Diversamente - Note a margine della “Prima giornata internazionale della geodiversità”

 

Geodiversità

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Si è appena conclusa la “Prima giornata internazionale della geodiversità” che, con un programma ricco di interventi variegati, ha illustrato alcuni degli aspetti, spesso inosservati dai più, di quella parte della natura che spesso non appare immediata nella sua bellezza perché non vivente: formazioni rocciose, minerali, fossili, aspetti geomorfologici del paesaggio e della sua evoluzione e, non ultimi anche i fenomeni che hanno modellato nel tempo il pianeta, per lo più lentissimi ma inarrestabili e a volte immediatamente violenti e devastanti. Scopo principale di questa giornata è stato soprattutto sensibilizzare la società sull’importanza che la salute del pianeta ha per il benessere e la prosperità di tutti gli esseri viventi.

Ogni volta che ci fermiamo ad ammirare uno dei tanti meravigliosi paesaggi, la loro unicità è strettamente legata alla varietà di tipi di rocce, minerali e fossili, alle forme ed ai fenomeni che l’hanno modellato: in una parola appunto, la geodiversità. Inoltre alcuni luoghi hanno in particolare la peculiarità di saper raccontare, con la propria geodiversità, la storia dell’evoluzione geologica della Terra e da tempo, come patrimonio mondiale a tutela UNESCO costituiscono luoghi di particolare importanza geologica: i cosiddetti geositi o, geomorfositi.

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E’ una distinzione importante quella tra biodiversità, termine questo citato molto spesso, e la geodiversità. Amo tuttavia ricordare che quando si parla di ambiente si deve sempre considerare che la totalità di esso concorre a formare quella sorta di luogo dello spazio e del tempo formato dall’insieme di biosfera, idrosfera, litosfera e atmosfera, e che soprattutto non si tratta di un altro da sé: ne siamo parte.

Saper evidenziare la geodiversità, scusate la tautologia, richiede innanzi tutto conoscenze geologiche anche se, molto spesso gli aspetti estetici e paesaggistici sono sotto gli occhi di tutti e la bellezza di certi luoghi incanta chiunque: luoghi solo in apparenza formatisi dal caso ma frutto di eventi contingenti realizzatisi nel corso di un tempo così lontano dalla nostra percezione del suo scorrere, che rende pressoché impossibile a chiunque capirne davvero le implicazioni[1].
Prima di passare al motivo principale per cui ho voluto redigere questa nota di commento all’evento odierno vorrei ricordare un altro aspetto particolare degli sforzi tesi a proteggere la Natura, e con essi anche la geodiversità: questi sono sempre di segno conservatore, ovvero tesi a conservare anche a costo di negare quei principi che sono alla base dell’evoluzione stessa del paesaggio. Gli ambientalisti, in buona o malafede che sia, non si rendono conto che quel che vogliono non è preservare la natura, ma una sua forma abituale, ovvero una particolare condizione ecologica che, spesso qui ed ora, è naturale né più né meno di ogni altra.[2] Quando si cita la protezione della natura, ciò che interessa davvero non è la natura, ma il benessere dell’uomo, la sua possibilità di permanenza. E’ comprensibile ma…innaturale! Richiamando alla mente il famoso paragone del tempo profondo che è dato dai circa 4600 milioni di anni di età della Terra con una giornata di 24 ore il genere Homo nasce alle 23:59:12 e Homo Sapiens salta fuori a 4 secondi dalla mezzanotte (23:59:56); solo a 23 centesimi di secondo dall’epilogo questa specie ingegnosa inventa l’agricoltura. La Rivoluzione Industriale? A meno di 4 millesimi di secondo dalla mezzanotte! In sintesi: per praticamente tutta la sua storia la Terra ha fatto a meno di noi, passando dagli stati più estremi, da un inferno rovente (l’Adeano) all’essere una gigantesca palla di ghiaccio o, per antitesi, siamo qui da un battito di ciglia e stiamo facendo di tutto per autoestinguerci.[3]

I geologi, questi (ancora?) sconosciuti

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Premessa doverosa. La categoria presa ad esempio è solo una delle tante di ciò che chiamerei professionisti della scienza; e ciò è dovuto, ovviamente, all’oggetto specifico di questo evento ed alla mia formazione scientifica originale. Ma ritengo comunque opportuno ricordare che le altre categorie non stanno messe meglio, con rare eccezioni.
L’aspetto forse più particolare di questa giornata, introdotta dalla precisione e dalla cura espositiva di alcuni interventi dal taglio rigorosamente divulgativo e conclusasi con la premiazione del concorso di fotografia riservato agli studenti delle scuole medie superiori, presenti all’evento con una loro rappresentanza, è tuttavia stato quello dell’aver imbastito, non sta a me dire se con successo o meno, né se adeguatamente o meno, una sorta di gigantesco spot pubblicitario teso a ribadire l’importanza dell’insegnamento delle Scienze Naturali e, ça va sans dire, della Geologia, invitando nemmeno tanto simbolicamente, i futuri universitari ad iscriversi al relativo corso di laurea. E ci mancherebbe altro: se non altro considerando che l’Istituto di Geologia e Mineralogia dell’Università “la Sapienza” di Roma ha organizzato e messo a disposizione l’aula per la conferenza.

I numeri presentati nel corso dell’evento, e da fonte attendibile quale quella dell’Ordine dei Geologi del Lazio, sono drammaticamente desolanti.

Alla fine del 1982 mi laureavo in Scienze Geologiche, ed allora, forse con un certo snobismo, c’erano circa 1000 iscritti, compresi i fuori corso: per chi, come me, frequentava assiduamente l’istituto, significava conoscersi tutti, come minimo di vista, e le porte dei professori erano sempre aperte[4]. Nell’anno accademico 2021/22 al corso di laurea triennale in Scienze Geologiche si contano 202 iscritti; le due specializzazioni magistrali, Geologia Applicata all’Ingegneria, al Territorio e ai Rischi e Geologia di Esplorazione, contano un totale di 89 e 66 iscritti rispettivamente.[5] Sappiamo già che, per lo meno dei primi 200 della Triennale, solo una parte arriverà alla Laurea e ancora meno forse a superare l’Esame di Stato, non più obbligatorio per chi ha iniziato nel 2021, con l’introduzione delle cosiddette Lauree Abilitanti.

Tutto ciò anche se nel frattempo sono aumentati gli atenei[6] che hanno visto sorgere università statali ovunque, spesso destinate a sopravvivere grazie a continue sovvenzioni (…), e nonostante la polverizzazione di corsi di studio che erano quadriennali in questo a volte incomprensibile miscuglio di triennale e magistrale con la prima spesso appellata con il poco edificante titolo di minilaurea. Il Geologo Junior (con questo suffisso è iscritto all’ordine chi si ferma alla fine della Triennale) tanto per cominciare il più delle volte proseguirà gli altri due anni, ma sarà soprattutto penalizzato dalle minori opportunità. Lo stesso dicasi per fisici, biologi, ingegneri, chimici o altri che siano!

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Ancora più drammatico il quadro che emerge dai professionisti abilitati e operativi. Dalla stessa fonte di prima si apprende che, in quanto iscritti agli albi professionali, in Italia ci sono 12.000 geologi, 15.000 secondo altri. Innanzi tutto mi chiedo quanti di loro siano soprattutto insegnanti alle medie o alle superiori e la geologia sia…il loro secondo lavoro[7]. Non crediate che sia un’esclusiva: ci sono migliaia di architetti, ingegneri, fisici, chimici e biologi che fanno lo stesso. Ad ogni modo questi 12.000, sembrerebbero all’apparenza sufficienti a coprire le esigenze territoriali: il dato mi suona alquanto strano. Quando ero appena laureato si vociferava di geologi in ogni comune, in ogni provincia, in ogni regione: i comuni italiani sono poco meno di 8.000. I conti non tornano soprattutto considerando che i grandi comuni, o i grandi enti, dovrebbero avere ben più che un solo professionista di settore, e non tornano soprattutto perché, da che ne ho memoria, i geologi in Italia non hanno mai avuto considerazione alcuna[8].

Ma lo scossone finale e definitivo arriva dalla distribuzione anagrafica degli iscritti: ci sono più geologi over 60 che under 35, e l’età media è parecchio alta. Ciò significa che da qui ad un paio di decenni la categoria, già iscritta da tempo immemorabile nel gruppo delle specie protette, sarà definitivamente in via d’estinzione.

Chi farà il lavoro del geologo visto che, a quanto pare, dopo la pandemia, e forse con i soldi a pioggia del PNRR, sembra che ci siano tantissime richieste? Sembra. Risalgono a poco più di cinque anni fa gli appelli che hanno messo in evidenza la carenza di questi professionisti del territorio, delle risorse, del paesaggio e delle strutture. Sarà, ma continuo a non esserne affatto convinto[9], è dai tempi in cui frequentavo l’università che da un lato ascoltavi cose tipo «l’Italia è il paradiso dei geologi!» e da altri, la maggior parte, nella migliore delle ipotesi il geologo veniva confuso con l’archeologo se non con…il ginecoloco![10] E come adeguare questa supposta grande richiesta con la realtà che vede la stragrande maggioranza di questa rispettabilissima categoria di professionisti alle prese con la loro stessa sopravvivenza, fatta di migliaia di piccole imprese che con passione e dedizione sputano sangue per farsi pagare parcelle stilate su tariffari professionali e spesso ridotte a meno della metà del loro lavoro? In una parola: migliaia di professionisti dediti a curare il loro orticello. Sarò pessimista ma non vedo grande differenza tra le ipotetiche richieste odierne e la proposta che mi fu fatta nel 1983, appena laureato, da un colosso industriale, che voleva mandarmi in Nord Africa a fare prove geotecniche per 300.000 lire al mese (il primo stipendio della scuola dove iniziai a insegnare, settembre 1983, fu di 720.000 lire).

E infine, lo sanno all’Ordine Nazionale dei Geologi che “Scienze della Terra” è insegnata al primo anno dei licei scientifici per “le scienze applicate” e non più all’ultimo? E questo avrà come conseguenza che i maturandi intenzionati ad iscriversi all’università avranno, forse, tra i loro remoti ricordi di quindicenni, ciò che avrebbe potuto spingerli a scegliere Scienze Geologiche!

E questo è quanto per il settore specifico. Mi sembra abbastanza ovvio aver snocciolato tematiche legate alla professione del geologo: è geodiversità anche questa tutto sommato. Né me ne vogliate se resto comunque scettico o quanto meno perplesso. In tutte le realtà dove ho lavorato ero noto per essere colui che era pagato per…rompere i cabasisi. Un mini avvocato del diavolo insomma. Dopo tutto ci si iscrive a Geologia per passione si dice sempre, e la passione fa compiere atti che travalicano la ragione e chi è veramente appassionato, come il sottoscritto ascoltando l’insegnante di scienze durante all’ultimo anno dello scientifico, si iscriverà a Geologia lo stesso!

Le scienze, queste sconosciute

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Particolare attenzione, nel corso dell’evento, è stata data alla didattica relativa alle materie scientifiche. La geologia è materia scientifica, non fosse altro che per via del suo suffisso. E la scienza, o meglio “le Scienze Naturali” ed il loro insegnamento sono state oggetto di un paio di interventi effettuati da esponenti della “Associazione Nazionale degli Insegnanti di Scienze Naturali (ANISN)” che, dal lontano 1979, si occupa della divulgazione del verbo scientifico e delle migliori metodologie di insegnamento, soprattutto agli insegnanti stessi nonché, e ciò è notevole, dell’organizzazione e della partecipazione dei nostri studenti alle “Olimpiadi delle Scienze Naturali”, con ramificazioni specifiche nelle Scienze della Terra o in Biologia, sia nazionali che internazionali.

Ma mentre ascoltavo alcune cose interessanti e altrettante ovvietà, osservando parecchie espressioni annoiate tra gli studenti, mi tornavano alla mente considerazioni vecchie e nuove. Io stesso, da ex insegnante di Scienze Naturali, ebbi a che fare con l’eterno dilemma se trasformare il mestiere del docente nel più facile del mondo o nel più difficile, senza vie mezzo, da «l’aprite il libro e leggiamo» al «mettete via i libri, per ora, e analizziamo». Trasformare ad esempio il primo anno di Scienze al I Liceo Classico (il terzo anno) da un noiosissimo, inutilissimo e seccante corso di nomenclatura e tassonomia linneana tenuto da chi mi aveva preceduto, ad uno in cui si raccontava di Darwin e della sua avventura umana e scientifica (ed era una scuola cattolica, e ancora non c’era stata l’ammissione ufficiale della teoria che avvenne col pontificato di Woytila!).

Le scienze sono difficili, innanzi tutto e tutte! Non c’è contraddittorio, non esiste il secondo me, la scienza, è ormai spero noto, non è democratica. Le cose o si sanno, e se ne può parlare, o no: e in quest’ultimo caso c’è un solo metodo: studiare. E’ palese che il metodo con cui qualsiasi determinato argomento venga trasmesso è fondamentale ma lo è altrettanto, e doveroso, rendersi conto che qualsiasi disciplina scientifica richiede uno sforzo maggiore, un’apertura mentale diversa, attitudini diverse, e tanto più ciò valga per la matematica e la fisica. I laureati in geologia sono pochi? Sono insufficienti a coprire le supposte esigenze?

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Ma se si osservano le statistiche dei laureati in matematica le cose non sono poi così differenti, se non peggiori: nell’anno accademico 2015/16 i laureati in matematica, laurea magistrale, erano poco più di 2000, circa lo 0,4% di tutti i laureati![11] Ogni anno atenei importanti come quelli di Roma, di Milano o di Napoli, contano ognuno su qualche decina di laureati in matematica! Al punto che nella scuola scarseggiano al punto di affidare a laureati in altre discipline scientifiche, le supplenze di matematica, scarsità dovuta al fatto che la maggioranza dei matematici opta per assunzioni in campo industriale. Le cose non sono poi così diverse per i chimici, i biologi o i fisici. Pochi iscritti, ancora meno laureati. Il motivo principale non sta tanto nella difficoltà di programmare un futuro lavorativo che appare complicato, per i geologi in modo particolare, quanto per le maggiori difficoltà che qualsiasi materia scientifica presenta, a cominciare con il necessario approccio matematico, fisico e chimico, che fa da base propedeutica immediatamente, nei primi anni del corso di laurea. Ed è probabile, viste le difficoltà intrinseche che uno studente possa decidere a questo punto di investire in lauree tecnico-scientifiche maggiormente remunerative in termini di possibilità di lavoro, quali ad esempio la sempreverde laurea in Ingegneria, con dozzine di specialità, o in Chimica, con altrettante ramificazioni.

Chiudo con una nota quasi aneddotica. La difficoltà intrinseca dello studio delle scienze naturali, unitamente alla scarsità di tempo e spesso alla vetustà dei metodi e dei programmi applicati da una cospicua parte dei docenti che campa di rendita, diventa palese ogni qual volta un qualsiasi argomento scientifico si palesa in un gruppo di persone, magari con una domanda, un’osservazione: la maggioranza di quel gruppo, si schernisce e si ripara dietro commenti quali «…io in scienze andavo malissimo…», «oddio! chimica!...», o ancora, quasi con orgoglio «in matematica c’avevo 2!». E ciò nonostante in gruppi ancora più cospicui, soprattutto social, l’effetto Dunning-Kruger la fa da padrone.

Metodi e realtà

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Durante uno degli interventi è stato citato e illustrato il cosiddetto IBSE, Inquiry-Based Science Education, che, cito testualmente, «si presenta come un metodo di insegnamento delle scienze basato su un approccio induttivo che stimola l’investigazione e la collaborazione, e finalizzato allo sviluppo dell’attitudine alla sperimentazione e alla risoluzione di problemi in situazione». Benissimo. Quindi?

Ipotizziamo che, fin dalle elementari e a maggior ragione alle medie ed alle superiori, si abbiano a disposizione docenti adeguatamente formati, che siano stati preparati da aggiornamento continuo presso associazioni come l’ANISN, che siano esperti nell’applicazione dell’IBSE, oltre che profondi conoscitori di tutte le linee guida che la Comunità Europea emette continuamente.[12] Ma come attuare tutto questo, come trasmettere e far appassionare alle scienze naturali bambini e ragazzi con una manciata di ore a disposizione persino in quel tipo di scuole superiori che, per definizione, si definiscono scientifiche come l’omonimo liceo!

Nonostante la scuola abbia subito una profonda riforma[13], nonostante siano sorti licei dedicati addirittura all’applicazione tecnologica delle scienze, o strani ibridi come i licei scientifico-pedagogici (…), le ore di lezione dedicate alle scienze non sono aumentate poi molto rispetto a quanto c’era negli orari delle lezioni del mio liceo scientifico (dal 70/71 al 75/76!) od a quelli frequentati dalle mie figlie a cavallo del passaggio al terzo millennio e passando per lo scientifico o il classico dove insegnai dal 1983 al 1991!

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In rete è pieno di programmi recenti[14], spesso di qualità e ricchi di argomenti, ma soltanto raramente, e per scuole che si fregiano ad esempio del nome di “liceo delle scienze applicate”, si trovano classi in cui le ore dedicate alle scienze naturali siano ben 5 al triennio, un’ora in più di quanto dedicato ad italiano e tante quante alla matematica! Saranno sufficienti anche 5 ore a settimana a trasmettere soprattutto la passione per le scienze e ancor di più per il suo metodo? E tante sono le ore nei licei di specializzazione: nel liceo scientifico tradizionale, la maggioranza, ore e materie sono identiche a quanto era presente nel 1976: in cinque anni ci sono meno ore di scienze che di latino e questo è tanto quanto dedicato all’inglese!

La propedeuticità e la necessità di avere a disposizione concetti base provenienti da altre discipline scientifiche, diverse da quella trattata, appaiono inoltre evidenti fin dalle scuole medie ed ancora di più già al primo anno dei licei. In quelli cosiddetti scientifici o da essi derivati, si osserva come nei programmi vengano introdotte competenze da acquisire che provengono da campi diversi dalla materia curriculare per la classe in corso. Com’è possibile, se non ridotte a nozionismo sterile, avere il tempo di studiare alcuni argomenti senza le necessarie basi? E per quanto le scienze naturali possano essere trasmesse nel migliore dei modi resta comunque, un’asincronia di fondo con le conoscenze acquisite in chimica e in fisica. Le Scienze della Terra anticipate già al primo anno in moltissimi casi, ad esempio, rischiano di essere ridotte a vaghe reminiscenze quando si arriverà all’ultimo anno. Per non citare quei casi frequentissimi di materie che scompaiono da un anno all’altro, soprattutto negli istituti tecnici e professionali e che vengono ridotte nelle ore settimanali ed accorpate insieme. Un esempio per tutti: la geografia, questa sconosciuta ormai, scomparsa da qualsiasi scuola superiore!

E per concludere con quanto attinente alla quantità di tempo dedicato all’insegnamento delle scienze, mi asterrò da qualsiasi confronto con discipline umanistiche! Né che a corollario del già citato metodo IBSE troviamo persino elementi di didattica relativa all’educazione artistica!

Non c’è quindi da meravigliarsi se i risultati pre-pandemia[15] relativi agli aspetti quali-quantitativi della preparazione media dei nostri studenti non siano affatto confortanti, e tra l’altro con alcune strane anomalie: la preparazione in matematica ad esempio è nella media europea mentre quella nelle scienze naturali decisamente al di sotto; c’è stato inoltre un aumento nel divario tra le ragazze, che riescono mediamente meno bene dei loro coetanei maschi a riprova che i luoghi comuni sono durissimi da eliminare!

Conclusioni

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Non in linea con le aspettative, l’evento dedicato alla geodiversità, ha evidenziato aspetti della cultura scientifica e della sua diffusione che mostrano ancora una volta quanto ci sia da fare affinché possa essere estesa ed ampliata come meriterebbe, a maggior ragione nel nostro paese che ancora risente della famigerata riforma Gentile del 1923; Italia che da faro della cultura nel mondo rischia di essere relegato a fare da fanalino di coda rispetto a paesi emergenti che, partendo da zero, si sono trovati avvantaggiati, e nonostante l’Italia continui ad essere un polo di riferimento e fonte di uomini e donne di scienza di eccellenza.

Che le materie scientifiche siano complesse, difficili e piene di ostacoli da affrontare e superare è un fatto; che occorra attitudine e che questa vada individuata immediatamente e coltivata adeguatamente è un altro.

Ma osservando quanto normalmente accade quando si mettono a confronto illustri scienziati con perfetti cialtroni o come minimo non addetti ai lavori, quando si lascia spazio, soprattutto mediatico e rilanciato dalla grancassa dei social, a degli incompetenti o dei buffoni mentitori come terrapiattisti o negazionisti di questa o quella cosa, quando, e torno ai geologi, un ordine nazionale non riesce a tacitare un rabdomante, ci si chiede dove fossero tutti coloro i quali che, ancora oggi e da decenni, ricordano che si deve fare questa o quella cosa, che andrebbe riformato questo o quel settore: dov’erano? Perché i decenni passano e molto poco cambia?

Non sono stati ascoltati o non sono stati in grado di farsi ascoltare restando isolati nel loro mondo?

Personalmente, e mi auguro di sbagliare, propendo per quest’ultima ipotesi.


[1] La storia dell’età della Terra merita un approfondimento: dal sito INGV una pagina a questa dedicata.

[2] Wolfgang Behringer, “Storia culturale del clima. Dall’era glaciale al riscaldamento globale”

[3] Marco Cattaneo (fonte non più disponibile) e Telmo Pievani, “Homo Sapiens e altre catastrofi”

[4] Nota folkloristica: la biblioteca di Geologia, unica di tutto l’ateneo in cui fosse consentito parlare, era un porto di mare: ci venivano a studiare (…) da ogni facoltà! Per chi cercava il silenzio c’era quella di Mineralogia o quella di Fisica.

[5] Fonte Portale Statistico – Dati Studenti de “la Sapienza”

[6] Quello di “Roma Tre” offre, dopo la Triennale, una magistrale in “Geologia del Territorio e delle Risorse”, nulla invece a “Tor Vergata” che ha comunque un polo di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali.

[7] Io stesso ho insegnato, per quasi un decennio, e mi ci sono pure abilitato, Scienze Naturali, Chimica e Geografia (o meglio Scienze della Terra) al Liceo Classico ed allo Scientifico, mentre cercavo di fare il geologo, ovviamente abilitato con Esame di Stato. Da qualche parte dovevo pur prendere i soldi per il mutuo della casa, no?

[8]I geologi? Per le istituzioni italiane non sono necessari” (da L’Inkiesta.it”)

[9]Geologi: in 15mila in Italia, ma non trovano lavoro”. Da “Confederazione italiana delle libere professioni”.

[10] Aneddoto: nel 1984, fresco di Esame di Stato e iscrizione all’albo nazionale (allora era l’unico) mi scade la carta d’identità. Compilo la scheda e con molto orgoglio alla voce professione scrivo “GEOLOGO”. Quando andai a ritirare la carta il campo era vuoto. Alla mia richiesta di spiegazioni il tipo mi fa “Non lo posso scrivere, che professione è? Non risulta”. Accadde davvero. Ovviamente dopo aver fatto loro notare che si scrive persino “studente” o “casalinga” e mostrato loro il tesserino dell’Ordine Nazionale dei Geologi, mi rifecero la carta.

[11] https://www.truenumbers.it/matematica-medaglia-fields/

[12] Quelle diverse centinaia di pagine che concorrono a formare una cospicua parte dei quiz a risposta multipla su cui vengono falcidiati da qualche anno i concorrenti ai vari concorsi per la scuola.

[13] L’ultima della quale del 2015, quella della cosiddetta “Buona Scuola” invisa alla maggioranza dei docenti o degli aspiranti tali.

[14] Quattro esempi: Liceo Scientifico Statale “Vito Volterra” di Ciampino (RM), il “Don Giuseppe Fogazzaro” di Vicenza e il “Gugliemo Marconi” di Foligno (PG), indirizzo “scienze applicate” a confronto con il “tradizionale

[15] Sintesi dei risultati italiani di OCSE PISA 2018. A seguito della pandemia da Covid-19 la situazione si è ulteriormente aggravata.

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