Nanomacchine, evoluzione…e la Microsoft!

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Cosa avrà mai a che fare la Microsoft con un argomento di biologia, di biochimica? Lo vedremo tra poco.

L’ambiente in cui vivono gli organismi è in continuo cambiamento.

Questo è il motivo per cui, osservando l’evoluzione delle componenti molecolari fondamentali alla base della vita, e per estensione i loro prodotti, gli organismi viventi, o se volete l’evoluzione stessa delle specie, si incontrano spesso strutture imperfette, frutto più dell’assemblaggio di pezzi presi da quanto a disposizione, riciclando o riadattando come si fa nel bricolage. Non è perfetto, la perfezione non è di questo mondo qualcuno direbbe, il falegname sotto casa mia con 50 € l’avrebbe fatto meglio, un ingegnere avrebbe certamente scelto altro, ma…funziona! E la differenza tra funzionare o meno in questo caso, potrebbe essere quanto porta alla sopravvivenza di un organismo, di un’intera specie, della permanenza della vita stessa.

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Se pensiamo a quei meccanismi molecolari (nanomacchine, così gli scienziati definiscono i complessi meccanismi molecolari fatti per lo più di proteine, elementi vari, complessi molecolari e acidi nucleici) che sono comuni a qualsiasi organismo vivente, e che da almeno 3,5 miliardi di anni non sono cambiati, possiamo intuirne il perché: un cambiamento deleterio comportante la perdita di funzionalità della struttura biochimica, avrebbe comportato la scomparsa di intere linee di viventi, o dell’intera vita stessa. Soltanto poche nanomacchine fondamentali sono presenti in qualsiasi cellula di qualsiasi forma di vita del pianeta e lo sono da miliardi di anni, dai batteri primitivi (Archea), con un antenato comune tra questi e le cellule eucariote, fino alle balene, dai batteri fotosintetici alle sequoie. E tra queste nanomacchine possiamo senza dubbio alcuno annoverare quanto necessario a svolgere i processi di fotosintesi (non solo quella più nota con produzione di ossigeno come sottoprodotto) e quanto compete alla produzione della moneta energetica di ogni cellula, della vita stessa (ATP, Adenosin trifosfato, prodotto sia nei ribosomi che durante i processi fotosintetici).

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Stime recenti ci dicono che nel mondo biologico a noi conosciuto esistono qualcosa come 60-100 milioni di geni diversi (finora ne sono stati codificati con un lavoro enorme circa 25 milioni). Di questi, si stima che soltanto 1500 siano i geni essenziali per la sintesi di queste nanomacchine fondamentali. Forse è una stima troppo prudente ma quand’anche fosse 10 volte superiore ciò significherebbe che soltanto lo 0,0015-0,0025 percento contiene informazioni fondamentali per la vita mentre il restante 99,98 percento contiene informazioni specifiche e soprattutto può mutare senza conseguenze catastrofiche e possono evolvere. Se invece un gene essenziale mutasse o andasse perduto la conseguenza sarebbe una sciagura perché, a meno che non si evolvesse rapidamente un sostituto per la nanomacchina perduta, la perdita di un gene essenziale potrebbe togliere dalla circolazione diversi elementi chiave per la vita: altro che estinzione di massa!

Torniamo alla mutevolezza dell’ambiente ed alle sue conseguenze.

Un malinteso molto diffuso riguardo all’evoluzione per selezione naturale è quello che porta a pensare che, operando nell’arco di milioni di anni, questa porti ad ottimizzare i processi che consentono agli organismi di sopravvivere e riprodursi, che esista, in altre parole, un progresso, una tendenza verso qualcosa. Nulla di tutto ciò: l’evoluzione è cieca, e paziente soprattutto, considerando l’enorme inimmaginabile quantità di tempo a disposizione.

Una delle prove della completa mancanza di progresso evolutivo come conseguenza dell’evoluzione, dell’assenza di causalità se volete, è data anche dall’analisi del modo in cui le strutture molecolari fondamentali siano state mantenute e oggetto di piccoli aggiustamenti in corso d’opera sfruttando al massimo il materiale a disposizione, senza reinventare né tanto meno riprogettare nulla di nuovo.

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Una delle proteine fondamentali della fotosintesi, ad esempio, derivata più o meno senza modifiche da quella usata dai cianobatteri, che svilupparono la fotosintesi e che operavano ed operano in assenza di ossigeno; in presenza di questo gas invece, quindi nella pressoché totalità dei casi, va letteralmente distrutta dopo circa 10.000 utilizzi, ovvero dopo esser passata attraverso 10.000 elettroni staccati ad atomi di idrogeno da parte di altrettanti fotoni: il tutto in una mezzora. L’evoluzione, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, anziché sviluppare una proteina diversa e funzionante ha sviluppato un complicato meccanismo di riparazione che, individuata la proteina danneggiata, la rimuove e ne inserisce una nuova nel “buco” rimasto. Insomma, è come se viaggiando in auto doveste portarvi dietro una squadra di meccanici che ogni 10.000 giri di ogni ruota ve la sostituiscano con una nuova…in corsa!

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Questi complicatissimi meccanismi di riattamento, di bricolage appunto, ricordano da vicino l’enorme spreco di risorse rispetto al risultato delle complicate macchine che Willy il Coyote attrezza nel tentativo di catturare l’imprendibile Beep Beep: con una differenza, Willy finisce sempre per provocare catastrofi a suo danno mentre in biologia non saranno perfette, ma funzionano, e lo fanno da miliardi di anni nel caso delle strutture fondamentali.

Il metodo usato dall’evoluzione se volete ricorda da vicino quello che la Microsoft ha utilizzato per decenni, e tuttora utilizza in parte, per il proprio sistema operativo. La sua prima versione operava per determinati tipi di processori della Intel e l’ambiente di questi ultimi era, ed è, in continua evoluzione, con cambiamenti che avvenivano a ritmi insostenibili per chi avesse voluto ogni volta riprogettare un sistema operativo ex novo. E così la Microsoft scelse, fin dall’inizio, di aggiungere un numero crescente di codici di programmazione, preferendo aggiornare il software anziché riprogettarlo. Il risultato è certamente qualcosa di non super efficiente o super veloce, sicuramente ridondante e macchinoso, ma funzionante! Analogamente la natura, in un ambiente in continuo ed imprevedibile cambiamento, anziché riprogettare le nanomacchine da zero, ricicla vecchi macchinari e li modifica in misura lieve o sviluppa un insieme di nuove componenti che facilitino il funzionamento degli organismi in un ambiente sempre mutevole. In pratica è come se la natura aggiungesse nuovi codici di programmazione alle macchine evolute in precedenza.

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Un ultimo esempio, sempre relativo a qualcosa appartenente a quelle circa 1500 strutture fondamentali che da miliardi di anni consentono l’esistenza della vita stessa sulla Terra, è quello relativo ad un’altra proteina dal tipico nome complicato: ribulosio bisfosfato carbossilasi/ossigenasi (RuBisCO). Molto semplicemente è la proteina responsabile della fissazione del diossido di carbonio, CO2, (nota anche col nome di anidride carbonica) in tutti gli organismi fotosintetici aerobi (in ambienti con ossigeno) ma anche nei batteri chemioautotrofi, ovvero quei batteri in grado di sintetizzare nutrienti da composti come ioni ammonio, acido solfidrico o metano. Insomma è la proteina più abbondante della Terra e la responsabile della produzione della maggior parte della materia cellulare: ma in quanto a funzionamento lascia molto a desiderare.

La sua struttura è abbastanza semplice essendo formata da due subunità che interagiscono tra loro. Quando funziona correttamente estrae CO2 presente nell'acqua sottoforma di gas disciolto e ka aggiunge ad uno zucchero con cinque atomi di carbonio dotato di due «maniglie» di fosfato (ribulosio difosfato), formando due molecole identiche con 3 atomi di carbonio. E' questa senza dubbio la più importante reazione biochimica che ha luogo sulla Terra, nonché il primo passo nella produzione fotosintetica del 99% circa della materia organica su cui si basa la vita delle restanti forme biologiche. Tutti gli animali, esseri umani compresi, devono la loro esistenza alla RuBisCo.

Come altre proteine implicate nei processi fotosintetici, anche la RuBisCO si è evoluta molto prima della comparsa dell'ossigeno libero nell'atmosfera terrestre, in un periodo in cui le concentrazioni di diossido di carbonio erano molto superiori alle attuali e, in tali condizioni la proteina funziona molto bene. In presenza di ossigeno però, l'enzima scambia spesso l'ossigeno per diossido di carbonio per quanto la cosa possa apparire strana, visto che le due molecole sono strutturalmente diverse. Ogni volta che accade la RuBisCO incorpora ossigeno e non produce nulla di buono, e questo accade circa il 30 percento delle volte nella maggior parte delle piante, con un enorme spreco di energia. A ciò si aggiunga che questo complesso è molto lento, un prodotto con frequenza di 5 volte al secondo; persino rispetto alle RuBisCO evolutesi recentemente e più efficienti ci sono nelle cellule nanomacchine velocissime ed estremamente più rapide nella generazione del loro prodotto.

Ancora una volta la causa principale di questa apparente anomalia sta nella modalità specifica in cui opera l'evoluzione per selezione naturale. Anziché reinventare o riprogettare da zero, a rischio di fallire, un nuovo complesso molecolare si continua a sistemare o utilizzare quanto a disposizione. Purché funzioni!

Soprattutto se, come nel caso della RuBisCO, questa appartenga a quelle circa 1500 nanomacchine fondamentali, presenti da miliardi di anni, che non sono cambiate e tuttalpiù modificate in corso d'opera riadattando il materiale a disposizione.

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