo medio degli ultimi anni della sola energia elettrica è pari a circa 300 TWh/anno, si vede come questa potrebbe essere completamente coperta dalle sole energie alternative e addirittura, considerando gli accumuli, le varie fonti, potrebbero coprire l’intero fabbisogno energetico nazionale. La produzione di energia elettrica stimata nel 2050 è più del doppio di quella attuale. Insomma, i risultati di questo lavoro dimostrano che un sistema energetico 100% rinnovabile in Italia è tecnicamente ed economicamente fattibile.

Nella figura a sinistra la sintesi delle misure considerate per ciascun settore (DH – District Heathing, EB – Electric Battery, HP – Pompe di calore, PV – Fotovoltaico). Nella figura sopra la sintesi del modello di analisi utilizzato.

Quanto ci costerà?

Il calcolo della cosiddetta “bolletta energetica” nazionale è complicato, poiché dipende da molte variabili, tra cui i prezzi delle materie prime, i costi dell’energia elettrica, i consumi ripartiti per ogni settore, le politiche energetiche che possono essere positive o negative a seconda che prevedano incentivi o aumenti delle aliquote fiscali, la situazione internazionale. Ciò nonostante, possiamo prendere in considerazione i costi medi che vengono calcolati a consuntivo.  Partiamo quindi dai 108 euro al MWh del 2024, i più cari d’Europa, sperando di non tornare ai valori pari ai 304 € del 2022 (con picchi di 500 €!), quando l’invasione della Russia ai danni dell’Ucraina fece schizzare i prezzi di gas e petrolio. Nello stesso anno sappiamo che furono consumate qualcosa come 160 Mtep, pari a circa 1800 TWh: il conto è presto fatto, considerando che 1 TWh = 106 MWh, sono poco meno di 200 miliardi di euro. Non male.

A questo punto, ipotizzando che la domanda di energia non cresca di molto rispetto ad oggi, e che i costi per la produzione restino in un ambito di aumenti contenuto, lo scenario economico proposto dai modelli, qualsiasi sia il modello applicato, alta o bassa richiesta, legato all’idrogeno piuttosto che alla biomassa, è confortante.

Costi annui del sistema energetico italiano nei diversi scenari di decarbonizzazione

Un’Italia 100% rinnovabile entro il 2050? Scenari, Costi e Sfide.

L'idea di un sistema energetico interamente rinnovabile in Italia entro il 2050 non è più fantascienza, ma un'opzione realistica, supportata da studi scientifici dettagliati, riferendosi, come abbiamo visto, soprattutto alle ricerche condotte in altri paesi europei.

1. Strategie di transizione

  • Crescita del solare fotovoltaico ed eolico: entro il 2050, il 90% della produzione elettrica potrebbe provenire da queste due fonti.
  • Sistemi di accumulo e soluzioni Power-to-X: fondamentali per compensare l'intermittenza di solare ed eolico, consentono di immagazzinare energia in eccesso trasformandola in idrogeno o combustibili sintetici.
  • Miglioramento dell'efficienza energetica: ridurre i consumi del 20-30% è una condizione essenziale per facilitare la transizione e contenere i costi.
  • Elettrificazione dei settori industriale e trasporti: il passaggio a veicoli elettrici e processi produttivi a zero emissioni è cruciale per la decarbonizzazione complessiva.
  • Reti intelligenti e gestione della domanda: l'adozione di smart grid e sistemi di demand-response contribuirà a bilanciare la produzione e il consumo energetico.

2. Tecnologie chiave della transizione

  • Eolico e fotovoltaico: secondo le previsioni, la capacità installata dovrà superare i 200 GW tra eolico e solare. Siamo a circa 40 GW.
  • Accumulo tramite batterie: essenziale per la stabilizzazione della rete e per garantire una fornitura continua.
  • Idrogeno verde: prodotto attraverso elettrolisi, sarà cruciale per immagazzinare energia a lungo termine e alimentare settori difficili da elettrificare, come l'industria pesante e i trasporti navali.
  • Power-to-X: tecnologie che convertono energia elettrica in altri vettori energetici, come metanolo, metano e ammoniaca, utili per il trasporto e l'industria chimica.

3. Costi della transizione: un investimento strategico

Uno degli aspetti più discussi riguarda la sostenibilità economica di questa trasformazione. Secondo lo studio analizzato, il costo complessivo della generazione elettrica in uno scenario al 100% rinnovabile si stabilizzerebbe intorno ai 44 €/MWh, una cifra notevolmente inferiore rispetto ai costi attuali influenzati dal prezzo del gas.

I principali investimenti necessari riguardano:

  • Espansione della capacità rinnovabile: circa 48,3 miliardi di euro entro il 2050 per installare 73,8 GW di nuova potenza tra fotovoltaico e idroelettrico.
  • Modernizzazione delle infrastrutture di rete: investimenti necessari per adattare la rete alla variabilità delle rinnovabili e integrare le smart grid.
  • Sviluppo dell'idrogeno: la produzione di idrogeno verde richiederà massicci investimenti in elettrolizzatori e impianti di stoccaggio.

4. Impatto sulle famiglie: bollette più basse nel lungo periodo

Uno degli aspetti più rilevanti per i cittadini riguarda il costo dell'energia. Attualmente, con la solita scure che media senza tener conto di cento altre variabili, la spesa media annuale delle famiglie italiane per l'energia (a comprendere tutto, anche il trasporto) è di circa 4.000 euro (2023, vedi anche qui), con un aumento importante previsto per i prossimi anni a causa della volatilità dei prezzi del gas. In questi giorni uno degli argomenti principali è proprio quello relativo al caro bollette.

La transizione verso le rinnovabili potrebbe ridurre significativamente questa spesa, grazie ai minori costi di generazione e alla progressiva eliminazione della dipendenza dai combustibili fossili.

Se la domanda energetica rimanesse costante, la riduzione del costo dell'energia a 44 €/MWh potrebbe tradursi in un risparmio sulle bollette delle famiglie nel lungo periodo. Secondo le proiezioni, la spesa media annuale per famiglia potrebbe ridursi fino a circa 1.800-2.000 euro entro il 2050, determinando un risparmio significativo. Tuttavia, l'effettiva riduzione della spesa dipenderà dall'adozione di politiche di incentivo all'efficienza energetica e dalla diffusione delle tecnologie di accumulo e gestione intelligente della domanda, considerando che, soprattutto per quanto riguarda il riscaldamento, l’adozione di nuove tecnologie rappresenta un costo di investimento notevole.

5. Impatto ambientale

Contrariamente a quel che potrebbe sembrare non ci sono controindicazioni di sorta. Per quanto riguarda il fotovoltaico secondo i dati GSE (il Gestore dei Servizi Energetici), nel 2021, gli impianti fotovoltaici presenti in Italia occupano solo lo 0,05% del territorio nazionale. Un impatto che anche in futuro rimarrà marginale grazie alla costruzione di nuovi impianti rinnovabili in aree agricole o destinate all'allevamento, il cosiddetto agrivoltaico. Se a prima vista si potrebbe pensare che la realizzazione di sistemi fotovoltaici su terreni agricoli su larga scala possa aprire un tema di consumo del suolo, soprattutto se i pannelli vengono installati su terreni adibiti all’agricoltura o al pascolo, in realtà non è così. Dati alla mano, infatti, il consumo del suolo in questo caso è un tema irrilevante, che secondo gli esperti non desta alcun tipo di preoccupazione. Il consumo di suolo a copertura artificiale – cemento, asfalto e altre coperture artificiali - in Italia è pari a più di 20.000 kmq, per raggiungere gli obiettivi necessari occorreranno circa 400 kmq, un terzo dell’estensione del comune di Roma, pari ad appena lo 0,1% del territorio (nel 2021 era pari allo 0,05%).

Non dissimile, dal punto di vista ambientale, è quanto relativo agli impianti di produzione di energia dall’eolico. L'energia prodotta da una turbina eolica durante il corso della sua vita media (circa 20 anni per gli impianti onshore e più di 25 anni per quelli offshore), è circa 80 volte superiore a quella necessaria alla sua costruzione, manutenzione, esercizio, smantellamento e rottamazione. Si è calcolato che sono sufficienti ad una turbina due o tre mesi per recuperare tutta l'energia spesa per costruirla e mantenerla in esercizio.

Ciò nonostante, alcune associazioni ambientaliste criticano apertamente l'installazione dei generatori eolici criticando soprattutto la rumorosità dei sistemi e l'impatto paesaggistico delle torri eoliche.

Tuttavia attualmente le turbine eoliche ad alta tecnologia sono molto silenziose. Si è calcolato che, ad una distanza superiore a circa 200 metri, il rumore della rotazione dovuto alle pale del rotore si confonde completamente col rumore del vento che attraversa la vegetazione circostante. L'inquinamento acustico potenziale delle turbine eoliche è legato a due tipi di rumori: quello meccanico proveniente dal generatore e quello aerodinamico proveniente dalle pale del rotore.

Sull’impatto paesaggistico beh, possono non piacere, a me, piacciono. Il minor impatto ambientale-paesaggistico si ottiene collocando gli impianti in mare aperto oltre l'orizzonte visibile dalle coste, anche se è possibile escogitare varie soluzioni anche per le installazioni terrestri. In Scozia, dal 2018, opera il più grande parco eolico offshore d’Europa, Beatrice, 84 turbine da 7 MW ciascuna, per una capacità totale di circa 600 MW: circa 150 kmq di torri eoliche a 15 km dalla costa. Ma è uno degli impianti che sta per rendere la Scozia completamente indipendente dai combustibili fossili, a zero emissioni, e addirittura in grado di riversare l’eccesso di produzione nella rete che alimenta l’Inghilterra.



6. Criticità e sfide della transizione

Nonostante i benefici economici e ambientali, il passaggio a un sistema 100% rinnovabile presenta diverse sfide:

  • Intermittenza delle fonti rinnovabili: richiede soluzioni di accumulo avanzate e una rete elettrica flessibile; ecco perché lo studio analizzato enfatizza il ruolo delle tecnologie Power-to-X.
  • Tempi e burocrazia: le procedure autorizzative per nuovi impianti rinnovabili possono rallentare la transizione.
  • Investimenti ingenti e politiche di supporto: sarà necessario garantire un quadro normativo stabile per attrarre capitali.
  • Occupazione: molte sono le preoccupazioni relative alla grande variazione che il mercato del lavoro potrà subire a causa delle misure energetiche tese alla decarbonizzazione. Sempre secondo il PNIEC si stimano comunque in circa 168 mila gli occupati temporanei medi annui aggiuntivi rispetto a quelli calcolati per lo scenario che invece preveda le politiche correnti  nel periodo 2024-2030, un saldo netto positivo degli occupati permanenti in settori direttamente legati alle energie alternative, nonostante l’inevitabile perdita di posti di lavoro in alcuni settori, quali quelli del carbone o del fossile. In questo campo, occupazionale e sociale, l’Unione Europea è coinvolta a livello globale per realizzare politiche economiche concrete di sostegno alla transizione, quali quelle in corso grazie ad esempio al Just Transition Fund, che mira a fornire sostegno ai territori che devono far fronte a gravi sfide socio-economiche derivanti dalla transizione verso la neutralità climatica.
  • Accettabilità sociale: la maggior parte dei progetti rinnovabili incontrano resistenza a livello locale per impatti paesaggistici e territoriali.

Per concludere

E quest’ultimo è il punto che, personalmente, più mi preoccupa. Già immagino centinaia di comitati e comitatini formarsi per opporsi, duri e puri, a qualsiasi cosa venga loro proposta. A maggior ragione nel nostro paese dove le decisioni o le reazioni sono per lo più di pancia, in assenza di una classe dirigente che sia in grado non solo di motivare alcune scelte, ma nemmeno di pianificarle o prenderle e che, al contrario dell’atteso, cavalca l’onda popolare in cerca di consenso.

Nonostante lo studio dimostri che un'Italia alimentata al 100% da energia rinnovabile entro il 2050 è tecnicamente ed economicamente fattibile c’è un ulteriore aspetto che mi rende estremamente perplesso.

Non tanto perché saranno necessari ingenti investimenti e una forte volontà politica, quanto perché l’impegno concreto dovrà essere affiancato a lungimiranza, qualità assente. Nessuno di noi è immune a questa carenza, perché la nostra società è praticamente costruita sul momento presente: politica ed economia, con la fissa dei piani al massimo biennali o dell’anno fiscale, e delle crescite anno su anno, incoraggiano il pensiero a breve termine, senza considerare affatto il valore del processo, dello sviluppo e della maturazione, sminuendo persino il valore dell’istruzione, esempio illustre di investimento.

Last but not least questo il quadro degli investimenti proposto nel PNIEC, considerando il sistema energetico nazionale (senza considerare le infrastrutture di trasporto), si stima che, nel periodo 2024-2030, occorrano oltre 174 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi cumulati rispetto allo scenario a politiche correnti (pari a un incremento del 27% nel periodo considerato). Tali investimenti sarebbero indirizzati a soluzioni ad alto contenuto tecnologico e di innovazione, che dovrebbero incidere sia dal lato della trasformazione e dell’offerta dell’energia sia da quello del suo utilizzo finale. Impressionante quel 64% del totale destinato al solo settore dei trasporti.

In un paese che ogni anno, ad ogni legge di stabilità (chiamiamola col suo nome, finanziaria!) va centellinando le risorse da investire col bilancino.




Dove trovare le risorse politiche, economiche, sociali e sociologiche necessarie per agire e decidere a lungo termine?