Tempus fugit. Ma dove? E come?

Non è solo fisica, non è solo neurobiologia, non è nemmeno psicologia né tanto meno filosofia. E' solo un assaggio di tutto un po' che potrà farvi venir voglia di approfondire.

Il tempo sappiamo misurarlo ma nemmeno i fisici sanno cosa sia. Ma pur sapendo misurarlo l'averlo fatto ci ha marchiato. Ed il tempo interno è diventato un altro da sé rispetto ad altre sue apparenze.

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«Il tempo è la sostanza di cui è fatta la vita», scriveva Benjamin Franklin, raccomandando di non sprecarlo, e arrivando al punto di coniare un’altra famosa definizione: «Il tempo è denaro».

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Perché, soprattutto noi occidentali, siamo così ossessionati dal tempo? Ossessionati ma al tempo stesso incapaci di tenere in considerazione la fugace bellezza di un attimo: veneriamo il passato, quasi tutte le nostre festività sono relative ad eventi avvenuti oltre 2000 anni fa, ammiriamo i monumenti tanto più quanto più antichi essi siano, mentre in Giappone riescono a cogliere la bellezza effimera della fioritura del ciliegio con una festa che coinvolge l'intero popolo in un’ebbrezza gioiosa, e tutti i santuari importanti del paese sono costruiti in legno, e ogni 10 anni vengono abbattuti e ricostruiti.

Quando pensiamo al tempo a quale dei suoi aspetti riferirci?

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Quello che ci viene dagli insegnamenti della fisica? 

Questa ci dice che, a conti fatti, il tempo potrebbe, e molto probabilmente lo è, essere benissimo un'illusione, qualcosa di cui, dati i limiti della realtà percepibile dagli esseri umani, potremmo benissimo fare a meno; ma al tempo stesso la fisica, quella quantistica, ci racconta che esistono dei limiti invalicabili al di sotto dei quali non è possibile andare: esiste un atomo di tempo, il tempo di Planck, limite aldilà del quale il tempo in fisica perde la sua validità, 5,491x10-44 secondi, uno dei tanti numeri inimmaginabili della realtà fisica delle cose. Ma senza entrare in dettagli infinitesimali Einstein dimostrò, inequivocabilmente e ormai più che dimostrato dalle evidenze dei fatti, persino dal corretto funzionamento dei sistemi di navigazione ormai disponibili su qualsiasi smartphone, che non esiste un tempo assoluto, demolendo le idee di Newton e scardinando Kant ed il suo tempo a priori. La simultaneità è un’illusione: la definizione del tempo di un evento è impossibile sen za stabilire la simultaneità tra questo evento e un altro evento, che usiamo, in una stramba tautologia, come sistema di misura del tempo stesso. L’unico tempo effettivamente percepibile è quello legato al principio di causa ed effetto, a ciò che genera un prima rispetto ad un dopo che
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sia effettivamente irreversibile perché il disordine non può far altro che aumentare: l’entropia, la freccia del tempo. Argomenti che ci lasciano immaginare lo svolgersi all’indietro nel tempo della storia dell’universo in modo che quanto più indietro nel tempo ci spingiamo tanto più ordinato doveva essere, fino all’inizio, in cui il tempo nemmeno esisteva.

O piuttosto quello che ci viene dalla biologia?

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Questa, di pari passo con la storia dell'evoluzione della vita sulla terra, ci racconta che ogni singola cellula, ogni organismo di cui esso è composto, possiede un orologio biologico che scandisce i tempi, la simultaneità, il corso degli eventi sulla scorta di precise reazioni biochimiche, a volte legate alla presenza o all'assenza di luce solare, altre, come eventi cronometrici che si susseguono nel tempo: persino i fiori conoscono il tempo, come ben sanno tutti coloro i quali ne coltivano sui loro balconi o nei giardini. Ma già un lontanissimo antenato dei fiori, l’Euglena, un organismo unicellulare comparso più di un miliardo di anni fa ed in grado di passare, alla bisogna, da fotosintetico ad eterotrofo, possiede un sofisticato orologio biologico, che ogni sei ore esatte lo fa emergere dal fondo degli ammassi fangosi in cui vive (le mucillagini verdi di cui spesso sono ricoperti stagni e corsi d’acqua sono per lo più fatte da loro colonie) o lo riporta in basso, che ci sia luce o meno, che sia presente in natura o all’interno di una coltivazione di laboratorio. Ognuna delle migliaia di miliardi di cellule che compongono ad esempio un essere umano adulto (più o meno 30.000 miliardi per un maschio di circa 70 kg) è dotata di geni regolatori dei periodi di inizio e della durata di determinati processi biochimici che portano, ad esempio, alla sintesi di determinate proteine: in ogni cellula c’è un meccanismo di misurazione del tempo e, per estensione, gli organi di cui sono formati, hanno i loro cicli temporali. Ma non è ancora nemmeno questo il tempo che percepiamo.

O ciò che ci viene dalle moderne neuroscienze?

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Ogni organismo vivente che sia sufficientemente complesso, dotato di un sistema nervoso adeguatamente sviluppato, fino al suo massimo, ovvero all’emergere della coscienza, ha sviluppato, nel corso dell’evoluzione, una sorta di orologio «interno», completamente slegato sia dal tempo fisico che da quello biologico. Un ratto sa contare il tempo, è in grado di capire che avrà il suo cibo premendo un pulsante ma solo dopo che sia passata una certa quantità di tempo. Ogni senso ha il suo organo, ma non il senso del tempo: gli esseri umani, e molto probabilmente la maggioranza di molti organismi, hanno il senso del tempo, pur non esistendo un organo specifico a ciò dedicato. In passato in molti hanno creduto che esistesse una sorta di cronometro biologico, tra loro Ernst Mach ed altri fisicii, e così avrebbe potuto essere se l'evoluzione operasse sotto l’opera attenta di un progettista. Ma l'evoluzione tende alla conservazione. Una volta trovata la soluzione di un problema se la tiene ben stretta. E questa viene trasmessa in eredità da una generazione all'altra e da una specie alla successiva, rappezzata e piena di aggiustamenti e modifiche minime, finché l'antico principio conserverà qualche utilità continuerà a essere usato. Non importa sia perfetto, purché funzioni. Questo è il motivo per cui il senso del movimento e il senso del tempo sono connessi in modo inscindibile. 
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Se uno dei due va perduto o danneggiato, per lo più si perde anche l'altro: provate ad immaginare come ci si potrebbe muovere, semplicemente camminare, se non operasse automaticamente un meccanismo di coordinazione temporale del movimento. Il tempo è movimento, la sua misura dipende dal confronto dei rapporti tra spazi percorsi con una determinata velocità. L’evoluzione quindi non fece che il suo lavoro: servirsi di quel che c’era. Questo è il motivo per cui ancora oggi percepiamo diversamente il tempo quando ci muoviamo con la solita velocità o con grande lentezza: lo sa bene chi pratica il Tai Chi.

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Nel nostro cervello oscillano contemporaneamente moltissimi marcatempo, come fossero metronomi, ognuno tarato con una sua oscillazione specifica, ed è ciò che ci mette in grado di confrontare le durate di periodi di tempo diverse ma non di calcolarne con buona approssimazione la durata stessa. La cosa è strana: noi siamo in grado di riconoscere in modo molto preciso durate temporali alle quali siamo abituati ma ci riesce difficile valutare i tempi e indicarne la durata. Nel cervello, dove suona un'orchestra di migliaia di strumenti segnatempo, si possono scegliere molti milioni di misure di tempo diverse ed è per questo per ogni durata di tempo che si deve misurare, è possibile trovare un giusto ritmo di accordi. L'accordo dei marcatempo fornisce una sorta di contaminuti e dare un segnale dopo che è trascorso un periodo predeterminato è relativamente facile. Le cellule grigie devono semplicemente ricordarsi un accordo il cui ritmo corrisponda in modo esatto, per esempio, alla durata di un semaforo. Ma quanto esattamente è durato? Per rispondere a questa domanda, il cervello dovrebbe avere imparato gli accordi adatti per tutti gli intervallo di tempo concepibili: impossibile. Non sorprende quindi che nella stima del tempo siamo soggetti costantemente a sbagliare.

Limiti e strutture.

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Una palla rotola sulla strada davanti alla nostra autovettura, e premiamo subito il pedale del freno, o almeno così pensiamo. Subito? Tra l'evento e la nostra reazione sono passati due decimi di secondo; questo è il normale tempo di reazione degli esseri umani a stimoli ottici. In questi due decimi di secondo sono accadute molte cose: gli impulsi partiti dall'occhio hanno raggiunto i centri ottici nel cervello; le informazioni sono state elaborata ed è stato riconosciuto il pericolo; il cervelletto ha ricevuto il messaggio e ha inviato un ordine attraverso le vie nervose alla muscolatura della gamba i muscoli si sono contratti. Tutto ciò è accaduto in modo intuitivo, e in verità prima che noi abbiamo visto consapevolmente la palla. Quando abbiamo capito consapevolmente la situazione, il nostro piede era già sul pedale del freno. Mentre crediamo che prima la nostra coscienza abbia riconosciuto la palla e poi abbia attivato la reazione giusta virgola in realtà è accaduto esattamente l'opposto. Ciò accade continuamente ed in migliaia di situazioni diverse: dal portiere che riesce a fermare un micidiale tiro in porta al pianista che articola le sue dieci dita al ritmo di semibiscrome. Ed è questo il tempo che non percepiamo, quello che accade durante l’azione il nostro cervello ricostruisce per noi appositamente, dandoci l’illusione di aver avuto il controllo, proiettandoci un film con un prima ed un dopo invertiti. C’è persino chi si è posto il problema del libero arbitrio che verrebbe a mancare così stando le cose. E se ciò accade davvero per la maggioranza degli eventi non evidenti alla nostra coscienza la cosa notevole è che la sensazione di aver voluto che qualcosa accadesse è una ricostruzione del cervello per la nostra coscienza spettatrice anche quando, ad esempio, dovessimo premere un bottone a seguito di un evento. Sono stati condotti numerosi esperimenti in cui veniva chiesto di premere un pulsante alla vista di un determinato oggetto, e questi esperimenti hanno dimostrato che il ritardo dovuto ai tempi di propagazione dell’impulso nervoso ed alla relativa presa di coscienza erano in realtà tali da rendere incosciente la reazione e solo dopo ricostruita come cosciente. E per tornare ai cultori del libero arbitrio salviamo anche questo: fortunatamente per loro la stragrande maggioranza delle decisioni che un essere umano prende sono in realtà ben più complesse ed articolate che il premere un bottone a comando.

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La limitazione del tempo imposta dalla biologia è fissata dal modo in cui gli organismi sono costruiti. Tutte le informazioni del corpo di animali e di esseri umani vengono trasmesse elettricamente e chimicamente. I neuroni le trasmettono sotto forma di impulsi che attraversano il corpo ad una velocità che può raggiungere nell'uomo un centinaio di metri al secondo. Questa velocità è sorprendente, ma genera comunque ritardi. Il tempo di reazione dipende in definitiva dalla lunghezza dei nostri arti e se un moscerino, essendo molto più piccolo di noi, vive con un ritmo più veloce, con le sue ali che battono con frequenza pari ad un millesimo di secondo, così non potrebbe un essere umano.

I neuroni più veloci del cervello umano possono trasmettere circa 600 segnali al secondo, ogni segnale dura tipicamente un millesimo di secondo, esattamente come un battito d'ala di un moscerino. In linea di principio non possiamo sperimentare come durata di tempo un istante più breve ma sorprendentemente possiamo tuttavia riconoscere differenze di tempo di un paio di decimi millesimi di secondo, pur non sperimentandole come tempo; il cervello compie questa brillante prestazione udendo segnali acustici provenienti da direzioni diverse dello spazio. Quando un suono arriva a un orecchio una piccola frazione di tempo prima che all'altro, il cervello calcola a partire da questa differenza da dove proviene il suono ed uno dei motivi di questa sorprendente reazione è dato dal fatto che al suo funzionamento partecipano pochi neuroni, cablati in modo che i segnali elettrici provenienti dalle due orecchie devono percorrere per arrivare al centro uditivo del cervello percorsi di lunghezza diversa. Ma, come detto, non interpretiamo questa informazione come tempo, e nemmeno come rumore. I dati servono solo a localizzare una fonte di rumore nello spazio. La nostra percezione visiva è più lenta di quella uditiva. L’«adesso» dura per la vista più che per l'udito, ecco perché si preferisce un colpo di pistola come starter per una gara di corsa che non un lampo luminoso. Il dispendio di risorse per riconoscere un suono è semplicemente minore: se nell'udito sono coinvolte circa 20.000 cellule che devono tradurre le proprietà esatte del suono in impulsi elettrici nella retina esistono più di 100 milioni di cellule specializzate, bastoncelli e coni, che investigano la luce e ne ricavano informazioni; e mentre l’udito è in grado di distinguere suoni diversi in una serie purché si succedano solo quando essi siano separati da almeno un centesimo di secondo, per distinguere due immagini deve intercorrere tra loro un intervallo di almeno un decimo di secondo.

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E infine l’ancora estremamente misterioso mondo del tempo percepito: di quel senso di stress che ognuno di noi ha provato più volta quando si sente di non aver tempo, l’associazione ormai prassi comune di cose completamente diverse tra loro come fretta e stress. Ci sentiamo stressati perché si va di fretta, perché si ha poco tempo. Ma questo è un errore fatale. E’ vero esattamente il contrario. Non è vero che siamo stressati perché non abbiamo tempo: non abbiamo tempo perché siamo stressati. E non sono chiacchiere da psicobar, ma le risposte date da centinaia di esperimenti.

O ancora e infine, quelle sensazioni, provate da noi tutti, di tempi enormemente dilatati, o al contrario di ore condensate in istanti spariti nel nulla che invece avremmo voluto durassero per sempre.

Che tempo è questo?

E che tempo è quel che ho utilizzato per questo breve estratto?

Non è il fiume che scorre ma l’acqua.
Non sono gli anni che passano ma noi.
(citazione)

Brevissima bibliografia.
Arnaldo Benini. Neurobiologia del tempo.
Stefan Klein. Il tempo.
Amedeo Balbi. Inseguendo un raggio di luce.

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