Il ruolo delle risorse idriche nel conflitto russo-ucraino

Nel mio post precedente sono state riassunte le ragioni per cui l’acqua, intesa come risorsa, non può mai essere considerata causa diretta dei conflitti, pur essendo possibile ovviamente utilizzarla come strumento o persino come arma. Tra le tantissime storie che riguardano la fondamentale importanza che ha l’acqua nella storia dell’umanità, il conflitto, tuttora in corso, tra Russia e Ucraina merita, come avevo scritto, una sezione a sé.

Partiamo dagli Stati Uniti, anche se apparentemente non ha molto senso.


Gli Stati Uniti hanno due fiumi fondamentali: il Missouri e il Mississippi. Il 40% del territorio statunitense è compreso nell’insieme del bacino fluviale Missouri-Mississippi, e questo ospita anche il sistema di canalizzazioni più esteso del mondo e il territorio più produttivo. Ancora oggi il bacino potrebbe sostenere, per capacità produttiva, quattro volte la popolazione attuale degli USA e, non ultimo, i due bacini hanno coste su entrambi gli Oceani con più porti naturali che tutti gli altri paesi del mondo messi insieme. Gli analisti geopolitici più attenti non a caso hanno definito gli USA «un impero inevitabile».

 

I principali fiumi russi (in scala diversa dal precedente)Anche la Russia ha fiumi con enormi bacini idrografici, che scorrono su un territorio pressoché doppio, ricchissimo di acqua e terre, minerali preziosi, giacimenti. Ma non è così fortunata come gli Stati Uniti. La Russia è molto più a nord, il terreno per un terzo è coperto da permafrost, una porzione considerevole del territorio per la maggior parte dell’anno presenta condizioni climatiche quanto meno difficili. E così il risultato è che lo sfruttamento, soprattutto agricolo, ne risulta fortemente ridotto. Di contro, i territori più fruibili, a sud, le grandi steppe, sono aridi: il 60 percento circa del territorio russo riceve molto meno di 300 mm[1] di pioggia l’anno, meno della metà della media italiana, il 40 percento circa 400 e solo l’1 percento supera i 700 mm l’anno. Il bisogno d’irrigazione in tali condizioni è altissimo e pesantemente condizionato dal fatto che l’80 percento delle acque in Russia va a sfociare nel Mar Glaciale Artico, uniche grandi eccezioni il Volga che sfocia nel Mar Caspio e il Don nel Mar d’Azov.

Anche questi aspetti hanno contribuito ad alimentare una grande rivalità tra Russia ed USA, ancora di più ai tempi dell’Unione Sovietica.

Il rapporto tra Dnipro e UcrainaMa c’è un’eccezione: l’Ucraina. Tagliata in due dal fiume Dnipro[2] e con accessi portuali sul Mar Nero gode di un terreno fertilissimo, ricchissimo di materiale organico e che da solo rappresenta un quarto delle riserve mondiali di terreni di questo tipo. A tutto questo si aggiunga una serie di infrastrutture fluviali perfette per la produzione e il trasporto di cereali. L’Ucraina insomma, dal punto di vista agricolo, è una replica in piccolo degli USA. Almeno finché non arrivò a godere del diritto all’autodeterminazione, negatole in continuazione e nonostante quel che disse Lenin, già nel 1917.

Il conflitto russo-ucraino è stato spesso definito come causato dall’acqua. La Russia, si sente dichiarare spesso, è intervenuta per garantire alla Crimea l’acqua trattenuta dall’Ucraina a seguito dell’annessione, o meglio dell’invasione della Crimea da parte della Russia nel 2014. La Crimea è un territorio arido, che dipendeva fino al 2014 dall’acqua convogliata dal fiume Dnipro per mezzo del Canale della Crimea Settentrionale, un’opera pensata già alla fine del XIX secolo ma realizzata tra gli anni ’60 e ’70 del XX secolo. Dopo l’annessione, l’Ucraina ha bloccato il flusso e, nel 2017, ha costruito una diga nella provincia meridionale di Cherson. Ed ecco che l’acqua, come già anticipato e come meglio raccontato nel mio già citato precedente post, diventa arma, ma le armi non sono le cause dei conflitti. Questo processo di weaponization delle forniture idriche si è ripresentato anche nel luglio 2022, con un blocco da parte di Kiev del canale di era sovietica che porta in Crimea l’85% dei riferimenti. Tutto ciò ha avuto come immediata conseguenza una crisi tra Russia e Crimea legata alla difficoltà di fornire con continuità acqua ai 2,4 milioni di abitanti della regione. La strategia ucraina di massima pressione per separare la Crimea dal resto del Paese è stata una delle poche manovre con cui Kiev ha potuto, dal 2014 in avanti, controbattere all’annessione russa della penisola contesa. Manovre, strategia, arma, ma non causa diretta.

Le cause principali della guerra in corso sono altre, che includono l’economia, l’identità, la storia e la sicurezza della regione ma soprattutto, tutto questo letto con l’ottica distorta di Putin, un dittatore che ha perso il senso della realtà.

La produzione di grano ucrainoGià con Stalin l’Unione Sovietica aveva avviato alcuni dei suoi famosi piani quinquennali per trasformare l’Ucraina nel granaio del mondo[3].

Fu una catastrofe.

Anche senza il contributo deleterio delle idee (scientifiche?) di personaggi come l’agronomo Lysenko e la sua scienza sovietica[4] Stalin non tenne in debito conto che non si può industrializzare o meccanizzare un comparto quale quello agricolo, allo scopo di produrre benessere, e contemporaneamente esercitare sui territori un controllo autoritario. Lavori forzati e violenza ridussero la produttività già ottenuta controvoglia, l’esproprio causò terribili carestie quali quella più famosa del 1932-33, l’Holodomor, che da sola causò sette milioni di morti, di cui almeno tre ucraini, dato riconosciuto persino dal parlamento russo, la Duma.

 

Il sogno di Stalin di industrializzare il paese con i proventi del commercio agricolo si scontrò contro le quantità di raccolto che si mantennero costantemente basse; dopo la guerra, anche a fronte della realizzazione di nuove infrastrutture o di deboli miglioramenti della qualità della vita, le cose non cambiarono e così la bassa redditività portò ad acquisire nuovi terreni portando in brevissimo tempo le terre bonificate da 10 a 15 milioni di ettari e le zone irrigate da 12 a 20. Ma la produzione segnava il passo non oltre i 200 milioni di tonnellate all’anno di grano.

Torniamo al XXI secolo. Quasi due anni dopo l’invasione della Crimea Putin annunciò al mondo che nel 2014 la Russia aveva registrato 20 miliardi di dollari di export agricolo, più di quanto il paese avesse esportato in armamenti e nonostante l’embargo subito dopo la decisione della Comunità Europea a seguito dell’annessione della Crimea. Il sogno della Russia, la grande Russia granaio del mondo, tornava, e questo nuovo ruolo geopolitico metteva Putin nelle condizioni di continuare a sognare il destino imperialista che avrebbe voluto realizzare. Nello stesso discorso Putin annunciò che «soprattutto, abbiamo risorse d’acqua», risorse che gli avrebbero consentito di sfruttare altri sette milioni di ettari di terreno ancora incolti dai tempi del crollo dell’URSS, annunciò investimenti per mettere in grado il paese di rendersi autonomo dal punto di vista alimentare, di «nutrirci dalla nostra terra».

Ma sia la terra che l’acqua erano e sono risorse ucraine. Ecco le vere radici del conflitto innescato da Putin. Altro che minaccia esterna, altro che stretta nella morsa della NATO, altro che denazificazione.

Il conflitto nasce dalla lettura distorta di ciò che la Russia è stata e da una visione irrealistica, con conseguenze globali. Comunque andrà l’impatto internazionale sarà vastissimo, e si sentirà anche attraverso il commercio del grano che colpirà soprattutto i tantissimi paesi più deboli. Nel breve termine, il rischio è la fame di coloro i quali dipendono, per sopravvivere, dalle filiere alimentari che là si originano.

clip_image010Comunque andrà l’impatto internazionale sarà vastissimo. Nel breve termine, il rischio è la fame di coloro i quali dipendono, per sopravvivere, dalle filiere alimentari che si originano in Ucraina e che andranno ad interessare direttamente moltissimi paesi, per un totale di quasi mezzo miliardo di persone che dipendono dal grano ucraino. Fame che innescherà un aumento dei flussi migratori.

 

 

 

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[1] 1 mm di pioggia misurata equivale ad un litro d’acqua distribuito su una superficie di 1 m2
[2] Italianizzazione dell’ucraino Дніпро, Dnipró; in russo Днепр, Dnepr
[3] Definizione che ricorda le mire imperialistiche di Mussolini, che voleva fare della Libia il granaio d’Italia, o meglio, di Roma
[4] Un po’ come la cosiddetta identity politics condiziona il pensiero politico qui potremmo parlare di identity science se non fosse che parlarne in tal senso sia un evidente paradosso

Nota bibliografica. Liberamente ispirato dal cap. VI di “Siccità. Un paese alla frontiera del clima”. Di Giulio Boccaletti, 2023.

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